Direzione e coordinamento: postergazione dei finanziamenti
24 Ottobre 2025
Massima Ai sensi degli artt. 2467 e 2497-quinques c.c., devono considerarsi postergati anche i finanziamenti effettuati, nell'ambito dell'attività di direzione e coordinamento infragruppo, da parte della società controllante in favore della società controllata tramite l'intermediazione di altra società controllante la società finanziata e a sua volta controllata dalla società finanziatrice (cd. finanziamento discendente). Il caso Il Tribunale di Rimini rigettava l'opposizione allo stato passivo ex. art. 98 l. fall. presentata dalla società X Srl, contro il decreto di esecutorietà dello stato passivo del fallimento della società Y Srl con il quale il proprio credito era stato sì ammesso allo stato passivo ma in via chirografaria postergata e non già in via privilegiata, come richiesto nella domanda di insinuazione allo stato passivo. Il Tribunale, infatti, rigettava tale opposizione affermando che la società dichiarata fallita risultava controllata al 100% da una terza società che a sua volta era controllata (sempre al 100%) dalla società opponente, configurandosi in tale ipotesi il c.d. controllo mediato. Sulla base di tale motivazione, quindi, il Tribunale di Rimini riteneva la società opponente come quella esercente attività di direzione e coordinamento nei confronti della società fallita con conseguente configurabilità di un gruppo di società fra le stesse e con il riconoscimento della posizione di socio, per interposta società, dell'odierna opponente; pertanto, il credito derivante dal finanziamento alla società fallita in qualunque forma effettuata dal socio, in una situazione finanziaria in cui sarebbe stato ragionevole un conferimento, doveva essere ammesso al concorso, ai sensi dell'art. 2467 c.c., con il rango postergato. Avverso tale decreto veniva proposta impugnazione con ricorso per Cassazione, affidato a tre motivi: con il primo motivo, si lamentava, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., violazione e falsa applicazione dell'art. 2359, n. 1 c.c., dell'art. 2497-sexiesc.c. e dell'art. 12 delle preleggi, che di fatto la società ricorrente non avrebbe svolto effettivamente attività di coordinamento e controllo in quanto non era titolare di alcuna quota della compagine sociale della fallita e che, dunque, non disponesse di alcun voto nella sua assemblea ordinaria; con il secondo motivo si deduceva violazione e falsa applicazione, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., dell'art. 2467 c.c., degli artt. 1201 e 1203c.c. e dell'art. 12 delle preleggi, in quanto, si osservava che la società ricorrente non era socia della società fallita, mentre l'art. 2467 c.c. richiede, ai fini della sua applicabilità, la qualità di socio in capo al soggetto che effettua il finanziamento, di conseguenza, il pagamento effettuato dalla società ricorrente non poteva comunque essere considerato quale finanziamento con espressa volontà di surrogazione; infine, con il terzo motivo, la società ricorrente contestava il provvedimento impugnato, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., (per violazione dell'art. 111 l. fall. e dell'art. 182-quaterl. fall. in tema di finanziamenti effettuati in caso di concordato preventivo e/o di accordi di ristrutturazione). Le questioni Analizziamo ora le questioni affrontate dalla Suprema Corte e le motivazioni della decisione: la questione principale, introdotta con il primo motivo del ricorso, riguarda sostanzialmente la disciplina dei rapporti di finanziamento eseguiti in costanza di rapporti di direzione e controllo exartt. 2497-quinquies e ss. c.c.; la norma dispone che i finanziamenti effettuati a favore della società da chi esercita, nei confronti della medesima, attività di direzione e coordinamento, oppure da altri soggetti sottoposti al controllo dello stesso, sono soggetti al regime della postergazione dettato dall'art. 2467 c.c. Ove siffatti finanziamenti siano concessi in presenza di eccessivo squilibrio dell'indebitamento rispetto al patrimonio netto, oppure in una situazione finanziaria in cui sarebbe stata ragionevole l'esecuzione di un conferimento, il diritto di credito al relativo rimborso risulta postergato alla soddisfazione degli altri creditori della società finanziata, con obbligo di restituzione delle somme indebitamente rimborsate in caso di dichiarazione di fallimento della società sovvenuta nell'anno successivo. Sul punto, sia la dottrina che la giurisprudenza (tra le più recenti si segnalano: Cass. Civ., 31 luglio 2025, n. 18599, Cass. Civ., 30 maggio 2024, n. 15196 e Cass. Civ. 30 ottobre 2023, n. 30054) sono concordi nell'affermare il predetto principio: infatti, si ritiene che l'interpretazione letterale della disposizione in esame è diretta a supportare una soluzione volta a rendere evidente il suo ambito applicativo ai finanziamenti effettuati nell'esercizio dell'attività di direzione e coordinamento da chi tale attività eserciti nei confronti della società che alla stessa risulti soggetta: vuoi direttamente, vuoi, invece, indirettamente, qualora il finanziamento sia erogato dal soggetto controllante alla società eterodiretta per il tramite di altra società controllata (cd. finanziamento discendente), come nel caso di specie (sul punto, si ricorda che l'art. 2467 c.c. è volta a contrastare il c.d. fenomeno