Misure cautelari sul patrimonio del socio-garante se destinato al risanamento dell’impresa

La Redazione
16 Ottobre 2025

Una recente pronuncia del Tribunale di Parma statuisce sul tema della estensione, nell’ambito della composizione negoziata, delle misure protettive/cautelari al patrimonio del socio-garante.

Nell'ambito di un percorso di composizione negoziata della crisi, la società ricorrente domandava al Tribunale che le misure protettive, richieste nei confronti di tutti i creditori, venissero estese anche nei confronti del patrimonio del socio amministratore, qualificato come garante, disponendo “la sospensione di tutte le procedure esecutive pendenti nei suoi confronti”. Secondo quanto esposto dalla ricorrente, il pericolo di depauperamento sarebbe derivato dalle iniziative intraprese da alcuni creditori rispetto ai quali il socio-garante era coobbligato in solido con la società.

Il Tribunale di Parma comincia con il ricordare che «anche a fronte dell'ampia definizione utilizzata per individuare le misure protettive dall'art 2 comma I lett p) CCII non può ritenersi consentita l'indiscriminata estensione degli effetti delle stesse anche al patrimonio del socio-garante; lo strumento previsto dall'art 18 CCII deve infatti ritenersi finalizzato alla protezione del patrimonio dell'impresa e non può essere esteso, in particolare con lo stesso raggio d'azione, al patrimonio di terzi pur disponibili a contribuire al superamento della situazione di squilibrio economico-finanziario; l'estensione del perimetro delle misure protettive a beni estranei al patrimonio dell'imprenditore deve ritenersi limitata ai beni che risultino funzionali e concretamente destinati all'esercizio dell'attività d'impresa, in linea con l'obiettivo di preservarne la continuità e la redditività sul mercato (cfr. Tribunale di Brindisi 3 marzo 2025; Tribunale di Napoli Nord, 24 gennaio 2024); peraltro, in linea generale, si ritiene che anche considerando il disposto dell'art 19 comma VI CCII, forme di tutela preventiva “erga omnes” rivolte al patrimonio di terzi , in difetto di adeguati elementi di valutazione riguardo alla consistenza di detto patrimonio, alla natura delle singole posizioni creditorie suscettibili di tradursi in azioni esecutive ed alle garanzie offerte circa l'adempimento degli impegni assunti in termini di destinazione alla ristrutturazione aziendale, appaiono astrattamente suscettibili di tradursi in un abuso dello strumento previsto dall'art 18 CCII».

Di contro – prosegue il Tribunale - la protezione del patrimonio del socio -garante, ove destinato in misura non irrisoria al risanamento dell'impresa, può essere realizzata, in esito ad una valutazione del caso specifico, attraverso l'inibitoria in via cautelare delle singole procedure esecutive che concretamente appaiano suscettibili di determinare la dispersione delle risorse destinate al risanamento».

Anche nell'ambito della CNC, ricorda il Tribunale, le misure cautelari si fondano sui diversi presupposti propri ad ogni forma di tutela cautelare (fumus boni iuris e periculum in mora) ed è ammessa la possibilità di adottare provvedimenti cautelari a contenuto anche atipico purché necessariamente caratterizzati da una rigida strumentalità rispetto alla procedura in cui si innestano (“palinsesto aperto”).

Ciò posto, richiamata la recente pronuncia Trib. Milano, 8 febbraio 2025, est De Simone, il Tribunale di Parma conclude affermando che «il patrimonio del socio, destinato (finanza esterna) in misura non irrisoria al risanamento dell'impresa in CNC, può essere preservato dall'azione esecutiva dei creditori, in via cautelare, ove sussista una comprovata e concretamente verificabile funzionalità alla ristrutturazione dell'impresa ed il pericolo, non altrimenti scongiurabile, che il piano di risanamento venga compromesso in esito alle suddette azioni esecutive»

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