Una discutibile pronuncia della Corte EDU sulle intercettazioni già dichiarate inutilizzabili

06 Ottobre 2025

La Corte europea dei diritti dell'uomo ha affermato un principio nuovo e dissonante nella giurisprudenza europea e cioè che i risultati delle intercettazioni già dichiarate inutilizzabili sarebbero però utilizzabili nel controesame dell'imputato per le contestazioni al fine di valutare la sua credibilità.

La sentenza: i principi generali sul processo penale

Premette la Corte EDU che, sebbene l'art. 6 CEDU garantisca il diritto a un processo equo, esso non stabilisce alcuna norma in materia di ammissibilità delle prove o di modalità di valutazione delle stesse, che sono questioni di competenza primaria del diritto nazionale e dei tribunali nazionali (cfr. Moreira Ferreira c. Portogallo (n. 2) [GC], n. 19867/12, § 83, 11 luglio 2017, e Yüksel Yalçınkaya c. Türkiye [GC], n. 15669/20, § 302, 26 settembre 2023).

La sentenza in esame distingue tra l'ammissibilità delle prove (ossia la questione di quali elementi di prova possano essere sottoposti all'esame del tribunale competente) e i diritti della difesa in relazione alle prove che sono state effettivamente presentate al tribunale (cfr. Yüksel Yalçınkaya, citata sopra, § 310). Occorre inoltre distinguere tra quest'ultimo aspetto (ossia se i diritti della difesa siano stati adeguatamente garantiti in relazione alle prove acquisite) e la successiva valutazione di tali prove da parte del tribunale (cfr. SA-Capital Oy c. Finlandia, n. 5556/10, § 74, 14 febbraio 2019, e i riferimenti ivi contenuti, e Ayetullah Ay c. Turchia, nn. 29084/07 e 1191/08, § 125, 27 ottobre 2020).

La Corte ammette che non spetta ad essa determinare, in linea di principio, se particolari tipi di prove – ad esempio, prove ottenute illegalmente ai sensi del diritto interno – possano essere ammesse o, addirittura, se il ricorrente fosse colpevole o meno (cfr. Yüksel Yalçınkaya, citata sopra, § 303). Il compito della Corte EDU, ai sensi dell'art. 6 § 1 CEDU è piuttosto quello di “valutare l'equità del procedimento nel suo complesso, tenendo conto della natura e delle circostanze specifiche del caso, compreso il modo in cui le prove sono state raccolte e utilizzate e il modo in cui sono state trattate le eventuali obiezioni relative alle prove” (cfr. Bykov c. Russia [GC], n. 4378/02, § 89, 10 marzo 2009, e Yüksel Yalçınkaya, citata sopra, § 310). Ciò comporta un esame dell'«illegittimità» in questione e, qualora si tratti di una violazione di un altro diritto sancito dalla Convenzione, della natura della violazione accertata (cfr. Bykov, citata sopra, § 89). Nel determinare se il procedimento “nel suo complesso” sia stato equo, occorre anche valutare se siano stati rispettati i diritti della difesa. In particolare, occorre esaminare se al ricorrente sia stata data la possibilità di contestare le prove e di opporsi al loro utilizzo (cfr. Yüksel Yalçınkaya, citata sopra, § 303).

