Il minore vittima di maltrattamenti in famiglia
19 Novembre 2025
Massima Esula dal perimetro applicativo della fattispecie incriminatrice dell'abuso di mezzi di correzione o di disciplina in ambito scolastico qualunque forma di violenza fisica o psichica, ancorché sostenuta da animus corrigendi, atteso che le condotte connotate da modalità aggressive sono incompatibili con l'esercizio lecito del potere correttivo ed educativo - che mai deve deprimere l'armonico sviluppo della personalità del minore - lì dove l'abuso ex art. 571 c.p. presuppone l'eccesso nell'uso di mezzi che siano in sé giuridicamente leciti. L'uso sistematico della violenza, quale ordinario trattamento del minore, anche lì dove fosse sostenuto da animus corrigendi, concretizza gli estremi del delitto di maltrattamenti in famiglia ex art. 572 c.p. Sia il minore vittima di maltrattamenti “diretti”, sia il minore vittima di maltrattamenti “assistiti”, alla luce di quanto stabilito dal comma 4 dell'art. 572 c.p. ovvero che il minore che assiste ai maltrattamenti è persona offesa dal reato, hanno diritto al risarcimento del danno. Il caso Con sentenza del 25 ottobre 2024 la Corte di Appello di Napoli riduceva il termine di durata della pena accessoria dell'interdizione all'insegnamento alla quale erano stati condannati gli imputati e confermava nel resto la condanna per il reato di maltrattamenti, aggravati dal fatto che, in qualità di maestri di scuola di infanzia, sottoponevano gli alunni ad un regime vessatorio cagionando loro offese fisiche e psicologiche. Avverso tale Sentenza gli imputati proponeva ricorso per Cassazione adducendo due motivi. Con il primo motivo deducevano errata applicazione della fattispecie di maltrattamenti in famiglia e vizio di motivazione in quanto la Corte di Appello, ai fini della conferma della sentenza di primo grado, aveva preso in esame solo alcuni elementi emersi a seguito dell'istruttoria dibattimentale, tralasciandone altri fondamentali. In particolare, la Corte rilevava che il procedimento aveva avuto origine dal fatto che alcune mamme avevano riferito, all'interno della chat del gruppo whatsapp, di aver appreso dai loro figli che il maestro avrebbe dato uno schiaffo ad un bambino ma la difesa, in appello, aveva rilevato che da un singolo episodio non poteva rilevarsi l'abitualità del comportamento maltrattante. Inoltre, la Corte nel ritenere che l'interessamento dell'imputato alle denunce presentate dai genitori risultava sospetto, non aveva tenuto in considerazione il fatto che se davvero fosse stato colpevole, certamente, una volta venuto a conoscenza delle indagini, avrebbe cessato di porre in essere comportamenti illeciti. La difesa di entrambi gli imputati, rilevava poi, che la Sentenza di secondo grado, affermando che alcuni atti potevano essere considerati penalmente irrilevanti o integranti la diversa fattispecie prevista dall'art. 571 c.p., aveva contraddetto la sentenza di primo grado che aveva, invece, osservato che qualche episodio poteva essere interpretato in modo diverso e meno grave rispetto alla ricostruzione fornita. Con il primo motivo si rilevava, inoltre, che la sentenza di secondo grado non solo aveva elencato in modo generico le condotte violente trascurandone, invece, la scarsità numerica e la temporaneità, ma non aveva neppure valutato il contenuto e le genuinità delle dichiarazioni offerte dai minori, in particolare del minore che affermava di aver ricevuto lo schiaffo e che in sede di incidente probatorio era stato anche oggetto di consulenza tecnica di parte che contestava quanto praticato dal perito del Giudice. In aggiunta a tale motivo, la difesa della maestra deduceva che, se la stessa avesse posto in essere comportamenti violenti nei confronti dei bambini, certamente sarebbe stata segnalata dalle mamme denuncianti; invece, al contrario, alcuni bambini avevano dichiarato che l'imputata era la loro maestra preferita e si comportava bene. Con il secondo motivo deducevano violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla qualificazione giuridica del fatto come maltrattamenti in famiglia ex art. 572 c.p. e non abuso dei mezzi di correzione ex art. 571 c.p. Sul punto la Corte di Appello non solo non aveva argomentato in merito alla motivazione per la quale le condotte poste in essere dagli imputati