Incostituzionale la giurisdizione tributaria sull’impugnativa dell’atto di recupero dei contributi a fondo perduto erogati dallo Stato nel periodo Covid
30 Ottobre 2025
Massima Sono incostituzionali l'art. 1, comma 10, del decreto legge 28 ottobre 2020, n. 137 (Ulteriori misure urgenti in materia di tutela della salute, sostegno ai lavoratori e alle imprese, giustizia e sicurezza, connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 18 dicembre 2020, n. 176, e l'art. 25, comma 12, del decreto legge 19 maggio 2020, n. 34 (Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all'economia, nonché di politiche sociali connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 17 luglio 2020, n. 77, nella parte in cui prevedono che le controversie relative all'atto di recupero del contributo a fondo perduto, previsto dal comma 1 del citato art. 1, sono devolute alla giurisdizione tributaria. Il caso L'Agenzia delle Entrate notifica ad una società contribuente un atto di recupero relativamente ai contributi a fondo perduto erogati ex articolo 1 decreto legge n. 137/2000, cd. decreto ‘ristori', ritenendo l'erogazione non dovuta ed i contributi indebitamente ottenuti in carenza dei requisiti di legge. L'atto è impugnato dalla società davanti al Giudice monocratico della Corte di Giustizia di primo grado di Genova: infatti, l'espressa previsione normativa è nel senso che l'impugnativa dell'atto di recupero deve essere effettuata davanti al Giudice Tributario, posto che l'articolo 25, comma 12, del decreto legge n. 34/2020, cd. decreto rilancio, richiamato dall'articolo 1, comma 10, del decreto ‘ristori', prevede che “per le controversie relative all'atto di recupero si applicano le disposizioni previste dal decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546”. Ciò posto, la CGT dubita della legittimità costituzionale della scelta normativa relativa alla giurisdizione sull'impugnazione dell'atto di recupero, muovendo due rilievi. In particolare, da un lato argomenta che i contributi a fondo perduto previsti dai decreti ‘ristori' e ‘rilancio' non hanno natura tributaria, come chiarito anche dalla giurisprudenza di legittimità: pertanto, l'attribuzione alla giurisdizione tributaria di controversie non aventi natura tributaria comporta la violazione del divieto costituzionale di istituire giudici speciali previsto dall'articolo 102, comma 2, Cost. Dall'altro lato, assume che le norme censurate si pongono altresì in contrasto con l'art. 3 Cost., per irrazionalità e disparità di trattamento di situazioni accomunate da una unica ratio, atteso che viene attribuita alla giurisdizione tributaria la cognizione sulle controversie relative all'atto di recupero, mentre è esclusa la stessa giurisdizione sulle controversie relative all'originaria spettanza del contributo. Pertanto, non essendo possibile una interpretazione costituzionalmente orientata della norma, che si tradurrebbe in una interpretatio abrogans di una inequivoca disposizione di legge; essendo la questione pacificamente rilevante nel caso di specie, perché la disposizione censurata è quella che fonda la stessa potestas decidendi del giudice adito; ed essendo altresì la questione non manifestamente infondata in ragione delle superiori argomentazioni; per questi motivi, la Corte di Giustizia Tributaria, con una diffusa ed articolata ordinanza in data 3/6/2024, solleva questione di legittimità costituzionale degli articoli 1, comma 10, d.l. n. 137/2020 e 25, comma 12, d.l. n. 34/2020. La questione Le norme sottoposte all'esame della Corte costituzionale da parte della Corte di giustizia tributaria di primo grado di Genova in funzione monocratica, hanno istituito contributi a fondo perduto a favore di soggetti in possesso di determinati requisiti e particolarmente colpiti dall'emergenza epidemiologica da COVID-19, devolvendo alla giurisdizione tributaria la cognizione delle controversie relative agli eventuali atti di recupero di detti contributi ove ritenuti dall'Ufficio illegittimamente erogati. Tuttavia, tali contributi secondo la CGT non hanno natura tributaria, poiché non consistono “nell'imposizione di una prestazione che implica una decurtazione patrimoniale a carico dell'obbligato”, né integrano il “riconoscimento di un credito d'imposta”; ma costituiscono una semplice erogazione di somme da parte dell'Amministrazione quale misura economica di sostegno, senza neppure che tali somme concorrano alla formazione della base imponibile delle imposte sui redditi o alla determinazione del valore della produzione ai fini dell'IRPEF e dell'IRAP, ciò che conferma la natura di aiuto economico e non già di beneficio fiscale. Per tali motivi, la Corte di giustizia tributaria di primo grado di Genova ritiene le disposizioni censurate in contrasto con l'articolo 102, secondo comma, della Costituzione, nella parte in cui devolvono il relativo contenzioso al giudice tributario: tali disposizioni, infatti, attribuendo alla giurisdizione tributaria controversie relative a misure economiche di natura non tributaria, violano il precetto costituzionale che vieta l'istituzione di giudici speciali. Inoltre, si ritiene violato anche l'articolo 3 della Costituzione, sotto il profilo dell'irragionevolezza per disparità di trattamento di situazioni sovrapponibili, venendo attribuita alla giurisdizione tributaria la cognizione sulle controversie relative all'atto di recupero, ma rimanendo esclusa quella sulla originaria spettanza del contributo, così creando un irrazionale ed artificioso frazionamento di giurisdizione sulla medesima materia. Di altro avviso è invece l'Avvocatura dello Stato, che davanti alla Corte costituzionale difende la Presidenza del Consiglio dei Ministri: ad avviso della difesa pubblica, la circostanza per la quale il legislatore demanda all'Agenzia delle Entrate, organo che esercita la potestà impositiva, l'attività di concessione del contributo, di controllo e di eventuale recupero di quanto indebitamente percepito, consente di assimilare il contributo stesso ad una agevolazione di natura sostanzialmente tributaria e di configurare quindi come tributario il rapporto tra Agenzia delle Entrate e beneficiari del contributo; e ciò sarebbe altresì confermato dal fatto che i contributi sono parametrati “su dati prettamente fiscali” ed erogati “ad integrazione di mancati ricavi”. L'atto di recupero si porrebbe quindi sostanzialmente come un'attività di accertamento fiscale da parte dell'Agenzia, ciò che giustifica la giurisdizione tributaria. Né risulterebbe violato l'articolo 3 Cost., non essendo irragionevole distinguere, ai fini della giurisdizione, tra atto di diniego del contributo ed atto di revoca dello stesso, posto che il primo fa seguito ad un controllo di natura meramente formale sull'istanza del richiedente; mentre il secondo “è emesso all'esito di un procedimento di accertamento di natura squisitamente fiscale”. Le soluzioni giuridiche Con la sentenza qui annotata, la Corte costituzionale condivide pienamente il percorso logico argomentativo seguito dalla Corte di Giustizia con riferimento all'articolo 102 Cost., disattendendo la ricostruzione alternativa operata dall'Avvocatura dello Stato. Infatti, dopo avere ripercorso la genesi e diffusamente tratteggiato i contenuti dei due interventi normativi operati coi decreti ‘rilancio' e ‘ristori' (cfr. punto 2 della pronuncia), i giudici di Palazzo della Consulta evidenziano che la Corte di Giustizia Tributaria, già Commissione Tributaria, è organo speciale di giurisdizione preesistente alla Costituzione. Ciò posto, “l'art. 102, secondo comma, Cost. vieta l'istituzione di giudici speciali diversi da quelli espressamente nominati nella Carta costituzionale”; ed il legislatore ordinario, “nel modificare la disciplina di tali organi giurisdizionali… incontra il duplice limite costituzionale di non snaturare, come elemento essenziale e caratterizzante la giurisdizione speciale, le materie attribuite a dette giurisdizioni”. Pertanto, come già affermato in numerose precedenti pronunce citate dalla stessa Corte, “la giurisdizione tributaria deve ritenersi imprescindibilmente collegata alla natura tributaria del rapporto”; e “l'attribuzione a detta giurisdizione di controversie non aventi a oggetto