Dal punto di vista dei diritti della difesa, possono sorgere questioni, ai sensi del citato art. 6, in merito al fatto che le prove prodotte a favore o contro l'imputato siano state presentate in modo tale da garantire un processo equo, poiché “un processo equo presuppone un procedimento in contraddittorio e la parità delle armi”; pertanto, eventuali vizi nel procedimento probatorio possono essere esaminati ai sensi dell'art. 6 § 1 CEDU (ibid. e Mirilashvili c. Russia, n. 6293/04, § 157, 11 dicembre 2008). Di conseguenza, l'esame dell'equità complessiva del procedimento deve comprendere anche una valutazione volta ad accertare se al ricorrente sia stata data la possibilità di contestare le prove e di opporsi al loro utilizzo in circostanze in cui siano stati rispettati i principi del contraddittorio e della parità delle armi tra l'accusa e la difesa. La questione se le contestazioni del ricorrente in merito alle prove siano state esaminate in modo adeguato dai tribunali nazionali, vale a dire se il ricorrente sia stato realmente «ascoltato», e se i tribunali abbiano motivato le loro decisioni con argomentazioni pertinenti e adeguate, è anch'essa un fattore da prendere in considerazione nel condurre tale valutazione. A questo proposito, la sentenza ribadisce che, sebbene i tribunali non siano tenuti a fornire una risposta dettagliata a ogni argomento sollevato, dalla decisione deve risultare chiaramente che sono state affrontate le questioni essenziali del caso (cfr. Yüksel Yalçınkaya, citata sopra, § 324, con ulteriori riferimenti). Inoltre, occorre tenere conto della qualità delle prove, compreso il fatto che le circostanze in cui sono state ottenute possano mettere in dubbio la loro attendibilità o accuratezza (cfr. Bykov, citato sopra, § 90, e Yüksel Yalçınkaya, citato sopra, § 303; cfr. anche, tra le altre autorità, Lisica c. Croazia, n. 20100/06, § 49, 25 febbraio 2010, e Ayetullah Ay, citata sopra, § 126). Sebbene non sussista necessariamente un problema di equità quando le prove ottenute non sono supportate da altro materiale, si può osservare che, quando le prove sono molto solide e non vi è alcun rischio che siano inattendibili, la necessità di prove a sostegno è corrispondentemente minore (cfr. Bykov, citato sopra, § 90, e Yüksel Yalçınkaya, citato sopra, § 303; cfr. anche Lee Davies c. Belgio, n. 18704/05, § 42, 28 luglio 2009, e Bašić c. Croazia, n. 22251/13, § 48, 25 ottobre 2016). Nel procedere a tale esame, la Corte tiene conto anche dello stato delle altre prove contenute nel fascicolo e attribuisce importanza al fatto che le prove in questione siano state o meno decisive per l'esito del procedimento (cfr. Gäfgen c. Germania [GC], n. 22978/05, § 164, CEDU 2010, e Yüksel Yalçınkaya, citata sopra, § 303). A questo proposito, si può anche ribadire che l'onere della prova spetta all'accusa e che ogni dubbio deve andare a vantaggio dell'imputato (cfr. Ayetullah Ay, citata sopra, § 126). Nel determinare se il procedimento nel suo complesso sia stato equo, si può tenere conto dell'importanza dell'interesse pubblico a indagare sul reato specifico e a punirne l'autore, valutandolo rispetto all'interesse individuale a garantire che le prove a carico siano raccolte in modo lecito (cfr. Jalloh c. Germania [GC], n. 54810/00, § 97, CEDU 2006-IX, e Prade c. Germania, n. 7215/10, § 35, 3 marzo 2016).

L'applicazione dei principi generali al caso di specie

In diverse occasioni, la Corte ha ritenuto che l'uso di dispositivi di ascolto nascosti costituisse una violazione dell'art. 8 CEDU. Tuttavia, essa ha anche ritenuto che, in tali casi, l'ammissione come prova delle informazioni così ottenute non fosse, nelle circostanze date, in contrasto con i requisiti di equità garantiti dall'art. 6 § 1 CEDU (cfr. Lysyuk c. Ucraina, n. 72531/13, §§ 66-76, 14 ottobre 2021; Hambardzumyan c. Armenia, n. 43478/11, §§ 78-81, 5 dicembre 2019; Dragoş Ioan Rusu c. Romania, n. 22767/08, §§ 51-57, 31 ottobre 2017; Dragojević c. Croazia, n. 68955/11, §§ 131-135, 15 gennaio 2015; e Khan c. Regno Unito, n. 35394/97, §§ 35-40, CEDU 2000-V).

A differenza di una serie di altri casi sottoposti alla Corte, nella fattispecie il Tribunale della contea di Viru ha ritenuto che le misure di sorveglianza segreta fossero illegittime ai sensi del diritto interno in quanto non sufficientemente motivate (cfr. Schenk c. Svizzera, 12 luglio 1988, §§ 43-46, Serie A n. 140, in cui i tribunali nazionali hanno riconosciuto che le prove erano state ottenute in modo illegittimo). Inoltre, basandosi sull'art. 1261 § 4 del codice di procedura penale estone, il tribunale della contea di Viru ha dichiarato inammissibili le prove ottenute mediante intercettazioni telefoniche. A tale proposito, la Corte ribadisce di aver già constatato nella causa Liblik e altri c. Estonia (nn. 173/15 e altri 5, 28 maggio 2019) che la sorveglianza segreta effettuata sulla base di autorizzazioni giudiziarie insufficientemente motivate (in contrasto con il requisito previsto dal diritto interno di fornire tali motivazioni) violava l'art. 8 CEDU (ibid., §§ 134-143).

Inoltre, nonostante abbiano dichiarato inammissibili come prove le relazioni relative alle intercettazioni telefoniche, i tribunali nazionali hanno consentito l'utilizzo di estratti delle trascrizioni di tali intercettazioni nel contesto del controesame del ricorrente al fine di valutare la credibilità delle sue dichiarazioni. Secondo i tribunali, tale utilizzo delle intercettazioni telefoniche sarebbe conforme al diritto interno.

