La prova nei procedimenti con allegazioni di violenza di genere
17 Ottobre 2025
Il quadro normativo Il d.lgs. 149/2022 (c.d. riforma Cartabia) ha per la prima volta dettato una disciplina specifica volta a regolamentare i procedimenti con allegazioni di violenza di genere. Prima dell'entrata in vigore di tale norma le sole norme che prendevano in considerazione la violenza di genere erano quelle recanti la disciplina degli ordini di protezione contro gli abusi familiari, contenute nel codice civile, agli artt. 342-bis ss. c.c., per quanto riguardava gli aspetti sostanziali, e nel codice di procedura civile, agli art. 736-bis ss. c.p.c. per quanto riguardava gli aspetti processuali. Le spinte provenienti dalla legislazione sovra nazionale, in particolare la Convenzione di Istanbul del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (firmata a Istanbul l'11 maggio 2011, ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 77/2013), hanno reso indifferibile un intervento legislativo mirato e volto a contrastare un fenomeno in grande espansione, rispetto al quale gli strumenti processuali esistenti si sono dimostrati non sempre idonei allo scopo. I procedimenti con allegazioni di violenza di genere sono normati agli artt. 473-bis.40 ss. c.p.c., che dettano un sub procedimento speciale rispetto a quello tratteggiato dalle norme sul rito unico in materia di famiglia di cui agli artt. 473-bis e ss. c.p.c. Gli artt. 473-bis.40 ss. c.p.c., peraltro, introducono solo alcuni elementi di specialità rispetto al rito famiglia c.d. ordinario sicché per tutti gli aspetti non specificamente normati dovrà aversi riguardo alle norme generali. Accanto alla disciplina generale dei procedimenti con allegazioni di violenza di genere, resta la disciplina di quegli speciali procedimenti che riguardano l'adozione di ordini di protezione contro gli abusi familiari, ora normati all'interno del codice di rito agli artt. art. 473-bis.69 ss. c.p.c. Principiando dall'esame degli elementi di specialità e concentrandosi su quelli rilevanti ai fini del tema che occupa, l'art. 473-bis.40 c.p.c. definisce l'ambito di applicazione delle norme speciali di cui al capo III del libro II del titolo IV bis c.p.c. limitandolo a quei procedimenti in cui “siano allegati abusi familiari o condotte di violenza domestica o di genere poste in essere da una parte nei confronti dell'altra o dei figli minori”, per la cui definizione si rinvia al paragrafo seguente. Il successivo art. 473-bis.41 c.p.c. individua gli elementi di specialità che il ricorso introduttivo del procedimento deve possedere rispetto a quello definito all'art. 473-bis.12 c.p.c. per i procedimenti di famiglia in generale, prevedendo, in particolare, che siano indicati gli eventuali procedimenti, pendenti o definiti, relativi alle violenze e allegati gli eventuali accertamenti istruttori già svolti nell'ambito di tali procedimenti (s.i.t., prove testimoniali). Quanto alla scansione processuale del rito speciale, al fine di garantire ai procedimenti in cui siano allegati elementi di violenza una corsia preferenziale rispetto ai procedimenti ordinari, il legislatore ha previsto al successivo art. 473-bis.42 c.p.c. la possibile dimidiazione di tutti i termini processuali (sia quello per la costituzione del convenuto che quelli per il deposito delle memorie ex art. art. 473-bis.17 c.p.c.). Al fine di acquisire ogni elemento utile ai fini dell'accertamento delle condotte violente allegate, inoltre, a prescindere dall'allegazione delle parti, il giudice già nel decreto di fissazione di udienza dovrà chiedere al Pubblico Ministero e alle altre autorità competenti (p.e. FF.OO. che siano intervenute su richiesta della vittima di violenza), informazioni circa l'esistenza di altri procedimenti relativi agli abusi e alle violenze allegate, definiti e pendenti, e la trasmissione di tutti i relativi atti non coperti da segreto istruttorio ai sensi dell'art. 329 c.p.p. Per quanto di interesse nella presente sede, inoltre, il giudice, al fine di accertare