Impugnazione inviata ad indirizzo PEC diverso da quello destinato al deposito degli atti

22 Ottobre 2025

È stata rimessa alle Sezioni Unite la seguente questione: è ammissibile l'atto cautelare inviato ad un indirizzo PEC dell'ufficio giudiziario destinatario, ma non indicato nel provvedimento del direttore di D.G.S.I.A. come deputato al deposito degli atti d'impugnazione, sempre che esso sia stato ricevuto e preso in carico dalla cancelleria del giudice competente entro il termine previsto per il deposito?

Massima

Nel sistema dell'art. 87-bis, comma 7, d. lgs. 150/2022 è ammissibile l'impugnazione trasmessa ad un indirizzo PEC non compreso nell'elenco previsto dal decreto del Direttore D.G.S.I.A. del 9/11/2020, ma comunque riferibile all'ufficio giudiziario competente a riceverla, quando essa sia stata ricevuta e presa in carico dalla cancelleria del giudice competente entro il termine previsto per il deposito dell'impugnazione?

Il caso

Il tribunale ha dichiarato inammissibile la richiesta di riesame presentata dall'indagato perché trasmessa per posta elettronica certificata ad un indirizzo diverso da quello individuato nel decreto del direttore della D.G.S.I.A del 9 novembre 2020.

Avverso questo provvedimento, l'indagato ha proposto ricorso per cassazione, deducendo violazione di legge e sostenendo che l'impugnazione, inviata ad un indirizzo di posta elettronica non indicato nel provvedimento del direttore della D.G.S.I.A. del 9 novembre 2020, ma comunque riferibile all'ufficio giudiziario destinatario, è pervenuta in tempo utile a tale ufficio.

La questione       

Nel sistema delineato dall'art. 87-bis, comma 7, lett. c), del d.lgs. n. 150 del 2022 è previsto che, fermo restando la disciplina delle cause di inammissibilità dell'impugnazione disciplinate dall'art. 591 c.p.p., nel caso di proposizione dell'atto a mezzo PEC, l'atto è inammissibile anche «quando è trasmesso a un indirizzo di posta elettronica certificata non riferibile, secondo quanto indicato dal provvedimento del Direttore generale per i sistemi informativi automatizzati di cui al comma 1, all'ufficio che ha emesso il provvedimento impugnato».

È ammissibile l'atto cautelare inviato ad un indirizzo PEC dell'ufficio giudiziario destinatario, ma non indicato nel provvedimento del direttore di D.G.S.I.A. come deputato al deposito degli atti d'impugnazione, sempre che esso sia stato ricevuto e preso in carico dalla cancelleria del giudice competente entro il termine previsto per il deposito?

Le soluzioni giuridiche

La Suprema Corte ha rilevato che il ricorrente ha ammesso di aver inviato l'atto di impugnazione ad un indirizzo PEC dell'ufficio giudiziario destinatario, ma non compreso nel provvedimento del direttore della D.G.S.I.A. Nonostante ciò, l'atto è pervenuto in tempo utile presso la cancelleria dell'ufficio giudiziario destinatario.

Tanto premesso, nell'ampio tema dell'invio dell'atto di impugnazione ad un indirizzo PEC diverso da quello indicato nel provvedimento della D.G.S.I.A. citato, comunque seguito dalla presa in carico della stessa da parte della cancelleria del giudice competente entro il termine previsto per il deposito dell'impugnazione sono distinguibili tre fattispecie:

  1. L'ipotesi in cui l'indirizzo PEC a cui è stata inviata l'impugnazione appartiene ad un ufficio giudiziario diverso da quello competente a riceverla;
  2. quella in cui l'indirizzo PEC che ha ricevuto l'impugnazione appartiene all'ufficio giudiziario competente a riceverla, ma non è ricompreso nel decreto del direttore di D.G.S.I.A. del 9 novembre 2020;
  3. l'ipotesi in cui l'indirizzo PEC a cui è stata inviata l'impugnazione appartiene all'ufficio giudiziario competente al riceverlo, è ricompreso nel suddetto decreto della D.G.S.I.A., ma non è deputato alla ricezione di questa tipologia di impugnazione.

   

Il primo caso è quello che si discosta maggiormente dalla previsione normativa.

In relazione a tale fattispecie e con specifico riferimento al caso in cui, nonostante l'invio ad un diverso ufficio giudiziario, l'atto è pervenuto in tempo utile a quello competente, con ordinanza della sez. I, n. 30075 del 01/07/2025, la Corte di cassazione ha sollevato questione di legittimità costituzionale della norma dapprima richiamata per violazione degli artt. 3 e 24 Cost.

