Reato continuato e danno di rilevante gravità
29 Ottobre 2025
Massima Ai fini dell'applicazione al reato continuato dell'aggravante di cui all'art. 61, n. 7, c.p., la valutazione del danno di rilevante gravità deve essere effettuata non con riguardo al danno complessivamente causato dalle plurime violazioni unificate dal vincolo, ma al danno patrimoniale cagionato da ogni singolo reato. Il caso La cassiera di un supermercato era condannata per il delitto di appropriazione indebita aggravato dal danno di rilevante gravità. Invero, nel periodo temporale da aprile 2019 al novembre 2020 della somma complessiva di euro 86.000,00. La difesa proponeva ricorso lamentando – inter alia – l'insussistenza dell'aggravante di cui all'art. 61, n. 7, c.p., tenuto conto che la pluralità delle sottrazioni erano state di importo esiguo. La Corte di cassazione accoglie il ricorso giacché i giudici di merito avevano ancorato il giudizio inerente alla rilevante gravità del danno cagionato alla vittima sul risultato complessivo delle plurime operazioni di sottrazione di denaro piuttosto che sull'entità di quelle singolarmente oggetto di ciascuno dei reati contestati. La questione La questione in esame è la seguente: in caso di continuazione il danno di rilevante gravità deve essere effettuata con riguardo al danno patrimoniale cagionato da ogni singolo reato? Le soluzioni giuridiche La pronuncia in commento aderisce, dando continuità, all'indirizzo alla stregua del quale, ai fini dell'applicazione dell'aggravante di cui all'art. 61 c.p., n. 7, al reato continuato, la valutazione del danno di rilevante gravità deve essere operata non con riguardo al danno complessivamente causato dalle plurime violazioni unificate dal vincolo, ma sulla base del danno patrimoniale cagionato da ogni singolo reato (Cass. pen., n. 50792/2019). Tale affermazione ha altresì trovato più recente conferma da parte dalle Sezioni Unite, che - tra l'altro interrogatesi anche sui presupposti per l'applicabilità dell'aggravante di cui all'art. 61 c.p., n. 7, - hanno sostenuto che i reati uniti dal vincolo della continuazione, con riferimento alle circostanze attenuanti ed aggravanti, conservano la loro autonomia e si considerano come reati distinti (Cass. pen., sez. . n. 3286/2008). Nella stessa giurisprudenza di legittimità si registra altro orientamento secondo cui, nel caso in cui più delitti siano espressione del medesimo disegno criminoso, varrebbe, sia con riguardo ai profili di manifestazione del reato sia in relazione alle sue conseguenze in termini di trattamento sanzionatorio e in mancanza di tassative esclusioni, il principio dell'unitarietà (Cass. pen., n. 25030/2022). In particolare, quando i reati in continuazione sono stati commessi nei confronti di un'unica persona offesa, la valutazione in ordine alla sussistenza dell'aggravante de quo deve essere effettuata con riferimento non al danno cagionato da ciascuna singola violazione ma al danno complessivo cagionato alla stressa unica persona offesa dalla somma delle violazioni (Cass. pen., n. 34525/2021; Cass. pen., n. 28598/2017; Cass. pen., n. 45504/2015). Pertanto, il danno complessivamente cagionato non si ripartisce tra più persone offese, ma resta confinato nel patrimonio della stessa vittima, nel quale si accumula ed accresce ad ogni episodio delittuoso: la scomposizione del danno unitariamente arrecato dalla vittima - e in tale misura complessiva dalla stessa sopportato - in ragione dei singoli episodi truffaldini non corrisponderebbe alla realtà dei fatti: e dunque del pregiudizio effettivamente arrecato (Cass. pen., n. 2201/2013; Cass. pen., n. 15617/2019). Per questa soluzione il reato continuato si configura come una particolare ipotesi di concorso di reati e va considerato unitariamente solo per gli effetti che sono espressamente previsti dalla legge (come ai fini della determinazione della pena, ai sensi del comma 2 dell'art. 81 c.p., e, oggi, dell'individuazione del termine iniziale di decorrenza della prescrizione, ai sensi del comma 1 dell'art. 158 c.p., come sostituito dall'art. 1, comma 1, lett. d, della l. 9 gennaio 2019, n. 3), mentre, per tutti gli altri effetti che non sono espressamente previsti dalla legge, la considerazione unitaria può essere ammessa esclusivamente a condizione che essa garantisca un risultato favorevole al reo. Osservazioni La soluzione offerta dalla pronuncia in epigrafe si ispira alla ratio stessa della norma di cui all'art. 81 cpv c.p., la quale si basa su un'unificazione che è finzione giuridica solo quoad poenam, mantenendo invece i singoli reati ogni loro caratteristica e particolarità immutata in relazione a qualsiasi altro istituto giuridico, pena l'applicazione contraria al principio del favor rei di