Validità della clausola compromissoria, contenuta nello statuto, che fissa la sede dell’arbitrato all’estero

29 Ottobre 2025

La Cassazione ha esaminato per la prima volta la rilevante questione della validità di una clausola compromissoria, contenuta nello statuto di una società di diritto italiano, in forza della quale le controversie societarie siano devolute ad arbitrato con sede all'estero.

Massima

In tema di arbitrato societario, può essere riconosciuto in Italia un lodo rituale straniero pronunciato in forza di una clausola compromissoria, inserita nello statuto di una società di diritto italiano non facente ricorso al mercato del capitale di rischio, che localizzi all'estero la sede dell'arbitrato medesimo qualora l'intero organo arbitrale sia nominato da un soggetto terzo estraneo alla società, come richiesto dall'art. 34, comma 2, d.lgs. n. 5/2003, applicabile ratione temporis. Una volta soddisfatto tale requisito, infatti, le disposizioni processuali contenute negli artt. 35 e 36 del medesimo d.lgs. sono derogabili attraverso la scelta di una lex arbitri diversa, purché rispettosa dei canoni fondamentali previsti dalla Convenzione di New York del 10 giugno 1958 per il riconoscimento dei lodi arbitrali.

Il caso

Con domanda di arbitrato del 17 dicembre 2014, una società di diritto italiano ha chiesto alla International Court of Arbitration presso l'International Chamber of Commerce di nominare un tribunale arbitrale ai sensi dell'art. 31 del proprio statuto sociale, affinché questo accertasse e dichiarasse la responsabilità del suo amministratore e lo condannasse al risarcimento del danno. Il convenuto si è costituito nel procedimento arbitrale eccependo la nullità o, comunque, l'inefficacia della clausola compromissoria contenuta nello statuto e chiedendo al collegio di dichiarare la propria carenza di giurisdizione a conoscere della controversia ad esso deferita in favore del giudice italiano. In subordine, ha chiesto il rigetto delle domande di controparte.

Con lodo non definitivo dell'8 settembre 2015, il collegio arbitrale ha dichiarato la propria competenza a decidere sulle domande, e, con lodo definitivo del 30 gennaio 2017, ha accertato la responsabilità del convenuto per la violazione dei suoi doveri di amministratore della società.

Il 30 marzo 2017, su richiesta della società, il Presidente della Corte d'Appello di Genova ha dichiarato efficace in Italia il lodo definitivo ex art. 839 c.p.c. Il convenuto ha proposto opposizione ex art. 840 c.p.c., che è stata respinta con sentenza del 9 luglio 2020 dalla Corte d'appello.

L'amministratore soccombente, quindi, ha promosso ricorso in cassazione.

La questione

Con la sentenza qui in commento, la Corte di cassazione ha esaminato per la prima volta la questione della validità di una clausola compromissoria inserita nello statuto di una società di diritto italiano che localizzi all'estero la sede dell'arbitrato e la conseguente possibilità di ottenere il riconoscimento in Italia del lodo straniero pronunciato in quel procedimento.

La stessa Suprema Corte evidenzia la rilevanza pratica della questione, dato che in un mercato sempre più globalizzato e interconnesso ci possono essere ragioni di opportunità per l'adozione di clausole compromissorie statutarie che fissino la sede dell'arbitrato in uno Stato diverso da quello della sede della società.

Nell'individuare la soluzione al quesito, la Corte di cassazione ha deciso di privilegiare una soluzione non solo “compatibile con la normativa” rilevante sia in materia di arbitrato societario che in materia di riconoscimento e opposizione al riconoscimento di un lodo straniero, ma anche tale “da non ostacolare eccessivamente il ricorso allo strumento dell'arbitrato societario statutario” e ha concluso che “una clausola compromissoria inserita nello statuto di una società italiana può devolvere le liti sociali ad un arbitrato (nelle specie rituale) avente sede in uno Stato diverso senza incontrare divieti di sorta”.

Le soluzioni giuridiche

La soluzione individuata dalla Corte consegue innanzitutto da un'analisi delle norme di legge: nessuna disposizione relativa alla disciplina dell'arbitrato societario – né gli artt. 34-36, d.lgs. n. 5/2003 (applicabili ratione temporis) né gli artt. 838-bis, 838-ter ed 838-quater c.p.c. introdotti dalla Riforma Cartabia – contiene previsioni che impongano di porre la sede dell'arbitrato in Italia. Anche in materia societaria, quindi, la norma di riferimento non potrà che essere l'art. 4, comma 2, L. n. 218/1995, che prevede espressamente che la giurisdizione italiana possa essere convenzionalmente derogata a favore di un arbitro estero se la deroga è provata per iscritto e la causa verte su diritti disponibili.

Una volta ammessa la possibilità di porre la sede dell'arbitrato societario all'estero, la Corte si è interrogata sui limiti di tale scelta, derivanti dalla eventuale natura inderogabile delle disposizioni di cui al d.lgs. n. 5/2003 che incida sulla validità della clausola compromissoria.

