Scioglimento del cumulo e calcolo della liberazione anticipata sul presofferto per reati ostativi

24 Ottobre 2025

La Prima Sezione della Corte di cassazione ha investito la Corte costituzionale della questione di legittimità dell'art. 656, comma 4-bis, ultimo periodo, c.p.p., in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione nella parte in cui si fa divieto di applicazione della disposizione per i reati ostativi ricompresi nell'art. 4-bis ord. penit.

Massima

La Cassazione ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 656, comma 4-bis c.p.p., nella misura in cui viene precluso l'accesso ai benefici e alle misure alternative dalla libertà per quei condannati con cumulo di reati eterogenei e con reati di cui all'art. 4-bis ord. penit., nonostante vi siano quote di pena a titolo di presofferto, il cui scomputo per effetto della liberazione anticipata comporterebbe la sospensione dell'esecuzione della pena.

Il caso

Il caso trae origine dall'incidente di esecuzione proposto da V.S. il quale lamentava al giudice dell'esecuzione di aver subito un provvedimento di carcerazione ex art. 656, commi 4-bis, 5 e 9 lett. a) c.p.p. sostanzialmente erroneo perché il pubblico ministero nel calcolo complessivo del fine pena non aveva tenuto conto dei periodi di pena di presofferto a titolo di misura cautelare riferibili al reato ostativo di cui all'art. 4-bis ord. penit., il cui scomputo, specie per effetto di una valutazione da parte del magistrato di sorveglianza sulla liberazione anticipata, avrebbe portato il fine pena al di sotto degli anni quattro e pertanto avrebbe potuto essere sospesa con accesso alle misure alternative dalla libertà e non dal carcere. Si precisava inoltre che il periodo di presofferto era da attribuirsi per intero al reato ostativo di cui all'art. 4-bis ord. penit., perché riferito agli artt. 73 e 80, comma 2 del d.P.R. n. 309/90, e, pertanto, tale periodo di pena avrebbe dovuto essere considerato espiato per intero; la parte di pena residua, inferiore ad anni quattro, era invece da riferirsi a reati non ostativi e quindi sospendibile ai sensi dell'art. 656, comma 5 c.p.p. Tale tesi difensiva non veniva accolta dal giudice dell'esecuzione; avverso la decisione di rigetto la difesa presentava ricorso per cassazione: l'interpretazione offerta dal giudice dell'esecuzione, secondo la difesa, sarebbe stata contraria al generale principio della cd. scissione del cumulo, secondo il quale le ipotesi di ostatività “scompaiono” lì dove la pena relativa al reato ostativo – in un decreto di cumulo eterogeneo – sia stata già effettivamente scontata.

Si chiedeva, quindi, in sede di motivi aggiunti, di sollevare questione di legittimità costituzionale dell'art. 656, comma 4-bis c.p.p., nella misura in cui viene precluso l'accesso ai benefici e alle misure alternative dalla libertà per quei condannati con cumulo di reati eterogenei e con reati di cui all'art. 4-bis ord. penit., nonostante vi siano quote di pena a titolo di presofferto, il cui scomputo per effetto della liberazione anticipata comporterebbe la sospensione dell'esecuzione della pena.

La questione

La Prima Sezione della Corte di cassazione ha investito la Corte costituzionale della questione di legittimità dell'art. 656, comma 4-bis, ultimo periodo, c.p.p., in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione nella parte in cui si fa divieto di applicazione della disposizione per i reati ostativi ricompresi nell'art. 4-bis ord. penit.: stante il tenore letterale, infatti, laddove nel titolo esecutivo sia presente anche un solo reato di cui all'art. 4-bis ord. penit., tra gli altri non ostativi, il pubblico ministero deve comunque procedere alla messa in esecuzione del titolo, senza previa trasmissione degli atti al magistrato di sorveglianza per il calcolo della liberazione anticipata sul presofferto, anche se con tale scomputo la pena residua potrebbe essere inferiore ad anni quattro e quindi sospendibile ai sensi dell'art. 656, comma 5, c.p.p. In tal modo, si toglie efficacia agli effetti dello scioglimento del cumulo in caso di reati eterogenei, frustrando ogni possibilità di accesso alle misure alternative, nonostante periodi di pena fungibili o di presofferto.

Le soluzioni giuridiche

La Corte di cassazione, prima di entrare nel merito della questione di legittimità costituzionale, si è soffermata in modo analitico, sull'esame del comma 4-bis dell'art. 656 c.p.p., della sua ratio e della sua compatibilità con altre disposizioni e con i più ampi principi del sistema.

