Incertezze sulle capacità impeditive dei poteri del collegio sindacale

Ciro Santoriello
12 Novembre 2025

La Cassazione torna ad occuparsi della responsabilità penale del componente del collegio sindacale di società di capitali per omesso controllo e impedimento di condotte degli amministratori rilevanti ai fini del delitto di bancarotta.

Massima

I componenti del collegio sindacale possono concorrere nelle condotte di bancarotta consumate dagli amministratori di una società fallita mediante omissione dei dovuti controlli sull'operato del vertice aziendale. Unici presupposti per il riconoscimento di una tale responsabilità del collegio sindacale è che sia accertata, mediante un giudizio controfattuale, la capacità impeditiva delle attività di impulso e controllo omesse dall'organo di controllo e la sussistenza, nella contabilità della società o nella gestione della stessa, di "segnali di allarme” ovvero di indici rivelatori della presenza di illeciti 

Il caso

In sede di merito, il presidente del collegio sindacale era condannato per avere consentito agli amministratori, non esercitando il dovuto controllo, di cagionare il fallimento della società appostando nei bilanci crediti inesistenti per complessivi €. 3.500.000 (derivanti dall'utilizzo di fatture per operazioni inesistenti emesse da società cubane, presunte clienti della fallita), così aggravando il dissesto nonché la distrazione di somme di denaro della società per l'ammontare complessivo di €. 8.725.542,29. Veniva inoltre contestato il concorso, sempre per omesso controllo, della falsificazione dei libri e delle altre scritture contabili, in pregiudizio dei creditori, non consentendo di ricostruire il patrimonio della società ed il movimento degli affari.

Nel caso di specie, indiscussa alla responsabilità degli amministratori per i diversi reati di bancarotta, la  patrimoniale, la condanna dell'imputato, quale presidente del collegio sindacale della fallita, era discesa dalla constatazione che le condotte degli amministratori, la cui illiceità sarebbe apparsa evidente a chiunque avesse esercitato un minimo controllo sui loro atti, erano state consentite, appunto, dalla condotta omissiva del medesimo, oltre che degli altri componenti il collegio sindacale. I sindaci, infatti, avevano sistematicamente omesso ogni controllo loro spettante, così che i bilanci della fallita avevano potuto riportare l'annotazione di crediti inesistenti per oltre 3,5 milioni di Euro (a fronte di fatture per operazioni inesistenti, non giustificate da alcun contratto, in cui i beni oggetto delle stesse erano solo genericamente indicati ed i cui conseguenti crediti mai erano stati azionati), in modo da non evidenziare l'erosione del capitale sociale. Quanto alle distrazioni, era altrettanto evidente come l'omissione del controllo sindacale fosse stata essenziale nel realizzarle, visto che erano durate anni, il loro complessivo valore era ingente (oltre otto milioni di euro) ed erano state realizzate avvantaggiando direttamente gli amministratori (che avevano incassato compensi ben maggiori di quanto stabilito dall'assemblea) o società a loro riferibili, senza alcun titolo contrattuale che le giustificasse. A fronte di tutto ciò, il collegio dei sindaci, ed in particolare l'imputato che ne era il presidente non avevano esercitato alcun controllo né avevano attivato alcuno dei poteri a loro disposizione per accertare, contestare e contrastare le suddette operazioni, la cui illiceità era manifesta, fornendo così, la loro condotta omissiva, un essenziale contributo causale ai reati commessi dagli amministratori.

Gli elementi sintomatici che la Corte di merito evidenziava al fine di concludere per la responsabilità dell'imputato erano i seguenti: mai aveva rilevato carenze organizzative o amministrative, non aveva censurato i bilanci, mai aveva chiesto informazioni su voci di bilancio evidentemente anomale, mai aveva approfondito i rapporti della società con le società estere che risultavano creditrici per importi ingenti, essenziali per la continuità aziendale, mai aveva chiesto chiarimenti sulle operazioni concluse con le parti correlate, che non risultavano avessero alcun concreto rapporto in essere con la fallita.