rapporti di natura tributaria comporta la violazione del divieto costituzionale di istituire giudici speciali”. Tanto premesso, la Corte costituzionale afferma senza esitazione che i contributi a fondo perduto dei decreti ‘ristori' e ‘rilancio', per le loro caratteristiche strutturali e funzionali, non hanno natura tributaria, poiché non determinano una definitiva decurtazione patrimoniale a carico del soggetto passivo, venendo piuttosto in rilievo l'erogazione, da parte dello Stato, di una somma di denaro a operatori economici privati; e perché tale erogazione non integra un beneficio fiscale. Infatti, se gli strumenti di finanza pubblica per fronteggiare situazioni emergenziali si distinguono in benefici fiscali comportanti un onere tributario minore di quello che sarebbe risultato applicabile in base al normale regime di tassazione (quali esenzioni, riduzioni della base imponibile o dell'aliquota, dilazioni di pagamento) e sussidi finanziari (quali trasferimenti di denaro come finanziamenti, contributi, interventi di aiuto economico in generale), nel caso di specie si è certamente in presenza di un sussidio e non già di un beneficio fiscale, presupponendo quest'ultimo un pregresso rapporto tributario che qui manca. Una volta esclusa la natura di beneficio fiscale del contributo, risulta evidente che sia l'atto di concessione, sia l'atto di diniego, sia l'atto di ritiro (quale quello di causa e per il quale è normativamente prevista la giurisdizione tributaria), non possono che essere, tutti, privi di natura tributaria. Né può far diversamente opinare il fatto che l'an e il quantum del contributo siano parametrati a dati fiscali, quali la titolarità della partita IVA e la riduzione del fatturato o dei compensi, poiché ciò non si traduce “in un esonero dal pagamento di uno o più tributi”. Parimenti non dirimente è la circostanza per cui l'erogazione del contributo e la successiva attività di controllo sono demandate all'Agenzia delle Entrate, perché la giurisdizione tributaria non può essere ancorata al “mero dato formale e soggettivo” costituito dalla natura finanziaria dell'organo competente ad irrogare le sanzioni, ma deve invece ritenersi “imprescindibilmente collegata alla natura tributaria del rapporto”. Nemmeno il richiamo, nelle norme censurate, alle sanzioni amministrative previste dall'art. 13, comma 5, del d.lgs. n. 471/1997 e agli interessi dovuti ai sensi dell'art. 20 del d.P.R. n. 602/1973, in caso di ritiro del contributo illegittimamente conseguito, è idoneo a suffragare la natura tributaria del rapporto: se di rapporto di natura tributaria si fosse trattato, il menzionato espresso richiamo “sarebbe stato del tutto superfluo”. Infine, la natura di aiuto economico della misura in esame si desume anche dalla circostanza che il contributo erogato è escluso dalla base imponibile delle imposte sui redditi delle persone fisiche e sulle attività produttive: la detassazione, ai fini IRPEF e IRAP, di detto contributo, è infatti volta a “evitarne il depotenziamento economico, confortandone la natura di misura finanziaria di sostegno economico e non di beneficio fiscale”. In conclusione quindi, poiché la giurisdizione tributaria deve ritenersi imprescindibilmente collegata alla natura tributaria del rapporto a pena di vulnerare il divieto costituzionale di istituire giudici speciali previsto dall'articolo 102, comma 2, letto anche alla luce della sesta disposizione transitoria e finale; e poiché i contributi a fondo perduto di cui trattasi non hanno natura tributaria; consegue l'incostituzionalità, per violazione dell'articolo 102, della previsione normativa della giurisdizione tributaria per la cognizione delle controversie relative agli atti di recupero di detti contributi a fondo perduto. L'accoglimento della questione di legittimità costituzionale sollevata in riferimento all'art. 102, secondo comma, comporta l'assorbimento della censura relativa all'articolo 3 Cost. Osservazioni La sentenza della Corte costituzionale qui in commento merita piena condivisione, poiché entrambi i cardini del ragionamento giuridico risultano del tutto