non potessero essere qualificate come abuso dei mezzi di correzione ma non aveva neppure indicato le condotte verbali né verificato se i comportamenti posti in essere fossero proporzionati e necessari a salvaguardare i bambini. Impugnava la Sentenza anche una delle parti civili, in proprio e quale esercente la responsabilità genitoriale della minore articolando quattro motivi. Con il primo motivo deduceva violazione di legge penale sostanziale, processuale e vizio di motivazione quanto al mancato riconoscimento del danno in favore della minorenne. Infatti, la Corte di appello, nonostante avesse ritenuto di condannare gli imputati, non aveva riconosciuto il risarcimento del danno alla minore anche se, nel giudizio di appello, si era evidenziato che la bambina era alunna di entrambi gli imputati e che aveva riportato lesioni dirette subendo atti di vessazione e indirette in quanto aveva assistito ai maltrattamenti subiti da altri bambini; la difesa rilevava, poi, che il risarcimento era stato riconosciuto ad altri bambini costituitisi parte civile e appartenenti alla medesima classe, sia nel caso in cui avevano subito direttamente i maltrattamenti e sia nel caso in cui erano stati esclusivamente spettatori dei maltrattamenti subiti da altri. Con il secondo motivo deduceva vizio di legge penale sostanziale, processuale e vizio di motivazione in quanto la Corte di Appello, non motivando il mancato riconoscimento del risarcimento dei danni, si era posto in contrasto con l'art. 2 Cost. che riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali dove si svolge la sua personalità e gli artt. 3 (in base al quale l'interesse superiore del minore deve essere considerato preminente) e 19 (secondo il quale «Gli Stati parti adottano ogni misura legislativa, amministrativa, sociale ed educativa per tutelare il fanciullo contro ogni forma di violenza, di oltraggio o di brutalità fisiche o mentali, di abbandono o di negligenza, di maltrattamenti o di sfruttamento, compresa la violenza sessuale, per tutto il tempo in cui è affidato all'uno o all'altro, o ad entrambi, i suoi genitori, al suo rappresentante legale (o rappresentanti legali), oppure ad ogni altra persona che ha il suo affidamento») della Convenzione sui diritti dell'infanzia. Con il terzo motivo deduceva vizio di motivazione per violazione dei diritti umani della minorenne in quanto, la decisione di negare il risarcimento dei danni senza fornire un'adeguata motivazione, configurava violazione dell'art. 8 della CEDU che tutela il diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza. Con il quarto e ultimo motivo, lamentava violazione di legge penale e processuale nonché vizio di motivazione quanto al travisamento della prova poiché la Corte di Appello aveva trascurato elementi probatori volti ad attestare la presenza della minore negli ambienti e nei periodi in cui si verificavano i maltrattamenti. Inoltre, nel presentare conclusioni scritte riteneva inammissibili e manifestamente infondati i ricorsi presentati da entrambi gli imputati in quanto aventi lo scopo di fornire una diversa valutazione dei fatti basata su un'errata e superata interpretazione dell'art. 571 c.p. e precisava che per l'abitualità del reato previsto dall'art. 572 c.p. sono richiesti una pluralità di atti offensivi idonei a creare un clima di sopraffazione e disagio anche se posti in essere in un periodo ristretto. La Suprema Corte con la Sentenza di cui si tratta, ha rigettato i ricorsi degli imputati e ha accolto il ricorso della parte civile annullando la sentenza impugnata limitatamente agli effetti civili con riferimento alla parte civile con rinvio per nuovo giudizio al giudice civile competente per valore in grado di appello al quale ha rimesso anche la liquidazione delle spese del giudizio. La questione Le questioni prese in esame sono le seguenti: quali sono i limiti che non deve superare il potere educativo esercitato dal soggetto al quale viene affidato il minore per ragioni di istruzione, al fine della configurazione del reato previsto dall'art. 571 c.p. e non di quello previsto dall'art. 572 c.p.? Il minore che assiste ai maltrattamenti ha diritto al risarcimento del danno? Le soluzioni giuridiche La sentenza in commento, nel dichiarare infondati i ricorsi degli imputati e in accoglimento del ricorso della