In sede di ricorso per cassazione, si contestava non si fosse raggiunto la prova che l'omesso controllo dei sindaci avesse determinato o favorito, consapevolmente, la commissione dei fatti di bancarotta commessi dagli amministratori, ma ci si era limitati a prendere atto dei reati integrati e del fatto che i sindaci non fossero intervenuti. Non si era dunque individuato alcun concreto contributo del prevenuto, e degli altri sindaci, alla commissione dei reati loro ascritti in rubrica.

Peraltro, i bilanci approvati nel periodo in cui l'imputato era stato in carica, erano in attivo, così come i precedenti così che non vi era alcun campanello di allarme che potesse allertare i sindaci, né vi erano stati interventi dell'Agenzia delle entrate o procedure esecutive. Del resto, la reale gestione della società era stata disvelata, al curatore e agli organi fallimentari, solo dal rinvenimento della contabilità parallela, così che il giudizio sui sindaci era stato formulato ex post e non, come si sarebbe dovuto fare, ex ante. Né si poteva affermare la sussistenza di altri indici rivelatori, non essendo l'imputato espressione del gruppo di controllo della società.

Si lamentava inoltre il difetto di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza dell'elemento soggettivo dei contestati delitti. Il concorso del sindaco nel reato non può infatti derivare dalla sola posizione di garanzia ma devono individuarsi elementi sintomatici che conducano a ritenere che l'omesso controllo abbia avuto effettiva incidenza sulla commissione del reato da parte degli amministratori, tema che la Corte d'Appello aveva omesso di adeguatamente considerare.

Le questioni giuridiche

Il componente di un collegio sindacale è indicato dagli artt. 322 ss. D.lgs. n. 14 del 2019 (in precedenza artt. 216 ss. R.D. n. 267 del 1942) come potenziale responsabile deli delitti di bancarotta - si noti che, sebbene la responsabilità dei sindaci per omesso impedimento di reati da parte degli amministratori, nella casistica giurisprudenziale, sia stata affermata in relazione a reati societari e fallimentari, tali reati non circoscrivono il perimetro di illeciti al cui impedimento il sindaco è giuridicamente obbligato giacché grava in capo al collegio sindacale un dovere di vigilanza ampio spettro, la vigilanza abbracciando non soltanto l'osservanza dello statuto ed il rispetto dei principi di corretta governance, ma altresì della legge (Cass. pen., sez. V, 9 aprile 2021, n. 13382).

Tralasciando - per la sostanziale natura meramente ipotetica – l'ipotesi in cui tali soggetti si configurino come autori uti singuli dei reati in esame nella loro declinazione monosoggettiva, il caso che si riscontra con assoluta frequenza è quello in cui il sindaco concorra nell'illecito fallimentare ai sensi dell'art. 110 cod. pen. con altri soggetti, ed n particolare con gli amministratori sociali, i quali di fatto hanno la disponibilità del patrimonio aziendale ed in quanto tali sono maggiormente in grado di aggredire gli interessi dei creditori. Il concorso del socio può atteggiarsi come contributo morale o materiale all'azione degli amministratori (cd. concorso attivo: si pensi, ad esempio ai casi di collusione tra sindaco e amministratori, che possono manifestarsi in un accordo pregresso di agevolazione, in rassicurazioni in itinere circa la futura validazione delle scelte dell'organo amministrativo, o, addirittura, in suggerimenti o consigli su come fortificare od occultare la frode). Nel senso che come i sindaci di una società fallita, come tali, sono inclusi nel novero di coloro che devono rispondere, in proprio, delle condotte illecite descritte dalle norme incriminatrici in materia di liquidazione giudiziale e quindi possono essere gli agenti del reato proprio di bancarotta, senza che vi sia necessità che essi concorrano con gli altri soggetti indicati dalla normativa: Cass. pen., sez. V, 1 agosto 2023, n. 33782; Cass. pen., Sez. V, 20 febbraio 2023, n. 7222, secondo cui non avendo i sindaci poteri di gestione diretta del patrimonio della società, la questione della loro diretta responsabilità si risolve nella selezione delle concrete condotte, autonomamente consumate da costoro, che possono configurare una distrazione.