persuasivi. Per un verso, il carattere speciale della giurisdizione tributaria, preesistente alla Costituzione, rende la stessa giurisdizione imprescindibilmente collegata alla natura tributaria del rapporto, con la conseguenza che il legislatore ordinario non può snaturare le materie ad essa originariamente attribuite, a pena di introdurre un nuovo giudice speciale in violazione dell'espresso divieto di cui all'articolo 102 Cost. (principio consolidato e già affermato da Corte cost. nn. 39/2010, 300/2009, 238/2009, 141/2009, 130/2008, 64/2008, 94/2006, 34/2006 e 144/1998). Per altro verso, la natura non tributaria dei contributi a fondo perduto concessi dai decreti ‘rilancio' e ‘ristori', per motivazioni sovrapponibili a quelle ora utilizzate dalla Corte costituzionale, era già stata evidenziata dalle Sezioni Unite della Cassazione, aditeex art. 363 bis c.p.c. per statuire la non configurabilità della giurisdizione tributaria sulla materia dell'impugnazione del diniego di contributo (cfr. Cass., Sez. Un., n. 34851/2023). Tale conclusione della Cassazione è in piena continuità storica e giuridica con l'insegnamento della giurisprudenza costituzionale, secondo la quale la natura tributaria della fattispecie presuppone la definitiva decurtazione patrimoniale a carico del soggetto passivo, mentre nel caso di specie viene in rilievo l'erogazione, da parte dello Stato, di una somma di denaro a operatori economici privati (cfr. Corte cost. n. 80/2024, 182/2022, 128/2022, 27/2022, 236/2017, 96/2016, 178/2015 e 70/2015); e l'assenza di un pregresso rapporto tributario esclude che si tratti di agevolazione fiscale (Corte cost. n. 120/2020). Inoltre, già in passato è stata considerata in contrasto con l'art. 102, secondo comma, Cost. e con la VI disp. trans. fin. Cost., l'attribuzione alla giurisdizione tributaria di controversie sulla base del mero criterio soggettivo costituito dalla natura finanziaria dell'organo competente e dunque a prescindere dalla natura tributaria del rapporto (Corte cost. n. 130/2008), e ciò poiché la giurisdizione tributaria deve ritenersi imprescindibilmente collegata alla natura tributaria del rapporto e non può invece essere ancorata al solo dato formale e soggettivo relativo all'ufficio competente ad irrogare la sanzione (Corte cost. n. 34/2006). Per tali ragioni, discende, inevitabilmente, la declaratoria di illegittimità costituzionale delle due norme censurate, per violazione dell'articolo 102 Cost.; con assorbimento della censura formulata ex articolo 3, da ritenersi ad avviso di chi scrive anch'essa potenzialmente fondata, essendo del tutto irragionevole frazionare la giurisdizione distinguendo tra atto di mancata concessione di un contributo e atto di recupero del contributo ritenuto illegittimamente erogato, trattandosi di due aspetti speculari della medesima questione. A seguito della sentenza della Corte costituzionale, il giudice a quo rimettente, id est la Corte di Giustizia Tributaria di Genova, dovrà ora dichiarare il proprio difetto di giurisdizione sull'impugnazione dell'atto di recupero, individuando il giudice munito di giurisdizione cui devolvere la controversia e davanti al quale riassumere la causa. La questione è tutt'altro che banale, posto che in materia di sussidi e contributi vi è spesso un articolato e complesso intreccio tra posizioni di interesse legittimo (che impongono lo scrutinio del Giudice Amministrativo) e di diritto soggettivo (che vedono invece il giudizio del Giudice Ordinario). Nel caso che qui occupa, almeno prima facie sembra di potere argomentare che i presupposti per potere ottenere i contributi pubblici sono previsti dalla legge in modo da non lasciare alcun margine di discrezionalità, nemmeno tecnica, con la conseguenza che non vi è una spendita di potere o valutazione discrezionale da parte della PA: pertanto, sia nel caso di mancata concessione, sia nel caso di recupero, la posizione del beneficiario dovrebbe essere quella di diritto soggettivo, con conseguente giurisdizione del Giudice Ordinario. Il tempo dirà se la giurisprudenza ai assesterà su questa o su altra interpretazione. |