Legittimità costituzionale del divieto di messa alla prova per il favoreggiamento reale
11 Novembre 2025
Massima Sono infondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 168-bis, comma 1, c.p., sollevate, in riferimento all'art. 3 Cost., sotto il profilo dell'irragionevole disparità di trattamento tra il delitto di favoreggiamento reale (art. 379 c.p.) rispetto ai delitti di falsa testimonianza (art. 372 c.p.) e di induzione a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci all'autorità giudiziaria (art. 377-bis c.p.), e all'art. 27, comma 3, Cost., sotto il profilo della impossibilità di addivenire alla sospensione del procedimento penale con messa alla prova per il reato di cui all'art. 379 c.p. Il caso Il Giudice territoriale sollevava, in riferimento agli artt. 3 e 27, comma 3, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell'art. 168-bis, comma 1, c.p., nella parte in cui «non prevede che l'imputato, anche su proposta del Pubblico Ministero, possa chiedere la sospensione del processo con messa alla prova in relazione al delitto di favoreggiamento reale di cui all'articolo 379 c.p.». Il rimettente, in sede di udienza preliminare, stava procedendo a carico di un soggetto, imputato in ordine ai delitti di cui agli artt. 378 (‘favoreggiamento personale') e 379 c.p. (‘favoreggiamento reale'), che aveva formulato istanza di sospensione del procedimento con messa alla prova, allegando la prevista relazione di indagine sociale e trattamentale elaborata dall'Ufficio esecuzione penale esterna di competenza. Sennonché, essendo il delitto di favoreggiamento reale (art. 379 c.p.) punito con una pena edittale fino a cinque anni di reclusione e non comparendo nell'elenco dei reati indicati nell'art. 550, comma 2, c.p.p. (‘casi di citazione diretta a giudizio'), l'accesso all'istituto della messa alla prova risultava precluso, non soddisfacendo i requisiti previsti dal primo comma dell'art. 168-bis c.p. La questione Ad avviso del rimettente, le questioni di legittimità costituzionale erano rilevanti atteso che, nel giudizio di merito, risultavano soddisfatte le condizioni in presenza delle quali poteva essere disposta la sospensione del procedimento con messa alla prova. L'imputato, difatti, non aveva mai usufruito dell'istituto in esame e, essendo i reati contestati al medesimo avvinti dal vincolo della continuazione, trovava applicazione il principio affermato dalla sentenza n. 174 del 23 giugno 2022 della Corte costituzionale per la quale, in caso di simultaneus processus avente ad oggetto più fatti di reato, il Giudice può riconoscere il vincolo della continuazione e consentirne l'ammissione alla messa alla prova Inoltre, il Giudice del merito riteneva di non dover pronunciare sentenza di proscioglimento, ai sensi dell'art. 129 c.p.p., rilevava come il programma trattamentale predisposto nell'interesse dell'imputato fosse adeguato e che, sulla scorta degli elementi a propria disposizione, era possibile pronosticare che, in futuro, il medesimo si sarebbe astenuto da commettere ulteriori reati. Quanto alla non manifesta infondatezza delle questioni, il rimettente evidenziava come, a suo parere, l'art. 168-bis, comma 1, c.p. violasse l'art. 3 Cost. sotto il profilo dell'irragionevole disparità di trattamento rispetto ai delitti, assunti a tertia comparationis, di falsa testimonianza (art. 372 c.p.) e di induzione a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci all'autorità giudiziaria (art. 377-bis c.p.). Si tratterebbe, infatti, di figure criminose che offendono il medesimo bene giuridico tutelato dal delitto di favoreggiamento reale (testualmente, «l'amministrazione della giustizia, sub specie di attività giudiziaria»), che sono punite peraltro con una pena detentiva più severa (da due a sei anni di reclusione) e che possono ledere anche altri «diritti e libertà fondamentali». Tuttavia, evidenzia il rimettente, per queste figure delittuose – a differenza del reato di cui all'art. 379 c.p. – la messa alla prova è ammissibile atteso che risultano inserite nell'elenco dei reati di cui all'art. 550, comma 2, c.p.p., richiamato dall'art. 168-bis, comma 1, c.p. per ampliare le ipotesi in cui è ammessa la sospensione del procedimento con messa alla prova. Inoltre, il rimettente ravvisava una disparità di trattamento, lesiva dell'art. 3 Cost., anche in relazione al delitto di favoreggiamento personale di cui all'art. 378 c.p., per il quale la messa alla prova è possibile, in quanto punito con la pena della reclusione fino a quattro anni. Evidenziava, sul punto, come la commissione di tale ultimo reato fosse potenzialmente idonea a compromettere le sorti di un intero procedimento penale e non, come il favoreggiamento reale, a rendere difficoltosa la possibilità di addivenire al sequestro e/o alla confisca del prezzo, del prodotto o del profitto di un reato. Da ultimo, il Giudice territoriale rilevava che le questioni di legittimità costituzionale erano non manifestamente infondate anche in riferimento all'art. 27, comma 3, Cost., in quanto l'impossibilità di addivenire alla sospensione del procedimento penale con messa alla prova non era razionalmente spiegabile comportando, quindi, l'irrogazione di pene percepite come ingiuste. Le soluzioni giuridiche 1. La Corte costituzionale, anzitutto, ha ritenuto inammissibile la questione sollevata (in riferimento all'art. 3 Cost.) relativa alla disparità di trattamento del reato di favoreggiamento reale rispetto al delitto di favoreggiamento personale, per insufficiente motivazione in ordine alla non manifesta infondatezza del dubbio di legittimità costituzionale. 2. Con riguardo alla questione, sollevata sempre in riferimento all'art. 3 Cost., relativa alla disparità di trattamento tra il reato di favoreggiamento reale (art. 379 c.p.) – che non consente la sospensione del procedimento con messa alla prova – e i delitti di falsa testimonianza (art. 372 c.p.) e di induzione a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci all'autorità giudiziaria (art. 377-bis c.p.), per i quali, seppur puniti con una pena più elevata, la messa alla prova è astrattamente ammissibile, la Corte l'ha ritenuta infondata. Preliminarmente, il Giudice delle leggi, ricorda di avere già dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 168-bis, comma 1, c.p., limitatamente alla parte in cui non consentiva la sospensione del procedimento con messa alla prova per il reato previsto dall'art. 73, comma 5, del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (c.d. ‘piccolo spaccio' o ‘spaccio di lieve entità'), ravvisando «un'irragionevole disparità di trattamento rispetto al reato di istigazione all'uso illecito di sostanze stupefacenti, punito con pena più elevata, per il quale, tuttavia, la messa alla prova è astrattamente ammissibile» (C. cost., 11 giugno 2025, n. 90). In quella sede, difatti, la Corte aveva ravvisato un'irragionevole disparità di trattamento tra il reato di cui all'art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/90, per il quale non era ammissibile la messa alla prova, e il delitto di cui all'art. 82, comma 1 del medesimo decreto presidenziale (‘istigazione all'uso illecito di sostanze stupefacenti') per il quale, nonostante fosse prevista una pena più elevata, l'accesso all'istituto era consentito atteso il suo inserimento nell'elenco di reati di cui all'art. 550, comma 2, c.p.p. (richiamato dall'art. 168-bis c.p.). Ciò in quanto, nonostante la «diversità sul piano della tipizzazione delle condotte», la Corte aveva riscontrato una similitudine di disvalore tra le due fattispecie poste a raffronto, attestata sia dall'identità dei beni giuridici che dall'anticipazione della tutela penale degli stessi; inoltre, le ipotesi di reato messe a confronto attenevano alla medesima materia ed erano sostanzialmente omogenee sotto il profilo dell'oggettività giuridica, nonché della loro strutturazione come reati di pericolo astratto o presunto. Per l'effetto, si era così determinata un'anomalia che aveva ribaltato «la scala di gravità tra le due figure criminose in comparazione, entrambe attinenti alla materia degli stupefacenti e preposte alla tutela dei medesimi beni giuridici, di cui incriminano la mera esposizione a pericolo. L'ipotesi meno grave è soggetta a un trattamento più rigoroso, sul versante considerato, ossia l'ammissibilità alla messa alla prova, con conseguente violazione dei principi di uguaglianza e ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost.» (C. cost., 11 giugno 2025, n. 90). 3. Diversamente, nel giudizio in commento, la Corte rileva che le fattispecie incriminatrici assunte dal rimettente a tertia comparationis – si ricorda, quelle di cui agli artt. 372 e 377-bis c.p., per le quali è possibile la messa alla prova in quanto elencate nell'art. 550, comma 2, c.p.p. – presentano elementi di notevole disomogeneità, al punto che diventa problematico individuarne un'univoca e coerente ratio ispiratrice. Ciò si pone in contrasto con la costante giurisprudenza del giudice delle leggi per la quale, il raffronto tra fattispecie normative, finalizzato a verificare la non manifesta irragionevolezza delle scelte legislative, deve avere comunque a oggetto casistiche omogenee, risultando altrimenti improponibile la stessa comparazione (sul punto, vengono richiamate la già citata sentenza n. 90 del 2025, nonché le sentenze n. 120 del 2023, n. 156 del 2020, n. 282 del 2010 e n. 161 del 2009). La Corte, difatti, evidenzia che le ipotesi di reato messe a confronto – favoreggiamento reale, falsa testimonianza e induzione a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci all'autorità giudiziaria – presentano sostanziali differenze sul piano della tipizzazione della fattispecie penale. 3.1 In particolare, l'art. 372 c.p. punisce tre condotte alternative, di cui due commissive [affermare il falso e negare il vero] e una omissiva [tacere, totalmente o parzialmente, ciò che si sa]; queste condotte devono essere realizzate da colui che assume la qualifica di testimone, configurando così un reato proprio, e il loro destinatario può essere solamente il giudice, ordinario o speciale, civile o penale, monocratico o collegiale, oltre alla Corte penale internazionale. La fattispecie, poi, integra un reato di pericolo concreto, in quanto è sufficiente, ai fini della sua consumazione, che il mendacio e la reticenza siano idonei a indurre in errore il giudice e ad alterarne il convincimento, anche se poi non abbiano effettivamente inciso sul contenuto della decisione. 3.2 Nell'art. 377-bis c.p., invece, la condotta tipica consiste nell'induzione del soggetto chiamato a rendere dichiarazioni davanti all'autorità giudiziaria [oltre al giudice, quindi, anche al pubblico ministero] ad avvalersi della facoltà di non rispondere e a non rendere dichiarazioni ovvero a rendere dichiarazioni mendaci; questa condotta deve essere realizzata con modalità tassativamente indicate dal legislatore, consistenti nella minaccia o violenza ovvero nell'offerta o promessa di denaro o di altra utilità, e deve indurre, effettivamente, il suo destinatario alla reticenza o alla menzogna processuali. Si tratta, quindi, di un reato di evento, perché, per la sua consumazione, è necessario che sia tenuta la condotta di non rendere dichiarazioni o di rendere dichiarazioni mendaci, ancorché, trattandosi anche in tal caso di reato di pericolo, non sia necessario che ciò abbia contaminato o deviato il corretto corso del procedimento penale. Mentre il soggetto agente può essere chiunque, il destinatario della condotta di induzione deve essere la persona chiamata a rendere dichiarazioni davanti all'autorità giudiziaria che abbia la facoltà processuale di non rispondere, come, ad esempio, l'indagato o l'imputato, nonché l'indagato o l'imputato in procedimento connesso, ai sensi dell'art. 12 c.p.p., ovvero per reato collegato, ai sensi dell'art. 371, comma 2, lettera b), c.p.p.; la norma incriminatrice, peraltro, punisce solamente chi pone in essere la condotta istigatrice, non anche la persona indotta, neanche quando l'induzione sia stata realizzata con offerta o promessa di denaro. 3.3 Nel favoreggiamento reale di cui all'art. 379 c.p., che presuppone la previa commissione di un reato e il non aver concorso in esso, la condotta tipica consiste, invece, nell'aiutare taluno ad assicurare il prodotto, il profitto o il prezzo del reato. Ai fini dell'integrazione del reato, è sufficiente una qualsiasi azione od omissione obiettivamente idonea allo scopo, ossia a rendere definitivo, o almeno certo, il vantaggio che il reo abbia tratto dal reato, ancorché questo risultato non venga raggiunto; si tratta, infatti, di un reato di pericolo, in quanto, per la sua consumazione, non è necessario che il bene o il vantaggio siano definitivamente entrati nel patrimonio del “favorito”, nonché di un reato a forma libera. Nel favoreggiamento reale, poi, l'aiuto deve essere prestato nell'esclusivo interesse dell'autore del reato presupposto, potendosi configurare, altrimenti, altre fattispecie criminose, rispetto alle quali esso ha natura sussidiaria. 4. Alla luce di quanto sopra, la Corte rileva come le condotte integrative dei reati posti in comparazione siano profondamente diverse, risultando accomunate solamente dal loro collegamento con lo svolgimento della funzione giudiziaria. A fronte di tale «diversità sul piano della tipizzazione delle condotte», seguendo un percorso argomentativo identico a quello utilizzato nella sentenza n. 90 del 2025, più volte citata, il giudice delle leggi passa a verificare se, nelle fattispecie poste a raffronto, possa essere riscontrata quella «similitudine di disvalore» attestata dall'identità di materia, dalla medesimezza dei beni giuridici tutelati e dalla strutturazione delle fattispecie in questione come reati di pericolo. Ebbene, la Corte evidenzia che, in ogni caso, si tratta di fattispecie sostanzialmente disomogenee sotto il profilo dell'oggettività giuridica. Le ipotesi di reato poste a confronto, infatti, condividono unicamente il bene giuridico di categoria – l'amministrazione della giustizia –, che raggruppa tuttavia una serie eterogenea di fattispecie incriminatrici, le quali, «pur presentando tratti comuni che ne giustificano la collocazione nella categoria dei delitti contro l'attività giudiziaria, non hanno carattere del tutto omogeneo» (richiama C. cost., 8 febbraio 2010, n. 47). 4.1 In particolare, la norma incriminatrice della falsa testimonianza tutela, nell'ambito del più generico interesse al regolare svolgimento dell'attività giudiziaria, lo specifico interesse alla correttezza delle decisioni giurisdizionali, che può essere turbato dal difetto di veridicità e completezza della prova testimoniale; il reato, quindi, salvaguarda la genuinità della prova a garanzia del normale svolgimento del processo e del corretto accertamento giudiziale. Anche il delitto di induzione a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci all'autorità giudiziaria si colloca, nell'ambito della più ampia categoria dei delitti contro l'attività giudiziaria, tra quelli volti a tutelare la correttezza dell'accertamento giudiziario di fatti, in tal caso costituenti reato, ponendosi a garanzia della genuinità delle dichiarazioni che confluiscono nel procedimento penale in funzione probatoria. Inoltre, nel caso in cui l'induzione sia realizzata tramite violenza o minaccia, all'offesa del bene giuridico dinanzi indicato si aggiunge la lesione della libertà individuale del destinatario dell'indebita pressione, con conseguente configurazione della fattispecie in termini di reato plurioffensivo. 4.2 Diversamente, nel favoreggiamento reale, oggetto di tutela è l'interesse, non solamente a che non sia prestata ai rei una collaborazione diretta a far divenire definitivi i vantaggi acquisiti a mezzo del reato, ma anche, e soprattutto, ad assicurare la fruttuosità e la concreta eseguibilità della confisca, come dimostrato dal fatto che l'oggetto materiale della condotta tipica è individuato nel prodotto, profitto o prezzo del reato, ossia nelle cose che possono costituire oggetto della misura di sicurezza di cui all'art. 240 c.p. La fattispecie di cui all'art. 379 c.p., quindi, si colloca al di fuori delle fattispecie criminose poste a tutela della correttezza dell'accertamento e delle decisioni giudiziali, in cui confluiscono, invece, sia la falsa testimonianza sia l'induzione a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci all'autorità giudiziaria. 4.3 Pertanto, conclude la Corte, le fattispecie raffrontate – pur presentando tratti comuni e momenti di contatto, che ne giustificano la collocazione nella medesima categoria dei delitti contro l'amministrazione della giustizia – non hanno carattere omogeneo in rapporto al bene protetto, declinato nella peculiare specificità di ciascuna fattispecie incriminatrice, e questa sostanziale eterogeneità comporta l'inidoneità dei tertia comparationis a fungere da termine di riferimento per verificare la pretesa lesione del principio di uguaglianza (C. cost., 24 maggio 2017, n. 207). 5. Da ultimo, è stata ritenuta infondata anche la questione sollevata in riferimento all'art. 27, comma 3, Cost., per la quale, secondo l'ordinanza di rimessione, l'impossibilità di addivenire alla sospensione del procedimento penale con messa alla prova per il delitto di cui all'art. 379 c.p. risulterebbe «non razionalmente spiegabile e, dunque, idonea a comportare l'irrogazione di pene percepite come ingiuste». Sul punto, la Corte evidenzia che l'esclusione del delitto di favoreggiamento reale dall'ambito di applicazione della messa alla prova non frustra la finalità specialpreventiva dell'istituto. Rispetto a tale delitto, infatti, la messa alla prova non si presta «al conseguimento dello scopo – costituzionalmente imposto dall'art. 27, comma 3, Cost. – della risocializzazione del soggetto» (C. cost., 11 giugno 2025, n. 90) in modo più efficace di altri istituti «parimenti ispirati ad evitare la condanna ad una pena che possa essere percepita come non proporzionata e quindi tale da non favorire la risocializzazione del condannato» [viene richiamata C. cost., 7 giugno 2023, n. 146, nella quale vengono indicati, come altri istituti applicabili, le misure alternative alla detenzione e la sospensione condizionale della pena). 6. In conclusione, la Corte ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 168-bis, comma 1, c.p., sollevata in riferimento all'art. 3 Cost., sotto il profilo dell'irragionevole disparità di trattamento rispetto al delitto di favoreggiamento personale (art. 378 c.p.), e non fondate le questioni di legittimità costituzionale del medesimo art. 168-bis, sollevate in riferimento all'art. 3 Cost., sotto il profilo dell'irragionevole disparità di trattamento rispetto ai delitti di falsa testimonianza e di induzione a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci all'autorità giudiziaria, e all'art. 27, comma 3, Cost. |