Finanziamenti soci: profili civilistico e tributario

17 Ottobre 2025

La pronuncia in esame affronta il tema dei finanziamenti dei soci individuando la differenza con il conferimento a capitale sociale da parte del socio; viene in particolare analizzata la disciplina dell'art. 2467 c.c. e il sistema di rimborso a favore del socio che abbia finanziato l'ente. La Corte, infine, distingue la disciplina civilista del finanziamento del socio da quella tributaristica cogliendo i profili di efficacia pratica e fiscale della fattispecie.

Massima

Attesa l'amplissima formula dell'art. 2467 c.c., dal punto di vista civilistico non sembra potersi a priori escludere che una prestazione di servizi abbia causa di finanziamento, in quanto a fronte della prestazioni ricevute la società non è tenuta a pagarne subito il corrispettivo, potendo dilazionare il pagamento allo scadere del termine del finanziamento stesso e avendo, così, a disposizione le somme che avrebbe dovuto corrispondere quale corrispettivo delle prestazioni.

Il caso

A seguito di verifica fiscale relativa agli anni d'imposta 2014, 2015 e 2016 condotta dall'Agenzia delle Entrate, venivano emessi alcuni avvisi di accertamento, notificati alla società, con cui venivano recuperati ad imposizione maggiori imponibili rispettivamente ai fini I.R.E.S. e Irap ed altri avvisi di accertamento con cui l'Ufficio recuperava in capo ai soci della medesima società maggiori redditi di lavoro dipendente a seguito di diversa qualificazione di alcune prestazioni di servizi d'opera rese dai soci medesimi alla società.

In particolare, a fronte del valore individuato per le prestazioni d'opera l'Agenzia rilevava che ai soci sarebbero state erogate rilevanti somme di denaro.

Veniva contestata l'indeducibilità parziale di alcune prestazioni di servizi d'opera dei soci valutate alla stregua di uno strumento finanziario. Nello specifico, i due soci si impegnavano a prestare le proprie attività lavorative alla società per gli importi indicati nella tabella competente per gli anni 2014, 2015, 2016 e 2017, qualificando tali prestazioni come date a titolo di finanziamento, e ricevendo in cambio, a titolo di pegno, un titolo obbligazionario emesso da altra società controllata del valore nominale uguale al valore delle prestazioni d'opera, che incorporava una cedola semestrale dell'importo pari agli interessi calcolati al tasso dell'uno e mezzo per cento sul valore globale delle prestazioni d'opera.

La società si è dedotta il valore delle prestazioni rese, i soci non hanno incassato la cedola, né il valore di rimborso del prestito obbligazionario, ma delle somme di denaro per un valore inferiore a quello delle prestazioni rese, le quali somme non sono state considerate reddito per i soci percettori.

La valutazione dell'accordo contrattuale tra soci e società, nonché delle sue modalità di esecuzione, ha attestato che il rapporto non poteva qualificarsi come a titolo di finanziamento, e che le obbligazioni assegnate ai soci erano titoli giuridicamente inesistenti perché il prestito obbligazionario non era stato sottoscritto da alcun soggetto. Anzi, l'attribuzione ai soci di somme di denaro, determinava la riqualificazione del rapporto come dato a titolo di lavoro dipendente o assimilato fino a concorrenza delle somme di denaro percepite, e come prestazione accessorie offerte a titolo gratuito per la parte rimanente fino al raggiungimento del valore dichiarato delle prestazioni rese. Tutto questo, quale riflesso, del più generale principio fiscale, per cui ciò che è un costo deducibile per un soggetto, deve essere anche un provento imponibile per la controparte, salvo che specifiche norme di legge non prevedono forme di esonero o agevolazioni di varia natura.

Le questioni

Analizziamo ora le questioni affrontate dalla Suprema Corte e le motivazioni della decisione: i soci possono effettuare dei finanziamenti a favore della società, cioè dei prestiti o dei versamenti, che a differenza dei conferimenti, non vanno ad incrementare il capitale della società, ma sono caratterizzati dal fatto che la società assume l'obbligo di rimborsarli e di farlo ad una determinata scadenza, inoltre, di norma, producono un interesse la cui corresponsione non dipende dagli utili prodotti. Al contrario, i rimborsi dei finanziamenti dei soci effettuati in presenza dei presupposti di cui all'art. 2467  sono ricompresi tra i pagamenti di crediti con scadenza successiva o contestuale alla dichiarazione di liquidazione giudiziale. Il rimedio fornito è quello del primo comma dell'art. 2467 c.c., in virtù del quale, il rimborso di finanziamento postergato avvenuto nell'anno precedente la dichiarazione di fallimento della società deve essere restituito.

