La sospensione del contratto di cessione dei crediti accessorio al contratto di finanziamento, nell’abito di uno strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza
31 Ottobre 2025
Massima Il contratto di cessione di crediti, stipulato a garanzia di un finanziamento, rientra tra i contratti “pendenti” ai sensi dell'art. 97 c.c.i.i., sicché può essere sospeso nell'ambito della procedura di concordato preventivo. Il caso La vicenda oggetto di esame trae origine dal ricorso presentato da un debitore, nell'ambito di una procedura di concordato preventivo, con cui si chiedeva la sospensione del contratto di cessione di crediti, stipulato con l'ente che erogava un finanziamento, a garanzia della somma mutuata. Una siffatta richiesta trovava la sua ragion d'essere nella tutela del piano di risanamento aziendale, posto che, a giudizio della parte istante, l'esecuzione del contratto “interferisce e ostacola il progetto di risanamento”. Di contro, il creditore-finanziatore e cessionario dei crediti chiedeva il rigetto della domanda di sospensione del contratto di cessione dei crediti, ritenendo che questa tipologia contrattuale non rientrasse nella categoria dei contratti pendenti disciplinati dall'art. 97 c.c.i.i., poiché privo delle caratteristiche ivi previste. In particolare, sosteneva che il contratto in questione non fosse ineseguito o non compiutamente eseguito da entrambe le parti - requisiti alternativi, invero indispensabili per l'esistenza di un contratto pendente - dal momento che il finanziatore aveva già adempiuto interamente alla prestazione, a differenza del debitore, unico soggetto rimasto inadempiente. A. Il primo grado A fronte di ciò, il Tribunale di Lecce, in composizione collegiale, emetteva decreto con cui veniva disposta la sospensione del contratto di cessione dei crediti. Nel motivare la decisione, i Giudici evidenziavano, segnatamente, che: 1) il contratto di anticipazione rientra tra i contratti pendenti, cosicché può essere sospeso quando il finanziatore, dopo aver erogato il credito, non abbia ancora incassato le somme anticipate; 2) le obbligazioni della banca non si esauriscono nell'anticipazione dell'importo erogato, “dovendo completare la prestazione di incasso in virtù del mandato conferito, dare esecuzione alla compensazione e garantire un comportamento diligente nella gestione dei rapporti continuando a garantire un servizio di cassa entro il limite dell'importo pattuito”. B. Il secondo grado Avverso il decreto veniva proposto reclamo ex artt. 97, comma 5, e 124 c.c.i.i. Nel censurare la decisione di primo grado, la parte reclamante sosteneva che il giudice aveva applicato erroneamente la disciplina dei contratti pendenti ai contratti di finanziamento e di cessione del credito. Infatti, dopo aver ribadito che l'art. 97 c.c.i.i. si applica ai soli contratti rimasti ineseguiti o solo parzialmente eseguiti da entrambe le parti, si evidenziava che - nel caso di specie - residuava, unicamente, l'obbligo del debitore di restituire la somma mutuata. Le questioni e la soluzione giuridica A. Le argomentazioni della Corte d'Appello Il motivo di gravame non è stato accolto dal giudice di secondo grado. La Corte d'appello aderisce all'orientamento patrocinato dalla dottrina e dalla giurisprudenza maggioritarie (si vedano, a titolo esemplificativo, Cass. Civ. n. 11524/2020 e Cass. Civ. n. 26568/2020), che ritengono applicabile la disciplina ai soli contratti con prestazioni corrispettive rimaste ineseguite da entrambe le parti, al momento della domanda di ammissione al concordato preventivo. Tale indirizzo poggia su una serie di argomentazioni: a) l'argomento normativo, per il quale la Relazione al d.l. 27 giugno 2015 n. 83 manifesterebbe l'intenzione di assegnare all'espressione “contratti pendenti”, presente nell'allora art. 169-bis l. fall., lo stesso significato attribuito dal legislatore ai “rapporti pendenti” menzionati all'allora art. 72 L.F, norma quest'ultima che fa (rectius, faceva) riferimento ai contratti bilaterali ineseguiti da entrambe le parti. b) l'argomento storico, per cui alla disposizione normativa dovrebbe essere attribuito il significato tradizionalmente assegnato ad enunciati analoghi. Al riguardo, si evidenzia che con l'espressione “contratti pendenti” sono stati sempre designati i rapporti contrattuali bilaterali, in tutto o in parte inadempiuti da entrambe le parti; c) l'argomento sistematico, in base al quale, se un rapporto contrattuale pendente con obbligazioni ineseguite da una sola delle parti è assoggettato alle disposizioni di cui agli artt. 42 e 52 l. fall., il medesimo rapporto non può essere ricompreso tra quelli bilaterali, a cui invece si applicano le regole di cui all'allora art. 72 l. fall.; d) l'argomento “prospettico”, secondo cui il legislatore del 2019, nel disciplinare i contratti pendenti, all'art. 97 c.c.i.i., li definisce espressamente “contratti non eseguiti o non compiutamente eseguiti nelle prestazioni principali, da entrambi i contraenti, alla data del deposito della domanda di concordato”. Una volta chiarito che il contratto pendente ex art. 97 c.c.i.i. si caratterizza per essere un accordo a prestazioni corrispettive ineseguite in tutto o in parte da entrambe le parti, occorre verificare se il contratto di cessione dei crediti possa essere, effettivamente, ricondotto a tale categoria contrattuale. A ciò la Corte d'Appello offre una risposta positiva, ravvisando - nel caso di specie - un accordo ineseguito tra parte finanziata e finanziatore, dal quale residuano da un lato l'obbligo del debitore/cedente di non impedire la cessione, dall'altro il dovere del cessionario di accettare i pagamenti effettuati dal debitore ceduto. A parere del giudice di secondo grado, entrambi questi obblighi costituiscono prestazioni essenziali, indispensabili per poter parlare di contratti pendenti. Invero, ad avviso della Suprema Corte, si è in presenza di contratti pendenti solamente quando le prestazioni ineseguite abbiano natura principale e, quindi, non siano meramente accessorie (Cass. Civ. n. 11524/2020). B. Questioni giuridiche A ben vedere, la pronuncia in commento si inserisce, in perfetta continuità, nel solco già tracciato dalla giurisprudenza maggioritaria, a seguito dell'introduzione dell'allora art. 169-bis l. fall. (d.l. n. 83/2012, convertito in l. n. 134/2012 e successive modifiche del 2015) nell'ambito della precedente disciplina contenuta nella legge fallimentare e della successiva Relazione al d.l. 27 giugno 2015 n. 83 che, come anticipato nel paragrafo precedente, ha inteso assegnare all'espressione “contratti pendenti”, presente all'art. 169-bis L.F. lo stesso significato attribuito dal legislatore ai “rapporti pendenti” menzionati all'allora art. 72 L.F, norma quest'ultima che fa (rectius, faceva) riferimento ai contratti bilaterali ineseguiti da entrambe le parti. Due sono le principali questioni giuridiche affrontate dalla sentenza in commento. In primo luogo, ci si chiede se il nuovo art. 97 c.c.i.i., nel menzionare il concetto di contratti pendenti, faccia riferimento ai soli contratti bilaterali o anche a quelli unilaterali. La questione viene risolta nel primo senso, poiché la norma in esame richiede che i contratti siano rimasti inadempiuti da entrambe le parti, il che comporta evidentemente la sussistenza di obblighi gravanti su ciascuna delle controparti contrattuali. In secondo luogo, ci si domanda se il contratto di cessione del credito, accessorio a quello di finanziamento, sia da ritenersi un contratto pendente. Il collegio giudicante risponde in senso affermativo, ritenendo che il cedente e il cessionario siano tenuti ad eseguire prestazioni essenziali all'adempimento del contratto, le quali consistono -rispettivamente - nel non ostacolare la cessione e nell'accettare i pagamenti. Ed è proprio su quest'ultimo punto che affiorano alcune perplessità. Innanzi tutto, si può davvero ritenere bilaterale il contratto di cessione? Di poi, si possono ritenere essenziali i doveri appena enunciati? Non è, difatti, agevole intuire quale sia la prestazione del creditore/cessionario nell'ambito di una cessione di crediti e se la sua prestazione, qualora vi sia, rivesta natura non meramente accessoria. Ad un primo esame, il contratto de quo pare privo della natura bilaterale richiesta dalla norma, in quanto esso sembra imporre obblighi unicamente a carico del debitore, il quale è tenuto a trasferire al creditore/cessionario i crediti vantati nei confronti del debitor debitoris e a garantire la solvibilità di quest'ultimo. La cessione, peraltro, è a scopo di garanzia, ossia volta ad onorare il debito sorto dal contratto di finanziamento, il che ci induce a ritenere che il contratto sia a titolo gratuito, in quanto privo della controprestazione del finanziatore. I medesimi dubbi permangono anche qualora il contratto di cessione venga considerato unitamente al contratto di finanziamento e lo si intenda come pattuizione accessoria a quest'ultimo. Anche in questo caso, gli obblighi essenziali gravanti sulle controparti del finanziatore e della parte finanziata sembrano essere rispettivamente la concessione del prestito e la restituzione della somma mutuata. Così opinando, dovremmo ritenere che il creditore, dopo aver prestato la somma pattuita, abbia assolto definitivamente alla sua prestazione principale, mentre il debitore rimanga vincolato finché il debitor debitoris non adempie. I dubbi appena esposti vengono risolti definitivamente dal legislatore che, all'art 97, comma 14, c.c.i.i., chiarisce quanto segue: “Nel contratto di finanziamento bancario costituisce prestazione principale ai sensi del comma 1 anche la riscossione diretta da parte del finanziatore nei confronti dei terzi debitori della parte finanziata”. La norma è rilevante sotto due aspetti. In primo luogo, poiché prevede che la riscossione effettuata dal finanziatore nei confronti del debitor debitoris costituisca una prestazione principale gravante sul creditore. Dunque, tra le prestazioni principali del finanziatore non vi è solo quella di fornire al mutuatario la somma concordata, ma anche quella di riscuotere i crediti che il debitore vanta nei confronti del debitor debitoris. In secondo luogo, poiché tratta il contratto di cessione (mai menzionato espressamente, ma a cui chiaramente fa riferimento) congiuntamente al contratto di finanziamento. Il primo viene evidentemente considerato accessorio al secondo, posto che la riscossione dei crediti nei confronti dei terzi (attività chiaramente derivante dal contratto di cessione e non di finanziamento) viene considerata come prestazione principale del contratto di finanziamento. È come se questo contratto avesse in sostanza assorbito il contratto di cessione rendendolo parte integrante di esso. A questo punto è d'obbligo un'osservazione critica. Se la ratio dell'art. 97 c.c.i.i. è quella di impedire che il contratto pendente incida sul piano di ristrutturazione aziendale, si dovrebbe coerentemente sospendere non solo il contratto di cessione ma anche quello di finanziamento. Infatti, il piano di ristrutturazione potrebbe essere pregiudicato tanto dall'obbligo di restituzione derivante dal contratto di finanziamento quanto dal trasferimento dei crediti vantati nei confronti del debitor debitoris, posto che - in entrambi i casi - il debitore salda il debito, seppur con modalità diverse. Ecco che, per salvaguardare il piano di ristrutturazione, sarebbe opportuno sospendere non solo il contratto accessorio di cessione, ma anche il contratto di finanziamento. Una tale considerazione poggia, segnatamente, sul dettato normativo dell'art. 97, comma 14, c.c.i.i., nel quale si dà rilievo prioritario al contratto di finanziamento, considerando la riscossione nei confronti del debitor debitoris (derivante dalla cessione) come una prestazione che afferisce direttamente al contratto di mutuo. Sarebbe, pertanto, logico sospendere il contratto di finanziamento, da cui potrebbe discendere l'automatica sospensione del contratto accessorio di cessione, il quale, stando anche alla litera legis, viene considerato parte integrante del primo. Ebbene, per meglio tutelare le esigenze sottostanti alla norma, bisognerebbe chiedere e ottenere la sospensione di entrambi i contratti oppure del solo contratto di finanziamento, in quanto assorbente quello di cessione. È doverosa un'ultima puntualizzazione. L'art. 97, comma 14, c.c.i.i. non fa espressamente riferimento al contratto di cessione, menzionando in modo piuttosto generico il caso in cui il finanziatore riscuota direttamente nei confronti del debitore della parte finanziata. Una siffatta attività, tuttavia, non è detto che si fondi sul contratto di cessione. Vi sono, difatti, altri casi in cui il creditore agisce direttamente nei confronti del debitore, come ad esempio l'ipotesi di delegazione attiva, pattuizione con cui il debitore delega il debitor debitoris ad eseguire il pagamento direttamente nei confronti del creditore. In questo caso, al pari di quanto avviene per la cessione del credito, si assiste a una modificazione soggettiva del rapporto obbligatorio dal lato attivo, in quanto la titolarità del credito, dapprima spettante al debitore, viene trasferita in capo al suo creditore. Osservazioni In ragione di tutto quanto sopra esposto, sono due le principali considerazioni che emergono. In primo luogo, rileva l'opportunità di chiedere ed ottenere la sospensione di entrambi i contratti, o quantomeno del contratto di finanziamento siccome principale e assorbente rispetto a quello accessorio di cessione. In secondo luogo, è evidente come l'art. 97, comma 14, c.c.i.i. non faccia riferimento al contratto di cessione, bensì alla sola riscossione diretta nei confronti dei debitori della parte finanziata, fattispecie nella quale rientra anche - ma non solo - l'ipotesi di cessione dei crediti. Peraltro, posto che il legislatore afferma che la riscossione diretta nei confronti di terzi è una prestazione principale del contratto di finanziamento, a maggior ragione dovrà ritenersi che la riscossione nei confronti del debitore costituisca una prestazione essenziale di questa tipologia contrattuale. |