La valutazione, innanzitutto, deve essere condotta sulla base della legge italiana. Infatti, ai sensi dell'art. 25, L. n. 218/1998, la legge applicabile per risolvere le controversie intra-societarie di una società italiana è quella italiana.

Occorre allora distinguere, tra le norme relative all'arbitrato societario, quelle di natura sostanziale e quelle di natura processuale, perché soltanto le prime, in quanto lex causae , troveranno applicazione anche nel contesto di un arbitrato estero, mentre le norme di natura processuale, in quanto lex arbitri, avranno efficacia solo per gli arbitrati interni.

Secondo la Cassazione, le uniche norme di natura sostanziale sono quelle che disciplinano l'adozione, la modifica e la vincolatività oggettiva e soggettiva della clausola arbitrale statutaria, e ciò in virtù della natura pacificamente negoziale di tale tipo di clausola.

Tra queste, la norma dell'art. 34, comma 2, d.lgs. n. 5/2003 pone una regola di validità della clausola compromissoria laddove impone, a pena di nullità, che l'intero organo arbitrale sia nominato da un soggetto terzo estraneo alla società, regola imperativa e non derogabile nemmeno quando la sede dell'arbitrato societario sia posta all'estero.

Una volta rispettata la forma necessaria della convenzione di arbitrato, le disposizioni di natura processuale contenute nelle altre norme del d.lgs. n. 5/2003, invece, possono essere derogate attraverso la scelta di una lex arbitri diversa, purché rispettosa di quei canoni fondamentali del “giusto processo arbitrale” quali violazione del diritto di difesa o del principio del contraddittorio, esorbitanza del lodo rispetto alla convenzione di arbitrato ed irregolare costituzione del collegio arbitrale e dello svolgimento del procedimento arbitrale, recepiti, in particolare, dalla Convenzione di New York del 10 giugno 1958, che, a livello sovranazionale, disciplinano il riconoscimento dei lodi arbitrali.

Osservazioni

Il tema dell'arbitrato societario con sede estera, affrontato nella pronuncia in commento, è potenzialmente di grande rilevanza pratica per le controversie arbitrabili che coinvolgono società non facenti ricorso al mercato di capitale di rischio, alle quali è applicabile la disciplina dell'arbitrato societario. Come puntualmente osservato dalla stessa Corte, infatti, possono essere molteplici le ragioni per cui una società italiana opti per fissare all'estero la sede di un arbitrato societario: una compagine sociale straniera, la presenza di accordi di investimento o di joint venture che giustifichino una scelta uniforme in tema di risoluzione delle controversie, ma anche, semplicemente, valutazioni di opportunità processuale che portino a sottoporre le controversie alla legge processuale di un altro paese.

Eppure, il tema non è mai stato affrontato dalla giurisprudenza. Prima della pronuncia in commento, l'unica sentenza nota ad aver esaminato la questione relativa alla validità della clausola compromissoria statutaria che fissi all'estero la sede dell'arbitrato societario è stata la sentenza della Corte d'Appello di Genova la cui impugnazione è stata decisa dalla pronuncia in commento (App. Genova 9 luglio 2020, n. 649, in Giur. It., 2021, 2709 ss.).

La Corte d'appello di Genova ha anticipato la posizione della Suprema Corte, affermando la validità dell'arbitrato societario con sede estera purché la clausola compromissoria devolva la nomina degli arbitri a un soggetto esterno alla società, come stabilito dall'art. 34, comma 2, d.lgs. n. 5/2003 (norma di natura sostanziale applicabile ratione temporis). Le altre norme relative all'arbitrato societario sub artt. 35 e 36, d.lgs. n. 5/2003, invece, ancorché inderogabili se l'arbitrato ha sede in Italia, non sono poste a tutela di principi di ordine pubblico internazionale e, in quanto di natura processuale, sono inapplicabili nel caso in cui la sede dell'arbitrato sia fissata all'estero, fermo restando il rispetto dei principi che l'ordinamento italiano considera di fondamentale applicazione. Pertanto, gli arbitrati nascenti da una clausola arbitrale statutaria che rispetti il requisito di cui all'art. 34, comma 2, d.lgs. n. 5/2003 possono avere sede fuori dall'Italia ed essere svolti secondo le regole procedurali di uno Stato diverso.

Anche in dottrina la questione non ha mai trovato grande spazio, ma ha comunque dato luogo ad un vivace dibattito dottrinale, ripreso dalla stessa Corte di cassazione, che ha visto confrontarsi tre principali orientamenti, sviluppatisi in relazione alla disciplina del d.lgs. 5/2003 e che rimangono ancora oggi validi a seguito del suo recepimento nel Codice di procedura civile agli artt. 838-bis, 838-ter ed 838-quater.

Secondo una prima tesi, le norme del d.lgs. n. 5/2003 che regolano l'arbitrato societario si applicherebbero soltanto in presenza di due condizioni: la società ha la propria sede legale in Italia e la sede dell'arbitrato sia stata posta in Italia. Da un lato, infatti, le norme procedurali in tema di arbitrato societario presuppongono che la società abbia sede in Italia e sono di ordine pubblico interno, dunque inderogabili solo per le società italiane. Dall'altro lato, la disciplina dell'arbitrato ha efficacia territorialmente delimitata e si applica solo agli arbitrati con sede in Italia. Dunque, è possibile per una società italiana prevedere la sede all'estero dell'arbitrato societario, ma in quel caso il procedimento verrebbe integralmente assoggettato alla lex arbitri dell'ordinamento straniero scelto dalle parti (cfr. A. Giardina, L'ambito di applicazione della nuova disciplina dell'arbitrato societario, in Riv. arb., 2003, 239 ss.).

Una seconda tesi – che anticipa la soluzione prescelta dalla Corte di cassazione – ammette la possibilità che la sede dell'arbitrato societario sia collocata all'estero, ferma restando l'inderogabilità della disposizione dettata dall'art. 34, comma 2, d.lgs. n. 5/2003 (oggi corrispondente all'art. 838-bis comma 2 c.p.c.), che stabilisce che la clausola statutaria deve conferire “in ogni caso, a pena di nullità, il potere di nomina di tutti gli arbitri a soggetto estraneo alla società. Se tale norma deve essere rispettata a pena di nullità, le altre disposizioni previste agli artt. 34-36, d.lgs. n. 5/2003 (oggi artt. 838-bis, 838-ter ed 838-quater c.p.c.) non prescrivono invece regole di validità della clausola compromissoria statutaria, ma dettano semplicemente regole di natura processuale imperativa nel caso di arbitrato societario con sede in Italia. Tali norme sono pertanto inapplicabili laddove le parti scelgano una diversa lex arbitri, purché questa rispetti i canoni fondamentali che disciplinano a livello sovranazionale il riconoscimento dei lodi arbitrali, come recepiti dalla Convenzione di New York del 1968 (L. Salvaneschi, La costituzione dell'organo arbitrale ed il procedimento nell'arbitrato societario italiano, in Riv. arb., 2017, 247 ss.).

Infine, un terzo orientamento sostiene che l'ordinamento italiano consentirebbe di localizzare all'estero l'arbitrato avente ad oggetto la soluzione delle controversie societarie regolate dal d.lgs. n. 5/2003 soltanto nel caso in cui la lex arbitri prescelta dalle parti risulti compatibile con tutte le disposizioni previste dalla disciplina dell'arbitrato societario. Secondo questo terzo orientamento nessuna delle norme in questione sarebbe derogabile: pertanto, la lex arbitri straniera sarà applicabile solo nel caso in cui contenga disposizioni che, seppure non necessariamente coincidenti o esattamente sovrapponibili alle disposizioni dettate, allora, dal D. Lgs. n. 5/2003 e, oggi, dal Codice di procedura civile, siano quantomeno equipollenti (M.V. Benedettelli, Sull'arbitrato societario “internazionale”, in Riv. arb., 2017, 315 ss., poi approfondito in M.V. Benedettelli, Arbitrato societario con sede estera? Sì, ma…, in Riv. soc., 2021, 152 ss.).

Conclusioni

Le conclusioni raggiunte dalla Corte di cassazione hanno sicuramente colmato un vuoto normativo e giurisprudenziale dando agli operatori del diritto maggiore sicurezza sulla possibilità di fissare all'estero la sede di un arbitrato societario e fornendo delle indicazioni chiare circa i requisiti minimi per la validità della clausola compromissoria statutaria. La pronuncia, inoltre, costituisce un importante precedente che consentirà di assicurare la stabilità dei lodi emessi negli arbitrati societari esteri.

I principi enunciati dalla Corte in relazione agli artt. 34-36, d.lgs. n. 5/2003, non più vigenti, restano validi anche per gli artt. 838-bis, 838-ter ed 838-quater c.p.c. introdotti con la Riforma Cartabia, che ne ha incorporato la disciplina nel Codice di procedura civile senza apportare modifiche sostanziali sulle questioni in esame.

Le ricadute positive della pronuncia sono in linea con la volontà della Corte di favorire il ricorso allo strumento dell'arbitrato societario statutario, e più in generale, con il sentimento condiviso da dottrina, giurisprudenza e legislatore di sostenere lo sviluppo dell'arbitrato come mezzo di risoluzione alternativa delle controversie.

Infatti, anche se la soluzione individuata sembra favorire la scelta di “spostare” all'estero la sede degli arbitrati societari, in realtà contribuisce a rendere il sistema arbitrale italiano maggiormente attrattivo grazie alla certezza della possibilità di riconoscimento del lodo estero in Italia.

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