Profili processuali della chiamata in garanzia nelle cause di responsabilità medica
Francesco Agnino
22 Ottobre 2025
Il contributo fa il punto sulle numerose problematiche poste, sul piano processuale, dalle frequenti chiamate in causa dei terzi nei giudizi di responsabilità medica.
Nozione di garanzia propria e garanzia impropria
Come noto, le ipotesi di garanzia propria sono state ravvisate in quei casi nei quali la struttura tipica dell'azione di garanzia sotto il profilo funzionale - che è sempre la pretesa a che taluno si faccia carico verso un soggetto, sulla base di un rapporto che si dice di garanzia, delle conseguenze sfavorevoli patite da quel soggetto sulla base di altro rapporto giuridico verso altro soggetto e, quindi, se esse si sono verificate all'esito del giudizio su di esso, della sua soccombenza verso quest'altro soggetto - trova una giustificazione già nella previsione di una norma che stabilisce essa stessa un collegamento fra il rapporto giuridico garantito ed il rapporto giuridico di garanzia.
Le ipotesi di garanzia impropria sono state invece ravvisate in quelle ipotesi nelle quali l'operare del meccanismo strutturale della garanzia non ha un referente per così dire preliminare ed astratto in una norma che prevede il collegamento fra il rapporto garantito e quello di garanzia, ma emerge perché un fatto storico, insorto nell'ambito di un rapporto giuridico fra due soggetti e sfavorevole ad uno di essi, integra, come accadimento della vita, e, quindi, in via del tutto occasionale, il presupposto per cui in un diverso rapporto, che lega quel soggetto ad un altro, è previsto (per lo più, si dice, in via negoziale) che una certa tipologia di fatti, cui quel fatto risulta ex post riconducibile, dia luogo all'insorgenza a favore del soggetto dell'altro rapporto ad un dovere di prestazione di garanzia, cioè di farsi carico delle conseguenze negative del fatto sfavorevole.
Il discrimine, però, come bene è stato sottolineato, risulta così più apparente che reale, perché, sebbene solo ex post - cioè solo quando la fattispecie concreta oggetto sia del rapporto che assume la consistenza di rapporto garantito e quella oggetto del rapporto che assume la funzione di rapporto di garanzia si verificano - anche nella garanzia impropria la comunanza di un fatto è necessaria per l'operare della garanzia.
Essa è solo rivelata non dalle fattispecie normativa regolatrici dei due rapporti, sebbene sempre all'esito della realizzazione di tali fattispecie in concreto, bensì esclusivamente dalla loro, per così dire, effettiva concretizzazione, la quale essa sola, potrebbe dirsi casualmente, determina la relazione di garanzia.
In pratica nelle ipotesi di garanzia propria la relazione di garanzia fra due rapporti è descritta già a livello normativo, ma ciò non toglie che le due fattispecie si debbano realizzare in concreto perché il fenomeno della garanzia operi. Nelle ipotesi di garanzia impropria quella relazione non è percepibile già a livello normativo, ma si rivela quando le fattispecie concrete dei due rapporti si verifichino.
In particolare, la garanzia propria sussiste nelle fattispecie in cui una previsione normativa pone in collegamento la posizione dell'attore e quella del garante, mentre la garanzia impropria è ravvisabile nelle ipotesi in cui non v'è spazio per dirette pretese tra di essi ed il nesso tra obbligo principale e di manleva passa per un mero accadimento storico (Cass., sez. un., n. 13968/2004; Cass. n. 8898/2014; Cass. n. 17688/2009; Cass. n. 1515/2007, per cui si ha garanzia propria a fronte dell'identità del titolo o in caso di connessione oggettiva tra diritto principale e diritto di manleva, unico essendo il fatto generatore delle due responsabilità, mentre ricorre garanzia impropria laddove detta connessione sussista in via meramente occasionale).
Il superamento della distinzione
Le Sezioni Unite (Cass., sez. un., sent., n. 24707/2015) hanno rilevato che, nell'ambito delle controversie aventi ad oggetto la responsabilità civile ed il risarcimento del danno, la distinzione tra garanzia propria ed impropria assume carattere meramente descrittivo ed è inidonea a qualificare diversamente la posizione processuale del terzo chiamato, tanto nella ipotesi in cui la chiamata in causa del terzo sia svolta esclusivamente al fine di rendere "opponibile" a quest'ultimo l'accertamento del rapporto principale - tra attore danneggiato e convenuto responsabile - che costituisce il fatto condizionante della esigibilità della prestazione di garanzia che il convenuto - se soccombente - potrà far valere nei confronti del garante eventualmente in un successivo giudizio, quanto nel caso in cui a tale domanda di accertamento (finalizzata alla opponibilità al terzo del giudicato) si aggiungano le domande di accertamento del rapporto di garanzia e/o l'azione di condanna all'adempimento della prestazione derivante dal rapporto di garanzia, quest'ultima proposta in via condizionata all'accertamento sfavorevole al garantito del rapporto principale.
L'arresto delle Sezioni Unite è dunque inteso ad affermare il principio secondo cui la predetta distinzione è priva di effetti sulla regola, ricorrente in tutti casi di chiamata del terzo in garanzia, della legittimazione del terzo chiamato a contraddire anche in ordine al rapporto principale e ad esercitare il potere di impugnazione sui capi della sentenza di merito concernenti l'accertamento del rapporto principale, il che non esclude affatto la irrilevanza della distinzione tra garanzia propria ed impropria al di fuori della regola indicata.
Ora la chiamata del terzo - estesa ai soli fini della estensione soggettiva del giudicato sul rapporto principale, con conseguente legittimazione del terzo a contraddire su tale rapporto di diritto sostanziale inter alios - comporta la instaurazione di un litisconsorzio processuale successivo tra tutte le parti (attore, convenuto, terzo chiamato) cui vengono estesi gli effetti dell'accertamento del rapporto principale, tra attore-danneggiato e convenuto-responsabile, che rimane pertanto - anche dopo la chiamata del terzo - l'unico rapporto obbligatorio oggetto del giudizio (come rilevato puntualmente dalle SS.UU., il giudizio si trasforma, a seguito della chiamata del terzo, in un processo trilatero, con conseguente "inscindibilità" ex art. 331 c.p.c. delle posizioni rivestite da tutte le parti processuali), e tale situazione si riproduce anche nel caso in cui a tale domanda di estensione soggettiva degli effetti dell'accertamento del rapporto principale resi opponibili al terzo, si aggiungano, da parte del chiamante-garantito (realizzandosi in tal modo una estensione dell'oggetto del giudizio per "cumulo oggettivo" di cause) la ulteriore domanda (condizionata o meno all'esito dell'accoglimento della domanda attorea principale) di "accertamento della esistenza e validità del rapporto di garanzia" ovvero ancora la ulteriore domanda (necessariamente condizionata all'esito di accoglimento della domanda attorea principale) di "condanna all'adempimento della prestazione indennitaria derivante da rapporto di garanzia".
Orbene la vicenda dei rapporti processuali tra le tre parti del giudizio, esaminata dalla sentenza delle Sezioni Unite, evidenzia come la natura "propria" od "impropria" della garanzia risulti indifferente esclusivamente ai fini indicati (estensione al terzo degli effetti dell'accertamento del rapporto principale; legittimazione del terzo alla impugnazione dei capi di sentenza relativi al rapporto principale; estensione della impugnazione effettuata dal solo garante o dal solo garantito anche al litisconsorte necessario processuale), non essendo dirimenti le osservazione propedeutiche, svolte in via di premessa generale nella medesima sentenza, secondo cui la distinzione predetta non trova riscontro negli artt. 32,106 e 108 c.p.c., atteso che tali norme concernono aspetti processuali peculiari (competenza; potere di chiamata; estromissione del garantito), e dunque non consentono di risolvere affatto, come vorrebbe invece il ricorrente, la diversa questione della "automatica estensione" della domanda risarcitoria svolta dall'attore nei confronti del convenuto, anche al terzo chiamato in garanzia (propria od impropria) dal convenuto, ai soli fini della estensione soggettiva dell'accertamento del rapporto principale, ovvero ampliando l'oggetto originario del giudizio anche al differente rapporto di garanzia (di cui il chiamante chiede l'accertamento od anche l'adempimento).
Irrilevanza della distinzione e questioni di competenza
Le stesse Sezioni Unite avevano evidenziato l'irrilevanza della distinzione tra garanzia propria e garanzia impropria, ai fini dell'applicazione dell'art. 6, comma 2 della Convenzione concernente la competenza giurisdizionale e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale firmata a Bruxelles il 27 settembre 1968, ratificata e resa esecutiva con l. n. 804/1971 - il quale prevede che, qualora sia proposta un'azione di garanzia o una chiamata di un terzo nel processo, il convenuto può essere citato davanti al giudice presso il quale è stata proposta la domanda principale, sempreché questa ultima non sia stata proposta per distogliere il convenuto dal giudice naturale del medesimo (Cass. n. 1971/2018; Cass. n. 8404/2012).
In altri termini, il giudice di legittimità aveva, ancorché riferito alla soluzione della sola questione di giurisdizione, già intrapreso la strada della svalutazione della distinzione tra garanzia propria e garanzia impropria.
Per affermare l'irrilevanza della distinzione tra garanzia propria e garanzia impropria sotto il profilo della competenza, sono stati in considerazione gli artt. 32,106 e 108 c.p.c., quali norme recanti la disciplina del rapporto di garanzia e della chiamata del terzo in giudizio per averne da questi la manleva.
In particolare, l'art. 32 c.p.c. non entra in gioco, se il convenuto si limita a chiedere che gli effetti per lui sfavorevoli si riversino sul terzo, perché in tal modo la sua chiamata di terzo non comporta uno spostamento di competenza.
In questo caso, l'esercizio dell'azione di garanzia si risolve nell'estensione al terzo della veste di parte nel giudizio, con tutti i poteri a contraddirvi e difendersi; nessuna conseguenza può essere attribuita al fatto che l'azione esercitata abbia natura di garanzia propria, invece che quella di garanzia impropria.
Analogamente, anche quando il convenuto chiede, con una apposita domanda, che sia accertato il rapporto di garanzia contro il garante, non ha alcun rilievo che la pretesa garanzia abbia natura propria o impropria, posto che il terzo assicuratore assume nel processo una posizione identica a quella del caso precedente.
In entrambe le situazioni la distinzione tra le due fattispecie di garanzia è priva di effetti pratici. Nell'una, la competenza rimane la stessa ed è inutile richiamare sia l'art. 32 c.p.c. che la detta distinzione. Nell'altra, il convenuto aggiunge una domanda, la quale resta, pur sempre, dipendente e pregiudicata dall'accertamento del rapporto principale.
Il cumulo di domande che consegue alla chiamata in giudizio ai sensi dell'art. 106 c.p.c. deve previamente rispettare il disposto dell'art. 32 c.p.c., ma può anche prescinderne.
Infatti, se il convenuto chiama il terzo garante per riversare su di lui gli effetti sfavorevoli della pronuncia, sul semplice assunto che esista il rapporto di garanzia, la sua chiamata conferisce al terzo la legittimazione processuale a contraddire e impugnare, senza che abbia rilievo la natura propria, o meno, della garanzia invocata.
Se il convenuto chiede anche l'accertamento del rapporto di garanzia (avendone interesse, per evitare la risoluzione del rapporto o per valersene in altre questioni), la posizione del garante non muta e resta irrilevante la natura della garanzia da accertarsi.
Analoghe considerazioni sono svolte a proposito dell'art. 108 c.p.c., relativo all'estromissione del garantito.
In altri termini, per le Sezioni Unite non esistono indici normativi che giustifichino l'attribuzione di conseguenze giuridiche diverse, dipendenti dalla distinzione tra garanzia propria e impropria. Anche per questo motivo, la detta distinzione va mantenuta soltanto a livello descrittivo delle varie fattispecie e deve essere abbandonata a livello di conseguenze applicative.
Pertanto, la competenza territoriale per connessione ai sensi dell'art. 32 c.p.c. sussiste anche a fronte di garanzia impropria, analogamente a quanto già statuito con riferimento alla portata internazionale dell'art. 6, n. 2, Convenzione di Bruxelles del 1968 (Cass., sez. un., n. 8404/2012; Cass., sez. un., n. 5965/2009). La Corte ha peraltro sottolineato come l'art. 32 c.p.c. operi solo a fronte della effettiva formulazione della domanda di manleva e non anche laddove il garantito, chiamando il garante in giudizio, abbia esclusivamente inteso vincolarlo all'eventuale accertamento dell'obbligo principale (Cass. n. 1375/1993): infatti, solo nella prima delle due ipotesi si verifica il cumulo delle cause simultaneamente trattate innanzi al giudice della lite principale ovvero a quello altrimenti competente per valore; l'estensione meramente soggettiva della lite ai sensi dell'art. 106 c.p.c. si direbbe pertanto ricadere, se del caso, nell'aura precettiva dell'art. 33 c.p.c.
