I riferimenti monetari per la valutazione equitativa del danno non patrimoniale

11 Novembre 2025

La regola della valutazione equitativa - applicata in materia di risarcimento del danno non patrimoniale - necessita, secondo quanto affermato dalla Cassazione, di essere sempre ancorata a parametri di natura quantitativa individuati in termini monetari, da identificare secondo sistemi peculiari per ciascun tipo di torto.

La valutazione equitativa del danno non patrimoniale

È ben noto che la liquidazione del danno non patrimoniale – in quanto riferita a un pregiudizio che per sua intrinseca natura appare sottratto ai parametri di mercato – deve aver luogo in base alla valutazione equitativa del giudice, fondata sull'applicazione dell'art. 1226 c.c. L'equo apprezzamento non risulta sindacabile in sede di legittimità, secondo unanime orientamento giurisprudenziale, purché non risulti inficiato da errori logici e giuridici.  In buona sostanza, sarà necessario che il giudice enunci, ancorché sinteticamente, i criteri applicati nella liquidazione, sulla base dei quali ha ritenuto proporzionata una certa quantificazione del risarcimento, per cui il vincolo in questione si considera soddisfatto ogni volta che la somma liquidata non appaia troppo esigua o, al contrario, eccessivamente elevata.

Un vincolo alla discrezionalità giudiziale, esercitata entro questi due estremi, si ricava in seno alle Sezioni Unite del 2008, secondo cui il giudice - nel determinare la somma dovuta alla vittima di un danno non patrimoniale – è tenuto ad uniformarsi al principio della riparazione integrale del danno, nel senso che “deve ristorare interamente il pregiudizio, ma non oltre”. Una simile formula, applicata a questo settore del danno, riflette la necessità di tener contro di tutte le ripercussioni non economiche correlate a un determinato illecito, evitando di dare per scontati pregiudizi che non si siano concretamente manifestati. Per tradurre tali compromissioni in denaro non è possibile applicare un preciso calcolo matematico, non essendo prefigurabile in partenza una somma atta a quantificare esattamente il danno subìto. Posto che il giudice potrà approdare a una liquidazione variabile, sarà comunque necessario che il risarcimento risulti (non tanto integrale, quanto) congruo in considerazione del pregiudizio concretamente patito dalla vittima.

L'obiettivo che il giudice deve perseguire – tramite la valutazione equitativa – è quello di liquidare una somma che si mostri idonea a rispecchiare, sul piano economico, l'impoverimento patito dal danneggiato nella propria sfera personale (destinato come tale a rimanere definitivamente a suo carico). In buona sostanza – come di recente sottolineato dalla S.C. – la liquidazione del danno non patrimoniale è diretta a determinare una compensazione economica socialmente adeguata del pregiudizio, vale a dire quella che l'  “ambiente sociale accetta come compensazione equa” (Cass. civ. 20 maggio 2025, n. 13518). A fronte dell'impossibilità di convertire il danno non patrimoniale in denaro attraverso i parametri di mercato, la liquidazione dovrà dunque avvenire sulla base di una convenzione sociale, da porre a fondamento dell'equità giudiziale

La parità di trattamento

La congruità del risarcimento del danno non patrimoniale va valutata sulla base del confronto con il trattamento generalmente riconosciuto alle vittime di pregiudizi dello stesso genere. La necessità di assicurare la parità di trattamento è stata sottolineata dalla Cassazione nella famosa “sentenza Amatucci”, quale principio connaturato al concetto di equità (Cass. civ. 7 giugno 2011, n. 12408). In buona sostanza, il ristoro dei pregiudizi non economici deve aver luogo garantendo l'omogeneità di trattamento rispetto a situazioni analoghe.  

Per poter fornire concreta attuazione al principio di parità di trattamento, è necessario individuare – per ciascuna ipotesi di torto generativa di danni non patrimoniali – una base comune di calcolo, salvo restando che sulla stessa il giudice potrà poi intervenire per modularla attraverso i parametri rilevanti nel caso concreto. Ove manchi l'individuazione di un valore condiviso cui riferirsi, l'omogeneità di trattamento non appare realizzabile, in quanto possono emergere differenze anche molto significative tra le valutazioni applicate in relazione a pregiudizi che rivestono analogo impatto nella dimensione personale delle vittime.

Il sistema tabellare di fonte giurisprudenziale

L'individuazione di valori monetari di riferimento ha avuto luogo – per alcuni campi del torto – attraverso la costruzione, da parte della giurisprudenza, di un sistema imperniato sulle tabelle. Si tratta di un meccanismo che viene elaborato una volta entrato in scena il danno biologico: voce di pregiudizio per la quale si manifesta da subito l'evidente necessità di ancorare la valutazione del giudice a parametri oggettivi, in modo da garantire un risarcimento omogeneo alle vittime di analoghe lesioni alla salute. Da tale settore, il sistema tabellare è venuto progressivamente a estendersi ad altri ambiti del torto, tramite l'elaborazione di specifici metodi di valutazione. La costruzione delle tabelle ha avuto luogo attraverso l'individuazione di valori monetari di riferimento, basati sui precedenti giurisprudenziali, correlati a specifici criteri di modulazione degli stessi. Si tratta di modelli ancorati alle caratteristiche proprie di ogni tipologia di illecito: una volta stabilita la base monetaria di riferimento, vengono identificati gli specifici parametri in grado di influenzare, in quel particolare ambito, l'entità del pregiudizio.

La costruzione dell'impianto valutativo tabellare si deve all'opera della giurisprudenza di merito, che ha provveduto a forgiare i metodi di volta in volta ritenuti più idonei a convertire in denaro i pregiudizi non economici correlati a specifiche figure di torto. Un simile processo si è dipanato sotto la sorveglianza costante e attenta della Cassazione: la quale è spesso intervenuta a formulare precisazioni destinate a influenzare in maniera determinante l'applicazione delle tabelle (a titolo di esempio, rammentiamo le osservazioni formulate da Cass. civ. 10 novembre 2020, n. 25164, in materia di tabelle riguardanti il danno non patrimoniale da lesione dell'integrità psico-fisica; nonché le indicazioni ancor più pregnanti formulate da Cass. civ. 21 aprile 2021, n. 10579, relativamente ai pregiudizi da perdita del rapporto parentale).

La valenza paranormativa delle tabelle milanesi

Le indicazioni della Cassazione, relative al sistema tabellare, hanno assunto particolare importanza con riguardo al ruolo rivestito da tale modello. La S.C. – tramite la già richiamata “sentenza Amatucci” – ha riconosciuto che talune tabelle assumono una valenza paranormativa, in quanto necessario riferimento al quale ancorarsi per assicurare un corretto esercizio del potere equitativo. Questa veste è stata riconosciuta, in particolare, alle tabelle milanesi applicate in materia di danno non patrimoniale da lesione alla salute e a quelle relative al danno cagionato dalla lesione/perdita del rapporto parentale: ciò in ragione della vocazione nazionale rivestita da simili schemi, ampiamente diffusi presso la maggioranza dei tribunali.

Sulla valenza del sistema tabellare stilato dal tribunale di Milano, la S.C. ha – tuttavia - di recente affermato che “le c.d. tabelle milanesi, come quelle di qualunque altro Foro, non hanno alcun valore normativo, non provenendo da un soggetto dotato di potestà legislativa e\o regolamentare”, sicché le stesse assumono la veste di “una mera proposta di usualità equiparativa, che può senz'altro ispirare nel caso concreto la valutazione che il giudice è tenuto ad effettuare nell'ottica di equità quando non esistono regole specifiche di quantificazione: e il giudice non è però obbligato ad applicare siffatte tabelle né tantomeno, se decide di applicarle, ad applicarle in toto, integrando queste, appunto, solo uno degli strumenti potenzialmente utili per operare un'adeguata valutazione di merito del quantum risarcitorio” (Cass. civ. 2 settembre 2025, n. 24349). La portata potenzialmente dirompente di simili affermazioni – espresse dalla Cassazione in termini di obiter – deve essere adeguatamente ridimensionata una volta constatato che il caso in questione riguardava il danno non patrimoniale legato a una diffamazione: pregiudizio per il quale la tabellazione milanese non ha mai assunto, ad opinione dei giudici di legittimità, valenza paranormativa (come invece avvenuto per il torto lesivo della salute e la violazione del rapporto parentale). In questo campo, l'esercizio dell'equità giudiziale non è stato, fin qui, dalla Cassazione raccordato alla tabella milanese elaborata per questo specifico torto. Bisogna, d'altro canto, sottolineare come quest'ultima sia stata costruita dall'Osservatorio di Milano tramite una sofisticata metodologia, imperniata sul ragionato riferimento ai precedenti, e appaia come tale suscettibile di integrare una valutazione senz'altro congrua del pregiudizio. Ove il giudice non ritenga utile impiegare una simile tabella, dovrà comunque adottare una metodologia alternativa di liquidazione fondata su criteri di conversione in denaro altrettanto convincenti. Lascia, inoltre, perplessi l'idea – arieggiata dai giudici di legittimità - di un'applicazione solo parziale di una certa tabella; non è chiaro, in fatti, quali sarebbero gli strumenti di integrazione della stessa da attivare, se non la costruzione di una tabellazione alternativa. Ogni modello valutativo, in effetti, è incardinato su una serie di criteri collegati tra loro, sicché non appare proponibile una frantumazione degli stessi (e in tale ottica, pertanto, va respinta l'idea – perorata dalla Cassazione ancor prima dell'entrata in vigore della Tabella Unica Nazionale  – secondo cui il limite percentuale alla personalizzazione previsto a livello normativo per la costruzione di quest'ultima assumerebbe valore imperativo e vincolante  anche in seno alla tabellazione giurisprudenziale: v. Cass. civ. 25 gennaio 2024, n. 2433).

Il riconoscimento della valenza paranormativa delle tabelle milanesi non appare affatto superato: così di recente ha ribadito la S.C. (Cass. civ. 6 ottobre 2025,n. 26826), confermando le indicazioni della sentenza Amatucci quanto all'operatività del “principio secondo il quale l'equità va intesa anche come parità di trattamento, onde la liquidazione del danno non patrimoniale alla persona da lesione dell'integrità psico-fisica presuppone l'adozione da parte di tutti i giudici di merito di parametri di valutazione uniformi, da individuarsi in quelli tabellari elaborati presso il tribunale di Milano” (principio che, secondo i giudici di legittimità, non sarebbe scalfito da quell'unico, distonico e assai sinteticamente motivato precedente).  In seno a tale decisione viene – più in generale - riconosciuto che “sono comunemente applicabili e vincolanti, de futuro, perché valide ed attendibili, le sole tabelle milanesi, potendo il giudice e l'interprete discostarsene solo con esplicita, adeguata, esaustiva motivazione imposta dagli elementi e dalle circostanze del singolo caso”. In definitiva, tale pronuncia mira ad assicurare alle tabelle milanesi il ruolo di parametro generale da adottarsi per tutte le fattispecie di danni (ad esclusione di quelli rientranti nel raggio di azione coperto dalla TUN: v. infra § 5). Il metodo valutativo adottato dal tribunale milanese viene dunque considerato riferimento imprescindibile in ragione dell'adozione articolata dei criteri uniformi e diffusi sul territorio nazionale sul quale le varie tabelle vengono fondate.

Il raggio d'azione del sistema tabellare normativo

In taluni settori il sistema tabellare è stato elaborato in via normativa e assume – pertanto - un ruolo vincolante per il giudice, il quale deve necessariamente rifarsi a quel modello e ai limiti dallo stesso imposti, attenendosi rigorosamente alle indicazioni tracciate dal legislatore. L'area esplicitamente interessata dall'intervento normativo concerne il campo regolato dagli artt. 138 e 139 cod. ass.: norme che riguardano, rispettivamente, il danno non patrimoniale provocato dalle lesioni di grave entità (dal 10% al 100% di invalidità) e quelle relative alle c.d. micropermanenti, in quanto discendenti da sinistro stradale ovvero cagionate da responsabilità medica. 

Se il sistema individuato dal legislatore per le micropermanenti conosce un'applicazione di lunga data e – secondo una lettura condivisa – riguarda esclusivamente i suddetti campi del torto, più discusso è il ruolo riservato alla c.d. TUN, vale a dire la Tabella Unica Nazionale per le lesioni di grave entità. Senza poter ripercorrere in questa sede l'annosa vicenda riguardante l'attuazione dell'art. 138 cod. ass, ci limiteremo a rammentare come la stessa sia stata realizzata soltanto di recente (D.P.R. 13 gennaio 2025, n. 12), dopo anni di continui aggiustamenti e rinvii.

Con l'emanazione della TUN, si è posta la questione relativa al raggio di azione di tale sistema. Benché il dettato normativo preveda chiaramente l'applicazione diretta di questa tabella ai sinistri verificatisi successivamente all'entrata in vigore della stessa, la S.C. ha riconosciuto – in termini di obiter – l'eventualità di un “utilizzo indiretto quale parametro di riferimento nella ricerca di valori il più possibile idonei ad assicurare quella uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi che costituisce indispensabile declinazione della regola equitativa di cui all'art. 1226 cod. civ.” (Cass. civ. 29 aprile 2025, n. 11319; per un'indicazione favorevole alla retroattività delle tabelle normative v. già Cass. civ. 11 novembre 2019, n. 28990). 

Si tratta di un problema assai delicato, tenuto conto dei riflessi che la relativa soluzione assume anche per quanto concerne la composizione stragiudiziale delle liti: tanto che il tribunale di Milano ha formulato un'ordinanza di rinvio pregiudiziale alla Cassazione al fine di risolvere la questione di diritto riguardante l'applicazione della TUN (Trib. Milano, G.I. dott. D. Spera, 18 luglio 2025, n. 4915/2025: rinvio dichiarato ammissibile dal Primo Presidente della Corte di Cassazione con provvedimento reso in data 16 settembre 2025 che ha demandato il quesito alla Terza Sezione Civile). In seno a tale ordinanza vengono esaustivamente e puntualmente evidenziate le argomentazioni (così ricche da non poter essere in questa sede riportate nemmeno in forma sintetica) poste a fondamento dei contrapposti orientamenti sussistenti con riguardo alla possibilità di riconoscere o meno alla Tabella Unica Nazionale un'operatività che superi il rigoroso confine tracciato normativamente. In definitiva, la Cassazione è chiamata a chiarire se un'applicazione indiretta della TUN possa riguardare i danni non patrimoniali alla salute provocati da sinistri stradali e malpractice medica verificatisi prima del 5 marzo 2025 e, ancor più ampiamente, anche i pregiudizi alla salute aventi una differente derivazione causale.

In attesa della definizione quanto all'esatto raggio di azione della TUN, resta da sottolineare come nessun tipo di estensione dello stesso risulta comunque praticabile fuori dall'ambito dei pregiudizi non patrimoniali originati da una lesione alla salute. Negli altri campi del torto per il giudice rimane disponibile esclusivamente il riferimento alle tabelle giurisprudenziali. In particolare, secondo le recenti affermazioni della già ricordata Cass. 26826/25, si tratta di riconoscere che - anche all'indomani dell'emanazione da parte del governo della c.d. TUN - rimane intatta la ratio della necessaria applicazione alle altre fattispecie di danni diversi da quello alla salute delle tabelle milanesi. Un superamento delle stesse, tramite intervento normativo, non pare – d'altro canto – probabile, sol che si guardi alle difficoltà fin qui manifestatesi in ordine all'attuazione concreta delle indicazioni legislative formulate in materia di liquidazione del danno non patrimoniale da lesione all'integrità psico-fisica.

L'area non tabellata

Nei campi del torto per i quali la giurisprudenza, e tanto meno il legislatore, sono approdati alla definizione di un sistema tabellare, il giudice non ha la possibilità di fondare la liquidazione del danno non patrimoniale sui riferimenti monetari condivisi a tal stregua determinati. Tuttavia, la Cassazione ha – di recente – sottolineato che la definizione di un valore pecuniario di base risulta comunque indispensabile, affermando che ai fini della liquidazione del danno non patrimoniale “è necessario che il giudice di merito proceda, dapprima, all'individuazione di un parametro di natura quantitativa, in termini monetari, direttamente o indirettamente collegato alla natura degli interessi incisi dal fatto dannoso e, di seguito, all'adeguamento quantitativo di detto parametro monetario attraverso il riferimento a uno o più fattori necessariamente caratterizzati da oggettività, controllabilità e non manifesta incongruità (né per eccesso, né per difetto), idonei a consentire a posteriori il controllo dell'intero percorso di specificazione dell'importo liquidato” (Cass. civ. 11 ottobre 2023, n. 28429: v. anche Cass. civ. 26 luglio 2024, n. 20871 e Cass. civ. 26 novembre 2024, n. 30487). La S.C. evidenzia, dunque, la necessità che la liquidazione venga scandita da due differenti fasi: la prima delle quali, secondo un'indicazione da leggersi in termini di novità, riguarda l'individuazione di un parametro monetario di base.

Quest'ultima operazione non appare affatto semplice, in quanto – secondo quanto sottolineato dalla S.C. - si tratterebbe di muovere dalla fissazione di un indicatore di natura quantitativa, individuando un “minimo comune” destinato a rimodulare sottoforma di moneta “qualsivoglia argomentazione originariamente elaborata su un piano logico o in termini di puro valore giuridico o etico-sociale”. Su tale valore ha influenza non soltanto l'entità delle compromissioni non economiche che risultano ricollegabili a un certo tipo di torto, ma anche – secondo quanto stabilito dai giudici di legittimità – il tipo di interesse inciso dall'illecito. Si conferma in tal modo la scelta di applicare un sistema di valutazione parcellizzato, ove la parità di trattamento si presta a essere perseguita entro il perimetro di ciascun tipo di torto.

In conclusione

Alla luce di quanto fin qui esposto, si tratta di osservare come la regola della valutazione equitativa – ancorché punti a misurare un fenomeno, quello del danno non patrimoniale, trasversale ai vari campi dell'illecito – risulta incardinata su un'omogeneità di trattamento delle vittime confinata a ogni singola fattispecie. La liquidazione del danno non patrimoniale assume – dunque - vesti peculiari per ciascuna figura di torto, al di fuori di qualunque comparazione tra i risarcimenti riconosciuti a fronte di distinte tipologie di lesioni.

Le differenze riguardano, in alcuni casi, la stessa natura del fenomeno che si punta a convertire in denaro. Ancorché sia generalmente condiviso il principio secondo cui il danno non patrimoniale si distingue dalla lesione, in quanto rappresenta una conseguenza della stessa, in alcuni settori (come ad esempio in caso di violazione delle regole del consenso informato nel trattamento sanitario del paziente) il pregiudizio finisce per essere ricostruito nei termini di una compromissione della dignità della persona assimilabile - in sostanza - a un danno-evento. O, ancora, possiamo rammentare la veste del tutto peculiare che assume il danno non patrimoniale laddove vittima del torto sia un ente collettivo.

Una contrapposizione assai significativa riguarda - inoltre -  l'estremo rigore che viene perseguito nella liquidazione del danno non patrimoniale sottoposto al sistema tabellare (in particolare quello normativo), rispetto all'elasticità ammessa nei campi non tabellati. Sul primo fronte si tratta, infatti, di assicurare la prevedibilità del risarcimento relativamente a danni estremamente diffusi, destinati perlopiù a ricadere sotto l'ombrello del sistema assicurativo. Minori vincoli per il giudice sono ritenuti necessari, invece, per quei casi che riguardano figure particolari e poco frequenti: che come tali si prestano – da un lato – a consentire la proiezione sul piano riparatorio di rilievi aventi carattere strettamente idiosincratico, e – dall'altro lato – ad attribuire al risarcimento una coloritura sanzionatoria laddove si tratti di perseguire comportamenti particolarmente riprovevoli. Resta il fatto che – anche nell'area non tabellata – il giudice appare oggi tenuto, secondo quanto affermato dalla Cassazione, a determinare un valore monetario di base che possa rispecchiare la compensazione economica socialmente adeguata in relazione a quella certa tipologia di torto: un vincolo dettato dai giudici di legittimità al fine di impedire che la liquidazione del danno finisca per essere rimessa a una discrezionalità giudiziale esercitabile in maniera del tutto arbitraria.

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