CNF: contatti e rapporti tra avvocato e magistrato fuori udienza
07 Novembre 2025
La vicenda esaminata riguardava un ricorso promosso da un avvocato avverso la sanzione della sospensione dall’esercizio professionale (per mesi sei) irrogata dal Consiglio distrettuale di disciplina forense per avere il ricorrente, in qualità di avvocato di parti private nei procedimenti tributari, dato e promesso al giudice varie utilità, al fine di ottenere l’accoglimento dei ricorsi dal medesimo proposti. Il CNF ha preliminarmente ricordato che ai sensi degli artt. 9 (Dovere di dignità, probità, decoro e indipendenza) e 53, comma 4 (Rapporti con i magistrati) del codice deontologico forense – disposizioni la cui violazione era stata contestata al ricorrente – «L'avvocato non deve approfittare di rapporti di amicizia, familiarità o confidenza con i magistrati per ottenere o richiedere favori e preferenze, né ostentare l'esistenza di tali rapporti». La giurisprudenza ha ritenuto sanzionabili fattispecie di sicuro minore impatto rispetto ai fatti contestati ed accertati nel procedimento penale e disciplinare a carico del ricorrente, affermando, per esempio, che «Costituisce illecito disciplinare (art. 53, comma 2, CDF) il comportamento dell’avvocato che, fuori dall’udienza ed in assenza della controparte, avvicini il magistrato o lo contatti inviandogli una comunicazione personale per discutere della causa» (Nella specie,, si trattava di un messaggio via Messenger relativamente ad una causa in cui l’avvocato era costituito in proprio): Consiglio Nazionale Forense, sentenza n. 232/2024 e, in senso conforme, CNF n. 42/2020, CNF n. 185/2013, CNF n. 114/2016, CNF n. 228/2015, CNF n. 185/2013, CNF n. 106/2011. Ancora, sia pur con decisione lontana nel tempo ma tuttora attuale per i principi affermati, è stato ritenuto sanzionabile «il professionista che coltivi un’amicizia con un magistrato conseguendone un trattamento preferenziale nei propri impegni professionali, che ottenga dallo stesso il privilegio, negato ai suoi colleghi, di ricevere i clienti nel suo ufficio anche nelle ore pomeridiane, e che utilizzi tale circostanza senza discrezione e riservatezza, tiene un comportamento non consono ai principi di correttezza, dignità e decoro professionali e merita la sanzione della censura». Il professionista deve infatti tenere «un comportamento nei confronti del giudice tale che deve assolutamente evitarsi che le parti ed il pubblico in genere e gli stessi colleghi possano, per effetto di manifestazioni esteriori, essere indotti a dubitare della imparzialità del giudice» (Consiglio Nazionale Forense, 1° marzo 1989, n. 44). Nel caso di specie, il CNF, premessa l’efficacia della sentenza di patteggiamento nel procedimento disciplinare in quanto intervenuta anteriormente all’entrata in vigore della riforma cd. Riforma Cartabia (d.lgs. n. 150/2022), ha evidenziato che i fatti accertati sulla base delle prove acquisite, anche dal processo penale, comprovavano in modo univoco l’assoluta gravità della condotta tenuta dall'avvocato. Invero, in virtù del rapporto di amicizia accertato con il giudice tributario, il ricorrente avrebbe dovuto certamente astenersi dal patrocinare giudizi dinanzi al medesimo, anziché «approfittare» della situazione di favore e tenere una condotta che appariva indiscutibilmente contraria invero alle disposizioni deontologiche ed ai più generali ed universali principi che devono governare e sovraintendere l’esercizio del diritto di difesa (art. 24 Cost., art. 2, commi 1 e 4 e art. 3 l. n. 247/2012, art. 9 codice deontologico), oltre che improntare la condotta di un avvocato nei confronti del magistrato, essendo evidente che l'autorevolezza di un avvocato non risiede solo nella sua preparazione professionale, ma nella limpida correttezza del suo comportamento. |