La Corte ritiene che, indipendentemente dal contesto fattuale piuttosto singolare del caso di specie, i principi generali sopra menzionati relativi all'art. 6 CEDU rimangano pertinenti e applicabili. Sebbene il caso in esame non riguardi, in senso stretto, l'ammissibilità delle prove, esso verte comunque sull'uso di materiale ottenuto, in sostanza, in violazione delle garanzie dell'art. 8 CEDU.

Secondo il ricorrente, l'uso di estratti delle trascrizioni delle intercettazioni telefoniche per valutare la credibilità delle sue dichiarazioni dovrebbe essere considerato illegittimo ai sensi del diritto interno. A tale proposito, la Corte ribadisce che non spetta ad essa agire come “organo di quarta istanza” e mettere in discussione l'interpretazione data al diritto interno dai tribunali nazionali (cfr., tra le altre autorità, Moreira Ferreira, citata sopra, § 83). Nel caso di specie, sia il tribunale della contea di Viru che la corte d'appello di Tartu hanno risposto alla pertinente argomentazione del ricorrente relativa all'illegittimità e hanno fornito motivazioni esaurienti per cui l'utilizzo delle intercettazioni telefoniche nel contesto dell'art. 289 § 3 del codice di procedura penale estone sarebbe conforme al diritto interno. Tali motivazioni non possono essere considerate “arbitrarie” o “manifestamente irragionevoli”. Il fatto che fosse forse la prima volta che i tribunali nazionali erano chiamati a interpretare e applicare l'art. 289 § 3 del citato codice di procedura penale nel contesto di una precedente dichiarazione di inammissibilità delle intercettazioni telefoniche come prove non mette in discussione la validità della loro interpretazione, né fornisce alla Corte motivi per rivalutarla.

La Corte passa poi alla questione della correttezza del procedimento penale “nel suo complesso” e osserva che il ricorrente ha colto l'occasione per contestare l'ammissibilità delle prove ottenute mediante sorveglianza segreta. In risposta alla sua richiesta di valutare la legittimità della sorveglianza segreta, il tribunale della contea di Viru ha constatato che le garanzie procedurali interne non erano state rispettate e ha dichiarato inammissibili le prove ottenute tramite intercettazioni telefoniche del ricorrente.

La sentenza in commento riconosce che è vero che alcuni estratti delle trascrizioni delle intercettazioni telefoniche sono stati successivamente utilizzati nello stesso procedimento penale per valutare la credibilità delle dichiarazioni rese dal ricorrente durante il processo e per escludere tali dichiarazioni in quanto inattendibili. Pertanto, tali trascrizioni hanno comunque svolto un ruolo nel procedimento penale, indebolendo la posizione difensiva del ricorrente.

La Corte non dubita dell'affermazione del Governo secondo cui i tribunali nazionali non hanno mai avuto accesso alle trascrizioni complete delle intercettazioni telefoniche. Essi sono venuti a conoscenza del contenuto di tali conversazioni solo nella misura in cui il pubblico ministero, durante un'udienza, ha richiamato l'attenzione su alcune frasi pronunciate dal ricorrente durante tali conversazioni telefoniche che, secondo il pubblico ministero, contraddicevano le dichiarazioni rese dal ricorrente durante il processo. La Corte ritiene che questo accesso limitato costituisca una “significativa garanzia procedurale”.

Al ricorrente è stata offerta la possibilità, durante il processo, di fornire spiegazioni in merito alle apparenti contraddizioni tra le sue dichiarazioni rese in giudizio e le intercettazioni telefoniche, e il ricorrente ha fatto uso di tale possibilità. La Corte rileva inoltre che il ricorrente non ha sollevato dubbi in merito all'autenticità, all'affidabilità o all'accuratezza delle relazioni relative alle sue intercettazioni telefoniche né dinanzi ai tribunali nazionali né nel procedimento dinanzi alla Corte.

La Corte osserva che il ricorrente ha potuto contestare, e ha effettivamente contestato, in tutti e tre i gradi di giudizio, l'utilizzo di tali relazioni nel contesto della valutazione della credibilità delle sue dichiarazioni. A tale proposito, sebbene i tribunali non abbiano concordato con le sue affermazioni, i tribunali di primo e secondo grado hanno esaminato le sue argomentazioni (in particolare quelle relative alla legittimità dell'uso delle relazioni di sorveglianza segreta nonostante fossero state dichiarate inammissibili come prove e al pregiudizio inconscio dei giudici nel venire a conoscenza del contenuto di tali relazioni) “in modo approfondito e non arbitrario”.

