Sospensione del rimborso IVA a fronte di carichi pendenti

Domenico Chindemi
20 Ottobre 2025

La misura cautelare della sospensione del rimborso IVA va necessariamente ricondotta ai principi generali in materia di obbligazioni (e, in specie, all'eccezione di compensazione) e, sul piano formale, alla tutela cautelare prevista nell'art. 38-bis d.P.R. n. 633 del 1972 in tema di rimborso IVA e al rapporto di questa norma con gli altri istituiti cautelari, di carattere più generale, previsti dall'art. 23 del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 e dall'art. 69 del r.d. n. 2440 del 1923.

Presupposti della sospensione del rimborso IVA

Il presupposto della misura è costituito dall'esistenza di un controcredito dell'Amministrazione finanziaria ed è espressione del potere di autotutela attribuito alla Pubblica Amministrazione per la tutela delle proprie ragioni di credito.

Tale facoltà mira a garantire la certezza dei rapporti patrimoniali con lo Stato e, essendo espressione di esigenze di carattere generale, tale norma è applicabile a qualunque credito vantato da una Amministrazione dello Stato e, pertanto, è applicabile anche ai rimborsi Iva nonostante la specifica previsione normativa rappresentata dall'articolo 38-bis del d.p.r. n. 633/1972 che in tema di esecuzione dei rimborsi Iva prevede una specifica ipotesi di  sospensione del rimborso richiesto all'Ufficio nel caso di pendenza di fattispecie aventi rilevanza penale.

Il provvedimento è riconducibile all'art. 23 del Dlgs n. 472 del 1997 rubricato “Sospensione dei rimborsi e compensazione», che prevede: «1. Nei casi in cui l'autore della violazione o i soggetti obbligati in solido, vantano un credito nei confronti dell'amministrazione finanziaria, il pagamento può essere sospeso se è stato notificato atto di contestazione o di irrogazione della sanzione o  provvedimento con il quale vengono accertati maggiori tributi, ancorché non definitivi. La sospensione opera nei limiti di tutti gli importi dovuti in base all'atto o alla decisione della commissione tributaria ovvero dalla decisione di altro organo. 2. In presenza di provvedimento definitivo, l'ufficio competente per il rimborso pronuncia la compensazione del debito”.

Nel caso di atti, ancorché non definitivi, relativi a tributi, sanzioni e interessi, il rimborso del credito può essere temporaneamente sospeso e, una volta che l'atto sia divenuto definitivo, il credito può essere compensato. In alternativa, può essere richiesto al contribuente di garantire i carichi pendenti mediante presentazione di una fideiussione a tempo indeterminato.

In base alla risoluzione dell'Agenzia Entrate  n. 86/E del 12 giugno 2001, “la nozione di "carichi pendenti" deve essere riferita anche a crediti e sanzioni riferibili a tributi erariali, ad esclusione delle imposte doganali e delle imposte sulla produzione e sui consumi”.

La presenza di una specifica disposizione in tema di rimborsi IVA  non è preclusiva dell'applicabilità degli altri strumenti cautelari previsti dal nostro ordinamento, in quanto essa va ad aggiungersi e non a sostituire le singole ipotesi per le quali l'Ufficio può dar corso alla sospensione del rimborso richiesto.

La Cassazione, in tema di  strumenti cautelari di cui dispone l'Amministrazione Finanziaria per paralizzare le richieste di rimborso di crediti in presenza di carichi fiscali a carico del contribuente e, in particolare, del rapporto tra la tutela cautelare prevista nel d.P.R. n. 633 del 1972 e gli altri istituti cautelari, disciplinati dall'art. 23 del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 e dall'art. 69 del r.d. n. 2440 del 1923, ha osservato che «La disciplina di cui all'art. 23 del d.lgs. n. 472 del 1997 costituisce una declinazione specifica, in materia tributaria, del potere discrezionale di autotutela della P.A. in tema di fermo amministrativo di cui all'art. 69 del r.d. n. 2440 del 1923 (cfr. Cass. n. 5139 del 2016 e giurisprudenza richiamata) del quale mutua la natura cautelare e provvisoria in funzione di salvaguardia della possibile compensazione legale di opposte partite […] con l'unico limite del divieto di cumulo delle tutele, nel senso che una volta ottenuta la garanzia prevista dall'art. 38 bis del d.P.R. n. 633 del 1972 (garanzia fideiussoria), non è più possibile procedere all'ulteriore sospensione del rimborso ai sensi dell'art. 69 r.d. n. 2440 del 1923 e dell'art. 23 del Dlgs. N. 472/97” (Cass. ,Sezioni Unite,  31/01/2020, n. 2320)

Quindi, in tema di rimborsi l'esistenza di una  specifica norma, dettata in materia di iva, non impedisce, in linea generale, il ricorso anche agli altri istituti. Infatti, la lettura delle norme, secondo una interpretazione ormai prevalente, è nel senso di non escludere affatto la ricorribilità all'esercizio del potere di sospensione del pagamento previsto dall'art. 69, ultimo comma, del r.d. n. 2440 del 1923.

