Procedure di insolvenza di società estere operanti in Italia
17 Ottobre 2025
Una società costituita all'estero che sia stata sottoposta ad una procedura di insolvenza nel Paese in cui opera, può essere sottoposta ad una analoga procedura anche in Italia? Le società estere operanti in Italia sono sottoposte ad una diversa disciplina in base al Paese in cui hanno la loro sede effettiva o l'oggetto principale della loro attività, o in base alla circostanza che abbiano o meno istituito una dipendenza in Italia. L'art. 25, comma 1 della l. n. 218/1995, che ha riformato il sistema italiano di diritto internazionale privato, prevede infatti che le società, le associazioni, le fondazioni ed ogni altro ente, pubblico o privato, anche se privo di natura associativa, sono disciplinati dalla legge dello Stato nel cui territorio è stato perfezionato il procedimento di costituzione. Si applica, tuttavia, la legge italiana se la sede dell'amministrazione è situata in Italia, ovvero se in Italia si trova l'oggetto principale di tali enti. La norma specifica, quindi, che l'oggetto principale dell'ente è il criterio fondamentale per stabilire la legge applicabile: si applica la legge dello Stato in cui la società è stata costituita ma si applica comunque la legge italiana se in Italia si trova il suo oggetto principale. La norme specifica poi (secondo comma) che sono disciplinati dalla legge regolatrice dell'ente: la natura giuridica; la denominazione o ragione sociale; la costituzione, la trasformazione e l'estinzione; la capacità; la formazione, i poteri e le modalità di funzionamento degli organi; la rappresentanza dell'ente; le modalità di acquisto e di perdita della qualità di associato o socio nonché i diritti e gli obblighi inerenti a tale qualità; la responsabilità per le obbligazioni dell'ente; le conseguenze delle violazioni della legge o dell'atto costitutivo. Quanto poi ai trasferimenti della sede statutaria in altro Stato e le fusioni di enti con sede in Stati diversi, essi hanno efficacia soltanto se posti in essere conformemente alle leggi di detti Stati interessati (terzo comma). Incidenter tantum si segnala che la Corte di Giustizia UE (C. Giust. CE 25 aprile 2024 C‑276/22) ha precisato che «se l'articolo 25 (...) della legge n. 218/1995 dovesse essere interpretato nel senso di implicare che qualsiasi atto di gestione di una società validamente costituita secondo il diritto di un altro Stato membro ma che svolge la parte principale delle sue attività in Italia debba essere assoggettato alla normativa italiana, non sarebbe possibile verificare l'esistenza, in un caso concreto, di un rischio di lesione degli interessi dei creditori, dei soci di minoranza o dei lavoratori. Infatti, occorre precisare che tale rischio può dipendere, in particolare, dal tipo di atto adottato e variare in funzione della composizione dell'assetto societario della società di cui trattasi. Inoltre, la normativa dello Stato membro in cui si è costituita la società in questione può aver preso in considerazione tali interessi, circostanza di cui l'applicazione automatica della normativa italiana non consente di tener conto» Va da sé che, secondo tale giurisprudenza, l'art. 25 l. n. 218/95 implica, in realtà, una restrizione alla libertà di stabilimento. Fatta questa indispensabile premessa sulla nazionalità della legge applicabile, la risposta al quesito è data dall'art. 26 del nuovo codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza dedicato espressamente alla giurisdizione italiana. In tale articolo, al primo comma, viene stabilito che l'imprenditore che ha all'estero il centro degli interessi principali può essere ammesso a uno strumento di regolazione della crisi e dell'insolvenza o assoggettato ad una procedura di insolvenza nella Repubblica italiana anche se è stata aperta analoga procedura all'estero, quando ha una dipendenza in Italia. Sono quindi due gli elementi posti dal legislatore italiano per radicare la giurisdizione: la circostanza che l'imprenditore abbia all'estero il centro degli interessi principali e che, però, abbia una dipendenza in Italia. In questo caso potrà essere sottoposto ad una procedura di insolvenza anche nel nostro Paese e ciò anche se analoga procedura sia stata aperta all'estero. Tale ultima specificazione, non prevista nel testo iniziale del d.lgs. n. 14/2019, è stata introdotta dal d.lgs. n. 83/2022. Il comma 2 dell'art. 26 c.c.i.i., anch'esso modificato dal d.lgs. n. 83/2022 cit., prevede inoltre che il trasferimento del centro degli interessi principali all'estero non esclude la sussistenza della giurisdizione italiana se è avvenuto nell'anno antecedente il deposito della domanda di accesso a uno strumento di regolazione della crisi e dell'insolvenza o a una procedura di insolvenza. All'evidenza trattasi di una chiara applicazione del principio della perpetuatio iurisdictionis di cui all'art. 5 c.p.c., il quale mira a fissare la giurisdizione con riferimento alla legge vigente ed allo stato di fatto esistente al momento della proposizione della domanda, per cui non hanno rilevanza rispetto ad essa i successivi mutamenti di legge e dello stato medesimo. I successivi commi dell'art. 26 prevedono che sono fatte salve le convenzioni internazionali e la normativa dell'Unione europea (comma 3) e che il tribunale, quando apre una procedura di insolvenza transfrontaliera ai sensi del regolamento (UE) 2015/848 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 maggio 2015, dichiara se la procedura è principale, secondaria o territoriale, fissando così un punto fermo su quale sia il regime giuridico da applicare. In conclusione, una società costituita all'estero che sia stata sottoposta ad una procedura di insolvenza nel Paese in cui opera e che, quindi, abbia all'estero il centro degli interessi principali, può essere sottoposta anche ad una procedura di insolvenza nel nostro Paese, purché, però, abbia una dipendenza in Italia. Ciò anche se sia stata sottoposta alla medesima procedura nel Paese in cui opera. |