La Corte osserva che il ricorrente ha lamentato l'uso di estratti delle intercettazioni telefoniche illegali per escludere le sue dichiarazioni processuali e, inoltre, ha sollevato una denuncia specifica riguardo al fatto che la Corte d'appello di Tartu si sarebbe basata direttamente sulle intercettazioni telefoniche illegali per stabilire i fatti relativi all'accusa di falsificazione di documenti.

La Corte, dopo aver esaminato attentamente il ragionamento del tribunale di primo grado e della corte d'appello, non può concordare con il ricorrente in merito a tale affidamento diretto. In ogni caso, la Corte ritiene rilevante il fatto che, dopo l'esclusione dalle prove sia delle relazioni sulle intercettazioni che delle dichiarazioni rese dal ricorrente durante il processo, la condanna del ricorrente si sia basata su una serie di elementi di prova relativi a ciascuna delle accuse per le quali erano state utilizzate le relazioni. Di conseguenza, la Corte ritiene che l'utilizzo di tali relazioni non sia stato “determinante per l'esito del procedimento”.

In conclusione, tenuto conto delle garanzie procedurali di cui il ricorrente ha potuto avvalersi per contestare l'uso delle relazioni sulle intercettazioni e il loro contenuto, e osservando che tali relazioni non sono stati determinanti per l'esito del caso, la Corte ritiene che il ricorrente non sia stato privato di un processo equo.

La Corte EDU ha concluso, pertanto, all'unanimità nel senso che   non vi è stata violazione dell'art. 6 § 1 CEDU.

Osservazioni

La Corte EDU ha escluso la violazione delle regole dell'equo processo in un caso in cui gli esiti delle intercettazioni telefoniche erano già stato dichiarati inutilizzabili dal giudice estone, in quanto i provvedimenti giurisdizionali di autorizzazione alle captazioni erano privi di motivazione, ma alcuni estratti delle comunicazioni intercettate erano stati impiegati per le contestazioni all'imputato ai fini di valutare la sua credibilità.

Secondo la Corte EDU i tribunali nazionali hanno fornito motivazioni esaurienti sul motivo per cui l'uso di estratti di intercettazioni telefoniche era conforme al diritto nazionale, con motivazioni “né arbitrarie né manifestamente irragionevoli”. I giudici di Strasburgo hanno considerato che l'accesso limitato dei tribunali nazionali alle trascrizioni complete delle intercettazioni telefoniche ha rappresentato “una garanzia procedurale significativa”. Inoltre, secondo la Corte, il ricorrente ha potuto contestare l'uso e il contenuto delle intercettazioni telefoniche e le sue argomentazioni sono state esaminate “in modo approfondito e non arbitrario” dal giudice nazionale. Infine, secondo la sentenza, l'uso delle relazioni relative alle intercettazioni non sarebbe stato “determinante per l'esito del procedimento”.

 In conclusione, secondo la sentenza, il ricorrente non è stato privato di un processo equo e quindi non vi è stata violazione dell'art. 6 CEDU.

La pronuncia non costituisce un leading case ma è una decisione isolata che difficilmente sarà confermata dalla giurisprudenza successiva.

Infatti, molti sono i dubbi che la sentenza suscita.

Anzitutto, vi è da osservare che la sanzione processuale dell'inutilizzabilità comporta l'impossibilità di attribuire alcuna efficacia alla prova dichiarata inutilizzabile, a meno che non esista una deroga espressa. Ad esempio, nell'ordinamento italiano l'art. 350, comma 7, c.p.p. prevede l'inutilizzabilità nel dibattimento delle dichiarazioni spontanee “salvo quanto previsto dall'articolo 503, comma 3”, cioè ne consente l'impiego “per contestare in tutto o in parte il contenuto della deposizione” della parte privata. Ma, in assenza di una simile previsione normativa esplicita che eluda l'inutilizzabilità dichiarata dal giudice, tale sanzione opera appieno togliendo alla prova inutilizzabile qualsiasi efficacia probatoria. Ed è certo, e lo riconosce anche la sentenza annotata, che le contestazioni mosse all'indagato sulla base delle intercettazioni “hanno comunque svolto un ruolo nel procedimento penale, indebolendo la posizione difensiva del ricorrente”, comportando quindi un vulnus alla sua difesa.

D'altronde, la valutazione della Corte EDU, secondo cui l'impiego delle relazioni relative alle intercettazioni non sarebbe stato “determinante per l'esito del procedimento” appare inconferente, giacchè alla Corte EDU non si chiede di accertare l'innocenza o la colpevolezza dell'imputato, ma di verificare il rispetto dell'equo processo. E un processo in cui una prova, già dichiarata inutilizzabile, è invece impiegata contro l'imputato ed ha l'effetto, come riconosce la stessa Corte, di “indebolire la posizione difensiva del ricorrente”, non è certo un equo processo.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario