È legittima la rilevanza penale della guida senza patente reiterata nel biennio

27 Ottobre 2025

Chi si pone alla guida di un veicolo senza aver superato l'esame di abilitazione, elude un sistema di regole procedimentali tese a selezionare i partecipanti all'attività di circolazione veicolare, al fine di contenere i rischi in questa insiti (pericolo presunto e astratto) per i beni primari della vita e dell'integrità fisica dei consociati. 

L'evoluzione del sistema sanzionatorio

- La contravvenzione del 1992.

La prima versione dell'art. 116 comma 13 C.d.S. recava un reato contravvenzionale punito con l'arresto da 3 a 12 mesi e con l'ammenda da 500.000 a 2 milioni di lire.

- La prima depenalizzazione dell'illecito del 1999.

Il d.lgs. 30 dicembre 1999 n. 507, ha proceduto ad amministrativizzare il reato di guida senza patente, cui venne conferito il presidio sanzionatorio del pagamento di una somma da 4 a 16 milioni di lire.

- La ripenalizzazione del 2007.

Il d.l. 3 agosto 2007 n. 117, convertito con modifiche nella l. 2 ottobre 2007 n. 160, ha portato alla riconversione sanzionatoria della violazione di cui all'art. 116 comma 13.

Mediante un'operazione di mera ortopedia giuridica che lascia inalterato l'arsenale sanzionatorio del quantum monetario, la guida senza patente è tornata a integrare un reato contravvenzionale, presidiato dall'ammenda “da 2.257 a 9.032 euro”, con possibilità di estinguere il reato mediante ricorso all'oblazione ai sensi dell'art. 162 c.p.

Nel caso di ripetizione specifica infrabiennale del reato era prevista “altresì” la pena dell'arresto “fino a 1 anno”.

- La riformulazione del 2013.

La completa riscrittura dell'art. 116 C.d.S. ha comportato il trasferimento della fattispecie sanzionatoria dal comma 13 al comma 15.

Se, da un lato, il fatto continuava a integrare un reato contravvenzionale, dall'altro, è cambiata la formulazione della norma.

Il nuovo comma 15, infatti, punisce “chiunque conduce veicoli senza aver conseguito la corrispondente patente” - id est di categoria diversa da quella richiesta.

Nel caso di “recidiva” specifica infrabiennale, era mantenuta l'aggravante recante, altresì, la pena dell'arresto fino a 1 anno.

- L'ulteriore depenalizzazione del 2016.

La tecnica di “depenalizzazione cieca” recata dall'art. 1 d.lgs. 15 gennaio 2016 n. 8 di tutti i reati puniti con la sola pena pecuniaria, ha comportato l'ennesima degradazione in illecito amministrativo della guida senza patente (art. 116 comma 15, I periodo), punita con la sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000 a 30.000 euro.

La già prevista ipotesi di recidiva nel biennio (art. 116 comma 15, II periodo), conformemente al disposto di cui al comma 2 dell'art. 1 d.lgs. n. 8/2016, diventa autonoma ipotesi di reato; infatti, ai sensi dell'art. 5 d.lgs. n. 8/2016, per “recidiva” è da intendersi la “reiterazione” dell'illecito depenalizzato.

Il caso

Il Tribunale di Firenze ha sollevato 4 gruppi di questioni di legittimità costituzionale:

