Omissione del dovere di vigilanza e custodia e responsabilità dell’RSA

24 Ottobre 2025

La Residenza Sanitaria Assistenziale (RSA) ha il dovere di vigilanza e custodia sul soggetto anziano e malato ricoverato?

Il caso specifico riguarda un soggetto invalido al 100%, affetto da demenza senile con gravi turbe di comportamento e parkinsonismo, ricoverato dalla figlia in una RSA, verso il pagamento di una retta mensile.

Durante la permanenza presso la Casa di riposo, durata per più di un anno e mezzo, l'anziana scompare e, dopo varie ricerche, viene ritrovata il pomeriggio del giorno successivo, a poca distanza dalla struttura, deceduta per assideramento.

La figlia decide di agire in giudizio per ottenere la condanna della RSA per omissione di vigilanza e custodia e il relativo risarcimento del danno biologico scaturente dalla perdita del rapporto parentale iure proprio, nonché del danno patrimoniale per le spese funerarie e per la perdita del contributo materiale familiare.

Il Tribunale, in primo grado, e la Corte di Appello, nel successivo grado di giudizio, condannano la RSA, concordando che la struttura è venuta meno agli obblighi di cura e salvaguardia nei confronti di una persona anziana e malata di Alzheimer, la cui condotta prevedibile aveva portato alla scomparsa e poi alla morte, riconoscendo alla figlia la sofferenza morale e il danno da perdita del rapporto parentale liquidato, unitariamente al danno biologico, nell'ambito del danno non patrimoniale.

Non hanno ostato a tali valutazioni le inefficaci previsioni regolamentari interne della RSA, né le dichiarazioni della figlia all'ingresso in struttura della madre, presentata come soggetto parzialmente autosufficiente e non pericoloso per gli altri.

Sul punto, si consideri che, di norma, la Residenza Sanitaria Assistenziale stipula con l'assistito un contratto atipico di spedalità che comporta a carico della struttura obblighi non solo di cura sanitaria, ma anche di salvaguardia del soggetto ricoverato senza che l'eventuale stato d'incapacità d'intendere e volere possa incidere su tali obblighi.

Nello specifico, ne deriva che il malato di Alzheimer, affetto da demenza senile, con gravi turbe di comportamento e parkinsonismo, deve essere salvaguardato tenendo conto delle caratteristiche di tali malattie, a nulla valendo eventuali clausole che cercano di limitare la responsabilità della RSA.

Ai fini della valutazione sulla sussistenza dei suddetti obblighi e della protezione della persona, nulla vale neppure l'eventuale stato di incapacità d'intendere e di volere della medesima, tanto più se il paziente è ricoverato da tempo e, quindi, ben conosciuto dal personale medico e di assistenza.

Ciò posto, si evidenzia che sia il Tribunale che la Corte d'Appello hanno, implicitamente e univocamente, fatto leva su nozioni di comune esperienza per cui, nel caso di rapporto di diretta discendenza come quello tra madre e figlio, sussistono, secondo acquisiti canoni di normalità che costituiscono patrimonio comune, conseguenze pregiudizievoli per la perdita del rapporto parentale, così come per la connessa sebbene distinta sofferenza morale, a prescindere dalla mancanza di una convivenza.

Nel caso in questione, peraltro, è emerso, con certificazione medica, un pregiudizio psichico chiaramente riconducibile al trauma della perdita che, dunque, era stata sofferta ed era riferibile a un rapporto effettivo.

La Corte distrettuale afferma con chiarezza che, in linea con quanto statuito dal Tribunale, si è trattato di responsabilità della struttura per fatto proprio derivante dal suddetto perfezionato contratto atipico di spedalità che deve ritenersi includere gli obblighi di vigilanza.

Tale attribuzione è stata correttamente individuata, ravvisandosi altresì, in iure, la responsabilità della persona dipendente a mezzo della quale l'ente agisce ai sensi dell'art. 1228 c.c. (responsabilità per fatto degli ausiliari).

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