Quando si determina il valore dei beni confiscati in via diretta e di quelli oggetto di confisca per equivalente?
06 Novembre 2025
Massima Il caso A seguito del passaggio in giudicato di una sentenza che condannava alcuni soggetti per il delitto di associazione per delinquere finalizzata alla commissione di illeciti tributari e per numerosi reati fine e che disponeva la confisca in via diretta e per equivalente di diversi beni sequestrati nel corso del procedimento a carico delle società nell'interesse delle quali erano stati commessi gli illeciti tributi e a carico dei singoli imputati, uno dei concorrenti nei reati aveva promosso incidente di esecuzione ai sensi dell'art. 666 c.p.p. per chiedere la revoca della confisca per equivalente, deducendo che l'ammontare complessivo del profitto corrispondesse già agli importi sequestrabili in via diretta. Nel giudizio di appello, infatti, era stata solo parzialmente confermata la sentenza di condanna emessa in primo grado e l'ammontare del profitto da confiscare era stato ridotto ad una somma complessiva che poteva essere tratta dal patrimonio delle società in via diretta, mentre la confisca per equivalente avrebbe dovuto limitarsi alla sola differenza tra il profitto dei reati e il valore dei beni già sottoposti a sequestro. Il giudice dell'esecuzione aveva respinto la richiesta e avverso questo provvedimento l'interessato aveva proposto ricorso per cassazione lamentando che era stata erroneamente ritenuta legittima una statuizione di confisca per equivalente per l'intero profitto dei reati commessi in concorso in ragione della solidarietà passiva tra gli imputati e per non avere dato adeguata considerazione al valore dei beni già sequestrati alle società in favore delle quali i reati tributari erano stati commessi, valore addirittura superiore al profitto confiscabile. La Corte di cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso, perché la suddivisione delle responsabilità tra i concorrenti non poteva essere rivista in sede esecutiva dopo il passaggio in giudicato della sentenza e perché la censura sull'omessa considerazione di quanto sequestrato in via diretta non era sufficientemente specifica, avendo fatto riferimento al valore dei beni confiscati in via diretta, come determinato al momento del sequestro e non al momento in cui il titolo ablatorio era diventato definitivo. La questione La decisione affronta la natura e i limiti dell'istituto della confisca per equivalente, oramai contemplato in relazione a numerose fattispecie incriminatrici, e in particolare applicabile in caso di condanna per reati tributari ai sensi dell'art. 12-bis, comma 1, d.lgs. n. 74/2000, in forza del quale la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo è obbligatoria e, quando essa non è possibile, deve procedersi alla confisca di beni, di cui il reo abbia la disponibilità, per un valore corrispondente a tale prezzo o profitto. Accertata l'esistenza di un prezzo o di un profitto acquisiti al patrimonio del reo e quantificatane la misura, se nella disponibilità di costui sono stati individuati dei beni legati da un nesso di derivazione dal reato, in che misura se ne potranno confiscare altri di origine lecita per equivalente per raggiungere con l'intervento ablatorio il valore del prezzo o del profitto accertati? E ancora più specificamente, come si determina il complessivo valore confiscabile in via diretta o per equivalente al condannato concorrente unitamente ad altri nella commissione del reato al quale si ricollegano il prezzo o il profitto? Le soluzioni giuridiche La Cassazione dà una risposta a questi interrogativi, muovendo dalla considerazione che la confisca, sia quella diretta sia quella per equivalente, ha come presupposto l'individuazione di un profitto, che il giudice della cognizione deve determinare. Il suo ammontare, così come accertato, viene cristallizzato dal passaggio in giudicato della sentenza. Se il giudizio di cognizione ha avuto ad oggetto condotte compiute in concorso, la suddivisione delle responsabilità e la ripartizione eventuale dell'ammontare del profitto riferibile rispettivamente a ciascun concorrente deve essere oggetto di accertamento e di statuizione nella sentenza irrevocabile. Pertanto, deve considerarsi inammissibile l'istanza di uno dei condannati che richieda in sede di incidente di esecuzione di ripartire il profitto al fine di limitare la misura del valore da confiscare a carico del singolo concorrente, operando in tal caso la preclusione derivante dal giudicato. Nella vicenda all'esame della Cassazione, peraltro, la sentenza di merito era stata impugnata anche nelle statuizioni relative alla ripartizione della misura del profitto confiscabile e la censura è stata dichiarata inammissibile. Cristallizzato l'ammontare del profitto, il valore dei beni sottoposti a sequestro e sui quali eseguire la confisca va determinato non al momento in cui è stato emesso il provvedimento cautelare ma al momento in cui la confisca è divenuta esecutiva. Solo allora, al momento in cui si produce l'effetto ablatorio, potrà verificarsi se il valore dei beni confiscati in via diretta sia pari o inferiore al valore del profitto conseguito; se risulta inferiore la confisca per equivalente deve essere eseguita. Non rileva, invece, il valore dei beni al momento del sequestro che ha funzione meramente cautelare; né rileva quello di realizzo, perché la liquidazione dei beni avviene dopo l'ablazione, e qualora se ne conseguano importi in misura superiore al valore determinato quando la sentenza è divenuta esecutiva, solo la differenza potrà essere considerata indebito arricchimento da parte dello Stato. Le richieste di restituzione dei beni oggetto di confisca per equivalente, formulate dal condannato facendo riferimento alle stime del loro valore all'epoca del sequestro, devono essere considerate inammissibili per difetto di specificità, proprio perché non si basa su calcoli correlati al momento in cui la sentenza era divenuta esecutiva. Osservazioni La decisione si inserisce armonicamente nel nuovo corso della giurisprudenza di legittimità, che attribuisce alla confisca per equivalente natura ripristinatoria e non sanzionatoria (Cass. pen., sez. un., 26 settembre 2024 n. 13783, Massini, in IUS Penale, 14 aprile 2025, con commento di M. Toriello, Confisca per equivalente del profitto del reato: come procedere in caso di pluralità di concorrenti), sebbene in motivazione affermi di volerne prescindere e sebbene, comunque, echeggi, senza mai espressamente richiamarli, principi fissati dalla giurisprudenza che aveva accettato l'inquadramento di tale confisca tra gli strumenti punitivi. Le Sezioni Unite “Massini” avevano sciolto l'equivoco che attribuiva alla confisca per equivalente natura sanzionatoria, in quanto a contenuto afflittivo, spiegando che ogni ablazione patrimoniale incide negativamente sulla sfera giuridica di chi la subisce perché comprime il suo diritto di proprietà ma non per questo ad ogni ablazione corrisponde una funzione punitiva. La disvelata non coincidenza tra i due concetti (afflizione/punizione) aveva condotto i giudici di legittimità ad affermare che la confisca per equivalente ha una preminente funzione recuperatoria, sostanzialmente per due ragioni: per un verso «"salta" la derivazione tra bene e reato quanto alla identità specifica del bene e del suo rapporto con l'illecito, ma non incide sulla identità quantitativa del rapporto tra reato e reo»; e per altro verso costituisce «un surrogato della confisca diretta perchè si limita a realizzare un meccanismo di chiusura e sussidiario del sistema - derivante dalla impossibilità di apprendere i beni direttamente derivanti dal reato - ma è simile nella sostanza alla prima». Questo percorso argomentativo ha consentito alle Sezioni Unite di superare il principio della solidarietà che derivava anche dalla ritenuta funzione sanzionatoria della confisca per equivalente, dogmaticamente derivata a sua volta dall'irrilevanza della derivazione dall'illecito del bene confiscato. E ha così impartito ai giudici di merito l'indirizzo, in base al quale, in caso di concorso di persone nel reato, va esclusa ogni forma di solidarietà passiva e la confisca va disposta nei confronti del singolo concorrente limitatamente a quanto dal medesimo concretamente conseguito, in base ad un accertamento probatorio svolto nel contraddittorio fra le parti, con la conseguenza che solo in caso di mancata individuazione della quota di arricchimento del singolo concorrente, potrà farsi ricorso al criterio della ripartizione in parti uguali. Ma tale inquadramento consente anche di affermare che è comune la natura recuperatoria della confisca diretta e della confisca per equivalente quando ha ad oggetto il profitto del reato. E quindi l'avvenuto compiuto recupero del valore tale profitto attraverso le risorse economiche e patrimoniali del reo, che siano individuate come derivanti dall'illecito, sarà effettivamente misurabile al momento in cui si verifica il passaggio in giudicato della sentenza che accerta la responsabilità, determina il profitto e dispone la confisca. Nel fissare questo principio la terza sezione della Corte di cassazione nella sentenza in commento si ricollega alla giurisprudenza, che, pur rimanendo ancorata alla visione sanzionatoria della confisca per equivalente, ha escluso che tale statuizione possa riguardare beni futuri e anzi considerava un provvedimento ablatorio illegale, affetto da nullità e rilevabile d'ufficio, la confisca di beni non individuati e non presenti al momento della decisione (Cass. pen., sez. II, 3 giugno 2025 n. 22641, Gargiulo). Nel precisare quali siano i beni futuri si è tuttavia spiegato che per tali devono intendersi quelli pervenuti nella disponibilità degli imputati in epoca successiva alla data di irrevocabilità della sentenza. Non devono considerarsi beni futuri e possono essere assoggettati a confisca per equivalente quelli acquisiti lecitamente dopo la commissione dei reati o anche durante la pendenza del processo e fino alla conclusione dello stesso, trattandosi di utilità che possono anche essere legittimamente sequestrate nella prospettiva di dare esecuzione alla confisca per equivalente al momento in cui la sentenza diventerà irrevocabile (l'orientamento è oramai consolidato: Cass. pen., sez. V, 14 giugno 2024 n. 33091, Chiappini, in CED Cass. Rv. 286804 – 01; Cass. pen., sez. III, 25 maggio 2017 n. 37454, Sardagna Ferrari). Anche su questo fronte emerge l'esigenza di cristallizzare al passaggio in giudicato della decisione il momento regolativo della pretesa dello Stato di recuperare il valore ingiustamente conseguito con l'illecito ma al contempo si delinea la possibilità per la parte pubblica fino a quel momento di individuare ogni risorsa patrimoniale utile a consentire pienamente tale recupero. Queste decisioni, infatti, superano gli assunti sostenuti da altre risalenti pronunce che traevano dalla natura sanzionatoria la necessità di osservare il principio di irretroattività, al quale facevano prendere le forme della preclusione della confisca per equivalente dei beni acquisiti lecitamente dopo la commissione del reato (Cass. pen., sez. III, 19 gennaio 2016 n. 4097, Tonnasi Canovo; Cass. pen., sez. III, 27 febbraio 2013 n. 23649, D'Addario). E lo fanno sottolineando la prevalente funzione compensativa, e proprio valorizzando il dato sul quale si è elaborata la tesi della confisca per equivalente come sanzione, cioè l'irrilevanza del nesso di derivazione del bene dal reato. Sicché i valori da mettere in comparazione ai fini di legittimare la confisca per equivalente sono da una parte quello dell'entità del profitto e dall'altro quello dei beni derivati dal reato, eventualmente ancora reperiti nella disponibilità dell'imputato. Il valore del profitto va misurato con riguardo ai beni ottenuti dall'attività illecita, facendo riferimento al valore di mercato che essi avevano al momento in cui sono stati conseguiti (Cass. pen., sez. II, 7 marzo 2024 n. 14654); come era già stato precisato dalla giurisprudenza di legittimità, non possono entrare nella commisurazione del profitto gli incrementi ultrattivi che da esso sono possono essere conseguiti, perché l'ablazione deve avere ad oggetto soltanto «i vantaggi di natura economico-patrimoniale costituenti diretta derivazione causale dell'illecito, così da aver riguardo esclusivamente dell'effettivo incremento del patrimonio dell'agente derivante dalla sua condotta illecita» (Cass. pen., sez. VI, 27 gennaio 2015 n. 9988). E' per questo, che come afferma la sentenza in commento, la misura del profitto e la riferibilità di esso a ciascuno dei concorrenti devono essere accertati dal giudice della cognizione con i crismi del contraddittorio e non possono essere più messi in discussione nel procedimento di esecuzione; esso va allora, conseguentemente, cristallizzato in correlazione all'accertamento della condotta e del singolo con riguardo al momento del fatto, diventa parametro certo e non può più essere rivalutato. Il valore del bene derivato dall'illecito va, invece, determinato al momento in cui il giudicato deve essere eseguito, sicchè può essere oggetto di contenzioso in sede di incidente di esecuzione, ma sulla base di deduzioni specifiche. In quella sede si potrà verificare se rispetto al valore cristallizzato del profitto i beni oggetto di confisca diretta possono essere sufficienti a soddisfare la pretesa recuperatoria che la confisca diretta deve assolvere, verificandone il valore all'attualità, diminuito o incrementato che sia rispetto al valore (oramai a questo fine divenuto irrilevante) che essi avevano al momento in cui il reo lo abbia acquisito o al momento in cui l'autorità giudiziaria lo abbia sequestrato. E solo in caso di piena corrispondenza del loro valore stimato al momento dell'irrevocabilità della sentenza con quello del profitto conseguito, vi saranno i presupposti per la restituzione degli ulteriori beni privi di collegamento con l'illecito, che erano stati sequestrati in vista della confisca per equivalente. |