Deve ritenersi superato il contrario orientamento a mente del quale in tema di competenza per territorio, con riferimento alla proposizione dell'azione di garanzia, poiché si ha garanzia propria quando la causa principale e quella accessoria abbiano lo stesso titolo, ovvero quando ricorra una connessione oggettiva tra i titoli delle due domande, e si configura invece la garanzia cosiddetta impropria quando il convenuto tenda a riversare su di un terzo le conseguenze del proprio inadempimento in base ad un titolo diverso da quello dedotto con la domanda principale, ovvero in base ad un titolo connesso al rapporto principale solo in via occasionale o di fatto, gli ordinari criteri di competenza territoriale, quali stabiliti dalla legge o contrattualmente indicati dalle parti, non rimangono derogati dalla chiamata in causa del soggetto da cui il chiamante pretenda di essere garantito a titolo diverso (garanzia impropria) da quello dedotto in giudizio e, ciò sulla base del principio del giudice naturale precostituito per legge ex art. 25, comma 1, Cost. (Cass. n. 8898/2014; Cass. n. 1515/2007; nella giurisprudenza di merito Trib. Napoli, 26 settembre 2017, n. 9573)
Le pronunce di legittimità che hanno costantemente richiamato la detta distinzione tra garanzia propria e garanzia impropria – al fine di farne discendere effetti applicativi diversi, in tema soprattutto di competenza e di litisconsorzio – presentavano caratteri apodittici, senza diffondersi in spiegazioni. Si è sempre sottolineato, ad esempio, la necessità di distinguere le garanzie proprie (personali quali la fideiussione e reali quali la garanzia per evizione) dalle garanzie improprie (che comportano un semplice collegamento a causa di ragioni di fatto economiche); infatti per queste ultime non vi è l'unicità del titolo (ad esempio nella vendita a catena, si può averi il caso in cui l'acquirente agisce contro il venditore ed il venditore contro il fornitore o il produttore). La connessione per garanzia propria può aversi anche in deroga della competenza per territorio ma non in deroga della competenza per valore; mentre la connessione per garanzia impropria non può aversi se vi è una competenza per territorio diversa per le due cause (non si può derogare la competenza per territorio); infatti per potersi avere la riunione è necessario che per le due cause sia competente territorialmente lo stesso giudice. Quindi la connessione per garanzia impropria pur dando vita alla riunione non da vita a modificazioni della competenza per ragioni di territorio.
Con la conseguenza che quando l'invocata garanzia era impropria, la relativa domanda non poteva essere proposta al giudice della domanda principale, nel caso di diversa competenza territoriale.
Si riproponevano le indicazioni assunte a fondamento della distinzione (identità dei titoli delle domande o loro connessione oggettiva, per la garanzia propria; diversità di titoli o connessione soltanto di fatto o occasionale, per la garanzia impropria) ma senza indicare quali ragioni giustificassero il porsi di una siffatta distinzione e perché questa distinzione dovesse ripercuotersi in conseguenze applicative difformi.
I recenti arresti di legittimità, tra i quali si inserisce la sentenza in commento, si sono addentrate in una motivazione intesa a dimostrare, partendo dal piano degli effetti, l'inutilità della cennata distinzione. Negandosi la diversità di conseguenze, infatti, si deve giungere a negare, prima ancora, l'importanza stessa della differenziazione che dovrebbe produrle.
Infatti, una differenza di effetti derivante dalla diversità tra la garanzia propria e la garanzia impropria non si giustifica in quanto non riposa su alcun indice normativo.
La pretesa differenza di effetti risponde, in realtà, ad una simmetria di categorie tutta dogmatica e concettuale: se può farsi una distinzione tra due situazioni, questa deve pur produrre conseguenze corrispondentemente diverse.
Carenza di legittimazione del terzo chiamato a proporre l'eccezione di incompetenza territoriale
La sesta sezione civile, seconda sottosezione, della Corte di Cassazione, con ordinanza n. 3803/2023 ha affermato che la carenza di legittimazione del terzo chiamato in garanzia a proporre l'eccezione di incompetenza territoriale è una affermazione costante nella giurisprudenza di legittimità.
Le Sezioni Unite, con sentenza n. 13968/2004 (e, più di recente Cass. n. 14476/2017) hanno affermato che, in tema di competenza per territorio, il terzo chiamato in causa ad istanza del convenuto il quale, ai sensi dell'art. 106 c.p.c., chieda di essere garantito, ma che non abbia proposto alcuna eccezione di incompetenza nei termini e nei modi di legge, non può eccepire l'incompetenza per territorio del giudice davanti al quale è stato chiamato, sia con riferimento alla causa principale, sia con riferimento alla sola causa di garanzia, ove si tratti di garanzia cd. propria.
La domanda di garanzia, che, ai sensi dell'art. 32 c.p.c. può essere proposta al giudice competente per la causa principale affinché sia decisa nello stesso processo, si riferisce alle ipotesi in cui il garantito, parte del nella causa principale, fa valere nei confronti di un terzo, il garante, il suo diritto ad essere tenuto indenne dalle conseguenze di un'eventuale soccombenza allorché, per contratto o per legge, il terzo sia tenuto a rilevare il convenuto dalle conseguenze dell'accoglimento della domanda dell'attore. La garanzia propria attiene quindi al godimento di diritti che si sono trasferiti (garanzia per evizione nella compravendita, nella donazione, nella permuta, nel trasferimento dei crediti) o costituiti (locazione) o di quella che derivi da vincoli di coobbligazione (fideiussione, obbligazioni solidali contratte nell'interesse esclusivo di uno solo dei debitori), che si caratterizzano tutte per una connessione tra la pretesa dell'attore (della causa principale) e la posizione del garante (chiamato in causa) particolarmente intensa.
Poiché la chiamata del terzo in garanzia nella causa principale costituisce una limitazione dell'esigenza costituzionale che il terzo non sia distolto dal giudice naturale precostituito per legge (art. 25 Cost.), lo spostamento della competenza della causa di garanzia si giustifica solo quando la connessione tra la domanda principale e quella di garanzia sia definibile secondo previsioni di legge relative ai rapporti sostanziali intercorrenti tra le parti processuali, e cioè si tratti della sola garanzia propria, non anche di quella impropria.
L'estensione automatica della domanda
Qualora il convenuto in un giudizio di risarcimento dei danni chiami in causa un terzo con il quale non sussiste alcun rapporto contrattuale, indicandolo come il vero legittimato passivo, non si versa in un'ipotesi di chiamata in garanzia impropria (o manleva), la quale presuppone la non contestazione della suddetta legittimazione, ma di chiamata del terzo responsabile, con conseguente estensione automatica della domanda al terzo che il giudice può e deve esaminare senza necessità che l'attore ne faccia esplicita richiesta (Cass. n. 24294/2016; Cass. n. 5580/2018).