In particolare, la questione è stata proposta auspicando una correzione dell'eccesso di formalismo regolatorio rinvenuto nella disposizione, la quale non consente alternative alla conseguenza dell'inammissibilità dell'impugnazione, dovendo, invece, escludersi la possibilità dell'applicazione del principio del favor impugnationis e di quello del raggiungimento dello scopo dell'atto, perché dettati per il deposito dell'impugnazione in forma cartolare e non telematica.

In ordine al terzo caso, concernente l'ipotesi in cui entrambi gli indirizzi di posta elettronica certificata, quello che ha ricevuto l'atto e quello che avrebbe invece dovuto riceverlo secondo il provvedimento del direttore di D.G.S.I.A., sono ricompresi nell'elenco accluso a tale provvedimento, la Suprema Corte ha rilevato che si sia formato un indirizzo giurisprudenziale che sostiene l'ammissibilità dell'impugnazione, quando l'atto è comunque pervenuto all'ufficio destinatario entro il termine utile di proposizione dell'impugnazione giudice.

Secondo questo indirizzo (Cass. pen., sez. VI, 9 novembre 2023, n. 4633, dep. 2024, in CED Cass. n. 286056-01), l'atto di impugnazione, sebbene inviato ad un indirizzo scorretto, è comunque stato trasmesso ad un indirizzo PEC “riferibile” all'ufficio giudiziario secondo il provvedimento del direttore di D.G.S.I.A., dovendosi, pertanto, escludere la configurabilità della causa di inammissibilità di cui all'art. 87-bis, comma 7, lett. c), d.lgs. cit.

La Corte, invece, ha ravvisato un contrasto sulla seconda ipotesi, quella in cui l'atto di impugnazione stato inviato ad un indirizzo PEC appartenente all'ufficio giudiziario destinatario ma non ricompreso nel provvedimento del direttore di D.G.S.I.A.

Un primo orientamento giurisprudenziale, infatti, ritiene che debba essere dichiarata l'inammissibilità dell'impugnazione ai sensi dell'art. 87-bis, comma 7, lett. c), del d.lgs. cit., non potendo farsi ricorso ai principi sul favor impugnationis sul raggiungimento dello scopo (Cass. pen., sez. II, 21 febbraio 2024, n. 11795, in CED Cass. n. 286141; Cass. pen., sez. I, 9 febbraio 2024, n. 25527).

Secondo questo indirizzo, il principio del favor impugnationis, espresso dalla sentenza Cass. pen., sez. un., 24 settembre 2020, n. 1626, dep. 2021, Bottari, in CED Cass. n. 280167, è relativo al solo deposito in luoghi fisici e non a quello in luoghi telematici, perché «il percorso telematico del ricorso risulta, ad oggi, disciplinato analiticamente dal legislatore che ha individuato sia le caratteristiche dell'indirizzo di posta elettronica emittente … che dell'indirizzo di posta elettronica ricevente …» (cfr. Cass. pen., sez. II, 21 febbario 2024, n. 11795).

Il suddetto principio, inoltre, è stato elaborato in un sistema in cui la disciplina delle impugnazioni non contemplava alcuna causa di inammissibilità legata al luogo del deposito, essendo la sanzione processuale derivante dalla sola tardività della proposizione dell'impugnazione (cfr. Cass. pen., sez. V, 31 ottobre 2025, n. 2458, dep. 2025).

Qualora si accedesse ad una diversa interpretazione, ancora, non si porrebbe rimedio ad un formalismo eccessivo, ma si cancellerebbe ogni requisito di forma in riferimento al deposito degli atti, tanto più che un provvedimento generale del ministero, facilmente accessibile anche da fonti aperte, riporta gli esatti indirizzi da utilizzare per il deposito degli atti (Cass. pen., sez. V, 1 luglio 2025, n. 28163).

Si esclude, infine, che tale orientamento possa entrare in conflitto con i principi espressi dalla Cedu, perché la stessa giurisprudenza della Corte Edu assicura agli Stati un ampio margine per l'imposizione di requisiti formali rigorosi ai fini dell'ammissibilità dell'impugnazione.

In consapevole contrasto con questo primo orientamento, nondimeno, si è posto un diverso indirizzo, accolto da Cass. pen., sez. VI, 17 aprile 2025, n. 19415, in CED Cass. n. 288084 – 01, secondo cui non è causa di inammissibilità la trasmissione dell'atto di gravame ad un indirizzo PEC diverso da quello specificamente designato per la ricezione, purché “riferibile” al medesimo ufficio giudiziario destinatario, sebbene non indicato tra quelli assegnati allo stesso ufficio giudiziario nell'elenco allegato al provvedimento del Direttore della D.G.S.I.A.

È stato sottolineato come la norma che stabilisce la causa di inammissibilità richieda espressamente che l'atto sia trasmesso a un indirizzo di posta elettronica certificata non “riferibile” all'ufficio che ha emesso il provvedimento impugnato, ma non anche che l'invio avvenga all'indirizzo specificamente deputato alla ricezione degli atti di impugnazione. Non si verifica la causa di inammissibilità se l'atto d'impugnazione fosse inviato a un indirizzo errato, ma ugualmente in uso da parte dell'ufficio giudiziario, cioè “riferibile” all'ufficio, seppur dedicato ad altri fini.

Si aggiunge che questa soluzione è resa doverosa dalle fonti sovranazionali sul giusto processo perché, se è vero che sulla materia della presentazione dell'impugnazione la Corte EDU riconosce agli Stati un ampio margine di apprezzamento, è vero anche che le restrizioni applicate non devono limitare l'accesso dell'individuo in una maniera o in un punto tale che il diritto ad un tribunale risulti pregiudicato nella sua stessa sostanza (Corte EDU, Garcia mani libardo c. Spagna n. 38695/97).

Osservazioni

1. L'art. 24, comma 6-sexies, lett. e), d.l. n. 137/2020, convertito, con modificazioni, nella l. n. 176/2020, stabiliva che l'impugnazione è inammissibile anche «quando l'atto è trasmesso a un indirizzo di posta elettronica certificata diverso da quello indicato per l'ufficio che ha emesso il provvedimento impugnato dal provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati di cui al comma 4 o, nel caso di richiesta di riesame o di appello contro ordinanze in materia di misure cautelari personali e reali, a un indirizzo di posta elettronica certificata diverso da quello indicato per il tribunale di cui all'articolo 309, comma 7, del codice di procedura penale dal provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati di cui al comma 4».

Questa ipotesi di inammissibilità è stata riproposta dall'art. 87-bis, comma 7, lett. c), del d.lgs. n. 150 del 2022, con una significativa differenza nella formulazione della norma.

Si è passati dalla formulazione «indirizzo di posta elettronica certificata diverso da quello indicato per l'ufficio che ha emesso il provvedimento impugnato dal provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati di cui al comma 4» alla formulazione «quando l'atto è trasmesso a un indirizzo di posta elettronica certificata non riferibile, secondo quanto indicato dal provvedimento del Direttore generale per i sistemi informativi automatizzati di cui al comma 1, all'ufficio che ha emesso il provvedimento impugnato».

2. Secondo l'orientamento prevalente (Cass. pen., sez. I, 29 novembre 2024, n. 47557, in CED Cass. n. 287294; in senso conforme, Cass. pen., sez. II, 21 febbraio 2024, n. 11795, ivi, n. 286141), è inammissibile il ricorso per cassazione depositato telematicamente presso un indirizzo di posta elettronica certificata diverso da quello indicato nel decreto del Direttore generale per i sistemi informativi automatizzati di cui all'art. 87-bis, comma 1, d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, non potendo accedersi ad una interpretazione della norma dirette a valorizzare la capacità del deposito non legittimo di raggiungere lo scopo a cui l'atto è diretto.

A favore di tale soluzione depone, in primo luogo, il principio generale dettato dall'art. 12 delle preleggi, in base al quale, nell'applicare la legge «non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore». Nel caso di specie, il dato letterale delinea la volontà di realizzare una semplificazione del procedimento di deposito dell'impugnazione con modalità telematiche che, tuttavia, impongono il necessario rispetto di specifici requisiti, tra i quali l'invio al corretto indirizzo di posta elettronica certificata. Legittimare la possibilità di scrutinare, caso per caso, l'effettività dell'inoltro del ricorso presso indirizzi di posta non abilitati implicherebbe, invece, l'affidamento della legittimità della progressione processuale ad imprevedibili – e non dovuti in quanto non imposti dal legislatore – controlli della cancelleria su caselle di posta non abilitate al ricevimento delle impugnazioni.

Ritenendo ammissibile anche l'impugnazione inviata ad un indirizzo a ciò non deputato, si contravverrebbe alla ratio di semplificazione delle comunicazioni e di accelerazione dell'iter processuale, che informa la revisione delle regole del processo penale effettuata dal d.lgs. n. 150/2022.