In tema di finanziamento dei soci in favore della società, il diritto al rimborso del finanziamento sorge postergato, ex art. 2467 c.c., qualora erogato in situazione di difficoltà finanziaria o di squilibrio patrimoniale della società, e tale carattere permane sia nel caso in cui il socio fuoriesca dalla società per mancato esercizio del diritto di opzione, sia allorché egli abbia ceduto la propria partecipazione comprensiva del diritto alla restituzione della somma mutuata, in considerazione della finalità di tutela dei creditori che la norma citata mira a perseguire; ne deriva che ove tale esigenza venga meno, a seguito del superamento delle difficoltà patrimoniali e finanziarie della società, il credito restitutorio ritorna pienamente esigibile in via ordinaria, anche se in quel momento non siano stati ancora adempiuti gli altri debiti sociali.

Scopo della norma è di impedire la qualificazione ex post più favorevole ai soci dei versamenti o altri finanziamenti da essi fatti alla società sottocapitalizzata per sopperirne al fabbisogno, salvando comunque il loro diritto a partecipare alla ripartizione dell'eventuale residuo attivo prima che questo venga diviso fra tutti i soci al termine di procedure liquidatorie e collettive: quindi si tratta di una regola avente non carattere generale, ma applicabile in presenza delle situazioni delineate.

È onere del socio, che pretenda di ottenere la restituzione dei finanziamenti effettuati in favore della società, dimostrare che il negozio, in base al quale i versamenti siano stati da lui compiuti, sia qualificabile come mutuo e non come operazione sul capitale. L'art. 2467 c.c. dispone che il credito dei soci derivante dai finanziamenti effettuati alla società sia postergato rispetto agli altri crediti, qualora detti finanziamenti siano stati concessi in un momento in cui, anche in considerazione del tipo di attività esercitata dalla società, risulta un eccessivo squilibrio dell'indebitamento rispetto al patrimonio netto, oppure in una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento. 

Osservazioni

Con la pronuncia in esame, la Corte chiarisce che i finanziamenti, oltre che in denaro, possono essere realizzati in natura oppure tramite la mancata riscossione di somme liquide ed esigibili di cui il socio risulta creditore nei confronti della società. Si pensi alla mancata riscossione di dividendi già deliberati, di canoni di locazione scaduti, di compensi per prestazioni erogate alla società, o all'ottenimento nei confronti del socio creditore di dilazioni per il pagamento del prezzo che deriva da una fornitura di merci o da una prestazione di servizi da lui effettuata. Infine, i finanziamenti rientranti nell'ambito di applicazione dell'art. 2467 c.c. possono essere anche realizzati tramite la prestazione di garanzie reali o personali da parte del socio a terzi, per l'erogazione di credito effettuata da questi ultimi a favore della società.

In sostanza, secondo la Corte, stante l'amplissima formula dell'art. 2467 c.c., dal punto di vista civilistico non sembra potersi a priori escludere che una prestazione di servizi abbia causa di finanziamento, in quanto a fronte della prestazioni ricevute la società non è tenuta a pagarne subito il corrispettivo, potendo dilazionare il pagamento allo scadere del termine del finanziamento stesso e avendo, così, a disposizione le somme che avrebbe dovuto corrispondere quale corrispettivo delle prestazioni.

Giungiamo, quindi, al profilo di interesse interdisciplinare della sentenza in esame: la Corte evidenza, con correttezza, che dal punto di vista fiscale è evidente la differenza che intercorre tra la messa a disposizione (a titolo di mutuo) di una somma di denaro, e l'effettuazione di una prestazione che viene (seppur non immediatamente) pagata.

Conclusioni

La Corte giunge alla conclusione per cui risulta evidente che il pagamento della prestazione deve essere naturalmente assimilato, sotto il profilo del diritto tributario, ad una prestazione di lavoro dipendente.

Il ragionamento della Corte muova dalla constatazione che la acquisizione giuridica prescinde dal fatto che il corrispettivo venga pagato non immediatamente, ma dopo un certo lasso di tempo; difatti, il differimento costituisce il finanziamento alla società, la quale può per un certo tempo non essere costretta a pagare il corrispettivo delle prestazioni ed avere a disposizione le relative somme. Tuttavia, laddove il corrispettivo viene pagato, lo stesso non può che essere sottoposto a tassazione, con le modalità indicate dall'organo fiscale di accertamento competente (Agenzia delle entrate) ed in misura proporzionale alla parte di corrispettivo effettivamente pagato dalla società ai soci.

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