Modifica della qualificazione giuridica da parte del G.u.p. in assenza di contraddittorio

17 Ottobre 2025

La Cassazione opta per l'abnormità.

Massima

In tema di udienza preliminare, a seguito dell'introduzione dell'art. 423, comma 1-bis, c.p.p. ad opera dell'art. 23, comma 1, lett. i), n. 2, d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, è affetto da abnormità strutturale il decreto che dispone il giudizio in cui, senza sollecitazione del contraddittorio, sia stata modificata la qualificazione giuridica del fatto operata dal pubblico ministero nella propria richiesta, mediante esclusione di una circostanza aggravante.

Il caso

Il G.u.p. escludeva l'aggravante di cui all'art. 416-bis.1 c.p., contestata nella richiesta di rinvio a giudizio, senza previamente attivare l'interlocuzione con il Pubblico Ministero.

Il P.M. proponeva ricorso in Cassazione lamentando la violazione dell'art. 423, comma 1-bis c.p.p., con la conseguenza che il giudice avrebbe dovuto invitare il Pubblico Ministero a prendere posizione sulla corretta qualificazione giuridica e a modificare l'imputazione, senza limitarsi ad escludere l'aggravante all'atto della pronuncia del decreto che dispone il giudizio.

La Corte di cassazione ha accolto il ricorso, sul rilievo che in seguito all'introduzione dell'art. 423, comma 1-bis, c.p.p., deve ritenersi abnorme, sotto il profilo strutturale, il decreto che dispone il giudizio che, senza la previa sollecitazione del contraddittorio, modifichi la qualificazione giuridica del fatto operata dal pubblico ministero nella propria richiesta, escludendo una circostanza aggravante.

La questione

La questione in esame è la seguente: il G.u.p. per escludere un aggravante contestata deve previamente sollecitare il contraddittorio?

Le soluzioni giuridiche

L'abnormità costituisce una forma di patologia dell'atto giudiziario priva di riconoscimento testuale in un'esplicita disposizione normativa, ma frutto di elaborazione da parte della dottrina e della giurisprudenza, tramite cui si è inteso porre rimedio, attraverso l'intervento del giudice di legittimità, agli effetti pregiudizievoli derivanti da provvedimenti non previsti espressamente come impugnabili, ma affetti da anomalie genetiche o funzionali tali da renderli difformi ed eccentrici rispetto al sistema processuale e con esso radicalmente incompatibili.

Secondo il costante insegnamento della Corte di cassazione la categoria dell'abnormità ha carattere eccezionale e derogatorio rispetto al principio di tassatività dei mezzi d'impugnazione, sancito dall'art. 568 c.p.p., ed al numero chiuso delle nullità deducibili secondo la previsione dell'art. 177 c.p.p.

È, dunque, riferibile alle sole situazioni in cui l'ordinamento non appresti altri rimedi idonei per rimuovere il provvedimento giudiziale, che sia frutto di sviamento di potere e fonte di un pregiudizio altrimenti insanabile per le situazioni soggettive delle parti (Cass. pen., sez. un., n. 20569/2018).

La previsione della restituzione degli atti conseguente alla mancata modifica della definizione giuridica perché non corrispondente agli atti è una novità per la fase dell'udienza preliminare (e della nuova udienza predibattimentale, per cui l'art. 554-bis comma 6 c.p.p. contiene analoga previsione), giacché, in precedenza (fino all'intervento delle sez. un., n. 5307/2008) era consentito al giudice di modificare l'imputazione (nell'assunzione del provvedimento di cui all'art. 425 o 429 c.p.p.) per "rimediare" ad un possibile errore del pubblico ministero nella individuazione della fattispecie criminosa integrata.

La ratio dell'art. 423, comma 1-bis, c.p.p. (e dell'art. 554-bis, comma 6, c.p.p.), secondo la relazione illustrativa al d.lgs. n. 150/2022, è da ravvisarsi nella volontà del legislatore di evitare il «rischio tanto di istruttorie inutili quanto di modifiche (ex art. 516 ss. c.p.p.) o retrocessioni (art. 521 c.p.p.) in corso di dibattimento o, addirittura, in esito ad esso. Il tutto senza contare che proprio il tema dei rapporti tra giudice e pubblico ministero rispetto all'imputazione intesa in senso lato ha provocato numerose complicazioni, con soluzioni giurisprudenziali controverse e non soddisfacenti, da ritenersi superate dalla nuova norma».