Il principio dell'estensione automatica della domanda dell'attore al chiamato in causa da parte del convenuto non trova applicazione allorquando il chiamante, senza postulare la esclusione della propria responsabilità (ed anzi presupponendola), faccia valere nei confronti del chiamato un rapporto diverso da quello dedotto dall'attore come causa petendi, come avviene nell'ipotesi di chiamata di un terzo in garanzia, propria o impropria, o di azione condizionata di regresso nei confronti del terzo chiamato in coobbligazione. In tal caso è infatti rimessa in via esclusiva all'attore la scelta - alla stregua della situazione giuridica dedotta nell'atto di chiamata in causa - di proporre o meno autonoma domanda anche nei confronti del terzo chiamato (Cass. n. 25559/2008; Cass. n. 12317/2011; Cass. n. 8411/2016).
Relativamente alla ipotesi in cui il convenuto chiami un terzo in giudizio indicandolo come soggetto (cor)responsabile della pretesa fatta valere dall'attore e chieda, senza rigettare la propria legittimazione passiva, soltanto di essere manlevato delle conseguenze della soccombenza nei confronti dell'attore, il quale a sua volta non estenda la domanda verso il terzo, è stato affermato che il cumulo di cause integra un litisconsorzio facoltativo ed ove la decisione di primo grado abbia rigettato la domanda di manleva in sede di impugnazione dà luogo ad una situazione di scindibilità delle cause (Cass. n. 5444/2006; Cass. n. 23308/2007).
Occorre, pertanto, tenere distinto il piano della vicenda processuale che ricollega il rapporto di garanzia (propria o impropria) tra convenuto-chiamante e terzo-chiamato all'accertamento del rapporto principale (tra attore e convenuto) di cui si discute nel giudizio (secondo le soluzioni individuate da Corte Cass, sez. un., sent., n. 24707/2015), da quello attinente l'altra vicenda processuale nella quale il terzo viene evocato in giudizio dal convenuto sul presupposto dello stesso titolo di responsabilità, già acquisito all'oggetto del giudizio, e che, a seconda della domanda formulata nell'atto di chiamata in causa, può "eventualmente" - solo se viene proposta una nuova autonoma domanda di condanna da parte dell'attore - determinare un coinvolgimento dell'attore con il terzo-chiamato (è l'ipotesi in cui il terzo, che ha concorso a causare il danno, sia stato evocato a partecipare al giudizio, dal convenuto, come corresponsabile ma esclusivamente al fine di esercitare l'azione di regresso nei confronti del coobbligato: in questo caso il chiamato in causa non perde la qualità di litisconsorte facoltativo, sicchè, non diversamente dalla instaurazione del giudizio, è rimessa all'attore-danneggiato la scelta di agire o meno contro uno o più dei coobbligati solidali), ovvero, invece può determinare la necessaria (stante la ineliminabile alternativa dell'accertamento di responsabilità rispetto del convenuto o del terzo chiamato) estensione "automatica" al terzo chiamato della originaria domanda di condanna proposta dall'attore nei confronti del convenuto-chiamante (è l'ipotesi in cui il terzo è evocato in giudizio in qualità di esclusivo soggetto passivo - in luogo del convenuto - dell'azione esercitata dall'attore).
Sicché ove l'Azienda Ospedaliera – convenuta in base al titolo di responsabilità civile derivante exartt. 1218 e 1228 c.c. da inesatto adempimento del rapporto contrattuale avente ad oggetto le prestazioni di assistenza e cura – chiami in causa il proprio dipendente (medico-chirurgo), senza esplicitamente contestare il proprio titolo di responsabilità diretta (ossia senza escludere la propria legittimazione passiva rispetto all'azione risarcitoria, e senza contestare di essere titolare del rapporto obbligatorio instaurato con l'assistito), limitandosi a svolgere nei confronti del chiamato (co-rresponsabile nei confronti del danneggiato a diverso titolo - non rileva se per responsabilità extracontrattuale o invece per responsabilità da - contatto sociale qualificato - rispetto a quello dedotto a fondamento della originaria domanda proposta contro l'Azienda Ospedaliera) domanda di rivalsa -condizionata all'accoglimento della pretesa attorea - fondata sul distinto rapporto di lavoro dipendente, del quale veniva postulato l'inesatto adempimento in relazione alla esecuzione della prestazione professionale, ne segue che, non essendo stato il medico chiamato in causa in posizione di alternatività-incompatibilità con l'affermazione di responsabilità della Azienda Ospedaliera oggetto del rapporto principale, non sussistono le condizioni di oggettiva necessità che impongono di procedere unitariamente nei confronti di più soggetti - in posizione di reciproca esclusione - all'accertamento della "unico" soggetto responsabile, esigenza cui provvede la "automatica" estensione al terzo chiamato della originaria domanda attorea.
In tale evenienza, pertanto, è rimessa in via esclusiva all'attore la scelta di proporre o meno - in base al diverso titolo - autonoma domanda risarcitoria anche nei confronti del medico, in quanto coobbligato solidale in base a diverso titolo di responsabilità, rispetto al titolo di responsabilità della Azienda ospedaliera.
Non è di ostacolo a tale conclusione il nesso di "dipendenza" che lega, avuto riguardo alla responsabilità diretta della Pubblica Amministrazione e degli Enti pubblici exart. 28 Cost. per i fatti illeciti dei funzionari e dipendenti pubblici, l'accertamento della responsabilità dell'Ente con l'accertamento dell'illecito commesso dal funzionario (e quindi con l'accertamento della responsabilità del funzionario), atteso che se il fatto determinante la responsabilità della Amministrazione pubblica è solamente quello posto in essere dal funzionario, il titolo di responsabilità permane distinto, venendo in questione rapporti giuridici autonomi che danno luogo a cause distinte, se pure poste in rapporto di dipendenza, tale per cui la responsabilità della PA presuppone l'accertamento del fatto del dipendente (Cass. n. 16391/2009; Cass. n. 15709/2011; Cass. n. 1771/2012), venendo quindi chiaramente in evidenza come la domanda risarcitoria proposta dal danneggiato possa rivolgersi distintamente nei confronti della Amministrazione e/o del dipendente pubblico, le cui responsabilità appaiono compatibili e possono quindi cumularsi (secondo lo schema della coobbligazione solidale), non sussistendo pertanto alcuna situazione di alternatività-incompatibilità, in ordine all'accertamento di responsabilità richiesto dall'attore, che imponga la estensione automatica della domanda - proposta nei confronti del convenuto ente pubblico - al dipendente pubblico, chiamato in causa dall'ente ai fini dell'esercizio dell'azione di rivalsa, atteso che tale azione, non sottraendo l'ente alla originaria domanda proposta dall'attore, non individua una chiamata con indicazione di esclusivo responsabile tale da rendere alternativa-incompatibile la posizione del convenuto e del terzo nei confronti della medesima domanda risarcitoria proposta dall'attore, il quale pertanto è libero di proporre o meno autonoma domanda anche nei confronti del funzionario terzo-chiamato.