Più rilevante e frequente, tuttavia, è la seconda ipotesi di responsabilità concorsuale del sindaco ovvero il caso in cui egli ometta di intervenire in presenza di altrui condotte delittuoseex art. 40, comma secondo, cod. pen..

Per ricostruire tale ipotesi di responsabilità da reato del componente sindacale occorre ricostruire il ruolo del collegio sindacale nel sistema di controlli societari. Infatti, la responsabilità di questi soggetti (limitatamente ai soli sindaci effettivi e non per quelli supplenti, Cass. pen., sez. V, 18/05/2022, n. 19540) va ricostruita in relazione ai loro obblighi e, pertanto, all'attività di controllo a loro demandata sulla regolarità dell'attività sociale (Cass. pen., sez. V, 3 aprile 2020, n. 11308).

In proposito, la giurisprudenza – anche penale - ha affermato che il collegio sindacale è tipico organo di controllo, chiamato a vigilare sull'amministrazione della società, con il compito di garantire l'osservanza della legge ed il rispetto dell'atto costitutivo nonché di accertare che la contabilità sia tenuta in modo regolare. L'obbligo di vigilanza non è, però, limitato al mero controllo contabile, ma deve estendersi anche al contenuto della gestione (ai sensi dell'art. 2403 c.c., commi 1, 3 e 4; oggi dell'art. 2403-bis c.c.), cosicché il controllo sindacale, se non investe in forma diretta le scelte imprenditoriali, non si risolve neppure in una mera verifica contabile limitata alla documentazione messa a disposizione dagli amministratori, ma comprende anche un minimo di riscontro tra la realtà effettiva e la sua rappresentazione contabile (Cass. pen., sez. V, 1 agosto 2023, n. 33782; Cass. pen., sez. V, 18 maggio 2022, n. 19540).

Particolare attenzione va dedicata all'accertamento circa la responsabilità dei sindaci, stante il fatto che, come detto, il più delle volte gli stessi risponderanno non per aver realizzato – o concorso a realizzare – la condotta delittuosa, quanto per non aver impedito la commissione della stessa avendo omesso di esercitare i propri poteri. Ciò impone, secondo la giurisprudenza della Cassazione, che il giudice sappia andare alla ricerca di indici probatori che attestino che gli amministratori stiano ponendo in essere condotte criminose, dovendosi però dimostrare non solo la presenza di tali indici probatori, ma anche che i sindaci fossero consapevoli della sussistenza di tali indici, non potendosi confondere la posizione del sindaco che scientemente sceglie di attivarsi in presenza di “segnali di allarme” dalla posizione del sindaco che, per imperizia, negligenza ecc., di tali elementi non sappia in alcun modo cogliere la presenza (Cass. pen., sez. V, 21 maggio 2024, n. 20096; Cass. pen., sez. V, 1 agosto 2023, n. 33782, secondo cui per la configurabilità del concorso dei sindaci nella responsabilità penale degli amministratori sono: a) l'omesso doloso esercizio dei doveri di controllo o comunque l'inerzia nell'adozione delle iniziative previste dalla legge per eliminare le irregolarità; b) il nesso di causalità tra le omissioni e ciascuna delle fattispecie previste nell'art. 216 l. fall.; c) il dolo riferito alla condotta penalmente rilevante realizzata dagli amministratori, che può essere sia diretto che eventuale, non essendovi alcuna valida ragione per escludere il dolo eventuale. Nel senso che fra gli indici rilevanti per dimostrare la responsabilità dei sindaci rientri la circostanza che essi fossero anche revisori dei conti ovvero siano espressione del gruppo di controllo della società (Cass. Sez. V, 10 novembre 2023, n. 45331).

Quanto al profilo soggettivo che deve riscontrarsi in capo al sindaco per affermare la sua responsabilità per il reato di bancarotta, lo stesso va identificato nel dolo – in più occasioni, anche con riferimento ai delitti di bancarotta, si è affermato che nei delitti la condotta colposa che accede al fatto principale doloso, è punibile solo in via autonoma, a condizione che integri una fattispecie colposa espressamente prevista dall'ordinamento (Cass., sez. V, 5 ottobre 2018, n. 57006). In particolare, ai fini della corresponsabilizzazione dei sindaci il dolo deve investire la "propria" condotta di omissione, ma che implica anche la consapevolezza dell'altrui fatto-reato con adesione all'attuazione di esso. È sufficiente anche il dolo eventuale (Cass., sez. V, 5 marzo 2014, n. 26399), nella misura in cui si dimostri, anche in via indiziaria, la presenza in capo al singolo di un atteggiamento psichico che indichi una qualche adesione all'evento per il caso che esso si verifichi quale conseguenza non direttamente voluta della propria condotta.

In dottrina, CASTELLI - MONTI, I sindaci e il Codice della Crisi: nuovi doveri e responsabilità, in Le Società, 2020, 1015; Chiaraviglio, La responsabilità dell'amministratore delegante fra “agire informato” e poteri di impedimento, in Soc., 2010, 886; SANTORIELLO, Il diritto penale fallimentare dopo il codice della crisi, Torino 2021, 420.

Osservazioni

Il ricorso è stato dichiarato infondato.

La sentenza ricorda che da tempo la giurisprudenza ha riconosciuto la possibile responsabilità dei componenti del collegio sindacale nelle condotte di bancarotta consumate dagli amministratori di una società fallita, ammettendo che tale concorso possa consistere nell'omissione dei dovuti controlli sull'operato del vertice aziendale, posto che tali controlli non possono limitarsi alla verifica della regolarità formale della contabilità sociale ma devono anche operare un controllo della congruità della medesima rispetto all'operatività concreta della società (Cass., sez. V, 11 maggio 2018, n. 44107).

Unici presupposti per il riconoscimento di una tale responsabilità del collegio sindacale è che sia accertata, mediante un giudizio controfattuale, la capacità impeditiva delle attività di impulso e controllo omesse dall'organo di controllo (Cass., sez. V, 21 settembre 2020, n. 28848) e la presenza, nella contabilità della società poi fallita o nel rapporto fra questa e la sottostante operatività concreta, di "segnali di allarme" o "indici rivelatori" delle condotte illecite che gli amministratori stavano consumando, così, per un verso, da poter ritenere colpevole l'omissione del controllo e, per l'altro, da potersi affermare che l'omesso controllo dei sindaci aveva concretamente agevolato le medesime condotte illecite. A questo proposito si sottolinea come la riscontrata presenza di "segnali di allarme" consente di desumere, secondo i criteri propri del dolo eventuale, l'accettazione del rischio del verificarsi dell'evento illecito e, dall'altro, della volontà, nella forma del dolo indiretto, di non attivarsi per scongiurare detto evento, dovendosi infine accertare, sulla base di un giudizio prognostico controfattuale, la sussistenza del nesso causale tra le contestate omissioni e le condotte delittuose ascritte agli amministratori con delega".

Secondo la sentenza in commento, i "segnali d'allarme" e gli "indici rivelatori" erano stati plurimi e tutti già congruamente considerati dalla Corte di merito. In proposito si richiama la presenza nei bilanci di crediti, ingenti, nei confronti di alcune società cubane, la cui veridicità era palesemente dubbia, anche perché privi di un sottostante titolo contrattuale. Peraltro, tali crediti erano decisivi per l'equilibrio finanziario della società e la loro contabilizzazione (in assenza anche di ogni tentativo di recupero) aveva poi consentito agli amministratori di proseguire l'attività, così da poter prelevare somme (versandole a sé stessi o a società a loro riconducibili), anch'esse ingenti, dalla casse sociali, una volta ancora senza alcun titolo giustificativo.

Le condotte consumate dagli amministratori erano pertanto così palesi ed evidenti che i sindaci le avrebbero certamente dovute rilevare dalla medesima contabilità (e dal controllo degli atti che la giustificavano) e che si erano potute consumare anche grazie alla loro totale inerzia.

Conclusioni

La sentenza della Cassazione per certi aspetti ribadisce principi consolidati in tema di responsabilità del sindaco per omesso impedimento di altrui fatti di bancarotta, mentre su altre tematiche lascia irrisolte alcune domande. In particolare, dubbi sono i criteri sulla base dei quali decidere se il sindaco avrebbe potuto intervenire – e con quali modalità – a fronte dell'altrui condotte delittuose: è evidente, infatti, che se non è dimostrata l'efficacia causale dell'omissione contestata ai componenti dell'organo di controllo.

L'orientamento prevalente (Cass. pen., sez. V, 19 marzo 2019, n. 12186) è nel senso che qualsiasi omissione dei propri compiti da parte dei sindaci può essere penalmente rilevante, nella misura in cui può ragionevolmente presumersi che anche la mera segnalazione all'assemblea dei soci delle irregolarità di gestione riscontrate o la denuncia di tali fatti al Tribunale per consentirgli di provvedere ai sensi dell'art. 2409 c.c. è comportamento idoneo ad evitare (o, quanto meno, a ridurre) le conseguenze dannose della condotta gestoria. Ci sono però orientamenti diversi, secondo cui la responsabilità penale del sindaco non può affermarsi tout court in ragione del mancato esercizio dei doveri di controllo, ma soltanto nella misura in cui l'omesso controllo abbia avuto effettiva incidenza di contributo causale nella commissione del reato da parte degli amministratori (Cass., sez. V, 2 febbraio 2018, n. 5180; Cass., sez. V, 18 maggio 2022, n. 19540).

In realtà, è certo che il sindaco non ha “poteri impeditivi” tali che, se azionati, sono in grado di evitare, in assoluto, la commissione dei reati da parte degli amministratori (atteso che non è demandato ai sindaci un controllo preventivo sugli atti di amministrazione), ma al contempo il sindaco ha poteri di ricognizione e di segnalazione, che stimolano la reattività dei soggetti legittimati ad agire per la tutela del patrimonio sociale (i soci e i creditori) ed è perciò errato cercare di sostenere l'assenza di responsabilità per reati fallimentari di un sindaco sostenendo che il suo intervento non avrebbe impedito l'evento giacché l'esercizio scrupoloso della funzione di controllo è richiesto per stimolare, in generale, comportamenti legali e virtuosi dell'amministratore e non già per impedire, rendendoli impossibili, i reati di bancarotta (esemplificativamente, Cass., sez. V, 1 agosto 2023, n. 33782 che afferma che ricorre «il nesso causale tra la condotta inerte antidoverosa dei sindaci di società e l'illecito perpetrato dagli amministratori, ai fini della responsabilità dei primi – secondo la probabilità e non necessariamente la certezza causale – se, con ragionamento controfattuale ipotetico, l'attivazione dei poteri sindacali avrebbe ragionevolmente evitato l'illecito, tenuto conto di tutte le possibili iniziative che il sindaco può assumere esercitando i poteri-doveri propri della carica, quali: la richiesta di informazioni o di ispezione ex art. 2403 bis cod. civ., la segnalazione all'assemblea delle irregolarità riscontrate, i solleciti alla revoca della deliberazione illegittima, l'impugnazione della deliberazione viziata ex artt. 2377 ss. c.c., la convocazione dell'assemblea ai sensi dell'art. 2406 c.c., il ricorso al tribunale per la riduzione del capitale per perdite ex artt. 2446-2447 c.c., il ricorso al tribunale per la nomina dei liquidatori ai sensi dell'art. 2487 c.c., la denunzia al tribunale ex art. 2409 c.c., ed ogni altra attività possibile ed utile»).

In ogni caso, è pacifico che i componenti del collegio non possono limitarsi ad una mera verifica formale (Cass. Sez. V, 10/11/2023, n. 45331) o in un riscontro contabile della documentazione messa a disposizione dagli amministratori, ma comprende il riscontro tra la realtà e la sua rappresentazione.

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