Come ha rammentato la Cassazione, il comma 4-bis dell'art. 656 c.p.p. è stato introdotto con l'art. 1 del d.l. n. 78 del 1° luglio 2013, convertito nella legge n. 94 del 9 agosto 2013 (nell'ambito delle misure volte a fronteggiare il fenomeno del sovraffollamento carcerario) e tende a rendere possibile la sospensione dell'ordine di esecuzione (di cui al co. 5 dell'art. 656 c.p.p.) attraverso il riconoscimento in via immediata della liberazione anticipata nelle occasioni in cui l'entità della “pena scontata” (sia in ragione della fungibilità tra custodia cautelare e pena che, appunto, in ragione della attribuzione dei periodi di liberazione anticipata maturati) renda possibile la sospensione della efficacia esecutiva del titolo. La Cassazione ha proseguito nell'argomentazione, precisando che: «Il meccanismo si pone in rapporto alla finalità essenziale dell'istituto della sospensione dell'ordine di esecuzione che, come è noto, è quella di consentire al condannato di proporre – da libero – la domanda di misura alternativa alla detenzione, evitando in tal modo l'ingresso di costui nel circuito carcerario», come peraltro, è stato evidenziato anche dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 41 del 2018. La Cassazione, per di più, ha anche aggiunto con pronunce recenti che la trasmissione degli atti dal pubblico ministero al magistrato di sorveglianza, secondo il meccanismo dell'art. 4-bis dell'art. 656 c.p.p. è atto vincolato, tanto da poter dar luogo, in caso di omissione, all'ipotesi di ingiusta detenzione per emissione del titolo non sospeso.

Tuttavia, è la stessa norma, nell'ultimo periodo, ad indicare che dalla disciplina di favore sopra descritta vengono esclusi tutti i reati ostativi di cui all'art. 4-bis ord. penit.: «Il legislatore, in buona sostanza, ha voluto escludere dal cono applicativo della disposizione i soggetti che, in rapporto ai contenuti del titolo esecutivo, risultino condannati per uno dei reati ricompresi nell'elenco di cui all'art. 4-bis ord. penit., senza operare distinzione alcuna tra l'ipotesi in cui l'attribuzione della liberazione anticipata (sul titolo ostativo) possa aprire la strada alla sospensione del titolo (che è, per l'appunto l'in sé della norma) e le altre».

Il giudice dell'esecuzione non ha quindi sbagliato nell'applicare pedissequamente il comma 4-bis dell'art. 656 c.p.p., perché il tenore del comma esclude da questo meccanismo tutti i reati di cui all'art. 4-bis ord. penit., come per il caso in esame di V.S.; però, secondo la Cassazione, il contrasto tra la disposizione e i principi costituzionali di cui, in particolare, agli artt. 3 e 27 Cost., è evidente e pertanto la questione di legittimità non solo non è manifestamente infondata ma è anche rilevante ai fini del decidere.

In primo luogo, la Cassazione ha aderito alla tesi della difesa sulla cd. “scindibilità del cumulo” che si applica, per pacifica giurisprudenza di legittimità, anche in presenza di cumulo di reati eterogenei, attribuendo, tra l'altro, la quota di pena già espiata ai reati ostativi di cui all'art. 4-bis ord. penit. (sul punto, sono intervenute anche la Corte costituzionale, con sent. n. 361/1994 e le Sezioni Unite Ronga del 1999, con riferimento al cumulo giuridico).

Più di recente, inoltre, le Sezioni Unite sono tornate a pronunciarsi, con la sent. n. 30753/2022, ribadendo il principio per cui in caso di cumulo di pene concorrenti deve ritenersi scontata per prima la pena più gravosa per il reo e rimarcando, in continuità alla prevalente interpretazione giurisprudenziale, come in ragione del principio della scindibilità del cumulo «una volta avvenuta l'espiazione della pena inflitta in ordine ai delitti ricompresi nell'art. 4-bis ord. pen. il divieto di concessione dei benefici penitenziari ai condannati per uno dei delitti ostativi non ha più ragione di operare». 

Sempre in aderenza alla prevalente giurisprudenza, la Cassazione ha ricordato che questi principi si applicano anche alla fase della sospensione dell'ordine di esecuzione: non sarebbe, al contrario, tollerabile, sul piano della libertà personale, la diversità di approccio tra pubblico ministero e giudice dell'esecuzione, sicché la sola conclusione è quella che vede l'applicazione del principio della cd. scindibilità del cumulo anche alla fase di cui all'art. 656 c.p.p. (così: Cass. pen., sez. I, sent. n. 3590/2019).

Da ciò deriva, secondo la giurisprudenza di legittimità, che la previsione di cui all'art. 656, comma 9 c.p.p. può trovare applicazione solo se la quota di pena riferibile al reato di cui all'art. 4-bis ord. penit. non è già stata interamente scontata.

Nel caso in esame, però, la quota di pena attribuibile al reato ostativo di cui all'art. 4-bis ord. penit. non risultava essere espiata per l'intero: la questione di legittimità costituzionale è, quindi, secondo la Cassazione, rilevante. È anche non manifestamente infondata per violazione dell'art. 27 Cost. e del finalismo rieducativo, rendendo obbligato il passaggio in carcere del condannato, e per violazione dell'art. 3 Cost., sotto il profilo della ragionevolezza, dato che così facendo il legislatore ha creato una disciplina differenziata di trattamento penitenziario, peggiorativo per i condannati con reati ostativi nel cumulo di condanne.

Il vulnus sulla ragionevolezza sta nel fatto che, con il meccanismo del comma 4-bis dell'art. 656 c.p.p., il legislatore ha voluto introdurre un rito semplificato di accesso alle misure alternative, per il tramite dello scomputo di periodi di pena già scontati in fase cautelare a titolo di liberazione anticipata, un istituto, che trova applicazione universale e non soffre di applicazioni differenziate per titolo di reato o per specie di pena (così: C. cost., sent. n. 274/1983).

Se poi si pensa che la liberazione anticipata viene applicata anche per i periodi di pena scontati a titolo di custodia cautelare, ovvia almeno sia stato espiato un semestre di pena e se il soggetto non si trovi in stato di custodia cautelare, allora si comprende anche che la situazione di un condannato con reati di cui all'art. 4-bis ord. penit. non differisce per nulla in sostanza rispetto a quella di un condannato senza reati ostativi: in entrambi i casi i condannati aspireranno ad una valutazione della liberazione anticipata sui semestri di pena espiati, per poter accedere da liberi al circuito delle misure alternative (e, in presenza, ovviamente, di tutti gli altri presupposti previsti per legge).

Secondo la Corte di cassazione, è evidente il dubbio di legittimità costituzionale, posto che dalla negazione di accesso (per il solo titolo di reato) ad un meccanismo esclusivamente procedurale che mira a semplificare la concessione (in presenza di presupposti) della liberazione anticipata deriverebbe un surplus di afflittività che non trova razionale giustificazione, posto che – per definizione il soggetto condannato che aspira alla sospensione del titolo non si trova sottoposto ad una misura custodiale, il che depone per l'assenza di pericula libertatis da contenere.

In sostanza, a conclusione, il diniego di applicazione del meccanismo di cui al comma 4-bis dell'art. 656 c.p.p. si risolverebbe in un pregiudizio “in rito” il cui fondamento non è di immediata percezione, ma i cui risvolti sostanziali comportano un pregiudizio grave nel trattamento penitenziario del condannato, il quale si vede costretto, indipendentemente dalla quota di pena già espiata e da quella, anche minore residua da scontare, ad entrare in carcere, senza nessuna valutazione da parte del magistrato di sorveglianza.

Osservazioni

Con tale ordinanza, la Cassazione ha sollevato un'interessantissima questione di legittimità, che, forse, a prima lettura, come ha detto anche la Cassazione, può sembrare di scarso interesse o quasi cavillosa, legata ad aspetti secondari del fenomeno dell'esecuzione penale: invece, ad un esame pratico dei titoli esecutivi, per chi frequenta le aule di giustizia, si sa che raramente vengono poste in esecuzione condanne riferibili a reati omogenei o, addirittura, ad un unico reato: nella prassi, è più frequente che si formino titolo esecutivi rappresentati da cumuli di condanne, al cui interno vi possono essere reati ostativi e non. Non solo, quindi, la questione sollevata non è secondaria, ma il suo accoglimento potrebbe riguardare numerosissimi casi e avere un impatto significativo sull'accesso dalla libertà di condannati.

Il fatto che la Cassazione si sia interrogata su una questione così tecnica, quanto rilevante nella prassi, sta a significare che l'attenzione per la materia è sempre molto alta e che, in questo momento, anche la Magistratura si sta muovendo nella direzione di suggerire soluzioni e percorsi che diano forma a interpretazioni costituzionalmente orientate di norme già esistenti, o di porre l'accento su questioni di legittimità costituzionali di disposizioni contenenti preclusioni e regimi differenziati. Certo la risoluzione di questa questione potrebbe portare a dignità una disposizione che non ha alcun senso logico, quanto meno sul piano della ragionevolezza, ma potrebbe portare all'aumento del numero di condannati cd. “liberi sospesi”: è evidente che, che si guardi da un lato, o che si osservi un altro, i problemi rimangono e un intervento più ampio e organico, da parte del legislatore sarebbe necessario e non più altrimenti rimandabile.

Ad ogni modo, ogni apertura è un continuo e costante progresso per la costituzionalizzazione dell'esecuzione penale e per la speranza di introdurre, anche se per via giurisprudenziale, meccanismi che riportino dignità al sistema penitenziario.

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