Irrilevanza della estensione al terzo in garanzia impropria, qualora sia stato indicato come "corresponsabile" del danno
La giurisprudenza di legittimità è assolutamente univoca nell'affermare che la estensione automatica della domanda implica che la chiamata in causa venga effettuata dal convenuto al fine di sottrarsi alla pretesa risarcitoria con "indicazione del terzo quale esclusivo responsabile" del danno: in tal senso l'automatico coinvolgimento del terzo nell'accertamento dello stesso rapporto obbligatorio che è già oggetto del giudizio, si giustifica pienamente, poichè essendo "unico" il rapporto da accertare (tale essendo il rapporto tra il danneggiato-attore e l'autore della condotta da cui è derivato il danno), si tratta solo di stabilire chi tra i due soggetti che negano di essere entrambi l'effettivo destinatario della pretesa risarcitoria sia il vero responsabile in via alternativa (il convenuto o il terzo), ovviamente fatta salva in ogni caso la facoltà dell'attore di rinunciare successivamente alla domanda - automaticamente estesa - nei confronti del terzo, laddove manifesti inequivocamente la volontà di insistere soltanto nella azione svolta contro la parte originariamente convenuta in giudizio.
Qualora, invece, il convenuto chiami in causa il terzo in base ad un "titolo diverso" da quello dedotto con il rapporto principale (tale essendo il caso di chiamata in garanzia propria o impropria, fondata su un rapporto giuridico - tra convenuto e terzo chiamato - "distinto" da quello principale - tra attore e convenuto - già oggetto del giudizio) per rendere opponibile al chiamato l'accertamento del rapporto principale (in quanto i fatti accertati vengono a porsi in relazione di logica presupposizione necessaria con le azioni derivanti dal "distinto" rapporto giuridico che lega il convenuto al terzo chiamato) oppure per essere soltanto manlevato dalle conseguenze negative dell'accoglimento della domanda attorea, e non contesti, invece, la propria titolarità passiva del rapporto principale, allora la estensione automatica della domanda non trova alcuna cogente giustificazione, atteso che l'eventuale accertamento della responsabilità del convenuto, non determina quale implicazione necessaria la esclusione di responsabilità del terzo chiamato, che invece rimane oggetto di accertamento autonomo, analogamente a quanto si verifica nelle ipotesi di litisconsorzio facoltativo - originario o successivo - laddove è rimessa alla scelta discrezionale dell'attore-danneggiato proporre "ab origine" la domanda giudiziale nei confronti di uno soltanto o più dei coobbligati solidali, ovvero di proporre - nella osservanza delle fasi e delle decadenze processuali - una nuova domanda anche contro il terzo chiamato in quanto ritenuto corresponsabile del danno per il medesimo titolo già dedotto in giudizio ovvero - eventualmente - anche a diverso titolo.
Inconferente, è il discrimine operato da Cass. n. 17688/2009, tra le ipotesi di garanzia propria e quelle di garanzia impropria, per cui "si ha garanzia propria quando la domanda principale e quella di garanzia hanno lo stesso titolo, o quando si verifica una connessione obiettiva tra i titoli delle due domande o quando sia unico il fatto generatore della responsabilità prospettata con l'azione principale e con quella di regresso; si ha, invece, garanzia impropria quando il convenuto tende a riversare sul terzo le conseguenze del proprio inadempimento o, comunque, della lite in cui è coinvolto, in base ad un titolo diverso da quello dedotto con la domanda principale".
Orbene il filo conduttore che lega i precedenti in questione, a ben vedere, non incide sui presupposti - indicazione del terzo responsabile - condizionanti la estensione automatica della domanda nei confronti del terzo chiamato, quanto piuttosto sulla interpretazione del contenuto dell'atto di chiamata in causa, in funzione del risultato che con lo stesso si prefigge il convenuto-chiamante. Quanto detto emerge in modo del tutto evidente dall'esame dei precedenti di Cass. n. 5400/2013; Cass. n. 23213/2015; Cass. n. 12598/2015, nei quali la questione da risolvere era quella di stabilire se la chiamata in giudizio compiuta dagli originari convenuti fosse stata una chiamata in garanzia (in tal caso non potendo ritenersi automaticamente estesa la domanda attorea) ovvero una chiamata del terzo responsabile (con conseguente estensione automatica della domanda attorea). In particolare dalla motivazione della sentenza n. 12598/2015, dalla quale il ricorrente trae esplicito argomento a sostegno della censura, si evince che in relazione ad una causa di merito in cui era stato convenuto un Condominio per danni cagionati a terzi, ed il Condominio aveva convenuto in giudizio - con domanda qualificata espressamente di "manleva" - la ditta appaltatrice cui aveva commissionato i lavori, il Giudice di legittimità ha applicato il principio per cui, indipendentemente dal "nomen juris" attribuito dalla parte chiamante alla azione svolta nei confronti del chiamato, l'atto notificato al terzo, in considerazione dello (domanda di manleva), la chiamata andava intesa quale indicazione di terzo responsabile del danno "dovendosi privilegiare l'effettiva volontà della chiamante in relazione alla finalità, in concreto perseguita, di attribuire al terzo la corresponsabilità dell'evento dannoso".
Appare evidente come - fermo il principio che riconosce la estensione automatica della domanda nel caso in cui tale effetto sia conseguenza della implicazione logica necessaria dell'esito dell'accertamento dell'"unico" rapporto controverso dedotto in giudizio, che non può compiersi altrimenti che nei confronti di entrambi i soggetti, convenuto e terzo chiamato - nel precedente richiamato, il presupposto necessario della unicità del rapporto da accertare venga recuperato attraverso un ricostruzione dogmatica della struttura della obbligazione solidale (fondata sulla unicità del rapporto tra creditore/debitore e "complesso plurisoggettivo" - considerato unitariamente - dei concreditori/condebitori in solido) prospettata da pur autorevole dottrina ma che è del tutto minoritaria rispetto alla prevalente opinione dottrinaria ed all'indirizzo giurisprudenziale assolutamente maggioritario (Cass. n. 998/2001; Cass. n. 14530/2009; Cass. n. 26008/2013; Cass. n. 21567/2017) che riconosce invece nella obbligazione solidale (così come strutturata secondo il modello mutuato dalla disciplina legale) una pluralità di rapporti obbligatori distinti, in quanto fondati su situazioni giuridiche riferibili a "ciascun" condebitore/concreditore e che si caratterizzano per un collegamento funzionale o di scopo (espresso dalla previsione legislativa dell'art. 1292 c.c. per cui l'adempimento per l'intero da parte di uno o conseguito da uno, estingue le posizioni debitorie degli altri ovvero libera il debitore verso gli altri creditori) in quanto i rapporti obbligatori hanno tutti per oggetto una prestazione avente il medesimo contenuto (eadem res debita) idonea a soddisfare l'interesse creditorio. Ne consegue, sotto il profilo processuale che qui interessa, che, qualora il creditore comune convenga in giudizio tutti i condebitori in solido non si verifica un litisconsorzio necessario in quanto, avendo il creditore titolo per rivalersi per intero nei confronti di ogni debitore, è sempre possibile la scissione del rapporto processuale, che può utilmente svolgersi anche nei confronti di uno solo dei coobbligati (Cass. n. 15358/2006; Cass. n. 24425/2006; Cass. n. 14530/2009).
Ed infatti nel caso in cui il convenuto in azione risarcitoria prospetti l'esistenza di una situazione che identifica un terzo come vero responsabile sul piano passivo della pretesa fatta valere dall'attore ma, senza postulare di sottrarsi, in forza di essa, alla responsabilità evocata dall'attore (e, dunque, senza rigettare la sua legittimazione sostanziale: ciò può accadere nelle ipotesi in cui l'attore abbia agito nei confronti del convenuto facendo valere la responsabilità oggettiva od indiretta per fatto altrui ovvero per responsabilità diretta sul presupposto di rapporto di immedesimazione organica), chieda soltanto di essere manlevato dal terzo dalle conseguenze pregiudizievoli derivanti dall'accoglimento della pretesa attorea, il giudizio sulla domanda principale e quello sulla domanda di garanzia restano, in tal caso, distinti e sono suscettibili di separazione ai sensi dell'art. 103 c.p.c., comma 2, ove di tale norma ricorrano i presupposti.
Nella descritta fattispecie non si determina l'estensione automatica della domanda dell'attore nei confronti del terzo chiamato in causa dal convenuto, in quanto la stessa opera solo quando tale chiamata sia effettuata dal convenuto per ottenere la sua liberazione dalla pretesa attorea (Cass. n. 5580/2018). In tal caso un ampliamento dell'oggetto del giudizio con la instaurazione di un nuovo rapporto processuale tra l'attore ed il terzo chiamato, con conseguente insorgenza un litisconsorzio necessario successivo, di natura processuale (cd. unitario), potrà verificarsi soltanto se, venendo a dubitare, in base allegazioni in fatto dell'atto di chiamato in causa, del soggetto effettivo autore dell'illecito al quale riferire la pretesa risarcitoria e ravvisando una situazione di potenziale incompatibilità tra l'affermazione di responsabilità del convenuto o del terzo, tale per cui la fondatezza della domanda risarcitoria nei confronti dell'uno comporterebbe la infondatezza della domanda nei confronti dell'altro, l'attore - nel rispetto delle fasi e dei termini di decadenza processuali - scelga di proporre una nuova domanda anche contro il terzo chiamato, onde far valere la responsabilità alternativa o dell'uno o dell'altro.
Non vi è luogo ad estensione automatica della domanda attorea nei confronti del terzo chiamato dal convenuto, tanto più nel caso in cui si invochi soltanto una responsabilità concorrente, realizzandosi in tal caso, sempre e comunque, una situazione di litisconsorzio facoltativo non dissimile da quella che nasce fin dall'inizio del processo, allorquando si invochi nei confronti di più responsabili una responsabilità solidale, rendendosi necessaria, anche in questo caso, una specifica iniziativa processuale dell'attore per rendere destinatario anche il terzo (coobbligato in solido) della pretesa risarcitoria fatta valere nei confronti dell'originario convenuto (Cass. n. 5444/2006 che ha sottoposto ad un approfondito esame gli aspetti processuali della chiamata in causa del terzo in relazione alla scindibilità ed inscindibilità delle cause connesse o dipendenti).
Rapporto oggettivamente unico
Anche in caso di rapporto oggettivamente unico, la presunzione su cui si fonda il principio dell'estensione automatica della domanda dell'attore al terzo chiamato (ossia che l'attore voglia la condanna del chiamato, pur avendo agito nei confronti del solo convenuto) non può operare se l'attore escluda espressamente che la propria domanda sia stata proposta nei confronti del terzo chiamato (Cass. n. 8411/2016).
Qualora ciò avvenga e l'attore si limiti a chiedere la sola condanna dell'originario convenuto, al giudice, in virtù del principio generale della domanda, è inibito il potere di emettere una statuizione di condanna nei confronti del stesso terzo e a favore dell'attore (Cass n. 998/2009, secondo cui, in tal caso, all'attore non è consentito di estendere successivamente la domanda condannatoria nei riguardi del terzo in appello, perché essa, configurandosi come nuova, incorrerebbe nella preclusione prevista dall'art. 345 c.p.c.).
Qualora, invece, l'attore non provveda all'esclusione esplicita, il giudice può direttamente emettere nei confronti del terzo chiamato una pronuncia di condanna anche se l'attore non ne abbia fatto richiesta, senza per questo incorrere nel vizio di extrapetizione (Cass. n. 20610/2011).
Si realizza, nei casi in questione (nei casi, cioè, in cui la domanda venga espressamente estesa al terzo oppure debba considerarsi estesa al medesimo), un ampliamento della controversia in senso soggettivo (divenendo il chiamato parte del giudizio in posizione alternativa con il convenuto) ed oggettivo (inserendosi l'obbligazione del terzo dedotta dal convenuto verso l'attore in alternativa rispetto a quella individuata dall'attore), ferma restando, tuttavia, in ragione di detta duplice alternatività, l'unicità del complessivo rapporto controverso (Cass. n. 13374/2007 e, nello stesso senso, Cass. n. 1748/2005;).
Le Sezioni Unite hanno chiarito che il principio dell'automatica estensione delle domande (nella specie, di risarcimento) al terzo che il convenuto abbia chiamato in causa, indicandolo come effettivo e diretto obbligato, non opera quando il terzo non abbia partecipato al giudizio in tale veste, ma sia in esso intervenuto per far affermare la propria qualità di titolare, in luogo dell'attore, del diritto da questi fatto valere a fondamento della domanda di risarcimento del danno. Incorre, pertanto, nel vizio di ultrapetizione il giudice che condanni, in questo caso, il terzo intervenuto al risarcimento del danno in solido con il convenuto (Cass., Sez. Un., 13 luglio 2007, n. 15756).
L'azione diretta nei confronti della compagnia assicurativa
Una questione particolarmente dibattuta è quella relativa alla possibilità per il ricorrente di convenire direttamente nel giudizio per ATP la compagnia assicurativa della struttura sanitaria, attraverso l'azione diretta introdotta e disciplinata per la prima volta nell'ambito della responsabilità medica dalla legge Gelli-Bianco.
L'art. 8, comma 4, della l. n. 24/2017 prevede espressamente che alla procedura di A.T.P. debba necessariamente partecipare anche la compagnia di assicurazioni della struttura ospedaliera e/o del sanitario, che - peraltro - è pure onerata di formulare una proposta risarcitoria o di indicare i motivi per cui non ritiene di non formularla.
Oltre a questa norma, il successivo art. 12 prevede la possibilità per il danneggiato di agire direttamente nei confronti della compagnia di assicurazioni, specificando però che nel giudizio così promosso sono litisconsorti necessarie anche le parti assicurate (la struttura ospedaliera e/o il sanitario).
L'efficacia di quest'ultima norma è tuttavia subordinata dall'adozione dei decreti ministeriali di cui all'art. 10, comma 6, l. n. 24/2017 e, può considerarsi allo stato operativa atteso che il decreto ministeriale menzionato nella norma risulta pubblicato in data 1° marzo 2024 (n. 232/2023) in esso essendo ricompresi proprio i requisiti minimi delle polizze assicurative come previsti dall'art. 10, comma 6, l. n. 24/2017 quale presupposto per l'azione diretta del danneggiato nei confronti della compagnia assicuratrice;
Dunque, l'azione diretta è ora possibile.
Questo potrebbe portare – rectius sicuramente porterà – i danneggiati a ritenere esercitabile l'azione diretta nei confronti delle compagnie già a far data dal 16 marzo 2024, ovvero dall'entrata in vigore del DM n. 232/2023.
L'art. 18 del medesimo testo recante le “norme transitorie e di rinvio” prevede tuttavia al co. II che “Entro 24 mesi dall'entrata in vigore del presente decreto, fermo restando quanto previsto dall'articolo 3, comma 8, gli assicuratori adeguano i contratti di assicurazione in conformita' ai requisiti minimi di cui al presente decreto nel rispetto delle disposizioni vigenti in materia”.
In linea di principio – e fatta salva l'ipotesi del rinnovo (che comporterebbe l'immediata revisione del testo) - gli assicuratori hanno così due anni per adeguare il contenuto delle loro loro polizze ai nuovi criteri fissati dal regolamento.
E sulla scorta di tale previsione e del combinato disposto dei citati articoli, il Tribunale di Cosenza – con sentenza n. 965 del 29 aprile 2024 - ha ritenuto inammissibile la domanda diretta proposta dall'attrice nei confronti della compagnia della struttura: ciò sia perché al momento dell'introduzione del giudizio l'azione diretta non poteva proporsi in mancanza dei decreti attuativi della legge Gelli (giudizio promosso nel 2021), sia perché, anche tenendo presente quanto previsto all'art. 18 del recente DM n. 232/2023, “..l'azione diretta non può ritenersi operante fino all'adeguamento dei contratti di assicurazione entro il termine di 24 mesi dall'entrata in vigore del decreto”.
Prima della sua attuazione si poneva un primo orientamento che si fonda sul presupposto per cui i soggetti che debbono partecipare al procedimento di accertamento tecnico preventivo sono gli stessi nei cui confronti il danneggiato intende esperire la azione di merito volta ad ottenere il risarcimento dei danni subiti. Pertanto, in considerazione del fatto che - ai sensi della legge Gelli-Bianco - la domanda risarcitoria di merito può essere esperita nei confronti della struttura sanitaria e/o del professionista sanitario nonché direttamente nei confronti delle rispettive compagnie assicurative ed in considerazione altresì del fatto che la suddetta azione diretta nei confronti della compagnia assicurativa potrà applicarsi soltanto dopo che verrà emanato ed entrerà in vigore il decreto ministeriale che individua i requisiti minimi che dovranno avere le polizze assicurative, attualmente il danneggiato può introdurre il giudizio di merito volto al risarcimento dei danni soltanto nei confronti della struttura o del professionista sanitario, ma non nei confronti della compagnia assicurativa. Conseguentemente l'impossibilità di agire direttamente nei confronti delle compagnie assicurative vale attualmente anche relativamente al giudizio per ATP.
Altro orientamento, invece, ammette la possibilità di agire direttamente nei confronti delle compagnie assicurative della struttura e del professionista sanitario limitatamente al procedimento per accertamento tecnico preventivo (nonostante tale azione diretta non sia ancora esercitabile nel giudizio di merito, fintanto che non verrà emanato il già citato decreto ministeriale). Ciò in considerazione del fatto che per garantire la tipica funzione conciliativa del procedimento è necessario che partecipino al medesimo anche le compagnie assicuratrici interessate nonché del fatto che tale necessaria partecipazione risulta anche dalla stessa lettera della legge Gelli-Bianco, secondo cui le assicurazioni sono parti del suddetto procedimento ed anzi sulle medesime grava anche l'obbligo di formulare una proposta conciliativa.
Inoltre, militano a favore dell'ammissibilità dell'esercizio dell'azione diretta in sede di ATP anche il fatto che tale procedimento si distingue dalla mediazione (la quale ha anch'essa finalità conciliativa ed è prevista dalla stessa legge Gelli-Bianco come alternativa rispetto al procedimento in esame) proprio in ragione del fatto che in via generale le compagnie assicurative non vengono coinvolte nella mediazione (a differenza di quanto accade nel procedimento per accertamento tecnico preventivo), nonché il fatto che nel giudizio di merito venga previsto l'obbligo a carico del giudice di condannare, indipendentemente dall'esito del giudizio medesimo, al pagamento delle spese legali e ad una pena pecuniaria - a vantaggio di coloro i quali hanno partecipato al procedimento per ATP - il soggetto che invece non vi abbia partecipato (Trib. Verona, 10 maggio 2018).
Pertanto, al procedimento per accertamento tecnico preventivo previsto dalla legge Gelli-Bianco debbono partecipare tutti coloro i quali vengano individuati dalla ricorrente come soggetti tenuti a risarcire i danni derivanti dall'evento di malpractice medica e pertanto tutte le parti del futuro ed eventuale giudizio di merito (Trib. Benevento, 24 ottobre 2018).
Dunque, l'azione diretta non sarebbe ancora possibile ma, nonostante ciò, la giurisprudenza di merito richiamata ha ritenuto comunque sussistente la legittimazione passiva della compagnia di assicurazioni nel caso di azione diretta del danneggiato.
La ratio si fonda sulla base del principio di economia processuale, osservando che nell'ipotesi in cui la compagnia di assicurazioni non fosse parte del procedimento, la consulenza ivi esperita non le sarebbe opponibile, con l'ovvia conseguenza che in un eventuale (e successivo) giudizio di merito che vedesse convenuto anche l'assicuratore la prova dovrebbe essere ripetuta.
Rebus sic stantibus si delineerebbe un quadro ove l'accertamento tecnico preventivo già oggi può essere promosso direttamente contro l'assicuratore, mentre per il giudizio di merito la legittimazione passiva della compagnia di assicurazioni scatterebbe solo con l'adozione dei decreti di cui all'art. 10, comma 6, l. n. 24/2017.
Tuttavia, deve segnalarsi che una soluzione siffatta è portatrice di conseguenze contraddittorie: l'accertamento tecnico preventivo può essere sin da subito promosso verso l'assicuratore mentre nel giudizio di merito, non essendo (ancora) possibile l'azione diretta (per assenza di decreti attuativi), l'attore dovrebbe aspettare (e confidare) che sia la struttura ospedaliera convenuta a chiedere la chiamata in giudizio della compagnia di assicurazioni.
La regolamentazione delle spese processuali sostenute dal chiamato in causa
Le spese sostenute dal terzo chiamato in giudizio a titolo di garanzia sono legittimamente poste a carico della parte che, rimasta soccombente, abbia provocato e giustificato la chiamata in garanzia(Cass. n. 4958/2017) e dunque a carico dell'attore, allorché questo sia risultato soccombente nei confronti del convenuto in ordine a quella pretesa che ha provocato e giustificato la chiamata in garanzia, senza che rilevi la mancanza di un'istanza di condanna in tal senso e sempre che non risulti la soccombenza del chiamato ovvero del chiamante (Cass. n. 18205/2007).
Quando, invece, la domanda di garanzia proposta dal convenuto nei confronti del terzo sia palesemente infondata, opera il principio della soccombenza nel rapporto processuale instauratosi fra di loro, anche quando l'attore sia, a sua volta, soccombente nei confronti del convenuto chiamante, atteso che quest'ultimo sarebbe stato soccombente nei confronti del terzo anche in caso di esito diverso della causa principale (Cass. n. 10070/2017; Cass. n. 8363/2010).
Le spese processuali sostenute dal chiamato in causa devono essere rifuse, infatti, dalla parte soccombente, e quindi da quella che ha azionato una pretesa rivelatasi infondata, ovvero da quella che ha resistito ad una pretesa rivelatasi fondata, sicché l'attore, il quale abbia visto accolta la propria domanda contro almeno uno dei convenuti, non può essere condannato alla rifusione delle spese di lite sostenute dal terzo chiamato in causa, laddove venga rigettata la domanda di manleva formulata dal convenuto nei confronti del chiamato (Cass. n. 5262/2001).
Nel giudizio svoltosi con pluralità di parti in cause scindibili ai sensi dell'art. 332 c.p.c., cioè cause cumulate nello stesso processo per un mero rapporto di connessione, infatti, la notificazione dell'impugnazione (nella specie, l'appello) e la sua conoscenza assolvono alla funzione di litis denuntiatio, così da permettere l'attuazione della concentrazione nel tempo di tutti i gravami contro la stessa sentenza, con la conseguenza che, non divenendo il destinatario della notificazione perciò solo parte del giudizio d'appello, non sussistono i presupposti per la pronuncia a suo favore della condanna alle spese a norma dell'art. 91 c.p.c., atteso che tale disposizione, oltre alla soccombenza, esige la qualità di parte e, dunque, una vocatio in ius (in tal senso, Cass. n. 2208/2012; da ultimo Cass. n. 32350/2022).
Ripetibilità delle spese legali sostenute dall'assicurato per resistere nel giudizio in suo danno e nel quale ha chiamato in garanzia il proprio assicuratore
L'art. 1917 c.c. disciplina l'oggetto del contratto di assicurazione per la responsabilità civile disponendo, al primo comma, che l'assicuratore è obbligato a tenere indenne l'assicurato di quanto questi dovrà risarcire ai terzi per i fatti coperti dalla garanzia assicurativa, il terzo comma recita: le spese sostenute per resistere all'azione del danneggiato contro l'assicurato sono a carico dell'assicuratore nei limiti del quarto della somma assicurata. Tuttavia, nel caso che sia dovuta al danneggiato una somma superiore al capitale assicurato, le spese giudiziali si ripartiscono tra assicuratore e assicurato in proporzione del rispettivo interesse.
Si tratta delle cd. spese di resistenza.
In base all'orientamento giurisprudenziale costante della giurisprudenza di legittimità, il soggetto che ha stipulato un'assicurazione contro i rischi della responsabilità civile, se convenuto in giudizio dal terzo danneggiato, ha diritto alla rifusione da parte del proprio assicuratore delle spese sostenute per contrastare la pretesa attorea, sussistendo tale diritto sia nel caso in cui la domanda di garanzia venga accolta, sia nel caso in cui resti assorbita, e può essere negato soltanto in due ipotesi: quando manchi o sia inefficace la copertura assicurativa (circostanza che spetta al giudice accertare anche incidentalmente); quando le spese di resistenza sostenute dall'assicurato siano state superflue, eccessive o avventate (Cass. n. 4786/2021)”.
In materia di assicurazione della responsabilità civile, l'assicurato ha diritto di essere tenuto indenne dal proprio assicuratore delle spese processuali che è stato costretto a rifondere al terzo danneggiato (c.d. spese di soccombenza) entro i limiti del massimale, in quanto costituiscono una delle tante conseguenze possibili del fatto illecito, nonché delle spese sostenute per resistere alla pretesa di quegli (c.d. spese di resistenza), anche in eccedenza rispetto al massimale purché entro il limite stabilito dall'art. 1917, comma 3, c.c., in quanto, pur non costituendo propriamente una conseguenza del fatto illecito, rientrano nel genus delle spese di salvataggio (1914 c.c.) perché sostenute per un interesse comune all'assicurato ed all'assicuratore; le spese di chiamata in causa dell'assicuratore non costituiscono invece né conseguenza del rischio assicurato né spese di salvataggio, bensì comuni spese processuali soggette alla disciplina degli artt. 91 e 92 c.p.c. (Cass. n. 18076/2020).
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Sommario
Carenza di legittimazione del terzo chiamato a proporre l'eccezione di incompetenza territoriale
L'estensione automatica della domanda
Irrilevanza della estensione al terzo in garanzia impropria, qualora sia stato indicato come "corresponsabile" del danno
L'azione diretta nei confronti della compagnia assicurativa
Ripetibilità delle spese legali sostenute dall'assicurato per resistere nel giudizio in suo danno e nel quale ha chiamato in garanzia il proprio assicuratore