parte civile, ha offerto le seguenti interpretazioni. In merito al primo motivo di ricorso con il quale si deduceva vizio di motivazione, la Suprema Corte ha ritenuto che la sentenza impugnata, in realtà, avesse preliminarmente e chiaramente precisato quale fosse l'origine del procedimento ovvero la denuncia di due mamme che avevano riportato i contenuti della chat del gruppo whatsapp dalle quali erano emerse le condotte di maltrattamenti; avesse chiarito, inoltre, che tale situazione era stata, poi, confermata soprattutto dalle riprese effettuate dalle videocamere istallate che avevano documentato numerosi e ripetuti episodi verificatisi anche quando gli imputati erano già a conoscenza dell'inizio delle indagini; e successivamente, avesse elencato compiutamente i diversi episodi accaduti evidenziando come gli imputati avevano tenuto dei comportamenti gratuitamente violenti nei confronti dei bambini, consistiti nel tirarli per le braccia, trascinarli con forza, prenderli per il grembiule, colpirli alla testa, dare loro calci nel sedere, spintoni o schiaffi, minacciarli e incitarli a picchiarsi l'un l'altro. In ogni caso, sull'obbligo di motivazione, la Suprema Corte ha ribadito un orientamento già espresso in precedenza secondo il quale «l'obbligo di motivazione del giudice dell'impugnazione non richiede necessariamente che egli fornisca specifica ed espressa risposta a ciascuna delle singole argomentazioni, osservazioni o rilievi contenuti nell'atto d'impugnazione, se il suo discorso giustificativo indica le ragioni poste a fondamento della decisione e dimostra di aver tenuto presenti i fatti decisivi ai fini del giudizio, sicché, quando ricorre tale condizione, le argomentazioni addotte a sostegno dell'appello, ed incompatibili con le motivazioni contenute nella sentenza, devono ritenersi, anche implicitamente, esaminate e disattese dal giudice, con conseguente esclusione della configurabilità del vizio di mancanza di motivazione di cui all'art. 606, comma 1, lett. e) c.p.p.» (Cass. pen., sez. I, n. 37588/2014). In merito al secondo motivo, ritenuto anch'esso infondato, la Suprema Corte ha rilevato che, in ordine alla riqualificazione della condotta di abuso dei mezzi di correzione ex art. 571 c.p. la Corte di Appello aveva correttamente ravvisato la configurabilità degli elementi costitutivi del delitto di maltrattamenti in famiglia, anche alla luce del fatto che le persone offese erano bambini in età prescolare e come tali, vulnerabili e particolarmente esposti al rischio di danni psicologici, in quanto, nel caso di specie, erano ricorsi sia l'abitualità delle condotte poste in essere dal maestro e dalla maestra, sia l'induzione di uno stato di sofferenza e di umiliazione come effetto dell'instaurazione di un generale clima vessatorio. Inoltre, sulla base dei principi già precedentemente espressi dalla giurisprudenza di legittimità e ormai pacifici, correttamente, la Corte di Appello aveva escluso la configurabilità dell'art. 571 c.p.; la Suprema Corte, infatti, precedentemente aveva affermato che «esula dal perimetro applicativo della fattispecie incriminatrice dell'abuso di mezzi di correzione o di disciplina in ambito scolastico qualunque forma di violenza fisica o psichica, ancorché sostenuta da "animus corrigendi", atteso che, secondo la linea evolutiva tracciata dalla Convenzione dell'ONU sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza, approvata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989, le condotte connotate da modalità aggressive sono incompatibili con l'esercizio lecito del potere correttivo ed educativo - che mai deve deprimere l'armonico sviluppo della personalità del minore - lì dove l'abuso ex art. 571 c.p. presuppone l'eccesso nell'uso di mezzi che siano in sé giuridicamente leciti» (Cass. pen., sez. VI, n. 13145/2022). Sulla base di tali principi, quindi, la Corte ha ritenuto che il presupposto applicativo della fattispecie prevista dall'art. 571 c.p., risieda in un uso immoderato o in un abuso dei mezzi educativi leciti, e che, pertanto, il ricorso alla violenza, non essendo mai consentito per fini correttivi ed educativi, esula da tale ambito. La Suprema Corte, poi, ha ritenuto fondato il ricorso della parte civile, osservando, innanzitutto, che correttamente la Corte di Appello aveva attribuito