Analogo principio è stato affermato anche in relazione ad un caso in cui l'opposizione a decreto penale di condanna era stata depositata ad un indirizzo PEC indicato sul sito web dell'ufficio giudiziario che, tuttavia, era diverso rispetto a quello contenuto nel provvedimento del D.G.S.I.A., essendosi ritenuto che l'art. 87-bis, cit., contiene un inderogabile rinvio normativo ai soli indirizzi indicati nella fonte ministeriale che non ammette equipollenti (Cass. pen., sez. IV,14 novembre 2023, n. 48804, in CED Cass. n. 285399).

Anzi, è stato affermato che il difetto della riferibilità all'ufficio giudiziario della casella di posta elettronica di destinazione dell'impugnazione trasmessa a mezzo PEC (perché diversa da quella indicata dal provvedimento del 9 novembre 2020 emesso dal direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia, ai sensi del comma 4 del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con modificazione dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176) determina l'inesistenza giuridica dell'atto e, di conseguenza, l'inammissibilità dell'impugnazione (Cass. pen., sez. I, 17 aprile 2022, n. 28587; Cass. pen., sez. III, 29 aprile 2021, n. 26009).        

Il difetto della riferibilità all'ufficio giudiziario della casella di destinazione, difatti, pone in dubbio l'idoneità dell'invio dell'atto al raggiungimento dello scopo processuale che la legge gli affida, impedendo l'applicazione del principio di conservazione, giustificando la sanzione dell'inammissibilità.

Più di recente, è stato affermato che, ai sensi dell'art. 87-bis, comma 7, d.lgs. n. 150 del 2022, il tribunale del riesame deve dichiarare inammissibile la richiesta di riesame presentata all'indirizzo di posta elettronica certificata del giudice per le indagini preliminari che ha emesso l'ordinanza impugnata (Cass. pen., sez. I, 5 marzo 2025, n. 11165). 

3. Nella giurisprudenza di legittimità, peraltro, si è formato un indirizzo teso a limitare l'estremo rigore della tesi appena illustrata in due ipotesi:

1) quando l'atto è stato inviato ad altro indirizzo PEC dello stesso ufficio giudiziario destinatario, sempre che entrambi gli indirizzi siano riportati nell'elenco allegato al provvedimento del direttore dei D.G.S.I.A. (Cass. pen., sez. VI, 9 novembre 2023, n. 4633, dep. 2024, in CED Cass. n. 286056);

2) quando l'atto è stato inviato ad altro indirizzo PEC dello stesso ufficio giudiziario destinatario, ancorché tale secondo indirizzo non sia riportato nell'elenco allegato al provvedimento del direttore dei D.G.S.I.A. (Cass. pen., sez. VI, 9 novembre 2023, n. 4633, dep. 2024, in CED Cass. n. 286056).

La questione rimessa alle Sezioni unite riguarda solo tale ultima ipotesi, ancorché sia presumibile che la Corte approfitterà dell'occasione per una completa rivisitazione del tema.

Diversamente, con specifico riferimento al caso in cui, nonostante l'invio ad un diverso ufficio giudiziario l'atto è pervenuto in tempo utile a quella competente, con ordinanza della Sez. 1, n. 30075 del 01/07/2025, la Corte di cassazione ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 87-bis, comma 7, lett. c), d.lgs. n. 150 del 2022 per violazione degli artt. 3 e 24 Cost.

4. Anche l'orientamento che mira a limitare il rigore della causa di inammissibilità, tuttavia, ha ritenuto necessario riscontrare il raggiungimento dello scopo.

È escluso che, nel caso della trasmissione ad un indirizzo PEC non deputato alla ricezione del gravame, sulla cancelleria che riceve l'atto incomba l'obbligo di trasmissione degli atti all'ufficio competente, non essendo previsto dalla legge un simile obbligo.

La data di presentazione dell'impugnazione, inoltre, rilevante ai fini della tempestività dell'atto, è quella in cui l'atto perviene all'ufficio competente a riceverlo (Cass. pen., sez. VI, 17 aprile 2025, n. 19415, che richiama i principi espressi da Cass. pen., sez. un., 24 settembre 2020, n. 1626, Bottari, Rv. 280167).

Non si possono imporre alla cancelleria controlli non previsti dalla legge su caselle di posta elettronica non abilitate alla ricezione delle impugnazioni e il rischio della mancata tempestiva trasmissione alla cancelleria del giudice competente incombe unicamente sul ricorrente.

Anche la tesi incline a garantire la conservazione dell'atto che ha permesso il raggiungimento dello scopo, dunque, precisa che, qualora il ricorrente invii l'atto di impugnazione ad un indirizzo di posta elettronica certificata diverso da quello specificamente deputato alla ricezione di tali atti, assume il rischio che l'impugnazione, perché presentata ad un ufficio diverso, sia dichiarato inammissibile per tardività.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.