Infatti se sussistono ragioni che riconoscono la possibilità di ricorrere ad istituti cautelari diversi dalle regole di rimborso contemplato nell'art. 38 bis cit., è altrettanto vero che si impone l'attenzione sui limiti del cumulo tra le garanzie apprestate da quest'ultima norma e gli altri strumenti cautelari.(cfr Cass., ord. n. 24785/2023).

La disciplina dell'art. 23 cit. si differenzia da quella regolata dall'art. 69 non solo perché relativa a rapporti di debito/credito che intercorrono esclusivamente tra Amministrazione finanziaria e contribuente, al quale  sia addebitata una violazione  ma, soprattutto, perché richiede che: a) la pretesa dell'Amministrazione finanziaria sia formalizzata in uno specifico atto di contestazione o di irrogazione della sanzione a lui notificato, non essendo sufficienti mere ragioni di credito, come per il fermo amministrativo; b) limita  espressamente la sospensione alla «somma risultante dall'atto o dalla decisione della commissione tributaria ovvero dalla decisione di altro organo» mentre nella disciplina del fermo non si fa cenno a limiti quantitativi della sospensione del pagamento in relazione all'entità delle ragioni di credito (Cass. n. 20513/2024).

Anche se il provvedimento di sospensione del rimborso IVA potrebbe ricadere nella previsione dell'art. 38 bis del d.P.R. n. 633 del 1972, è anche vero che il presupposto della misura cautelare adottata dall'Ufficio va individuato nell'esistenza di carichi pendenti dove la sospensione è diretta alla compensazione del credito Iva richiesto a rimborso con i controcrediti erariali di diversa natura.

Le comunicazioni di irregolarità possono costituire causa di sospensione del rimborso IVA ; la Circolare dell'Agenzia n. 33/2016 (cfr. par. 2.1) recita“…le predette comunicazioni sebbene non possano essere considerate una pretesa impositiva definitiva, esse rappresentano comunque una fase intermedia del procedimento amministrativo tributario finalizzato al recupero del credito erariale e, pertanto, in presenza di determinate condizioni, possono esplicare effetti sul processo di lavorazione dei rimborsi IVA. In particolare, nel caso in cui i trenta giorni dal ricevimento della comunicazione non siano ancora decorsi o si sia in presenza di comunicazioni di irregolarità per le quali il contribuente ha intrapreso un piano di rateazione che sta regolarmente onorando, l'ufficio, in assenza di ulteriori cause ostative, procede con l'esecuzione del rimborso. Viceversa, nel caso di mancato pagamento delle somme dovute in un'unica soluzione, scaduti i trenta giorni, o nel caso di decadenza dalla rateazione, l'ufficio può procedere con la sospensione totale o parziale del rimborso IVA.”

Necessità o meno del contraddittorio endoprocedimentale 

Una prima questione concerne la necessità del contraddittorio endoprocedimentale ex art. 6-bis legge 212/2000 e, di conseguenza, la possibile violazione delle norme sul contraddittorio.

Va, al riguardo, rilevato che l'art. 6 bis è stato oggetto di interpretazione autentica ad opera dell'art. 7 bis del D.L. n. 39/2024, ai sensi del quale “Il comma 1 dell'articolo 6-bis della legge 27 luglio 2000, n. 212, si interpreta nel senso che esso si applica esclusivamente agli atti recanti una pretesa impositiva, autonomamente impugnabili dinanzi agli organi della giurisdizione tributaria, ma non a quelli per i quali la normativa prevede specifiche forme di interlocuzione tra l'Amministrazione finanziaria e il contribuente né agli atti di recupero conseguenti al disconoscimento di crediti di imposta inesistenti.”

Il provvedimento di sospensione del rimborso IVA non rientra tra gli atti che, a pena di annullabilità, devono essere preceduti da un contraddittorio preventivo poiché non si tratta di un atto recante una pretesa impositiva.

La giurisprudenza di legittimità è orientata nel senso di ritenere che i provvedimenti di sospensione abbiano una funzione cautelativa, in quanto congelano temporaneamente la richiesta del contribuente in funzione di tutela delle finanze pubbliche (cfr. Cass. n. 16102 del 2022; Cass. S.U., n. 2320 del 2020).

Tale orientamento trova conferma nell'art. 7 bis del D.L. n. 39/2024, che nell'interpretare il comma 2 dello stesso art. 6 bis della L. 212/2000, afferma: “Il comma 2 dell'articolo 6-bis della legge 27 luglio 2000, n. 212, si interpreta nel senso che tra gli atti per i quali non sussiste il diritto al contraddittorio da individuare con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze rientrano altresì quelli di diniego di istanze di rimborso, in funzione anche del relativo valore.”

Se tra gli atti che non richiedono il contraddittorio preventivo rientrano i dinieghi alle istanze di rimborso, sono da ritenersi esenti anche i provvedimenti di sospensione che assumono una funzione propedeutica al rigetto dell'istanza.