valore sia ai maltrattamenti "diretti" nei confronti di alcuni minori, sia ai maltrattamenti "assistiti", anche alla luce di quanto statuito dall'ultimo comma dell'art. 572 c.p., aggiunto dall'art. 9, comma 2, lett. c) della l. n. 69/2019 secondo il quale “il minore di anni diciotto che assiste ai maltrattamenti di cui al presente articolo si considera persona offesa dal reato”. Tuttavia, pur escludendo che sussistesse la prova che la minore fosse anche solo presente ai maltrattamenti, i Giudici nulla avevano replicato alle deduzioni - specifiche e supportate da allegati - della suddetta parte civile. Sulla base di questi motivi, la Suprema Corte di cassazione, ha dichiarato infondati i ricorsi presentati dagli imputati e ha ritenuto fondato il ricorso presentato dalla parte civile. Osservazioni Con detta sentenza, la Suprema Corte ha preso in esame due argomenti molto delicati non solo per ciò che concerne la figura del minore quale vittima del reato ma anche per quanto riguarda, in modo specifico, la sua tutela all'interno del contesto scolastico nel quale trascorre la maggior parte del suo tempo. Ai fini della configurabilità del reato di maltrattamenti e della sua differenziazione rispetto a quello dell'abuso di mezzi di correzione, è fondamentale chiarire la nozione di “correzione” nel suo sviluppo storico-sistematico, adeguata all'evoluzione dei costumi e delle concezioni psicopedagogiche di un paese civile, sia e soprattutto conforme al livello di tutela giuridica che l'ordinamento appresta ai minori. Nel determinare quando vi sia “abuso”, quale sia un “mezzo di correzione”, cosa voglia significare “maltrattare un minore”, occorre recepire concetti e valutazioni che fanno parte del patrimonio culturale in evoluzione di un paese e di una civiltà, che hanno bandito la violenza come strumento educativo, rimarcandone anzi la valenza negativa, contraddittoria e controproducente rispetto al perseguimento del pieno ed armonico sviluppo della personalità, a cui il processo educativo mira in una società fondata sul primato di ciascuna persona umana e sulla valorizzazione della sua intrinseca dignità. Già in tempi risalenti, la Corte di cassazione aveva sottolineato che, con riguardo ai bambini, il termine "correzione" va assunto come sinonimo di educazione, con riferimento ai connotati intrinsecamente conformativi di ogni processo educativo. In ogni caso, non può ritenersi tale l'uso della violenza finalizzato a scopi educativi: ciò sia per il primato che l'ordinamento attribuisce alla dignità della persona, anche del minore, ormai soggetto titolare di diritti e non più, come in passato, semplice oggetto di protezione (se non addirittura di disposizione) da parte degli adulti; sia perché non può perseguirsi, quale meta educativa, un risultato di armonico sviluppo di personalità, sensibile ai valori di pace, di tolleranza, di connivenza utilizzando un mezzo violento che tali fini contraddice (Cass. pen., sez. VI, n. 4904/1996). Si tratta di principi e valori che non solo permeano la cultura e il costume del paese, ma costituiscono il fondamento dell'ordinamento costituzionale della Repubblica che ripudia la violenza come strumento di soluzione dei problemi e delle controversie, non soltanto a livello interstatale, politico e sociale, ma anche interpersonale. È oggi culturalmente anacronistica e giuridicamente insostenibile una interpretazione degli artt. 571 e 572 c.p. fondata sulle opinioni (come, ad es., "la vis modica è mezzo di correzione lecito") espresse nella relazione al codice penale del 1930, proprio di una superata epoca storico-sociale, impregnata di valori autoritari anche nella struttura e nella funzione della famiglia. Tali norme vanno, invece, interpretate alla luce della concezione personalistica e pluralistica della Costituzione (cfr. in particolare artt. 2,3,39,30,31 Cost.) e del riformato diritto di famiglia. Tale evoluzione normativa ha ricevuto un ulteriore impulso dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del bambino (New York 1989, L. n. 176/1991 pubblicata in G.U. n. 135/91), che espressamente riconosce al bambino, tra gli altri diritti fondamentali dell'uomo, il diritto al “pieno ed armonioso sviluppo della sua personalità", ad essere allevato "nello spirito di pace, di dignità, di tolleranza, di libertà, di