Nella relazione illustrativa alla legge si è anche precisato che, al fine di consentire una imputazione espressa in forma "chiara e precisa", «la locuzione della delega intendeva coprire sia lo spazio relativo a carenze attinenti alla descrizione del fatto, comprese le circostanze aggravanti e quelle che possono comportare l'applicazione di misure di sicurezza, sia la qualificazione giuridica, come reso esplicito dai riferimento a possibili incongruenze nell'indicazione degli "articoli di legge". Per questa ragione la norma articolata declina in termini più tecnicamente corretto il duplice spazio di intervento, facendo espressamente riferimento, accanto al controllo sui fatti, anche il controllo sulla "definizione giuridica". Ambedue gli interventi rispondono all'esigenza di celere definizione dei procedimenti, in quanto la completezza dell'imputazione e la sua correttezza (in punto di fatto e di diritto), per di più realizzata (salvo contrasti) senza retrocessione degli atti e nel contraddittorio con le parti, per un verso, consente il più rapido superamento dei casi problematici, per altro verso, facilita l'accesso ai riti alternativi, soprattutto se preclusi proprio dalla qualificazione giuridica o, in ogni caso, scoraggiati da fatti mal descritti o qualificazioni errate. La soluzione adottata, oltre a impedire il verificarsi dell'evento anomalo per cui è solo con il decreto di rinvio a giudizio che emerge la qualificazione ritenuta dal giudice, consente altresì di svolgere il dibattimento su un oggetto (in fatto e in diritto) corretto».

Si è, quindi, previsto che il giudice possa invitare il pubblico ministero a modificare la "definizione giuridica" contenuta nell'imputazione. Ove la pubblica accusa non accolga l'invito, il giudice, previo contradditorio tra le parti, disporrà anche d'ufficio la restituzione degli atti al pubblico ministero, con una soluzione che, di fatto, raccoglie il "suggerimento" delle Sezioni unite "Battistella", che, valorizzando le indicazioni al riguardo fornite dalla Corte costituzionale (C. cost., n. 88/1994; C. cost. n. 384/2006), avevano delineato il percorso virtuoso che il G.u.p. deve seguire nel caso di genericità e indeterminatezza dell'imputazione, invitando il pubblico ministero a procedere alle integrazioni necessarie, solo in caso di persistente omissione, potendo disporre la restituzione degli atti ai fini dell'emissione di una nuova richiesta di rinvio a giudizio. Le Sezioni Unite avevano, infatti, evidenziato che il principio del contradditorio e la necessità che l'accusa fosse "chiara e precisa" imponessero al giudice dell'udienza preliminare di richiedere, in caso di descrizione lacunosa del fatto costituente reato, una integrazione al pubblico ministero pur in difetto di espressa previsione normativa.

Pertanto, le Sezioni Unite hanno affermato che è affetto da abnormità il provvedimento con cui il giudice dell'udienza preliminare dispone la restituzione degli atti al pubblico ministero per genericità o indeterminatezza dell'imputazione, senza avergli previamente richiesto di precisarla, poiché, alla luce del principio costituzionale della ragionevole durata del processo, è configurabile il vizio dell'abnormità in ogni fattispecie di indebita regressione del procedimento in grado di alterarne l'ordinata sequenza logico-cronologica (Cass. pen., sez. un., n. 5307/2008).

La decisione del supremo Collegio muove dalla lettura delle sentenze della Corte costituzionale n. 88 del 1994 e n. 131 del 1995 (richiamate incidentalmente dalle sentt. n. 265 del 1994 e n. 384 del 2006) le quali, indicano che, al fine di assicurare la costante corrispondenza del fatto storico all'imputazione e il pieno rispetto del diritto di difesa, il controllo del giudice dell'udienza preliminare sulla validità dell'imputazione deve esplicarsi secondo una sequenza razionale che, in prima battuta, privilegia l'emendatio libelli delle lacune dell'imputazione attraverso gli strumenti di adeguamento previsti dall'art. 423 comma 1, c.p.p.

Per evitare la regressione del procedimento a seguito della trasmissione degli atti al pubblico ministero, pertanto, il giudice dell'udienza preliminare ha il potere-dovere di sollecitare l'organo dell'accusa alla modifica del capo di imputazione sulla base di rilevate imprecisioni, imperfezioni o irregolarità.

In caso di accoglimento da parte del pubblico ministero di tale sollecitazione, nulla quaestio. Invece, in caso di richiesta non accolta il giudice dovrà ordinare la restituzione degli atti. Si badi che siffatta ordinanza non necessita di una previa dichiarazione di nullità (non prevista dal legislatore) della richiesta di rinvio a giudizio e determina la retrocessione del procedimento, sulla falsariga di quanto disposto dall'art. 521 comma 2, c.p.p.

Nella sentenza Battistella le Sezioni Unite precisano che in tale percorso la soluzione restitutoria comportante la regressione del procedimento costituisce una extrema ratio in linea con le esigenze di economia e di ragionevole durata del processo, riconducibili all'art. 111 Cost. che pretende la razionalizzazione dei tempi e dell'organizzazione del processo e, con essa, l'effettività della giurisdizione penale.

Dopo i menzionati interventi della Corte costituzionale, due sono stati sostanzialmente gli schemi procedurali, alternativi o talora consecutivi: uno, "interno" alla fase, che si risolve nell'invito o sollecitazione "interlocutoria" del giudice al titolare dell'azione penale ad esercitare nell'udienza preliminare i poteri attribuitigli dall'art. 423 c.p.p. per precisare gli estremi del fatto contestato; l'altro "esterno" alla fase, che consiste nella trasmissione degli atti al pubblico ministero all'esito dell'udienza preliminare perché eserciti nuovamente l'azione penale, in applicazione analogica dell'art. 521 comma 2, c.p.p., norma dettata per l'accertamento della diversità del fatto all'esito del dibattimento.

Le Sezioni Unite, in breve, ritengono di condividere la tesi dell'abnormità del provvedimento, con cui il giudice dell'udienza preliminare dichiari la nullità della richiesta di rinvio a giudizio per la genericità o l'indeterminatezza dell'imputazione e/o disponga la restituzione degli atti al pubblico ministero perché eserciti nuovamente l'azione penale, «senza aver prima richiesto all'organo dell'accusa di precisare l'imputazione».

Osservazioni

L'estensione del "potere-dovere" di lumeggiare e indicare imperfezioni del capo di imputazione al G.u.p. è oggi imposta dal legislatore.

La sollecitazione rivolta al pubblico ministero, da parte dell'organo giudicante dell'udienza preliminare, costituisce espressione della linearità, celerità ed economia processuale che impone di espungere dal processo in modo tempestivo ogni elemento nocivo che può inficiare la validità degli atti.

Si può, pertanto, ritenere che l'inquadramento sistematico di rango costituzionale consente al giudice dell'udienza preliminare la previa sollecitazione dell'organo dell'accusa a ridefinire l'imputazione.

Tale soluzione è conseguenza della riforma Cartabia (d.lgs. n. 150 del 2022), ove l'esigenza di celere definizione dei procedimenti è certamente funzionale con l'attribuzione al giudice del compito di verificare la correttezza dell'imputazione.

La richiesta di una diversa attenzione a profili di fatto o di diritto confluiti nell'accusa, rivolta da parte del giudice al pubblico ministero al fine di suggerirgli una modifica dell'imputazione, appartiene quindi non solo alla fisiologia dell'udienza preliminare ma è specificamente rivolta ad evitare una patologia che si trascinerebbe lungo tutto l'iter processuale.

Pertanto in caso di genericità o indeterminatezza del fatto descritto nel capo di imputazione, al G.u.p. è consentita la sollecitazione, rivolta al pubblico ministero, a integrare o precisare la contestazione, al fine di adeguare l'accusa agli elementi di fatto e di diritto evidenziati dal giudice.

La mancata sollecitazione da parte del giudice dell'udienza preliminare all'organo dell'accusa, quindi, determina una regressione processuale o, comunque, una stasi del procedimento che dà luogo ad un allungamento ulteriore dei tempi del processo, venendo meno al dovere di celerità ed economia processuale e di cui lo stesso imputato si può giovare.

In altri termini, la mancata sollecitazione a rettificare la contestazione, rivolta dal G.u.p. al pubblico ministero, non consente la correttezza dell'accusa e la conservazione degli atti, dando luogo ad una regressione processuale che è abnorme perché foriera della indebita regressione del procedimento, tale da sovvertirne l'ordinata sequenza logico-cronologica.

Nel caso esaminato, il G.u.p. ha esercitato i suoi poteri decisori escludendo una circostanza aggravante ed in conseguenza, in maniera del tutto anomala e al di fuori delle regole processuali, dando luogo ad una regressione del procedimento, determinando una stasi dello stesso.

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