  1. preliminarmente, dell'art. 1 comma 2 d.lgs. 15 gennaio 2016 n. 8, nella parte in cui - dopo aver disposto, al I periodo, che la depenalizzazione dei reati puniti con sola pena pecuniaria si applica anche ai reati che nelle ipotesi aggravate sono puniti con pena detentiva, sola, alternativa o congiunta a quella pecuniaria - soggiunge, al II periodo, che “In tal caso, le ipotesi aggravate sono da ritenersi fattispecie autonome di reato” e, in via consequenziale, dell'art. 5 d.lgs. n. 8/2016, in riferimento all'art. 76 Cost.;
  2. in via subordinata, dell'art. 116 comma 15 C.d.S., nella parte in cui dopo la depenalizzazione della fattispecie base del reato, continua ad attribuire rilievo penale alla guida senza patente nel caso di recidiva nel biennio, precedentemente configurata come ipotesi aggravata, in riferimento agli artt. 3,25 comma 2 e 27 comma 3 Cost.;
  3. in via ulteriormente subordinata, dell'art. 1 comma 2 d.lgs. n. 8/2016, nella parte in cui non prevede che, con riguardo alle ipotesi aggravate ora divenute fattispecie autonome di reato, il giudice continui ad applicare per il calcolo della pena la disciplina previgente, in riferimento all'art. 76 Cost.;
  4. in via di ulteriore ed estremo subordine, dell'art. 116 comma 15 C.d.S., nella parte in cui prevede che, nell'ipotesi di guida senza patente con recidiva nel biennio, si applichi la pena dell'arresto fino a 1 anno e dell'ammenda da 2.257 a 9.032 euro, anziché la pena dell'ammenda da 5.000 a 30.000 euro, in riferimento agli artt. 3,25 comma 2 e 27 comma 3 Cost.

Le questioni

Le questioni proposte al Giudice delle leggi attengono allo scrutinio di legittimità costituzionale, per asserito contrasto con: 

  • l'art. 76 Cost., per violazione dei principi e criteri direttivi della delega di cui alla l. 28 aprile 2014 n. 67, alla luce dei quali la depenalizzazione avrebbe dovuto investire l'intera fattispecie, tanto nell'ipotesi base, quanto in quella aggravata; e per inasprimento del trattamento sanzionatorio, perché le ipotesi aggravate vengono sottratte al giudizio di bilanciamento con eventuali circostanze attenuanti concorrenti, senza lacuna legittimazione da parte della legge delega;
  • gli artt. 3,25 comma 2 e 27 comma 3 Cost., in quanto nel far dipendere la rilevanza penale di un fatto, che per la generalità dei consociati costituisce illecito amministrativo, da una condizione personale dell'agente, avulsa rispetto all'offesa al bene giuridico protetto, in quanto non indicativa di un maggior pericolo per la sicurezza della circolazione stradale, si compromettono i principi di eguaglianza e di offensività del reato, nonché della funzione rieducativa della pena, dato che il condannato, cui venga inflitta per effetto della recidiva una pena (detentiva), in luogo di una semplice sanzione amministrativa pecuniaria, avvertirebbe la sanzione come ingiusta; e in quanto fa dipendere da un elemento estraneo al fatto di reato, quale la recidiva, l'applicazione di una pena detentiva, anziché (solo) pecuniaria.

   

Nel ritenere tutte le questioni non fondate, la Corte analizza le singole censure.

Sull'eccesso di delega

Il Giudice delle leggi ricorda che per costante giurisprudenza, l'art. 76 Cost. non osta all'emanazione, da parte del legislatore delegato, di norme che rappresentino un coerente sviluppo e completamento delle scelte espresse dal legislatore delegante, dovendosi escludere che la funzione del primo sia limitata a una mera scansione linguistica di previsioni stabilite dal secondo.

La legge delega 67/2014 persegue l'obiettivo di deflazionare il sistema penale, sostanziale e processuale, in ossequio ai principi di frammentarietà, offensività e sussidiarietà della sanzione criminale. La chiara finalità politico-criminale delle deleghe recate dalla suddetta legge è rinvenibile nell'esigenza di un alleggerimento del sistema penale coerente con il principio della extrema ratio del ricorso alla pena.

In sede di attuazione, il legislatore delegato si è posto il problema di stabilire se la depenalizzazione dei reati puniti con sola pena pecuniaria, dovesse estendersi alle figure criminose che rispondevano a tale condizione quanto alla fattispecie base, ma le cui ipotesi aggravate risultavano represse con pena detentiva.

Il Governo ha ritenuto di attribuire il massimo ambito applicativo alla clausola generale di depenalizzazione recata dalla legge delega, facendone beneficiare anche i reati indicati.

Tale soluzione asseconda e valorizza le generali finalità di deflazione del sistema penale sottese alla legge di delegazione.

Nell'operare in tale direzione, il legislatore delegato ha lasciato, tuttavia, doverosamente ferma la rilevanza penale delle fattispecie aggravate dei reati, per le quali la normativa prevedeva, in ragione del più accentuato disvalore del fatto, anche o soltanto la pena detentiva. Infatti, tali fattispecie non sarebbero potute rientrare nel perimetro applicativo del criterio di delega, il quale non riferiva la condizione di operatività della depenalizzazione cieca – reato punito unicamente con pena pecuniaria – alla sola fattispecie base, così da rendere irrilevante il diverso trattamento sanzionatorio eventualmente riservato alle ipotesi aggravate.

La trasformazione di tali ipotesi aggravate in fattispecie autonome di reato rappresenta, d'altro canto, un portato ineludibile della soluzione adottata: infatti le vecchie aggravanti non potevano sopravvivere come tali una volta venuta meno la rilevanza penale della fattispecie base.

Ne deriva l'automatica caducazione anche della censura mossa, in via consequenziale, alla disposizione di coordinamento di cui all'art. 5 d.lgs. n. 8/2016, in forza della quale, quando le ipotesi aggravate escluse dalla depenalizzazione si basano sulla recidiva, per tale deve intendersi “la reiterazione dell'illecito depenalizzato”, che costituisce corollario logico della soluzione adottata, non essendo più possibile riferire la recidiva a un illecito amministrativo.

Sul rilievo penale della guida senza patente in caso di recidiva infrabiennale

La Consulta osserva che la fattispecie in esame risulta significativamente dissimile da quella, evocata dal rimettente, sulla quale si è pronunciata con la sentenza n. 354/2002 - in cui la Corte aveva rilevato che, a seguito della depenalizzazione della fattispecie base del reato di ubriachezza recata dal d.lgs. n. 507/1999, la precedente condanna dell'agente per un delitto non colposo contro la vita o l'incolumità individuale, già integrativa di una circostanza aggravante, veniva ad assumere le fattezze di un marchio, che nulla il condannato poteva fare per cancellare e che valeva a qualificare come penalmente rilevante una condotta che, ove posta in essere da ogni altra persona, non configurerebbe illecito penale; la circostanza, poi, che il precedente penale che veniva in rilievo fosse evenienza del tutto estranea al fatto-reato e privo di una correlazione necessaria con lo stato di ubriachezza, rendeva chiaro che la norma incriminatrice finiva col punire non tanto l'ubriachezza in sé, quanto una qualità personale del soggetto, così che la contravvenzione assumeva i tratti di una sorta di reato d'autore, in aperta violazione del principio di offensività del reato.

Nel caso de quo, infatti, il precedente che viene in rilievo non può dirsi privo di correlazione con la condotta di guida senza patente sanzionata dalla norma censurata, essendo costituito dalla commissione, definitivamente accertata, del medesimo illecito. A quest'ultimo deve intendersi riferita, nel contesto della norma incriminatrice, la formula “nell'ipotesi di recidiva nel biennio”, non essendo dunque sufficiente la commissione di una violazione semplicemente della “stessa indole”.

La recidiva, d'altra parte, per assumere rilievo agli effetti dell'art. 116 comma 15, II periodo, C.d.S., deve manifestarsi entro un l'arco temporale circoscritto di 2 anni, a decorrere dall'accertamento definitivo del precedente illecito. Non si può ritenere, dunque, che tale accertamento assuma le fattezze di un marchio: decorso il biennio senza reiterazione della violazione, il soggetto torna a porsi – riguardo a eventuali successivi fatti di guida senza patente – nella medesima condizione della generalità dei consociati.

Nel caso in esame, in cui la recidiva (rectius la reiterazione dell'illecito) è configurata non quale circostanza aggravante, ma come elemento che determina il passaggio da una violazione amministrativa a una fattispecie di reato (pur in presenza del dato rappresentato dal fatto che la recidiva di cui all'art. 99 c.p. riguarda i soli delitti non colposi, mentre nella specie si discute di un illecito punibile anche a titolo di colpa), non appare riscontrabile il fenomeno di abnorme sopravvalutazione delle componenti soggettive.

Infatti, la guida senza patente rappresenta un illecito di significativo disvalore nel quadro di quelli contemplati dal codice della strada, consistendo nel compimento di un'attività intrinsecamente pericolosa per la sicurezza della circolazione stradale e, dunque, per l'incolumità di persone e cose, in difetto del titolo abilitativo che attesta l'idoneità del soggetto ad esercitarla.

Già nella disciplina previgente al d.lgs. n. 8/2016, quando il fatto assumeva rilevanza penale, la recidiva nel biennio provocava un mutamento qualitativo della risposta punitiva, essendo configurata come circostanza aggravante autonoma, che implicava l'aggiunta di una pena detentiva alla pena pecuniaria prevista per l'ipotesi base. La trasformazione di quest'ultima in illecito amministrativo ha ampliato lo scarto, senza con ciò rendere la reazione sanzionatoria, in caso di reiterazione in un ristretto arco temporale della medesima violazione, eccedente i limiti della proporzionalità al fatto.

Si tratta, invero, di un reato contravvenzionale, punito bensì, oltre che con la pena dell'ammenda (di ammontare, peraltro, inferiore a quello della sanzione amministrativa), anche con la pena dell'arresto, ma in limiti edittali contenuti – fino a 1 anno, e dunque con un minimo di soli 5 giorni, ai sensi dell'art. 25 c.p. – e tali da rendere la pena detentiva sostituibile con quella pecuniaria, anche se applicata nella misura massima, ai sensi dell'art. 53 comma 1 l. n. 689/1981.

Infine, la conclusione non appare inficiata dal rilievo che la recidiva prevista dall'art. 116 comma 15 C.d.S., diversamente da quella contemplata dall'art. 99 c.p., non abbia carattere facoltativo in quanto non richiede ai fini della sua applicazione una verifica in concreto da parte del giudice della significatività della nuova violazione quale indice di una più accentuata colpevolezza e pericolosità dell'agente. Infatti, i due principali elementi sui quali tale verifica deve basarsi – natura e tempo di commissione dei fatti precedenti – formano nella specie oggetto di tipizzazione normativa: medesima violazione, con reiterazione entro un ristretto lasso temporale.

Sul calcolo della pena per l'autonoma fattispecie di reato

La Corte rileva che la pronuncia richiesta dal rimettente – prevedere che, con riguardo all'ipotesi trasformata in fattispecie autonoma di reato, il giudice continui ad applicare per il calcolo della pena la disciplina sanzionatoria prevista prima della (ultima) riforma – darebbe luogo a un assetto extra ordinem e del tutto asistematico: il giudice, infatti, dovrebbe continuare a trattare come aggravante una previsione alla quale non corrisponde più alcuna fattispecie base di reato.  

Sull'applicazione di arresto e ammenda invece che la sola ammenda

Quanto già rilevato vale a escludere anche la fondatezza della questione sollevata in via di estremo subordine.

In conclusione

La sentenza risulta, senza dubbio, logica e condivisibile.

Sia consentito, invece, osservare che l'avvenuto alternarsi – per ben 4 volte – di sanzioni penali a sanzioni amministrative, sembra restare al di fuori di una meditata valutazione politico-criminale.

Si ricordi, peraltro, lo schizofrenico intervento che ha portato, con la l. 23 marzo 2016 n. 41,

pressoché coeva al d.lgs. n. 8/2016, a prevedere al comma 6 degli artt. 589-bis e 590-bis c.p., relativi ai delitti di colposa offesa stradale alla vita e all'incolumità individuale, una specifica aggravante, a efficacia comune, se il fatto sia commesso da conducente “non munito” di patente - locuzione, comunque, diversa da quella prevista dall'art. 116 comma 15 C.d.S.

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