eguaglianza e di solidarietà", ad essere protetto "contro qualsiasi forma di violenza, danno o brutalità fisica o mentale, abbandono, negligenza, maltrattamento o sfruttamento. Ne consegue che l'uso sistematico della violenza, quale ordinario trattamento del minore, anche lì dove fosse sostenuto da "animus corrigendi", non può rientrare nell'ambito della fattispecie di abuso dei mezzi di correzione, ma concretizza, sotto il profilo oggettivo e soggettivo, gli estremi del più grave delitto di maltrattamenti (Cass. pen., sez. VI, n. 36564/2012; Cass. pen., sez. VI n. 53425/2014: in applicazione del principio, la S.C. ha annullato la decisione del giudice di merito qualificando ai sensi dell'art. 572 c.p. e non come abuso dei mezzi di correzione, la condotta di ripetuto ricorso alla violenza, sia psicologica che fisica, inflitta, per finalità educative, da una maestra di scuola materna ai bambini a lei affidati; Cass. VI, n. 11956/2017: in applicazione del principio, la S.C. ha riqualificato, ai sensi dell'art. 572 c.p., la condotta dell'insegnante della scuola materna di ripetuto ricorso alla violenza, sia psicologica che fisica nei confronti dei bambini, per finalità educative, non rilevando in senso contrario il limitato numero di episodi di violenza che ciascun bambino, singolarmente considerato, aveva subito). Pertanto, l'eccesso di mezzi di correzione violenti non rientra nella fattispecie dell'art. 571 c.p., poiché intanto è ipotizzabile un abuso (punibile in maniera attenuata) in quanto sia lecito l'uso. Non è, perciò, configurabile tale reato qualora vengano usati mezzi di per sé illeciti sia per la loro natura che per la potenzialità del danno. Pertanto, il potere educativo o disciplinare deve sempre essere esercitato con mezzi consentiti e proporzionati alla gravità del comportamento, senza superare i limiti previsti dall'ordinamento o consistere in trattamenti mortificanti la personalità del soggetto passivo (Cass. pen., sez. VI, n. 18380/2017 e n. 34492/2012). In altri termini, l'elemento differenziale tra il reato di abuso dei mezzi di correzione e quello di maltrattamenti, non può individuarsi nel grado di intensità delle condotte violente tenute dall'agente, in quanto l'uso della violenza per fini correttivi o educativi non è mai consentito e il reato di abuso dei mezzi di correzione presuppone l'uso non appropriato di metodi o comportamenti correttivi, in via ordinaria consentiti, quali l'esclusione temporanea dalle attività ludiche o didattiche, l'obbligo di condotte riparatorie o forme di rimprovero non riservate (Cass. pen., sez. VI, n. 11777/2020). Né l'eventuale intenzione pedagogica dell'agente può servire a far rientrare nell'ambito dell'art 571 c.p. ogni aggressione dei beni giuridici personali, così che sarebbe escluso il delitto di maltrattamenti ogni volta che il risultato di sofferenza è stato determinato da animus corrigendi. Sul piano generale va ricordato che, prima di esaminare l'elemento soggettivo del reato, occorre determinarne la struttura oggettiva; per quanto concerne il rapporto tra le fattispecie degli artt. 571 e 572 c.p., l'intenzione soggettiva non è idonea a far entrare nell'ambito della fattispecie meno grave (art 571 c.p.) ciò che oggettivamente ne è escluso. La differenza tra il delitto previsto dall'art. 571 e quello dell'art. 572 c.p. è, pertanto, nella condotta e non già nell'elemento soggettivo del reato, che si atteggia in entrambe come dolo generico. Pertanto, in tema di rapporti tra il reato di abuso dei mezzi di correzione e quello di maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli, deve escludersi che l'intento educativo e correttivo dell'agente costituisca un elemento dirimente per far rientrare il sistematico ricorso ad atti di violenza commessi nei confronti di minori nella meno grave previsione di cui all'art. 571 c.p. (Cass. VI, n. 45467/2010; Cass. pen., sez. VI, n. 18289/2010). Occorre tenere presente che i diritti dei minori sono tutelati non solo a livello nazionale ma anche a livello internazionale; infatti, la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo, approvata a New York il 20 novembre 1989 e ratificata dall'Italia con l. n. 176 de 1991, riconosce il diritto del minore a crescere in un clima di felicità, di amore e di comprensione e per fare ciò i genitori, i tutori o altre persone che hanno la sua responsabilità legale anche per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia o per l'esercizio di una professione o di un'arte, devono assicurare al fanciullo la protezione e le cure necessarie al suo benessere. In riferimento, in particolare all'ambito scolastico, la Corte ha evidenziato che esula dal perimetro applicativo della fattispecie incriminatrice dell'abuso di mezzi di correzione o di disciplina in ambito scolastico qualunque forma di violenza fisica o psichica, ancorché sostenuta da "animus corrigendi", atteso che, secondo la linea evolutiva tracciata dalla Convenzione dell'ONU sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza succitata, le condotte connotate da modalità aggressive sono incompatibili con l'esercizio lecito del potere correttivo ed educativo - che mai deve deprimere l'armonico sviluppo della personalità del minore - lì dove l'abuso ex art. 571 c.p. presuppone l'eccesso nell'uso di mezzi che siano in sé giuridicamente leciti (Cass. pen., sez. VI, n. 13145/2022). In merito alla liceità o meno del comportamento che gli insegnanti dovrebbero tenere nello svolgimento del loro compiti di formazione dei minori, la Corte, negli anni, si è più volte trovata a doversi pronunciare dando spazio a numerosa casistica che qui si ritiene utile citare:
E' stato anche precisato che non può essere adottato un diverso criterio interpretativo in relazione alla particolare concezione socio-culturale di cui sia eventualmente portatore il soggetto agente, posto che in materia, vengono in gioco valori fondamentali dell'ordinamento (consacrati nei principi di cui agli artt. 2,3,30 e 32 Cost.), che fanno parte del visibile e consolidato patrimonio etico - culturale della nazione e del contesto sovranazionale in cui la stessa è inserita e, come tali, non sono suscettibili di deroghe di carattere soggettivo e non possono essere oggetto, da parte di chi vive e opera nel nostro territorio ed è quindi soggetto alla legge penale italiana, di valida eccezione di ignoranza scusabile (Cass. pen., sez. VI, n. 48272/2009). Con la sentenza in commento, inoltre, riconoscendo fondato il ricorso della parte civile, la Suprema Corte ha parificato anche dal punto di vista del diritto al riconoscimento a ricevere il risarcimento del danno, i fatti commessi "in presenza" e i fatti commessi "in danno" del minore e non solo, come precedentemente statuito (con Cass. pen., sez. III, n. 21024/2022) solo dal punto di vista sanzionatorio. Nel caso in esame, infatti, la Corte ha ritenuto che il Giudice dell'impugnazione avesse correttamente attribuito valore non solo ai maltrattamenti "diretti" nei confronti di alcuni minori ma anche ai maltrattamenti "assistiti". Tale principio trae origine da quanto enunciato dal comma 4 dell'art. 572 c.p., il quale prevede espressamente che il minore che assiste direttamente agli episodi di maltrattamenti deve essere anch'esso considerato persona offesa dal reato. Non è irragionevole che il Legislatore abbia considerato, nella medesima disposizione, i fatti di maltrattamento commessi "in presenza" o "in danno" di un minore, in quanto sono espressione della medesima ratio: la tutela dell'integrità del minore, nelle sue componenti di integrità psichica in un caso, che può essere compromessa quando il minore è spettatore di episodi di violenza in ambito familiare, e di integrità fisica, quando il minore è egli stesso vittima di violenza. Sul punto, si specifica che la Corte ha sempre mostrato molta attenzione e sensibilità in merito a tale tema, tanto che, già prima dell'introduzione del comma 4 all'art. 572 c.p. ad opera dell'art. 9, comma 2, lett. c) della l. n. 69/2019, aveva statuito che tale reato era configurabile anche nei confronti dei minori presenti alle violenze fisiche e psicologiche realizzate a danni diretti di terzi (Cass. pen., sez. VI, n. 16583/2019). Anche alla luce della pronuncia in commento, si può ormai pacificamente affermare che dal punto di vista risarcitorio non esiste più alcuna differenza tra il minore che subisce un reato e il minore che assiste alla commissione di un reato, in quanto la finalità principale è quella di salvaguardare l'integrità fisio-psichica del minore nella prospettiva di un corretto sviluppo della sua personalità. |