della “sottocapitalizzazione nominale” che si verifica allorché l'impresa ha a disposizione mezzi finanziari provenienti dai soci, imputati però al capitale sociale solo in minima parte, essendo, per il resto, iscritti come finanziamenti, alla stregua di mezzi di terzi; in tema per la dottrina, per tutti, Portale, Capitale sociale e società per azioni sottocapitalizzata, in Trattato delle società per azioni, diretto da Colombo, Portale, vol. 1, Torino, 2004, 3 ss. e 143 ss.). In tema di interpretazione della parola “finanziamento” contenuta nell'art. 2467 c.c., la dottrina prevalente ha inteso interpretarla non solo come un chiaro richiamo ai negozi di credito, ma anche con la finalità di ricomprendere in tale accezione anche ciò che tecnicamente “finanziamento” non è, ma che nondimeno risulta idoneo a pregiudicare l'interesse che la norma che vuole proteggere. Dovrebbero così essere postergati anche i crediti nascenti da negozi che realizzano appunto indirettamente una causa di “finanziamento” (o di credito, che da questa visuale sembrerebbe essere lo stesso) (tra i tanti, Santoni, Garanzie sostitutive di capitale e postergazione, in Riv. dir. comm., 2016, II, 580 ss.). Sul punto, infatti, la Corte ritiene che l'unica interpretazione ragionevole che eviti l'elusione del divieto previsto dal combinato disposto degli artt. 2467 e 2497-quinquies c.c. sia quella di estendere l'ambito applicativo di quest'ultima disposizione normativa anche all'ipotesi del cd. finanziamento discendente operato dalla società controllante nei confronti della società finanziata (e controllata) per il tramite di altra società, a sua volta controllata della prima. Diversamente ragionando, sarebbe gioco facile aggirare il divieto di finanziamento da parte del socio e di pregiudizio delle ragioni dei creditori sociali, con conseguente sottocapitalizzazione della società che versi in una situazione di eccessivo squilibrio dell'indebitamento. A completare le argomentazioni di rigetto del primo motivo di ricorso si affiancano anche quelle relative al rigetto del secondo motivo in quanto la Suprema Corte ha affermato che non è possibile applicare il meccanismo della surrogazione in quanto si è diversamente qualificato il pagamento come un finanziamento del socio alla società già in crisi finanziaria Infine, il terzo motivo è invece inammissibile perché propone una questione nuova, non introdotta nel dibattito processuale dei precedenti giudizi. Osservazioni Con la pronuncia in esame, la Suprema Corte ha chiarito che la postergazione del credito si estende anche alle ipotesi in cui la movimentazione finanziaria sia stata realizzata attraverso un'interposizione societaria, tramite cioè un c.d. finanziamento "mediato" (discendente o meno che sia). Ai fini dell'applicazione della disciplina dettata dall'art. 2497-quinquies c.c., dunque, è sufficiente che sussista una direzione unitaria del gruppo, non essendo necessario il controllo immediato della holding sulla società finanziata. La ratio della disciplina codicistica è, infatti, quella di evitare, da un lato, che si sviluppino fenomeni patologici di sottocapitalizzazione e, dall'altro, prevenire forme più o meno sofisticate di elusione della regola di subordinazione dei crediti vantati dei soci in situazioni di crisi della società beneficiaria dei prestiti. Pertanto, ai fini della qualificazione del credito come postergato è sufficiente che il finanziamento sia realizzato nell'ambito di una struttura di gruppo riconducibile ad un centro decisionale unitario collocato nell'ente societario dominante, anche se veicolato tramite soggetti formalmente terzi, poiché in caso contrario la regola della postergazione risulterebbe troppo agevolmente aggirabile. Inoltre, a nulla è valso il richiamo, con il secondo motivo di ricorso, al principio della surrogazione, secondo cui l'intervento di sostegno finanziario avrebbe avuto in realtà natura di surrogazione da adempimento di un debito altrui verso il personale dipendente della beneficiaria, idonea come tale a fondare una pretesa a titolo derivativo (artt. 1201 e 1203 c.c.) di rango privilegiato (art. 2751-bis, n. 1, c.c.); infatti, sul punto, la Corte di Cassazione ha affermato che l'eventuale formale dichiarazione di surrogazione del creditore accipiens, ove rilasciata, non possa prevalere sulla qualificazione sostanziale dell'operazione, da parte del giudice di merito, come finanziamento-soci in un contesto infragruppo ed in presenza dei presupposti tipici di squilibrio patrimoniale e sottocapitalizzazione, rilevanti ex art. 2467 c.c.. Conclusioni La pronuncia in commento ha affrontato il problema della postergazione del credito in caso di finanziamenti infragruppo e la decisione assunta dai giudici di legittimità si è uniformata all'orientamento prevalente sul tema: l'elemento strutturale della direzione e coordinamento infragruppo assume rilevanza preponderante, e ciò anche a fronte di costruzioni negoziali articolate su più livelli societari, ritenendosi rilevante anche il c.d. controllo mediato della società. Pertanto, si è ritenuto credito postergato anche quello derivante dai c.d. finanziamenti discendenti. Da tale orientamento ne deriva un rafforzamento della tutela del ceto creditorio ed una chiara indicazione circa l'impossibilità di eludere la regola di postergazione mediante interposizioni meramente formali. |