Tutela del minore o violazione delle norme sull'immigrazione?

21 Ottobre 2025

Il fenomeno dell'immigrazione minorile in Italia è disciplinato dal d.lgs. n. 286/1998, che tutela il diritto all'unità familiare e consente, ai sensi dell'art. 31, al Tribunale per i minorenni di autorizzare la permanenza o l'ingresso di un familiare per gravi motivi legati allo sviluppo psicofisico del minore. La giurisprudenza ha oscillato tra un orientamento restrittivo, che limita tali motivi a situazioni eccezionali, e uno più aperto, che include qualsiasi danno grave derivante dalla separazione familiare o dallo sradicamento del minore. L'orientamento di merito tende a valorizzare per lo più l'integrazione del minore sul territorio. Sorgono pertanto perplessità di fronte a uno strumento molto diffuso e spesso usato per regolarizzare la posizione dei genitori stranieri.

Il quadro normativo

Il fenomeno dell’immigrazione coinvolge anche un gran numero di minori. Legge di riferimento nel diritto italiano è il “Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero” (d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286,) che prevede varie forme di tutela e ha come principio cardine il diritto all’unità familiare (art. 28). Rilevante in materia è l’art. 31 che prevede la possibilità per il Tribunale per i minorenni, “per gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico e tenuto conto dell’età e delle condizioni di salute del minore che si trova nel territorio italiano”, di autorizzare l’ingresso o la permanenza del familiare, anche in deroga alle altre disposizioni del T.U.

Detta autorizzazione, precisa la legge, è concessa per un periodo di tempo determinato ed è revocata quando vengono a cessare le ragioni che ne giustificano il rilascio, oppure quando il familiare autorizzato all’ingresso o al soggiorno pone in essere attività incompatibili con le esigenze del minore o con la sua permanenza in Italia.

L’interpretazione giurisprudenziale

L’istituto descritto può dunque derogare alle disposizioni in materia di immigrazione solo temporaneamente e solamente in presenza di “gravi motivi”. Gravi motivi che però non sono specificati dalla legge lasciando spazio alle soluzioni di volta in volta offerte dalla giurisprudenza di fronte alla eterogeneità dei casi concreti.

Si sono così riscontrati orientamenti interpretativi contrastanti.

L'orientamento più restrittivo

Le pronunce più risalenti hanno sottolineato l'eccezionalità e la contingenza dei motivi a base dell'autorizzazione a rimanere o a entrare in Italia. La Corte di Cassazione ha in questa linea di pensiero specificato che i gravi motivi devono essere correlati esclusivamente alla sussistenza di condizioni di emergenza, ovvero di circostanze contingenti ed eccezionali che pongano in grave pericolo lo sviluppo normale della personalità del minore, dal punto di vista fisico e psichico (Cass. 08 aprile 2009, n. 8519, Cass. 11 gennaio 2006, n. 396).

La situazione del minore, secondo tale linea interpretativa, deve essere grave al punto tale da richiedere il sostegno del genitore per fronteggiarla. I gravi motivi non vengono pertanto riscontrati, in quest'ordine di idee, in rapporto a situazioni che presentino carattere di normalità e tendenziale stabilità, né sussistono nei casi in cui si vuole salvaguardare una situazione di convivenza dei minori con il proprio genitore (Trib. min. Milano 19 marzo 2010). Il timore è che tutelando esigenze legate al normale processo educativo-formativo del minore si possa produrre il risultato di uno stabile radicamento nel territorio italiano del nucleo familiare aggirando le disposizioni in materia di immigrazione (Cass. 28 maggio 2008, n. 14063).

D'altro canto, si sottolinea, il diritto del minore a crescere ed a essere educato nell'ambito della propria famiglia trova adeguata garanzia nel riconoscimento del diritto all'unità familiare, regolato dagli articoli 29 e 30 T.U. che prevedono l'istituto del ricongiungimento, il quale può essere invocato solo nel caso in cui il genitore o il minore siano regolarmente presenti in Italia (Cass. 10 marzo 2010, n. 5856).

È stata così rifiutata l'autorizzazione che poneva come gravi motivi l'esigenza del minore di concludere il ciclo scolastico o addirittura l'intero processo educativo-formativo, sostenendo che la norma non è dettata allo scopo di tutelare le normali esigenze legate al regolare sviluppo psicofisico del minore, in difetto di circostanze ulteriori e gravi. Detta autorizzazione non può, perciò, essere rilasciata al familiare allo scopo di salvaguardare una situazione di integrazione del minore nel tessuto sociale, nonché allo scopo di conseguire condizioni di vita migliori rispetto a quelle godute o godibili nel Paese di origine o altrove (Cass. 02 maggio 2007, n. 10135). Si tratta infatti in questi casi di esigenze incompatibili con la natura temporanea ed eccezionale dell'autorizzazione, che viene concessa in deroga all'ordinario regime giuridico dell'ingresso e del soggiorno degli stranieri.

L'orientamento più aperto

Nel tempo si è andata affermando una diversa interpretazione sostenuta all'inizio per lo più dalla giurisprudenza di merito, ma successivamente accolta dalla giurisprudenza di legittimità. Secondo tale linea di pensiero l'art. 31, citato, non può essere interpretato in senso restrittivo in quanto tutela il diritto del minore ad avere rapporti continuativi con entrambi i genitori, anche in deroga alle altre disposizioni. La norma, si afferma, non richiede la ricorrenza di situazioni eccezionali o necessariamente collegate alla salute del minore, ma comprende qualsiasi danno grave che lo stesso potrebbe subire, sulla base di un giudizio prognostico, a causa dell'allontanamento del genitore o, altrimenti, dallo sradicamento dall'ambiente in cui è nato e vissuto, qualora segua il genitore espulso nel luogo di destinazione (da ultimo Cass. 30 settembre 2020, n. 20762).

Sono così state concesse autorizzazioni in considerazione della tenera età del minore, o del fatto che lo stesso avrebbe subito un pregiudizio nel suo equilibrio psicologico ad essere allontanato dal genitore. E ciò rileva anche se si tratta di un pregiudizio solo potenziale. Allo stesso modo gravi motivi sono stati ravvisati nel fatto che il minore avrebbe subito un trauma nel separarsi dall'ambiente che gli è familiare, anche in ambito scolastico. Si sottolinea in particolare che per un minore, specie se in tenerissima età, subire l'allontanamento di un genitore, con conseguente impossibilità di avere rapporti con lui, costituisca un sicuro danno che può porre in serio pericolo uno sviluppo psicofisico, armonico e compiuto (Cass. 19 gennaio 2010, n. 823).

Le sezioni unite

In questo contesto sono più volte intervenute le sezioni unite che hanno innanzitutto sottolineato la differenza tra le due ipotesi previste dalla norma in questione: il caso in cui ad essere richiesta è l'autorizzazione all'ingresso in Italia del familiare del minore e quello in cui invece lo stesso è già presente sul territorio e richieda l'autorizzazione a rimanervi (Cass. S.U. 16 ottobre 2006, n. 22216). In tal senso la Cassazione ha sostenuto che soltanto nella prima ipotesi è necessario che la presenza dei gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico del minorenne si sostanzi in una situazione attuale puntualmente dedotta e accertata dal T.M. Quando invece, la richiesta autorizzazione riguarda la permanenza del familiare che diversamente dovrebbe essere espulso, la situazione eccezionale nella quale vanno ravvisati i gravi motivi, potrebbe essere anche una conseguenza dell'allontanamento improvviso del familiare sin allora presente. Può, in altre parole, evitare l'espulsione anche, un pregiudizio per il minore, non ancora esistente, ma che potrebbe verificarsi a causa della separazione dal genitore o dello sradicamento del minore dal territorio.

Il perdurare del contrasto interpretativo ha richiesto un successivo intervento delle sezioni unite le quali hanno affermato che la temporanea autorizzazione alla permanenza in Italia del familiare del minore, prevista dal citato art. 31 in presenza di gravi motivi connessi al suo sviluppo psico-fisico, non postula necessariamente l'esistenza di situazioni di emergenza o di circostanze contingenti ed eccezionali strettamente collegate alla sua salute. In tal senso, rilevano i giudici, i gravi motivi possono comprendere qualsiasi danno effettivo, concreto, percepibile ed obbiettivamente grave che, in considerazione dell'età o delle condizioni di salute ricollegabili al complessivo equilibrio psico-fisico, deriva o deriverà certamente al minore dall'allontanamento del familiare o dal suo definitivo sradicamento dall'ambiente in cui è cresciuto. Trattasi di situazioni di per sé non di lunga o indeterminabile durata, e non aventi tendenziale stabilità che, pur non prestandosi ad essere preventivamente catalogate e standardizzate, si concretano in eventi traumatici e non prevedibili nella vita del fanciullo e che necessariamente trascendono il normale e comprensibile disagio del rimpatrio suo o del suo familiare (Cass. S.U. 25 ottobre 2010, n. 21799). Funzione della norma sottolinea la Corte è, palesemente, quella della tutela dell'interesse del minore e non invece quella della definitiva regolarizzazione degli adulti che gli sono familiari. Ciò spiega la temporaneità del provvedimento di autorizzazione al soggiorno, da sottoporre a periodica rivalutazione, a seguito della quale, ove la gravità della situazione permane, l'autorizzazione (significativamente prevista a tempo determinato) può essere prorogata.

Da ultimo le sezioni unite hanno ancora rilevato che il diniego all'autorizzazione alla permanenza sul territorio non può essere fatto derivare automaticamente dalla pronuncia di condanna a carico del genitore, per uno dei reati che lo stesso testo unico considera ostativi all'ingresso o al soggiorno dello straniero; nondimeno, aggiungono i giudici, detta condanna è destinata a rilevare, al pari delle attività incompatibili con la permanenza in Italia, in quanto suscettibile di costituire una minaccia concreta ed attuale per l'ordine pubblico o la sicurezza nazionale, e può condurre al rigetto della istanza di autorizzazione all'esito di un esame circostanziato del caso e di un bilanciamento con l'interesse del minore. In tal senso, pertanto, i gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico del soggetto minorenne hanno un valore normativo prioritario ma non assoluto, rispetto al doveroso ed all'effettivo giudizio di bilanciamento con le esigenze di ordine pubblico e sicurezza pubblica nelle ipotesi di pericolosità sociale di uno o di entrambi i genitori (Cass. S.U. 12 giugno 2019, n. 15750)

La giurisprudenza più recente

La giurisprudenza di legittimità più recente è tutt'ora contrastante. Si è da una parte affermato che i gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico sono rappresentati da situazioni oggettivamente gravi comportanti una seria compromissione dell'equilibrio psicofisico del minore, non altrimenti evitabile se non attraverso il rilascio della misura autorizzativa (Cass., 10 gennaio 2023, n. 355), e che non è sufficiente ad integrare i presupposti per il rilascio dell'autorizzazione l'esigenza di tutelare l'unità del nucleo familiare, ma è necessaria l'allegazione di un concreto pregiudizio che i minori rischino di subire per effetto dell'allontanamento del genitore (Cass., 11 febbraio 2022 n. 4496). Ciò significa che la relativa istanza dovrà fondarsi su un rischio di pregiudizio che trascenda “il normale disagio connesso all'allontanamento dal luogo di radicamento” (Cass.,10 febbraio 2020, n. 3029).

In tal senso si sottolinea che la disposizione di cui all'art. 31 non può essere intesa come volta ad assicurare una generica tutela del diritto alla coesione familiare del minore e dei suoi genitori, interpretazione che avrebbe l'effetto di superare e porre nel nulla la disciplina del ricongiungimento familiare (Cass., 16 gennaio 2020, n.773). La valutazione delle condizioni per il rilascio dell'autorizzazione non può pertanto esaurirsi in un giudizio sul radicamento del minore sul territorio italiano ma deve fondarsi sull'accertamento, secondo un giudizio probabilistico, del nesso causale, tra l'allontanamento coattivo del genitore e i verosimili effetti pregiudizievoli sull'equilibrio psico fisico del minore (Cass., 27 ottobre 2021, n. 30240).

D'altro canto, la stessa Corte sostiene che la vulnerabilità di minori nati in Italia ed integrati nel tessuto socio-territoriale e nei percorsi scolastici, deve essere presunta, in applicazione dei criteri di rilevanza decrescente dell'età, per i minori in età prescolare, e di rilevanza crescente del grado di integrazione, per i minori in età scolare. Ne consegue che la condizione di fragilità di tali minori deve essere ritenuta prevalente, sino a prova contraria, rispetto alle norme regolanti il diritto di ingresso e soggiorno degli stranieri sul territorio nazionale, dovendosi dare primario rilievo al danno che deriverebbe loro per effetto dell'allontanamento dal territorio in cui si sono radicati (Cass., 1 settembre 2020, n. 18188; Cass. 13 novembre 2020, n.25661, in IUS Famiglie 19 MARZO 2021, nota di Cirese, Autorizzazione all'ingresso o permanenza del genitore in Italia: i gravi motivi ex art. 31 d.lgs. n. 286/1998). La norma non pretende infatti, si sottolinea, la ricorrenza di situazioni eccezionali o necessariamente collegate alla salute del minore, ma comprende qualsiasi danno grave che potrebbe subire lo stesso, sulla base di un giudizio prognostico, nel caso dell'allontanamento dei genitori o del suo rimpatrio (Cass., 11 gennaio 2021, n. 197).

La giurisprudenza di merito

Di fronte a tali numerose e spesso contrastanti pronunce è interessante esaminare anche la giurisprudenza di merito. Molti sono i provvedimenti in materia, soprattutto in secondo grado, che accolgono il ricorso ex art. 31 (tra gli altri App. Venezia, 12 luglio 2024; App. Salerno, 15 gennaio 2019). In particolare, i giudici hanno per lo più accolto l’orientamento secondo cui l’autorizzazione all’ingresso e alla permanenza in Italia del familiare di un minore, non richiede necessariamente l’esistenza di situazioni eccezionali e attuali strettamente collegate alla salute dello stesso, ma può comprendere qualsiasi danno effettivo, obiettivamente grave, che possa derivare allo stesso dall’allontanamento del familiare o dal suo definitivo sradicamento dall’ambiente in sta crescendo. Occorre pertanto accertare la sussistenza di gravi motivi basati su una situazione oggettiva attuale e futura dedotta attraverso un giudizio prognostico quale conseguenza dell’allontanamento improvviso del familiare. Tra i principali aspetti da tenere in considerazione, secondo i giudici, spicca il radicamento nel territorio italiano, il cui rilievo presuntivo si sottolinea, è crescente con l’aumentare dell’età, in considerazione della prioritaria esigenza di stabilità effettiva nel delicato periodo di crescita del minore. In tal senso si è affermato che il danno può derivare dalla necessità, di trasferire, improvvisamente, i minori in un luogo del tutto diverso e da loro mai frequentato, dopo avere costruito significativi legami affettivi e sociali nel Paese in cui vivono (Trib. Min. Catania 16 aprile 2009) e dal separarsi dall’ambiente scolastico (T.M. Sassari 22 febbraio 2007). Allo stesso modo pregiudizievole per il minore può essere l’allontanamento del genitore, importante punto di riferimento per la sua crescita (T.M. Bologna 19 gennaio 2019).

Si è così ritenuta prevalente, fino a prova contraria, la condizione di vulnerabilità del minore rispetto alle norme che regolano il diritto di ingresso e soggiorno degli stranieri sul territorio nazionale, considerando quindi prioritario il danno derivante al minore e alle sue aspettative di vita in Italia a seguito del rimpatrio in un contesto socio-territoriale con cui questi non abbia in concreto alcun rapporto (App. Ancona, 20 novembre 2024).

Si afferma inoltre che l’esigenza di tutela dell’interesse del minore all’unità familiare e alla presenza del genitore prevale sulle norme relative alla permanenza dello straniero sul territorio pur nel caso di plurimi precedenti penali del richiedente (App. Milano 14 ottobre 2024. Nella specie secondo la Corte i precedenti penali del padre, seppure relativi a reati non bagatellari, non apparivano ostativi al rilascio del titolo temporaneo, atteso che non appare comprovata una perdurante e rilevante pericolosità sociale del genitore, al contrario l’allontanamento paterno dal Paese, in detta situazione, è ritenuto tale da privare il minore di un affetto fondamentale per la sua serena ed equilibrata crescita).

