Liquidazione controllata: entrata in vigore del Correttivo e rimessione in termini per il reclamo avverso lo stato passivo
27 Ottobre 2025
Nell'ambito di una procedura di liquidazione controllata, in cui la formazione del passivo si svolgeva a cavallo dell'entrata in vigore del d.lgs. n. 136/2024 (28 settembre 2024), un creditore concorsuale aveva presentato reclamo avverso lo stato passivo dieci giorni dopo la comunicazione del relativo deposito. Tale reclamo era stato accolto dal giudice delegato del Tribunale di Roma. Quest'ultimo ha, dapprima, riconosciuto che in applicazione dell'art. 273 c.c.i.i., come modificato dall'art. 41 del d.lgs. n. 136/2024, il reclamo fosse tardivo in quanto non presentato entro otto giorni dalla comunicazione del deposito dello stato passivo (termine di otto giorni previsto dall'art. 133 c.c.i.i. cui il novellato art. 273 c.c.i.i. rimanda). Tuttavia, in applicazione dell'art. 153, comma 2, c.p.c. (che consente al giudice di rimettere in termini la parte «che dimostra di essere incorsa in decadenze per causa ad essa non imputabile») il giudice delegato ha comunque rimesso in termini il creditore, ravvisando una causa “non imputabile” del ritardo nella “repentina” entrata in vigore del novellato art. 273 c.c.i.i. (“repentina” in quanto, ai sensi dell'art. 56 d.lgs. n. 136/2024, tale decreto entra in vigore, anche per le liquidazioni controllate, il giorno successivo alla pubblicazione in G.U.). Il giudice delegato ha valorizzato, in questo senso, da un lato la deroga disposta dal legislatore alla consueta vacatio legis di quindici giorni e, dall'altro, la giurisprudenza di legittimità sui casi di c.d. prospective overulling. Secondo la Corte di cassazione, il giudice delegato ha deciso di rimettere il creditore in termini non in considerazione della specificità del caso concreto, come consentirebbe l'art. 153, comma 2, c.p.c., «bensì in base a un giudizio di carattere generale sulla difficoltà di rispettare la legge a causa della sua troppo repentina entrata in vigore» in tal modo esprimendo «un generale giudizio di incongruità della disciplina transitoria dettata dal legislatore, che si traduce in una critica al contenuto della legge in sé (…) nei termini di una esplicita disapplicazione della norma transitoria»: un'operazione non consentita al giudice in forza dell'art. 101, comma 2, Cost. Infine, ritiene la Corte che «Non è pertinente, infine, l'accostamento della decisione qui adottata al prospective overulling, che riguarda i mutamenti della giurisprudenza di legittimità sulle questioni processuali che comportano preclusioni e decadenze precedentemente non considerate tali», essendo evidente che «l'autolimitazione, da parte dei giudici, dell'ambito di applicazione dei propri nuovi orientamenti interpretativi è – sul piano del rispetto del ruolo assegnato nell'ordinamento al formante giurisprudenziale – cosa ben diversa dalla consapevole disapplicazione di una norma di legge». |