Quindi, il provvedimento di sospensione del rimborso rientra tra gli atti per i quali non sussiste il diritto al contraddittorio ex comma 2 art. 6 bis della L. 212/2000.

Il provvedimento cautelare adottato dall'Ufficio non è un atto recante una pretesa impositiva e non trova, quindi, il suo genus in un'attività accertativa in senso stretto ma trattasi di un mero atto di sospensione dell'esecuzione del rimborso richiesto e che, pertanto, va escluso dall'obbligo di preventivo contraddittorio.

Principio di proporzionalità e motivazione del provvedimento di sospensione

L'art. 10-ter dello Statuto, (in vigore dal 18 gennaio 2024) afferma “il procedimento tributario bilancia la protezione dell'interesse erariale alla percezione del tributo con la tutela dei diritti fondamentali del contribuente, nel rispetto del principio di proporzionalità”.

Trattasi di un principio generale, già presente nell'ordinamento unionale e si sostanzia nel prevedere che il fisco non possa perseguire il gettito “ad ogni costo”, ma solo con mezzi proporzionati e con il minor sacrificio necessario dei diritti del contribuente.

Tale principio non risulta violato nel caso di provvedimento di sospensione del rimborso iva, in quanto non ha l'effetto di negare il riconoscimento del credito, ma solo di sospendere il rimborso.

È dubbio se la violazione del principio di proporzionalità possa essere dedotta asserendo che l'amministrazione, anziché eseguire la sospensione del rimborso IVA ex art. 23 d.lgs. 472/1997, avrebbe potuto ottenere lo stesso risultato chiedendo alla società contribuente la prestazione di una garanzia e avrebbe comunque, in tal modo, soddisfatto l'interesse erariale ai fini di una futura compensazione.

È pur vero che l'Amministrazione può adottare discrezionalmente il provvedimento di sospensione che ritiene più opportuno al fine di salvaguardare l'eventuale compensazione legale del suo credito con quello del richiesto a rimborso ma, anche alla luce dei principi di buona fede e correttezza (art. 10 Statuto), prima dovrebbe richiedere al contribuente, ex art. 38 bis del d.P.R. 633/72, la garanzia fideiussoria.

Comunque la prestazione di idonea garanzia fideiussoria potrebbe essere anche  avanzata dallo stesso contribuente all'Agenzia e, in tal caso, l'Ufficio dovrebbe accettare tale garanzia in sostituzione della sospensione del rimborso Iva, in quanto non avrebbe alcun danno patrimoniale al riguardo, mentre il contribuente potrebbe essere pregiudicato economicamente  dalla mancata disponibilità delle somme oggetto di rimborso, a meno che la richiesta di rimborso  non risulti “prima facie”, manifestamente infondata.

Il contribuente, dalla motivazione del provvedimento, deve essere in grado di rilevare le ragioni che hanno portato alla sospensione “totale” o “parziale” del rimborso richiesto e le ragioni che hanno determinato la decisione dell'Amministrazione generalmente individuabili nella presenza di carichi pendenti a carico della società. Al riguardo la S.C. ha affermato che “in tema di diritti e garanzie del contribuente, l'art. 7 della L. 27 luglio 2000 n. 212 richiede di indicare "i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che determinano la decisione dell'Amministrazione", mirando a delimitare l'ambito delle ragioni adducibili dall'Ufficio nell'eventuale successiva fase contenziosa al fine di consentire al contribuente l'esercizio del diritto di difesa” (Cass n. 32208 del 12 dicembre 2018).

Quindi l'Ufficio deve indicare specificamente i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche alla base della decisione di sospendere il rimborso, che hanno consentito alla società contribuente di esercitare il proprio diritto di difesa.

 Tuttavia deve ritenersi che in caso di sospensione del rimborso l'obbligo della motivazione sia attenuato, in base all' orientamento della Cassazione circa l'obbligo di motivazione dell'Amministrazione in relazione agli atti di rigetto delle istanze di rimborso.

in tema di diniego di rimborso l'obbligo di motivazione si pone in maniera del tutto diversa rispetto a quanto, invece, accade con riferimento ai provvedimenti costituenti esercizio della potestà impositiva. Solo nei provvedimenti costituenti esercizio della potestà impositiva (o di quella di riscossione o sanzionatoria) la motivazione dell'atto deve essere esaustiva, essendo l'Amministrazione, quale parte attiva del rapporto in qualità di creditore, tenuta ad esplicitare le ragioni in fatto ed in diritto della pretesa azionata, anche in vista di una possibile impugnativa giurisdizionale dell'atto da parte del contribuente.

Invece alla motivazione del provvedimento di rigetto (equivalente, peraltro, al c.d. silenzio-rifiuto, del pari impugnabile) non può attribuirsi il carattere dell'esaustività -potendo ritenersi adeguata una motivazione del diniego che delinei gli aspetti essenziali delle ragioni del provvedimento, che si fondi sull'insussistenza dei presupposti per il rimborso e che si limiti anche solo a richiamare le norme di riferimento e gli eventuali provvedimenti adottati.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario