Assicurazione Partnership protection, liceità e tutela del soggetto vulnerabile nel passaggio generazionale. Una attuazione pratica della c.d. Legge Dopo di noi?
Alessandro Benni de Sena
21 Ottobre 2025
Il contributo prende in esame la questione del passaggio generazionale in presenza non solo dell'erede in pectore prescelto alla continuazione dell'attività di impresa, ma anche di un chiamato all'eredità “vulnerabile”. In particolare, si prende in esame lo strumento assicurativo (polizza Partnership protection o Key Man), anche alla luce della c.d. legge “Dopo di noi” n. 112/2016, che propugna un piano per il supporto dei disabili gravi dopo la perdita del sostegno dei genitori, con l'obiettivo di ridurre l'assistenzialismo e favorire l'indipendenza dei disabili, prevedendo, oltre alla maggiore detrazione fiscale per le polizze assicurative, un favor per trust, vincoli di destinazione exart. 2645 ter c.c. e fondi speciali.
Queste misure possono trovare una concreta attuazione tramite le assicurazioni PartnershipProtection, rispettosa dei limiti di legge a certe condizioni che si esaminano.
Passaggio generazionale e solidarietà intergenerazionale europea
È nota la questione del passaggio generazionale nell'impresa, per cercare di superare le strettoie del diritto successorio a causa di morte, date dalla rigida tutela dei legittimari, dal divieto dei patti successori cui aggiungere il divieto di sostituzione fidecommissoria, tutti limiti all'autonomia testamentaria e al supporto del passaggio generazionale.
A livello europeo, dopo la nota raccomandazione della Commissione del 1994 sulla necessità di favorire il passaggio generazionale delle imprese, oggi la questione si sta sviluppando anche verso il concetto di creazione di legami tra generazioni per il dialogo, la giustizia e la solidarietà intergenerazionali nell'Unione europea. Il tema viene inteso in senso ampio: il dialogo intergenerazionale e le influenze positive sullo sviluppo economico potrebbero dare risposte sostenibili alle esigenze di generazioni diverse, rafforzando la democrazia e la coesione sociale. Il Comitato Economico Sociale dell'Unione Europea nell'ottobre 2024 ha invitato la Commissione a pubblicare un Libro verde sulla solidarietà intergenerazionale, nel quale dovrebbero trovare spazio anche le proposte formulate dal Comitato nel parere sul tema Promuovere una solidarietà intergenerazionale europea, e in particolare quelle sul mondo del lavoro, i sistemi pensionistici e i servizi sanitari e di assistenza. Per sostenere queste iniziative, la solidarietà intergenerazionale dovrebbe essere uno degli obiettivi stabiliti nei regolamenti del Fondo sociale europeo per il periodo 2027-2034 (https://www.eesc.europa.eu/it/news-media/eesc-info/eesc-info-october-2024/articles/121131).
Il tema della “nuova” solidarietà endofamiliare intergenerazionale si affaccia preponderante alla luce del cambiamento sociale oggettivo (allungamento vita media, invecchiamento popolazione, frammentazione della famiglia, etc.) e con un tipo di economia non più dominicale, ma fondata sulla rendita e sui redditi.
Normalmente, nella questione del passaggio generazionale nell'impresa ci si pone nella visuale del c.d. erede in pectore continuatore dell'attività di famiglia che si vuole favorire. Tuttavia, tra i chiamati all'eredità vi può essere anche una persona “fragile” egualmente da tutelare.
Da qui anche l'interesse per l'opportunità di programmare la successione anche in presenza di una persona/futuro erede “fragile”, ovvero di assicurargli una fonte di reddito, oltre che del continuatore dell'attività.
Al riguardo, come noto, la c.d. legge “Dopo di noi” n. 112/2016 propone un piano per garantire il benessere, l'inclusione sociale e l'autonomia delle persone affette da disabilità grave e, soprattutto, un piano per il supporto dei disabili gravi dopo la perdita del sostegno dei genitori, con l'obiettivo di ridurre l'assistenzialismo e favorire l'indipendenza dei disabili.
Tra le misure previste, oltre alla maggiore detrazione fiscale per le polizze assicurative, vi è il favor per trust, vincoli di destinazione ex art. 2645 ter c.c. e fondi speciali (art. 6 l. n. 112/2016).
Dunque, il tema di indagine vede intersecarsi interessi diversi, ma comuni alla pianificazione ereditaria.
Come noto, il sistema della successione mortis causa (testamentaria, legittima, necessaria, vocazione, delazione dell'eredità, etc.) è considerata nella sola prospettiva formale, prescindendo dai contenuti economici della ricchezza relitta e, in linea generale dalla qualità dei soggetti chiamati all'eredità e alla natura dei beni caduti in successione, per cui i chiamati succedono in quote ideali nel patrimonio ereditario secondo le regole proprie di concorso, con la potestà di chiedere poi la divisione dei beni, in forza del c.d. principio dell'unità della successione, cui fanno eccezione pochissime ipotesi (le c.d. successioni anomale).
Riguardo alle istanze di rivisitazione del sistema successorio a causa di morte, come recentemente affermato dalla Corte Europea di Diritti Umani, non può essere riconosciuto l'esistenza di un diritto generale e incondizionato dei figli ad ereditare una parte del patrimonio dei loro genitori, atteso che l'art. 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione EDU non assicura il diritto di acquisire beni mediante successione, ma si limita a sancire il diritto di ciascuno al rispetto della “sua” proprietà (Corte EDU, sez. V, 15.02.2024, in Jus civile, 2024, 978).
In effetti, anche nel nostro ordinamento, le norme a tutela dei legittimari e più in generale il sistema della successione necessaria non sono attuative di diritti inviolabili dell'uomo e neppure hanno copertura costituzionale, per cui il legislatore ordinario può intervenire con il limite di non disconoscere la proprietà privata (arg. art. 42 Cost.) o le garanzie costituzionali legate al riconoscimento dei diritti della famiglia, al dovere dei genitori di mantenere i figli (artt. 29,30,31 Cost.), anche contro la volontà del testatore, in conformità all'officium pietatis. Pertanto, una ipotetica revisione della successione necessaria non può però spingersi fino a eludere del tutto i principi costituzionali che impongono il rispetto dei valori della reciproca solidarietà familiare.
I beni produttivi seguono una logica diversa e interessi diversi. La questione è complessa, perché vede intrecciarsi la famiglia al mercato/impresa. È un dato di fatto che l'impresa risponde a fattori quali competizione, efficienza, allocazione delle risorse e rischio, mentre la famiglia e la successione a solidarietà e protezione.
Nel bilanciamento famiglia-mercato, lo strumento testamentario viene talvolta ritenuto non adatto, alla luce dei suoi caratteri tipici (unilateralità, segretezza, revocabilità, inidoneità ad anticipare gli effetti traslativi rispetto al momento morte), ossia risulta non coerente col principio consensualistico sotteso alla logica imprenditoriale.
È ampia la ricerca per riconoscere validità a schemi contrattuali con effetti post mortem, diversi dai patti successori vietati. Si parla delle c.d. “alternative convenzionali al testamento” o successioni anomale per contratto” o ancora “negozi transmorte”, rispetto ai quali l'evento morte non rappresenta la causa giustificatrice dell'attribuzione patrimoniale, bensì mera condizione o termine dal cui accadimento viene fatta dipendere la produzione degli effetti giuridici del negozio stesso. La morte non ha rilevanza causale (che ne determinerebbe la nullità alla stregua della disciplina dei patti successori).
Il legislatore nazionale ha cercato di fornire una risposta introducendo, nel 2006, l'istituto del patto di famiglia (artt. 768 bis ss. cod. civ.), che, tuttavia, non sembra avere riscontrato il successo auspicato, sia per incertezze interpretative e rischio di contenziosi (anche con l'agenzia delle Entrate), sia per difficoltà operative (liquidazione, partecipazione al patto, etc.).
Le polizze Partnership protection o c.d Key Man e c.d. Legge Dopo di noi. Le questioni e gli interessi in considerazione
La polizza c.d. Partnership Protection (nota in Italia anche col nome di c.d. Key Man) è uno strumento assicurativo che può tutelare l'impresa nel caso di premorienza o disabilità della figura chiave (come dice la parola stessa), ossia l'imprenditore o amministratore, soggetto imprescindibile dell'attività di impresa: offre copertura in caso di morte o disabilità permanente della persona assicurata.
La prestazione assicurata sarà il pagamento di un capitale prestabilito al verificarsi dell'evento. Il capitale assicurabile è variabile e dipende dal caso concreto.
Tale polizza assicurativa può assumere una duplice funzione per l'azienda, permettendo alla stessa di utilizzare il capitale liquidato, sia per mettere in atto soluzioni per garantire liquidità dopo la perdita dell'uomo di riferimento, sia per liquidare agli eredi la quota del socio defunto, evitando di contrarre debiti o di intaccare il patrimonio per liquidare gli eredi qualora questi non volessero subentrare al socio deceduto.
Questa seconda possibilità è quella che ci interessa: lo strumento assicurativo può tradursi, come vedremo, in un mezzo per eseguire gli accordi per la gestione del passaggio generazionale (clausole statutarie, patto di famiglia, testamenti, etc.).
Di regola, contrattualmente la Contraente e la Beneficiaria è l'Azienda, mentre l'assicurato è il Key Man. Invero, a seconda di come la polizza è strutturata, il beneficiario del risarcimento può essere la società stessa, l'assicurato o i suoi eredi.
L'individuazione del beneficiario è centrale.
In Italia le polizze c.d. Key Man sono conosciute, sul piano giuridico, essenzialmente per la controversa questione fiscale della deducibilità (Cass. civ., sez. trib., 06 settembre 2024, n. 24022): la scelta del beneficiario assume un ruolo determinante nella possibilità per l'impresa di dedurre i premi versati ai fini fiscali. La deducibilità dei premi delle polizze key man è esclusa se difetta il requisito di inerenza, ove la relativa spesa non solo non presenti alcuna potenzialità in ordine alla produzione di utili, ma non appaia neppure collegabile all'impresa.
Questi aspetti “fiscali”, però, sono rilevanti anche ai fini della pianificazione “sostanziale”: se, infatti, beneficiari possono essere anche gli eredi o terzi, si pongono i consueti problemi, tra i quali la disposizione di cui all'art. 1923 c.c. a mente della quale sono salve, rispetto ai premi pagati, le disposizioni relative alla revocazione degli atti compiuti in pregiudizio dei creditori e quelle relative alla collazione, all'imputazione e alla riduzione delle donazioni.
L'individuazione del beneficiario nella società stessa costituisce un aspetto importante, perché, diversamente, si potrebbe correre il rischio che i premi versati integrino donazioni indirette, soggette a riduzione, piuttosto che alla sanzione di nullità per difetto di forma (atto pubblico).
Nell'assicurazione sulla vita, in generale, l'indicazione di un terzo come beneficiario di persona non legata al designante da un vincolo di mantenimento o di dipendenza economica, deve presumersi, fino a prova contraria, compiuta a spirito di liberalità e costituisce una donazione indiretta.
Allora, interessa circoscrivere il campo di indagine alle polizze dove Contraente e Beneficiario è l'azienda, mentre Assicurato è il Key man. In questo modo, come si vedrà meglio nel prosieguo, non appaiono operativi i limiti successori, trattandosi di negozi inter vivos volti a tutelare il bene azienda, così “disinnescando” alcune criticità successorie viste..
Ma perché questo “duplice” interesse per l'erede-imprenditore in pectore e il chiamato vulnerabile?
La partecipazione sociale, in quanto attività di impresa /rischio, non si concilia con le esigenze di tutela e cautela proprie delle persone vulnerabili. Si riproporrebbero i problemi delle autorizzazioni del giudice tutelare a fronte di delibere di voto in operazioni imprenditoriali, col rischio di intralciare l'attività di impresa.
La c.d. legge “Dopo di noi” n. 112/2016, come detto, propugna, soprattutto, un piano per il supporto dei disabili gravi dopo la perdita del sostegno dei genitori, con l'obiettivo di ridurre l'assistenzialismo e favorire l'indipendenza dei disabili, prevedendo, oltre alla maggiore detrazione fiscale per le polizze assicurative, un favor per trust, vincoli di destinazione ex art. 2645 ter c.c. e fondi speciali (art. 6 l. n. 112/2016).
Queste misure possono trovare una concreta attuazione utile nel caso in esame.
Soluzioni concrete di polizze Partnership protection. La combinazione con clausole societarie di continuazione
In via generale e a livello descrittivo vi possono essere quattro modelli:
innanzitutto, vi può essere un accrescimento automatico, attraverso un accordo statutario e convenzionale, in forza del quale i singoli soci/partner saranno responsabili della stipula della propria copertura assicurativa sulla vita, che dovrebbe coprire il valore della loro quota nell'azienda. In caso di decesso, la quota del socio deceduto verrebbe trasferita direttamente ai soci rimanenti e i fondi dell'assicurazione sarebbero destinati ai beneficiari del defunto come liquidazione per la loro partecipazione nella società. Questo tipo di accordo prevede l'inserimento delle polizze di assicurazione sulla vita in un trust per evitare implicazioni fiscali.
altra ipotesi è quella della compravendita: in base alle clausole statutaria, i partner rimanenti acquisteranno la partecipazione nella società. Analogamente all'accrescimento automatico, ogni partner stipulerà una polizza assicurativa sulla vita su se stesso, tranne che questa volta sarà versata in un trust a beneficio dei partner rimanenti, piuttosto che della loro famiglia o dei beneficiari.
altra variante applicativa passa attraverso il tradizionale patto di opzione, ove i soci superstiti acquistano e gli eredi vendono la partecipazione societaria.
un'altra configurazione prevede la stipula di un'assicurazione "vita di un altro": il Key Man sarebbe coperto da una polizza, ma non sarebbe titolare della polizza che lo copre, che normalmente della società stessa. Questa è l'ipotesi più nota in Italia nelle c.d. Key man, cui abbiamo fatto cenno.
È evidente che la soluzione assicurativa in esame ha uno stretto collegamento con le clausole statutarie di continuazione.
Astrattamente potrebbe porsi un problema di configurare un patto successorio vietato. Tuttavia, sia la giurisprudenza prima e poi la riforma del diritto societario hanno legittimato, a talune condizioni, queste clausole.
In estrema sintesi, la giurisprudenza (Cass. Civ., sez. II, 2 settembre 2020, n. 18198; Cass. civ., Sez. Un., 12.7.2019, n. 18831) tende a contenere il più possibile l'ambito di applicazione del divieto dei patti successori, distinguendo tra atti mortis causa (vietati) e con effetti post mortem (ammissibili), escludendo l'illegittimità delle clausole statuarie che attribuiscono ai soci superstiti di una società di capitali, in caso di morte di uno di essi, il diritto di acquistare (entro un certo tempo e secondo un valore da determinare secondo criteri prestabiliti) dagli eredi del socio defunto le azioni appartenute a costui e pervenute iure successionis agli eredi stessi (CASS. CIV., sez. I, 12 febbraio 2010, n. 3345, che conferma C.A. Brescia, 13 febbraio 2004; Cass. civ.., sez. II, 16 aprile 1994, n. 3609; Cass. civ.., sez. I, 29 dicembre 2011, n. 30020, che conferma C.A. Bologna, 16 aprile 2007): si tratta di clausole di consolidamento diverse dalle clausole che, invece, prevedono l'esonero dal pagare alcunché (o un valore simbolico o inadeguato).
Il momento della morte non costituisce la causa dell'attribuzione, ma semplicemente lo svolgimento effettuale di un rapporto già costituito in vita (non è un'attribuzione a causa di morte, ma post mortem o trans mortem).
In sostanza, le clausole non disciplinano la devoluzione della partecipazione sociale, ma l'esercizio dei poteri connessi allo stato di socio, che è regolato appunto dal diritto societario.
Con la Riforma del diritto societario del 2003 le nuove disposizioni dell'art. 2355-bis comma 3° cod. civ. per le s.p.a. e l'art. 2469 comma 2° cod. civ. per le s.r.l. confermano questo assetto giurisprudenziale.
In estrema sintesi, si prevede la possibilità di clausole di regolazione del trasferimento anche a causa di morte delle partecipazioni sociali, fermo il rispetto di limiti quali il diritto di recesso e della liquidazione.
Nel caso di morte del socio, la disciplina codicistica sulla trasmissibilità della quota di partecipazione distingue a seconda che si tratti di società di persone o di società di capitali, che qui possiamo solo ricordare.
Nelle società di capitali vi è un regime legale di continuazione, essendo previsto un effetto immediato di successione degli eredi nella titolarità della quota. Tuttavia, il codice civile consente allo statuto, ossia all'autonomia privata, di regolare diversamente la fattispecie, salvi impedire in concreto il trasferimento a causa di morte (per le s.r.l. art. 2469 cod. civ.).
Nelle società di persone, l'art. 2284 cod. civ. stabilisce che alla morte del socio sorge l'obbligo per i soci superstiti di liquidare la quota del de cuius, salvo che il contratto societario o un accordo successivo tra eredi e soci non preveda la continuazione con quest'ultimo.
Dunque, la regola generale nelle società di persone è che la morte del socio determina automaticamente lo scioglimento del vincolo sociale particolare. Tale regime è derogabile, tramite una clausola statutaria o un accordo che preveda la continuazione con gli eredi.
Per quanto ci interessa, le clausole di continuazione sono sostanzialmente di tre tipi: le clausole di continuazione facoltativa (gli altri soci sono obbligati, mentre gli eredi possono o non continuare la società), le clausole di continuazione obbligatoria (gli eredi sono obbligati a continuare la società ma se non la continuano gli altri soci dovranno contentarsi del risarcimento del danno), e, infine le c.d. clausole di continuazione automatica (con cui si stabilisce che l'accettazione dell'eredità comporti automaticamente la qualità di socio).
Nell'ambito questi tipi di clausole occorre operare delle distinzioni. In particolare, vengono ritenute valide sole quelle facoltative, mentre per le altre vi è notevole divergenza di opinioni.
La clausola di continuazione facoltativa attribuisce agli eredi del socio defunto il diritto (potestativo) di subentrare nella società al de cuius. Gli eredi, detto diversamente, sono titolari di un diritto potestativo di origine contrattuale, derivante dalla clausola che ha come scopo esclusivo la tutela dei loro interessi.
Consegue che gli eredi non divengono soci con la semplice accettazione di eredità ma, in forza di un autonomo atto di adesione. Dunque, l'ingresso degli eredi non avviene a titolo ereditario, ma in virtù di un negozio inter vivos.
È ritenuta ammissibile la clausola con obbligo di continuazione per i soci superstiti. In questo caso l'acquisto della qualità di socio per gli eredi non avviene per effetto dell'esercizio del loro diritto potestativo, ma per effetto della stipula del relativo contratto, cui i soci si obbligano. Non vi è dunque una successione automatica per effetto della scelta degli eredi, ma per effetto dell'obbligo di stipulazione assunto dai soci superstiti. In caso di rifiuto, incorrerebbero in un inadempimento contrattuale.
Diverso discorso occorre fare per le clausole di continuazione obbligatorie per gli eredi, ove l'ingresso in società degli eredi deriva da un obbligo ricompreso nell'asse ereditario.
Per i più, tale clausola sarebbe affetta da nullità, poiché l'interesse ad entrare in una società con una responsabilità illimitata o addirittura anche con la carica di amministratore non può essere oggetto di una disposizione contrattuale alla quale il soggetto titolare non abbia partecipato, trattandosi di diritto indisponibile collegato alla natura strettamente personale del rapporto sociale.
Del pari si dubita della legittimità delle clausole di continuazione automatica, che realizzano l'effetto della successione senza necessità di alcuna manifestazione di volontà, sia degli eredi, sia dei soci superstiti.
In giurisprudenza, tuttavia, si è ritenuto che «la clausola c.d. di continuazione automatica prevista nell'atto costitutivo di società in accomandita semplice - in forza della quale gli eredi del socio accomandante defunto subentrano, per intero, nella posizione giuridica del loro "dante causa" entro la compagine sociale, a prescindere da ogni loro manifestazione, di volontà - non contrasta né con la regola stabilita dall'art. 2322 comma 1 cod. civ., che espressamente prevede la trasmissibilità per causa di morte della quota di partecipazione del socio accomandante, né con l'art. 458 cod. civ., che con norma eccezionale non suscettibile di applicazione analogica vieta i patti successori, per non essere essa riconducibile allo schema tipico del patto successorio» (Cass. Civ., sez. I, 18.12.1995, n. 12906).
Infine, possono essere previste clausole di consolidazione e diritti di opzione.
Nel primo caso, attraverso la clausola di consolidazione ciascun socio dispone con effetto reale differito della quota di partecipazione di cui sarà titolare al momento della sua morte a favore dei soci superstiti in quel momento. Vi è un effetto reale, sia pure differito.
Nel secondo caso, l'opzione sulle quote societarie determina nel patrimonio ereditario l'obbligo per gli eredi di trasferire dette quote a favore di determinati soggetti superstiti che potranno esercitare il diritto di opzione. Vi è un effetto obbligatorio.
È discusso se la clausola di consolidazione integri un patto successorio vietato.
La consolidazione in sé, prevedendo la liquidazione che andrà devoluta secondo le regole ereditarie, non incide sulla libertà testamentaria; i patti successori vietati sono quelli che hanno per oggetto l'istituzione di erede e la costituzione, trasmissione o estinzione di diritti relativi ad una successione non ancora aperta, e facciano sorgere un vincolo giuridico.
Partnership protection e clausole di consolidazione
È evidente la combinazione dello strumento assicurativo con le clausole di consolidazione.
In tal modo, infatti, si potrebbe configurare un'operazione societaria, ove è la stessa società (contraente e beneficiaria) che utilizza il capitale ricevuto per liquidare le azioni e consolidarle ai soci superstiti, tramite un trust.
Si può porre il problema che è la stessa società, sostanzialmente, a liquidare gli eredi (tramite il capitale assicurato), favorendo i soci superstiti che nulla versano per la consolidazione.
L'operazione potrebbe essere intesa come un indebito vantaggio per i soci e vista come un sostanziale patto successorio tra i soci. Meglio, si potrebbe vedere l'utilizzo dello schermo societario per realizzare interessi “ereditari”, così rischiando di ritornare ai problemi iniziali: da una parte, l'applicazione dell'art. 1923 c.c. a mente della quale sono salve, rispetto ai premi pagati, le disposizioni relative alla revocazione degli atti compiuti in pregiudizio dei creditori e quelle relative alla collazione, all'imputazione e alla riduzione delle donazioni; dall'altra, l'integrazione per i premi versati di donazioni indirette, soggette a riduzione, piuttosto che alla sanzione di nullità per difetto di forma (atto pubblico).
Questo può non avvenire a patto di riconoscere una autonomia causale e un autonomo interesse societario all'operazione da valorizzare.
Sotto il profilo della causa dell'operazione, se questa viene identificata nella legittima esigenza di consentire una valutazione dell'interesse dei soci e dell'interesse della stessa società rispetto all'ingresso di terzi eredi nella compagine sociale, in un'ottica di garanzia di continuità dell'impresa, ritenuta meritevole di tutela, allora vi è spazio per riconoscere la possibilità che sia la società stessa a liquidare, col capitale ricevuto, gli eredi.
È stato sottolineato che le previsioni negoziali, inserite in contratti di durata connotati da un più o meno accentuato intuitus personae, proprio al fine di garantire il carattere infungibile della persona del contraente, possono legittimamente configurare il modo di essere dei rapporti tra i soci, accrescendo eventualmente il peso dell'elemento personale, rispetto a quello capitalistico, nella struttura dell'ente collettivo (Cass. civ., sez. I, 12 febbraio 2010, n. 3345 che conferma C.A. Brescia, 13 febbraio 2004; si veda anche Cass. civ., sez. II, 16 aprile 1994, n. 3609; Cass. civ., sez. I, 29 dicembre 2011, n. 30020, che conferma C.A. Bologna, 16 aprile 2007).
In generale, l'esigenza di garantire e preservare il valore dell'azienda nel passaggio generazionale costituisce uno scopo lecito e meritevole di tutela.
Così, l'operazione in esame non può essere considerata di per sé illecita, alla luce della concreta funzione che persegue e realizza, ossia il consolidamento della posizione apicale in favore del prescelto, con mezzi economici finanziati da terzi, volto a conservare e salvare il valore imprenditoriale, altrimenti a rischio. È la società stessa che persegue esigenze di natura organizzativa e di miglioramento strutturale e funzionale dell'azienda. La questione assume rilevanza in tema di elusione fiscale, dove viene esclusa in presenza di valide ragioni economiche delle operazioni: Cass. civ., sez. trib., 16.01.2019, n. 868; si veda anche Cass. civ., sez. trib., 14.01.2015, n. 439).
Allora, le operazioni di ristrutturazione aziendale non sono in sé e per sé illecite o volte a perseguire scopi in frode alla legge o al fisco, ma bene possono esprimere una funzione ed un interesse legittimo, riconosciuto e tutelato dalla legge.
Come anticipato, il contraente e beneficiario della polizza Key Man è la società stessa, quindi si pone il problema di giustificare l'utilizzo del capitale per l'acquisto delle azioni o quote a favore dell'erede in pectore.
L'operazione può avere una propria identità in quanto serva davvero ad una concentrazione e risulti avere una compagine sociale diversa da quella della società iniziale. Ad esempio, la polizza assicurativa sulla vita potrebbe venire versata in un trust o in un patrimonio destinato a beneficio dei partner rimanenti, così da liquidare gli eredi del socio Key Man.
Paradossalmente, proprio il ricorso anche ad uno strumento segregativo e/o separativo (che normalmente sconta una certa diffidenza), esecutivo e conforme alle previsioni statutarie, potrebbe avvalorare l'idea che l'operazione sia lecita e meritevole di tutela. Anche un trust (che spesso viene visto con sospetto da parte di creditori e contro-interessati) in una prospettiva di trasparenza dell'intera operazione (attraverso le clausole statutarie e gli accordi sociali) bene può assumere una veste degna di tutela.
In conclusione
Il rischio è che prevalga un'interpretazione che nega la valorizzazione di questi aspetti. Nel caso che ci interessa gli scopi meritevoli di tutela sono duplici: non solo la tutela del valore-azienda, ma anche la tutela della persona vulnerabile, peraltro prevista dalla c.d. legge “Dopo di noi” n. 112/2016.
Pur trattandosi di interessi potenzialmente non convergenti (il primo risponde al capitale di rischio non confacente alle esigenze di protezione e cautela del soggetto fragile, come visto), lo strumento assicurativo e separativo, anche alla luce della c.d. L. “dopo di noi”, bene può realizzare entrambi gli scopi, garantendo una pronta liquidazione del capitale all'erede vulnerabile.
Una pianificazione successoria “attiva e responsabile” (non demandata all'intervento legislativo), volta a tutelare sia il valore-impresa, sia un chiamato all'eredità vulnerabile, implica che il testatore (e non il legislatore) si deve fare carico responsabilmente di attuare le esigenze di solidarietà familiare e di tutela del patrimonio sottese al sistema successorio a causa di morte.
La ricerca di strumenti negoziali assicurativi rischia di essere vanificata da una applicazione estensiva del divieto dei patti successori e dei limiti successori, finendo per disattendere (inammissibilmente) la volontà del testatore e per frustrare gli interessi sia dell'erede-imprenditore in pectore, sia del chiamato vulnerabile.
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