In questo contesto si sottolinea che beneficiari della disposizione possono essere, oltre ai genitori, gli altri familiari la cui presenza accanto al minore è stata ritenuta necessaria od utile in ordine a quei “gravi motivi” inerenti le esigenze di sviluppo psicofisico quali, il fratello maggiorenne del minore (in mancanza della figura paterna T.M. Roma, 14 novembre 2024), il nonno, (la cui presenza è stata ritenuta fondamentale per stabilità emotiva del minore, pur in presenza dei genitori T.M. Bari, 20 maggio 2016), nonché il marito della madre (c.d. genitore sociale App. Catania, 24 ottobre 2014).

La prassi

Posto l'orientamento di merito, per lo più favorevole alle istanze presentate, si è ormai diffusa nella prassi la consapevolezza che la presenza di un minore consente alle famiglie straniere di ottenere una regolarizzazione in Italia. Interessante, a questo proposito, è notare che secondo dati statistici del Ministero della Giustizia nel 2024 sono stati iscritti nei Tribunali per i Minorenni 66.297 procedimenti civili, tra questi più di 10.000 sono ricorsi ex art. 31.

Le famiglie straniere arrivano spesso con un visto turistico che scade dopo pochi mesi. Una volta trovata una sistemazione il minore viene iscritto a scuola.

Com'è ben noto, infatti, in Italia il diritto allo studio è costituzionalmente riconosciuto (art. 34 Cost.) e i minori stranieri presenti sul territorio sono soggetti all'obbligo scolastico. Ad essi si applicano tutte le disposizioni vigenti in materia di diritto all'istruzione, di accesso ai servizi educativi e di partecipazione alla vita della comunità scolastica (art. 38, D.lgs. 286/1998), indipendentemente dalla regolarità delle condizioni del loro soggiorno o di quella dei loro genitori (art. 45, comma 1, D.P.R. 394/1999).

Gli istituti scolastici accolgono questi minori nel migliore dei modi. La stessa legge richiede che la comunità scolastica accolga le differenze linguistiche e culturali come valore da porre a fondamento del rispetto reciproco, dello scambio tra le culture e della tolleranza; a tale fine promuove e favorisce iniziative volte alla accoglienza, alla tutela della cultura e della lingua d'origine e alla realizzazione di attività interculturali comuni. L'effettività del diritto allo studio viene inoltre garantita dall'offerta di corsi di lingua e da altre iniziative volte all'apprendimento dell'italiano (art. 38, D.lgs. 286/1998). Si prevede altresì la predisposizione di un PDP, Piano Didattico Personalizzato, pensato proprio per i NAI, ossia i Nuovi Arrivati in Italia, per consentire loro di concentrarsi solo sullo studio della lingua italiana per il primo anno consentendo così la migliore integrazione possibile.

Dopo qualche tempo, pertanto, il minore è integrato nella nuova realtà. I genitori, rivolgendosi al Tribunale per i minorenni, anche con l'ausilio di un avvocato (l'assistenza legale non è comunque obbligatoria) possono ottenere, mercè l'art. 31 citato, l'autorizzazione a restare in Italia. Come esplicitato infatti il radicamento sul territorio integra, per la giurisprudenza di merito, quei gravi motivi, che impediscono l'allontanamento del genitore.

La decisione di autorizzazione al soggiorno (come quella, più rara, all'ingresso) consente poi al genitore di ottenere il rilascio di un permesso di soggiorno che permette di svolgere attività lavorativa. Il permesso così ottenuto può essere rinnovato fino ai 18 anni del minore. Inoltre, attualmente, è possibile richiedere la conversione del permesso di soggiorno anche per assistenza ai minori in permesso per motivi di lavoro subordinato (ai sensi del d.l. 130/2020, convertito con l. 173/2020).

In conclusione

Fermo restando che nella maggior parte dei casi si tratta di famiglie in fuga da situazioni difficili, di ragazzi che si inseriscono a scuola con impegno anche perché trovano condizioni di vita migliori rispetto al loro Paese d’origine, e di genitori che vogliono lavorare ci si chiede se questa tutela comporti, per come è applicata, un modo per aggirare le norme sull’immigrazione e se quindi, posto che è spesso prassi consueta quella di trasferirsi in Italia e, atteso il tempo opportuno, presentare ricorso ex art 31, non sarebbe meglio che il Legislatore trovasse soluzioni differenti per queste famiglie.

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