la sussistenza delle condotte di violenza, ha la possibilità di disporre d'ufficio mezzi di prova, fermo restando il diritto alla prova contraria, anche ove le condotte non riguardino i figli minori, a differenza di quanto accade nel rito ordinario di famiglia (art. 473-bis.2 c.p.c.). Quanto poi allo svolgimento della prima udienza di comparizione delle parti dinanzi al giudice delegato, la norma prevede che le parti non sono tenute a comparirvi personalmente e che, anche ove lo facciano, il giudice debba astenersi dal tentativo di conciliazione. Di regola ove entrambe le parti compaiano in udienza il giudice delegato procederà all'audizione separata delle parti stesse alla presenza dei rispettivi difensori e ciò al fine di evitare fenomeni di c.d. vittimizzazione secondaria in linea con quanto previsto dalla normativa sovranazionale e dal primo comma dell'art. 473-bis.42 c.p.c. Il successivo art. 473-bis.44 c.p.c. dedica un'interna norma allo svolgimento dell'attività istruttoria, prevedendo che nell'esercizio dei poteri d'ufficio allo stesso riservati, il giudice delegato, al fine di accertare i fatti di violenza allegati, possa: a) interrogare liberamente le parti sui fatti allegati, non potendo al contrario procedere ad interrogatorio formale trattandosi di diritti indisponibili, eventualmente avvalendosi di ausiliari competenti in materia; b) sentire persone informate sui fatti; c) disporre d'ufficio prova per testimoni; d) acquisire relazioni di intervento delle FF.OO.. Al fine di assumere i provvedimenti maggiormente tutelanti per la prole, e non già ai fini dell'accertamento della violenza, inoltre, il giudice potrà disporre Consulenza Tecnica di Ufficio ovvero avvalersi dell'intervento dei servizi sociali. In tal caso lo svolgimento dell'attività dei professionisti delegati dovrà avvenire nel rispetto delle norme generali di cui agli artt. 473-bis. 25 e .27 c.p.c. ma, a tutela della vittima, il giudice nell'incarico dovrà specificare la presenza di allegazioni di violenza nonché indicare gli accertamenti da compiere e gli accorgimenti necessari a tutela della vittima e dei minori, tra cui cautele volte a evitare la contemporanea presenza delle parti all'attività di indagine. Vi è poi una norma specificatamente dedicata all'ascolto del minore, l'art. 473-bis.45 c.p.c., che rinvia quanto alle modalità dell'ascolto alla previsione di cui agli artt. 473-bis.4 c.p.c. e 473-bis.5 c.p.c. e, in particolare, alla necessità a che sia il giudice a procedere direttamente all'ascolto. In aggiunta a quanto disposto dalle norme generali in materia di ascolto, il legislatore ha previsto che il giudice proceda all'ascolto senza ritardo evitando ogni contatto con la persona indicata come autore della violenza e che non si proceda all'ascolto ove il minore sia già stato sentito in altro procedimento anche penale e le risultanze ivi acquisite siano ritenute esaustive. Sottoporre un minore vittima di violenza diretta o assistita a un duplice ascolto sarebbe manifestamento contrario al suo interesse, considerato peraltro che le prove acquisite in altro procedimento sono pienamente utilizzabili nel processo civile. L'audizione del minore in sede penale nell'ambito di un incidente probatorio, tuttavia, è una vera e propria prova, laddove nel processo civile l'audizione del minore non costituisce una prova bensì esercizio di un diritto del minore, parte del procedimento quanto meno in senso sostanziale. Sorge quindi spontaneo il dubbio se l'audizione di un minore vittima di violenza divisata dall'art. 473-bis.45 c.p.c. debba considerarsi alla stregua dell'estrinsecazione del diritto del minore a essere ascoltato o non, piuttosto, quale mezzo di accertamento dei fatti di violenza allegati. L'ultima norma del capo III ora esaminato, infine, definisce il contenuto dei provvedimenti che il giudice potrà assumere ove all'esito dell'istruttoria, anche sommaria, emerga la fondatezza delle allegazioni di violenza. In particolare, il giudice potrà assumere, anche d'ufficio, provvedimenti aventi il contenuto degli ordini di protezione (definito all'art. 473-bis.70 c.p.c.), disporre l'intervento dei servizi sociali e disciplinare il diritto di visita in modo da non compromettere la sicurezza della vittima e del minore. La nozione di violenza di genere Così ricostruito il quadro normativo e al fine di comprendere la difficoltà della prova delle allegazioni di violenza che, se fondate, danno luogo all'applicazione delle norme sopra esaminate, occorre brevemente enucleare la nozione di violenza cui il legislatore ha fatto riferimento all'interno del capo III del libro II del titolo IV bis c.p.c. Nel testo codicistico manca una definizione delle condotte suscettibili di dare luogo all'applicazione del rito speciale, tuttavia, vari argomenti depongono a favore di un'interpretazione lata del concetto di violenza, non coincidente con la nozione penalistica. In primo luogo, l'art. 3 della Convenzione di Istanbul sopra citata, per cui con l'espressione violenza domestica si intendono tutti gli atti di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all'interno della famiglia o del nucleo familiare o tra attuali o precedenti coniugi o partner, indipendentemente dal fatto che l'autore di tali atti condivida o abbia condiviso la stessa residenza con la vittima. In secondo luogo, la relazione illustrativa al d.lgs. 149/2022, ove si legge che la mancata definizione di violenza è da imputarsi all'esigenza di garantire il maggiore ambito di applicazione alle norme in questione e di estenderla non solo alle forme di violenza o di abuso divisate dall'art. 64-bis disp. att. c.p.p. (introdotto dalla l. 69/2019 nota anche come “codice rosso”) ma anche a forme di violenza meno evidenti, come le percosse o la violenza economica, finanche a fattispecie non suscettibili di imputazione penale. La deduzione di episodi di violenza diretta o assistita, sia fisica che morale, potrà pertanto dare luogo all'applicazione della normativa speciale a prescindere dall'eventuale rilievo penale: ciò che risulta determinante è l'esistenza di una condizione di squilibrio in cui una parte si trovi in quanto soggetta alla maggiore forza, economica o morale, dell'altra. La nozione indeterminata del concetto di violenza rilevante ai presenti fini spiega le difficoltà legate all'accertamento delle condotte di violenza allegate da una parte. La prova della violenza La prova delle condotte di violenza o abuso allegate da una parte, come si è visto supra, è particolarmente complessa poiché spesso ne mancano riscontri estrinseci, quali p.e. certificati di Pronto Soccorso. E ciò sia poiché in molti casi le vittime di violenza faticano a denunciare il loro aggressore, e non si recano di conseguenza presso i presidi specialistici per fare certificare le violenze subite, sia poiché le violenze morali, economiche o le minacce non lasciano segni visibili all'osservatore esterno. La prova della violenza, di conseguenza, sarà più agevole per il giudice civile ove la violenza sia certificata e ove penda un procedimento penale nel cui ambito siano già stati assunti provvedimenti ovvero siano state svolte attività di indagine non coperte da segreto istruttorio che, in quanto tali, l'autorità penale su richiesta di quello civile dovrà trasmettere nel termine di 15 giorni, come sopra visto. Ove, al contrario, le violenze allegate non risultino certificate e non penda alcun procedimento penale, l'accertamento della violenza sarà rimesso alle allegazioni di parte e alle prove eventualmente prodotte a sostegno delle stesse nonché ai poteri istruttori del giudice delegato di cui si è detto sopra. Tra le prove utilizzabili ai fini dell'accertamento della violenza un particolare rilievo assumono, specialmente nell'ambito dell'interrogatorio libero delle parti dinanzi al giudice delegato, le dichiarazioni della persona offesa. Sovente, infatti, gli unici spettatori della violenza sono proprio le vittime della stessa, sia dirette che assistite, motivo per cui la prova testimoniale spesso è inammissibile poiché de relato actoris. A differenza del giudizio penale, ove la persona offesa è sentita in veste di testimone e le dichiarazioni rese dalla stessa, tenuto conto della sua credibilità soggettiva e dell'attendibilità intrinseca del racconto, sono idonee a fondare la penale responsabilità dell'imputato anche in mancanza di riscontri estrinseci (ex plurimis cfr. Cass. pen. 21024/2022; App. Napoli 4909/2022), nel giudizio civile le dichiarazioni della persona offesa non potranno mai assurgere al rango di prova, quanto meno tipica. Nel processo civile, infatti, la parte non può essere escussa come testimone: residua, tuttavia, lo spazio delle prove c.d. atipiche che, sebbene non espressamente normate dal codice di rito, da anni la giurisprudenza ammette ai fini della prova dei fatti principali e secondari (ex plurimis Cass. 1315/2017), con la medesima efficacia probatoria delle presunzioni semplici disciplinate dagli artt. 2729 ss. c.c. o degli argomenti di prova, come tali liberamente valutabili dal Giudice ai sensi dell'art. 116 c.p.c. (App. Roma 7821/2021; Cass. 10825/16; Trib. Firenze 03 luglio 2017; Trib. Roma, 16 giugno 2016). Naturalmente, a differenza che nel giudizio penale, le dichiarazioni della vittima di violenza dovranno essere supportate da ulteriori riscontri estrinseci ed essere, in ogni caso, adeguatamente valutate nel loro contenuto intrinseco. Quali ulteriori riscontri delle allegazioni di violenza soccorrono poi le prove atipiche che stanno acquisendo sempre maggiore rilievo nei procedimenti della crisi familiare, in generale, e con allegazioni di violenza, in particolare, ovverosia le prove c.d. digitali, evidenze prodotte in giudizio in formato digitale o, comunque, il cui contenuto è stato acquisito (anche se non prodotto direttamente in giudizio) a mezzo di uno strumento digitale. Sovente, infatti, la vittima di violenza all'interno delle mura domestiche, quanto meno dopo i primi episodi di violenza, riprende le condotte violente o i loro esiti mediante strumenti audio visivi (video o fotografie che riproducano il contenuto di minacce, ingiurie o gli esiti delle condotte di violenza fisica subita). Le registrazioni audio-video realizzate tramite smartphone, le fotografie e i file audio, introdotti nel processo mediante file mp3, jpeg ovvero mediante produzione dello screenshot del dispositivo utilizzato per acquisire la prova, diventano quindi un'importante risorsa per il giudice delegato. La giurisprudenza maggioritaria, ammessa l'utilizzabilità in generale delle prove digitali nel processo civile quali prove atipiche, ne ha ricondotto il valore probatorio a quello delle riproduzioni meccaniche disciplinate all'art. 2712 c.c., a norma del quale le riproduzioni fotografiche, informatiche o cinematografiche e, in genere, ogni altra rappresentazione meccanica di fatti e di cose, formano piena prova dei fatti e delle cose rappresentate, se colui contro il quale sono prodotte non ne disconosce la conformità ai fatti e alle cose medesime. Il disconoscimento della prova digitale, sempre che sia chiaro, specifico e circostanziato (Cass. 2117/2011 e Cass. 8998/2001 e Cass. 1250/2018; Trib. Roma 07 maggio 2019), non priva tuttavia il giudice della possibilità di utilizzare la prova, potendone accertare la rispondenza all'originale anche attraverso altri mezzi di prova, comprese le presunzioni (Cass. 5141/2019): il disconoscimento qualificato, in conclusione, fa perdere alla riproduzione meccanica la qualità di prova e la fa degradare a presunzione semplice (Cass. 12794/2021 in tema di addebito della separazione; Trib. Terni 26 maggio 2021 n. 220). In aggiunta a quanto precede il giudice delegato, come accennato sopra, ben potrà ammettere i testimoni indicati dalle parti ovvero disporre d'ufficio la prova testimoniale formulandone i capitoli. Se è vero, infatti, che in generale i soli spettatori diretti della violenza sono le vittime della stessa, familiari o parenti potranno riferire circa la natura dei rapporti tra le parti, circa segni di violenza visti direttamente dagli stessi ovvero circa minacce cui hanno assistito in prima persona. La prova testimoniale potrà di conseguenza coadiuvare il giudice a inquadrare il clima di violenza. La prova testimoniale, nondimeno, specialmente nella prima fase del giudizio sconta alcuni limiti. Per come sono formulate le norme esaminate nel paragrafo dedicato al quadro normativo, infatti, occorre che la fondatezza delle allegazioni di violenza sia accertata nel più breve tempo possibile e ciò poiché ove le condotte allegate siano provate, quanto meno in termini di verosimiglianza, il giudice dovrà tenerne conto sia nell'adottare i provvedimenti provvisori e urgenti exart. 473-bis.46 c.p.c. sia nel disporre gli ulteriori accertamenti a mezzo di CTU ovvero dei servizi sociali. Potrebbe quindi essere più agevole per il giudice, già nel decreto di fissazione di udienza, autorizzare le parti a condurre alla prima udienza uno o più sommari informatori che, previa prestazione di giuramento, come accade nella prassi, riferiscano liberamente circa quanto da loro osservato sulla base delle domande del giudice. In tal modo il giudice, che difficilmente al momento della fissazione dell'udienza e sulla base del solo ricorso introduttivo potrà formulare capitoli di prova e individuare le persone da sentire in veste di testimoni, potrà acquisire informazioni utili in tempi più contenuti. Altro è comprendere quale sia il livello di accertamento della violenza idoneo a qualificare un procedimento quale procedimento speciale ex art. 473-bis.40 ss. c.p.c. che, come tale, potrà seguire un canale preferenziale ed essere soggetto alle norme speciali sopra esaminate. È evidente come ai fini della prima qualificazione e della conseguente possibile dimidiazione dei termini processuali, la sola valutazione determinante sarà quella che può essere svolta sulla base della natura più o meno circostanziata delle allegazioni e delle prove eventualmente prodotte già in sede di ricorso (certificati di PS, documentazione fotografica, file audio,…). Anche ove le allegazioni superino tale vaglio preliminare, nel corso del procedimento sarà in ogni caso necessario accertare in modo più approfondito la fondatezza dei fatti dedotti mediante il ricorso ai mezzi istruttori sopra esaminati dapprima ai fini dell'emissione dei provvedimenti provvisori e urgenti e, quindi, ai fini della pronuncia conclusiva del giudizio. Un onere probatorio meno rigoroso potrà essere al contrario sufficiente ai fini dell'adozione dei provvedimenti aventi il contenuto di cui all'art. 473-bis. 70 c.p.c., ovverosia gli ordini di protezione contro gli abusi familiari che, essendo volti a tutelare il superiore diritto all'integrità fisica nel più breve tempo possibile, potranno essere emessi sulla base della verosimiglianza dei fatti allegati. In conclusione Il quadro normativo appena tratteggiato lascia aperti dubbi e interrogativi. In particolare, la valutazione circa la maggiore o minore specificità delle allegazioni di violenza dipenderà dal tipo di violenza allegata (fisica, morale o economica) e dalla documentazione prodotta unitamente al ricorso. Nella prassi è più frequente l’applicazione del rito speciale ove le violenze allegate siano fisiche e/o morali ma supportate già in sede di prima valutazione da prove, quanto meno atipiche, idonee a dare luogo a un fumus di violenza. La violenza economica, al contrario, tenuto conto del sistema probatorio sopra tratteggiato, potrà essere sì valorizzata ma più di frequente nel corso dell’istruttoria processuale e, quindi, dopo l’adozione dei provvedimenti provvisori. Al fine di consentire al giudice la pronta applicazione delle norme processuali sopra esaminate è importante che tutte le parti processuali coinvolte, in primis la vittima delle violenze, per il tramite del proprio difensore, circoscrivano il più possibile gli episodi di violenza o abuso, anche al fine di consentire al giudicante la tempestiva attivazione dei propri poteri istruttori d’ufficio come sopra delineati. |