La specificità dei motivi nell'atto introduttivo del giudizio di appello

15 Ottobre 2025

Il requisito di forma-contenuto dell'atto di appello, relativo alla specificità dei motivi, è attualmente previsto, in via generale, per il giudizio di cognizione dall'art. 342, comma 1, c.p.c. e, per il rito c.d. del lavoro, dall'art. 434, comma 1, c.p.c.

Disciplina applicabile

Il requisito di forma-contenuto dell'atto di appello, relativo alla specificità dei motivi, è attualmente previsto, in via generale, per il giudizio di cognizione dall'art.342, comma 1, c.p.c. e, per il rito c.d. del lavoro, dall'art. 434, comma 1, c.p.c., così come riformulati dapprima dalla riforma c.d. Cartabia (d.lgs n. 149/2022) e, da ultimo, dal c.d. decreto correttivo (d.lgs n. 164/2024), con applicazione ai procedimenti di impugnazione introdotti successivamente al 28 febbraio 2023.

Il requisito è espressamente riferito a “ciascuno dei motivi” di appello ed il difetto è sanzionato con l'inammissibilità del motivo stesso (“a pena di inammissibilità”), In tal senso la disciplina è almeno formalmente innovativa rispetto alla formulazione anteriore – ancora applicabile alle impugnazioni esperite non oltre il 28 febbraio 2023 – laddove la specificità era prevista con riguardo alla complessiva “motivazione dell'appello”, parimenti a pena di inammissibilità (formulazione risultante dall'art. 54, d.l. n. 83/2012 conv. in l. n. 134/2012, con applicazione ai procedimenti di impugnazioni successivi all'11 settembre 2012).

Non si è, tuttavia, mai dubitato che la sanzione di inammissibilità possa affliggere l'intero gravame solo nel caso tutti – e non solo taluno - dei motivi siano generici, potendo rilevare  l'eventuale inammissibilità parziale della “motivazione” solo ai fini della delimitazione dell'effetto devolutivo del giudizio in ragione della inefficacia di uno od alcuno dei motivi di gravame.

Attualmente ogni motivo risponde al canone della specificità se, con riferimento ad uno “specifico capo” del provvedimento impugnato, indichi : 1) le censure proposte alla ricostruzione dei fatti compiuta dal giudice di primo grado; 2) le violazioni di legge denunciate e la loro rilevanza ai fini della decisione impugnata.

Il riferimento necessario al “capo” della decisione impugnata è più circoscritto  rispetto alla disciplina anteriore, in vigore dall'11 settembre 2012, che esigeva l'indicazione “delle parti del provvedimento” appellato ed aveva, quindi, implicato la frequente espressa riproduzione, nell'ambito delle censure formulate nel gravame, della criticata motivazione adottata dal giudice di primo grado. Ora è senz'altro sufficiente che ciascun motivo di appello sia formalmente riferito ad uno o più determinati capi della decisione, così come di regola rinvenibili nel dispositivo, laddove sono sintetizzate le risposte alle domande formulate dalle parti.

Il confronto con la motivazione della decisione impugnata è, tuttavia, ancora un contenuto necessario dell'atto di appello e deve articolarsi sostanzialmente  in censure rivolte “alla ricostruzione dei fatti” e/o all'applicazione della legge così come operate in primo grado.

E' da evidenziare che il c.d. decreto correttivo (d.lgs. n. 164/2024) ha da ultimo riformulato la norma circoscrivendo espressamene la sanzione dell'inammissibilità al solo difetto del requisito della specificità dei motivi, così come declinato nei profili in fatto e/o in diritto, mentre la stessa sanzione non presidia direttamente gli ulteriori requisiti dell'atto relativi alla chiarezza e sinteticità, che sono comunque ribaditi negli artt. 342 e 434 c.p.c. in ottemperanza al modello generale di atto processuale previsto dall'art.121 c.p.c..

Tuttavia, è da ritenere che un motivo di gravame confuso nel contenuto o non orientato a rappresentare i termini essenziali della doglianza ben difficilmente potrà essere considerato ottemperante al parametro della specificità così come espressamente articolato a pena di inammissibilità, risolvendosi così il difetto di chiarezza e/o sinteticità in indici sintomatici di un motivo non specifico nel contenuto.

Definizione

Nonostante l'impegno profuso, come si è visto, dal legislatore, a partire dal 2012, nel fornire una griglia di prescrizioni da osservare nella formulazione di un motivo specifico di appello, la giurisprudenza di legittimità si è chiaramente orientata nel segno della continuità con l'interpretazione invalsa nella vigenza della disciplina pregressa.

In particolare, con riguardo agli artt. 342 c.p.c. e 434 c.p.c., così come riformulati dal d.l. n. 83/2012 conv. in l. n. 134/2012, le Sezioni Unite della Cassazione hanno da tempo affermato che “l'impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l'utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado”, in tal senso ribadendo la permanente natura di “revisio prioris instantiae” del giudizio di appello e la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata (Cass., sez. un., 16 novembre 2017, n. 27199; conf. Cass., sez. VI-III, ord., 30 maggio 2018, n. 13535; Cass., sez. un., ord., 13 dicembre 2022 n. 36481).

E' stato così chiarito che la specificità è requisito che attiene essenzialmente al contenuto piuttosto che alla formulazione del motivo – non essendo richieste “formule sacramentali” – e che il confronto con la sentenza di primo grado è bensì indispensabile ma non deve svolgersi fino alla elaborazione di una ipotesi alternativa di decisione (“un progetto alternativo”), essendo sufficiente che siano argomentate le censure rivolte alle ragioni poste a fondamento della sentenza impugnata.

Si è, quindi, in tal senso ritenuto che il principio della necessaria specificità dei motivi prescinda da qualsiasi particolare rigore di forme, essendo sufficiente che al giudice siano esposte, anche sommariamente, le ragioni di fatto e di diritto su cui si fonda l'impugnazione, ovvero che, in relazione al contenuto della sentenza appellata, siano indicati, oltre ai punti e ai capi formulati, anche, seppure in forma succinta, le ragioni per cui è chiesta la riforma della pronuncia di primo grado, con i rilievi posti a base dell'impugnazione (Cass. sez. II, ord., 25 gennaio 2023, n. 2320).

Formulazione

È dirimente, quindi, l'accertamento della effettiva funzione assolta dall'esposto motivo di gravame piuttosto che la sua formulazione. Si ritiene così specifico il motivo di gravame che metta comunque in condizione il giudice, a prescindere dall' accertamento delle effettive vicende processuali, di cogliere con valutazione ex ante natura, portata e senso della critica, senza che sia necessario per l'appellante l'allegazione e la riproduzione analitica delle emergenze di causa rilevanti, le quali risultino almeno individuate univocamente dalla censura, diversamente da quel che è, invece, previsto per l'impugnazione a critica vincolata (Cass., sez. II, ord., 19 marzo 2019, n. 7675).

Si è, tuttavia, talvolta considerato necessario trascrivere o riportare con precisione la parte motiva della sentenza di primo grado sottoposta alla censura dell'appellante, quale imprescindibile termine di riferimento per la verifica in concreto del paradigma delineato dagli artt. 342 e 343 c.p.c. e, in particolare, per apprezzare la specificità delle censure articolate (Cass., sez lav., ord., 4 febbraio 2019, n. 3194): tale orientamento è invalso però nella vigenza dell'art. 342 c.p.c. risultante dall'art. 54, d.l. n. 83/2012 conv. in l. n. 134/2012 ed è, quindi, da ritenersi superato dalla nuova formulazione introdotta, come si è visto, dalla riforma c.d. Cartabia, a valere per le impugnazioni successive al 28 febbraio 2023, per le quali è sufficiente il riferimento al “capo” e non più alla motivazione della sentenza appellata.

Ricostruzione dei fatti

L'impegno motivazionale dell'appellante è necessariamente condizionato dalle rationes decidendi poste a fondamento della sentenza impugnata, oltre che dalla natura del vizio denunciato. Si afferma così che, ove sia integralmente censurata la ricostruzione dei fatti operata in primo grado, il motivo del gravame soddisfa il requisito della specificità se sollecita una valutazione ex novo delle prove già raccolte anche mediante la riproposizione delle argomentazioni svolte nel pregresso grado, non essendo necessaria l'allegazione di profili fattuali e giuridici aggiuntivi, purché ciò determini una critica adeguata e specifica della decisione impugnata e consenta al giudice del gravame di percepire con certezza il contenuto delle censure, in riferimento alle statuizioni adottate dal primo giudice (Cass., sez. VI-III, ord., 17 dicembre 2021 n. 40560; Cass. sez. II ord. 28 ottobre 2020 n. 23781; Cass., sez. VI-III,  ord., 8 febbraio 2018, n. 3115); è sufficiente, quindi, che siano enunciati i punti sui quali si chiede al giudice di secondo grado il riesame delle risultanze istruttorie per la formulazione di un suo autonomo giudizio, non essendo necessario che l'impugnazione medesima contenga una puntuale analisi critica delle valutazioni e delle conclusioni del giudice che ha emesso la sentenza impugnata (Cass., sez. III, ord., 4 novembre 2020, n. 24464).

La specificità dei motivi di appello deve, infatti, essere commisurata all'ampiezza ed alla portata delle argomentazioni della sentenza impugnata, sicché qualora il primo giudice, per rigettare la domanda, abbia escluso la valenza probatoria di determinati documenti è sufficiente, ai fini dell'ammissibilità dell'impugnazione, ribadire l'idoneità di tali documenti ad asseverare i fatti costitutivi del diritto azionato (Cass., sez. VI-III, 26 luglio 2021, n. 21401).

Motivi di rito

In linea di principio viene considerata inammissibile, per difetto di interesse, il motivo con cui si censuri una violazione processuale non correttamente valutata nel grado pregresso, allorché il vizio non rientri tra i casi tassativi di rimessione della causa al primo giudice e non si sia tradotta in un effettivo pregiudizio per il diritto di difesa; in tal caso, infatti, convertendosi l'eventuale nullità della sentenza in motivi di impugnazione, l'impugnante deve, a pena d'inammissibilità, indicare specificamente quale sia stato il pregiudizio arrecato alle proprie attività difensive dall'invocato vizio processuale (Cass., sez. II, sent., 30 giugno 2022, n. 20834)

In conformità a tale direttiva si ritiene, pertanto, che qualora venga dedotto il vizio della sentenza di primo grado per avere il tribunale deciso la causa nel merito prima ancora che le parti avessero definito il "thema decidendum" e il "thema probandum", l'appellante che faccia valere tale nullità non può limitarsi a dedurre detta violazione, ma deve specificare quale sarebbe stato il "thema decidendum" sul quale il giudice di primo grado si sarebbe dovuto pronunciare, ove fosse stata consentita la richiesta appendice di cui all'art. 183 c.p.c., e quali prove sarebbero state dedotte, con l'evidenziazione del concreto pregiudizio derivato dalla loro mancata ammissione (Cass., sez. II, ord., 2 settembre 2019 n. 21953; Cass., sez. II, ord., 4 ottobre 2018, n. 24402).

Tuttavia, la mancata sospensione necessaria del giudizio ai sensi dell'art.295 c.p.c. può essere dedotta quale autonomo motivo di gravame, senza alcuna ulteriore doglianza in ordine alle questioni di merito, purché sia  sempre specificato che l'arresto del procedimento è funzionale all'attesa di una pronuncia che influirà sull'esito della lite (Cass., sez. I ord., 13 gennaio 2023, n. 891).

Istruttoria

La riproposizione delle istanze istruttorie, non accolte dal giudice di primo grado, deve parimenti ottemperare al requisito di specificità dei motivi di gravame: non è, quindi, ammissibile operarla mediante il mero rinvio agli atti di primo grado senza la formulazione di una doglianza incentrata sulle relative questioni istruttorie (Cass., sez. III, ord., 9 giugno 2023 n. 16420; Cass., sez. II, sent., 23 marzo 2016, n. 5812). Tuttavia, qualora non sia specifica la motivazione adottata al riguardo dal giudice di primo grado, non è esigibile dall'appellante, che intenda dolersi del rigetto delle sue istanze istruttorie, altro onere se non quello di riproporre l'istanza o la domanda immotivatamente rigettata (Cass., sez. III, ord., 24 aprile 2019, n. 11197).

L'onere di specificazione di ogni motivo di censura comporta, quanto alle prove c.d. precostituite, che la mera produzione di un documento in appello non implichi automaticamente il dovere del giudice di esaminarlo, occorrendo che alla produzione si accompagni la necessaria attività di allegazione diretta ad evidenziare il contenuto del documento ed il suo significato, ai fini dell'integrazione della ingiustizia della sentenza impugnata (Cass., sez. I, sent., 29 gennaio 2019, n. 2461).

In riferimento alla c.t.u. svolta in primo grado si ritiene che la mancata prospettazione di rilievi critici nell'ambito del subprocedimento ex art. 195 c.p.c. non precluda alla parte di arricchire e meglio specificare le relative contestazioni difensive nel successivo corso del giudizio e, quindi, anche in sede di gravame, laddove tale accertamento sia stato posto a base della decisione di primo grado (Cass., sez lav., ord., 8 settembre 2020, n. 18657).

Insanabilità del vizio

L'inosservanza dell'onere di specificazione dei motivi di appello, imposto dall'art. 342 c.p.c., determina l'inammissibilità dell'impugnazione e costituisce un limite alla possibilità stessa per il giudice di appello di rilevare d'ufficio questioni attinenti al merito della regiudicanda, che non può essere rimossa da una specificazione dei motivi che avvenga, in corso di causa, con la comparsa conclusionale, neanche se con essa si prospetti una questione che sarebbe rilevabile d'ufficio dal giudice (come la nullità della sentenza impugnata: Cass., sez. II, sent., 5 aprile 2022, n. 10930).

Effetto devolutivo

I motivi specifici segnano i limiti entro i quali il giudizio di primo grado è devoluto al giudice del gravame. Tali limiti al rinnovo del giudizio non sono, tuttavia, intesi dalla giurisprudenza in senso formalistico, vale a dire con esclusivo riguardo alla formulazione esplicita delle censure: si afferma costantemente, infatti, che non viola il principio del "tantum devolutum quantum appellatum" il giudice di appello che fondi la decisione su ragioni che, pur non specificamente fatte valere dall'appellante, appaiano, nell'ambito della censura proposta, in rapporto di diretta connessione con quelle espressamente dedotte nei motivi stessi, costituendone necessario antecedente logico e giuridico, in quanto nel giudizio d'appello il giudice può riesaminare l'intera vicenda nel complesso dei suoi aspetti, purché tale indagine non travalichi i margini della richiesta, coinvolgendo punti decisivi della statuizione impugnata suscettibili di acquisire forza di giudicato interno in assenza di contestazione, e decidere, con pronunzia che ha natura ed effetto sostitutivo di quella gravata, anche sulla base di ragioni diverse da quelle svolte nei motivi d'impugnazione (Cass., sez. II, ord., 22 novembre 2024 n. 30129; Cass., sez. III, ord., 23 maggio 2019 n. 13964; Cass., sez. III, ord., 13 aprile 2018, n. 9202).

Difetto di conclusioni nel motivo

Nonostante l'espresso richiamo dell'art.342 c.p.c. all'art.163 c.p.c. quanto alla citazione in appello, si è ritenuto che la previsione del requisito della specificità dei motivi di gravame assorba i contenuti di cui ai numeri 3) e 4) del terzo comma del citato art. 163 c.p.c., con la conseguenza che la mancata riproduzione nell'atto di appello delle conclusioni relative ad uno specifico motivo di gravame non può per ciò solo equivalere a difetto di impugnazione, ovvero essere causa di nullità della stessa, se dal contesto complessivo dell'atto risulti, sia pure in termini non formali, una univoca manifestazione di volontà di proporre impugnazione per quello specifico motivo (Cass., sez. III, ord., 23 dicembre 2021, n. 41438).

Errore materiale

Si ritiene che l'istanza di correzione dell'errore materiale di una decisione, non essendo rivolta ad una vera e propria riforma della decisione, non debba necessariamente formare oggetto di uno specifico motivo di impugnazione, neppure in via incidentale, ma possa essere proposta in qualsiasi forma ed anche implicitamente, alla luce del complesso delle deduzioni difensive svolte nel gravame, con la conseguenza che l'eventuale declaratoria di inammissibilità dell'appello, nel quale sia stata avanzata l'istanza di correzione, non preclude la decisione in ordine all'stanza stessa (Cass., sez. VI-II, ord., 12 gennaio 2022, n. 683).

Rito c.d. Fornero

Nel rito c.d. Fornero, il reclamo previsto dall'art. 1, comma 57, della l. n. 92/2012 è assimilabile sostanzialmente un appello, con la conseguenza che, per tutti i profili non regolati da disposizioni specifiche, si applicano le norme sull'appello del rito del lavoro, che realizza il ragionevole equilibrio tra celerità e affidabilità; ne deriva, quindi, che la disciplina dell'atto introduttivo è quella dell'art. 434 c.p.c ed il giudice del gravame può conoscere della controversia dibattuta in primo grado solo attraverso l'esame delle specifiche censure mosse dal reclamante, la cui formulazione consuma il diritto di impugnazione (Cass., sez. lav., ord., 20 luglio 2020, n. 15412).

Rilevabilità d'ufficio

Nel giudizio di cassazione la questione processuale concernente l'ammissibilità dell'appello non valutata dal giudice di secondo grado non può essere rilevata d'ufficio potendo essere esaminata soltanto a fronte di uno specifico motivo di ricorso che censuri l'error in procedendo (Cass., sez. II, sent., 6 febbraio 2024, n. 3352; Cass., sez. III, ord., 4 luglio 2023, n. 18776).

Ricorso per cassazione

Qualora si censuri, quale error in procedendo, con ricorso per cassazione la statuizione, positiva o negativa, sulla ammissibilità del motivo di appello adottata dal giudice di merito, si esige che il ricorrente debba precisare le ragioni per cui ritiene erronea tale statuizione e sufficientemente specifico – o, al contrario, nullo per genericità - il motivo di gravame sottoposto al giudice d'appello, riportandone il contenuto nella misura necessaria ad evidenziarne la pretesa specificità o nullità, in ottemperanza al principio di autosufficienza del ricorso, senza limitarsi ad mero rinvio al pregresso atto di appello (Cass., sez. I, ord., 6 settembre 2021, n. 24048; Cass., sez. I, 23 dicembre 2020, n. 29495; Cass., sez. VI-I, ord., 23 luglio 2020, n. 15820; Cass., sez. V, ord., 22 settembre 2017, n. 22880).

Il giudizio di legittimità ha come oggetto, tuttavia, in tal caso non la sola argomentazione della decisione impugnata, bensì direttamente l'invalidità denunciata e la decisione che ne dipenda, anche quando se ne censuri la non congruità della motivazione sulla specificità del motivo di appello; di talché spetta al giudice di legittimità accertare la sussistenza del denunciato vizio attraverso l'esame diretto degli atti, indipendentemente dall'esistenza o dalla sufficienza e logicità dell'eventuale motivazione del giudice di merito sul punto (Cass., sez. V, sent., 1° dicembre 2020, n. 27368; Cass., sez. VI-L, ord., 19 agosto 2020, n. 17268).

Ordinanza ex art. 348-ter c.p.c.

Secondo la disciplina anteriore alla c.d. riforma Cartabia, ancora applicabile ai procedimenti di impugnazione pendenti alla data del 28 febbraio 2023, l'appello è dichiarato con ordinanza inammissibile “se non ha una ragionevole probabilità” di essere accolto ed il ricorso per cassazione è, in tal caso, proponibile direttamente avverso la sentenza di primo grado (artt. 348-bis, 348-ter c.p.c.).

Qualora, tuttavia, tale ordinanza venga impropriamente adottata dal giudice di appello - in luogo della sentenza processuale - per difetto della specificità dei motivi di gravame ex art. 342 c.p.c. si ritiene che il ricorso per cassazione  possa essere rivolto alla stessa ordinanza, in quanto emessa al di fuori dei presupposti normativi (Cass., sez. III, ord., 8 aprile 2024, n. 9343).

Ricorso al Consiglio Nazionale Forense

Il ricorso proposto innanzi al Consiglio Nazionale Forense avverso la decisione emessa dal Consiglio distrettuale di disciplina deve contenere, a norma dell'art. 59 del r.d. n. 37/1934, l'enunciazione specifica dei motivi su cui si fonda, ma non soggiace al disposto dell'art. 342 c.p.c. sull'atto di appello; pertanto, mentre ai fini del rispetto dell'art. 342 c.p.c. è necessario che l'impugnazione contenga, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, affinché sia rispettato il precetto di cui al cit. art. 59 è, invece, sufficiente che il ricorso al Consiglio Nazionale Forense precisi il contenuto e la portata delle censure mosse al provvedimento impugnato, in modo che resti individuato il "thema decidendum" sottoposto all'esame del giudice disciplinare (Cass., sez. un., 27 dicembre 2019, n. 34476).

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