un istituto che ha invece la funzione di attenuare le rigide ed eccessive conseguenze della non mediata applicazione del concorso materiale di reati ove la pur constatata violazione di più disposizioni della legge penale, realizzata attraverso una pluralità di azioni od omissioni risulti pur sempre essere il "prodotto" di un'unica decisione antigiuridica. Quest'ultima circostanza, invero, se idonea a giustificare la determinazione di un trattamento sanzionatorio unico da irrogare nei confronti del soggetto che abbia agito in continuazione - il quale tenga luogo del minor disvalore del fatto rispetto al caso in cui si assista alla volontà di commettere più reati per scelta delinquenziale, dovuta alla generica deliberazione di persistere nella condotta delittuosa (Cass. pen., sez. un., n. 18891/2022) - non può divenire ragione di pregiudizio per l'imputato, magari conducendo alla configurazione una circostanza aggravante altrimenti non ipotizzabile. Tale soluzione si ispira, proprio con riferimento al tema delle circostanze, alla sentenza delle Sezioni unite (Cass. pen., sez. un, n. 3286/2009), la quale ha affermato il principio secondo cui i reati uniti dal vincolo della continuazione, con riferimento alle circostanze attenuanti ed aggravanti, conservano la loro autonomia e si considerano come reati distinti. Come risulta dalla lettura di tale sentenza, tale principio faceva riferimento, in particolare, alle circostanze cosiddette "quantitative" e, specificamente, alle circostanze attenuanti previste dal n. 4) e dal n. 6) del comma 1 dell'art. 62 c.p. e alla circostanza aggravante che è quella che viene qui in rilievo - prevista dal n. 7) del comma 1 dell'art. 61 c.p. In detta sentenza, le Sezioni Unite hanno affermato che deve ritenersi definitivamente superata la concezione dell'unitarietà del reato continuato, considerata anche la più recente evoluzione normativa della relativa disciplina (si pensi alla l. 5 dicembre 2005, n. 251, che ha eliminato la disposizione contenuta nella formulazione originaria dell'art. 158 c.p., per la quale nel reato continuato il termine di prescrizione decorreva dalla cessazione della continuazione, con la conseguenza che ogni reato tra quelli posti in continuazione criminosa con altri ha ormai un proprio termine di decorrenza iniziale della prescrizione): pertanto, "si può oggi affermare che la disciplina sostanziale del reato continuato è, in generale, quella ordinaria sul concorso materiale di reati. Attualmente ciò che connota e distingue il reato continuato è solo la valutazione quoad poenam. Anche più di recente le Sezioni Unite hanno ribadito che i reati legati dal vincolo della continuazione devono considerarsi come una vera e propria pluralità di reati autonomi e diversi in funzione del carattere più o meno favorevole degli effetti che ne discendono: la concezione unitaria del reato continuato opera, quindi, soltanto per gli effetti espressamente presi in considerazione dalla legge, come quelli relativi alla determinazione della pena, sempre che garantisca un risultato favorevole al reo (Cass. pen., sez. un., n. 25939/2013). Di conseguenza, secondo la logica già in più occasioni avvalorata anche dalla Corte Costituzionale in tema di cumulo di pene - si pensi, in questo senso, alla sentenza n. 361/1994 in materia di concessione dei benefici penitenziari - e qui estendibile all'ipotesi della continuazione, la concezione unitaria del reato è limitata ai soli effetti espressamente previsti dalla legge, mentre, ad ogni altro fine, la valutazione cumulativa può essere ammessa esclusivamente a condizione che garantisca un risultato favorevole al reo, evitando così lo stravolgimento dell'istituto e della sua ratio. Ne consegue che, nel caso di specie, trattandosi di una pluralità di reati che, seppur avvinti dal vincolo della continuazione, si concretizzano in esigue sottrazioni di denaro, per di più dipanate lungo un periodo di tempo particolarmente ampio, non può certo trovare applicazione la circostanza aggravante di cui all'art. 61 c.p., n. 7. Pertanto, ai fini dell'applicazione della menzionata circostanza aggravante al reato continuato, la valutazione della rilevante gravità del danno patrimoniale dove essere operata con riferimento non al danno complessivamente cagionato dalle plurime violazioni unificate dal vincolo della continuazione ma al danno cagionato da ogni singolo reato. Con la precisazione che, perciò, la stessa circostanza aggravante inciderà: --a) se riscontrata in relazione al reato più grave, sulla determinazione della pena base; --b) se riscontrata in relazione agli ulteriori meno gravi reati in continuazione, sulla determinazione dell'aumento di pena per tali reati a norma del comma 2 dell'art. 81 c.p. |