Il principio di derivazione rafforzata e i problemi rimasti ancora irrisolti
Daniela Mendola
24 Novembre 2025
Il principio di derivazione rafforzata muove dall’assunto che il risultato del bilancio civilistico rappresenti il punto di partenza per la qualificazione fiscale dei componenti positivi o negativi ai fini della rideterminazione della base imponibile dell’imposta sul reddito delle società.
Il principio di derivazione rafforzata
Il legislatore tributario attua un vero e proprio rinvio, anche in deroga alle disposizioni del t.u.i.r., ai criteri di qualificazione, imputazione temporale e classificazione in bilancio previsti dai princìpi contabili.
Laddove, la qualificazione è l'esatta individuazione dell'operazione aziendale posta in essere; la classificazione è l'individuazione della specifica tipologia di provento o di onere; l'imputazione temporale si sostanzia nella corretta individuazione del periodo d'imposta (circolare 7/E/2011).
In altre parole, nell'ipotesi di contrasto tra le norme civilistica e tributaria, si fa riferimento alle prime ai fini della qualificazione, classificazione e imputazione temporale delle operazioni economiche.
Il principio trova fonte nell'art. 83 TUIR, il quale prevede che, per le imprese che redigono il bilancio in base ai principi contabili nazionali, la corretta imputazione a bilancio di un componente reddituale spiega i suoi effetti non solo sul piano civilistico, ma anche in ambito fiscale, con prevalenza della sostanza sulla forma, in deroga ai criteri di determinazione del reddito ancorati alla rappresentazione formale dell'evento gestionale.
È chiaro, allora, che la centralità giuridico - contabile si erge a centralità giuridico - fiscale.
In sostanza, vengono disattivate le regole di competenza fiscale tradizionali, consentendo una piena corrispondenza tra rappresentazione civilistica e fiscale del reddito d'impresa. L'obiettivo è avvicinare la disciplina civilistica e quella fiscale, come accaduto anche nell'ultima riforma fiscale dei redditi agrari, la quale ha previsto l'estensione della categoria dei redditi agrari anche alle colture fuori suolo.
Con il principio di derivazione rafforzata viene, dunque, attribuita una superiorità assiologica ai principi contabili, in quanto, nel considerarli elementi essenziali per la determinazione del reddito di impresa, vi si attribuisce una natura di norme primarie.
La prevalenza della disciplina civilistica su quella fiscale opera a condizione che i principi contabili risultino correttamente applicati, in tal modo, tuttavia, si legittima una valutazione circa la correttezza delle modalità di contabilizzazione nell'ambito dell'attività ispettiva fiscale, sebbene riferibile a profili più strettamente civilistici.
Quanto detto rappresenta una criticità, in quanto attribuire il potere di valutazione significa riconoscere agli Uffici il potere di ingerire in un campo strettamente civilistico.
È pur vero che, sebbene l'applicazione della disciplina civilistica rileva al fine di semplificare e alleggerire il carico dei contribuenti, non è, tuttavia, possibile derogare al principio generale di capacità contributiva disciplinato all'art. 53 Cost.
L'obiettivo della imposizione fiscale è, infatti, quello di rideterminare la giusta imposta, sicché una non corretta applicazione dei principi contabili potrebbe riversare i suoi effetti anche sotto il profilo fiscale con inevitabile violazione dell'art. 53 Cost.
Ci si chiede, allora, se il principio di derivazione rafforzata possa derogare al principio di capacità contributiva ovvero se possa essere riconosciuto un potere di accertamento in capo agli Uffici.
Si tratta di una questione di particolare rilevanza, in quanto un simile potere di sindacato comporterebbe, di fatto, per il Fisco la possibilità di esprimere un giudizio nel merito delle scelte contabili adottate e delle valutazioni operate dal redattore del bilancio.
Muovendo dalla considerazione che il principio di capacità contributiva rappresenta un principio di rilevanza costituzionale, apparirebbe, dunque, corretto, quale logica conseguenza, ammettere l'esistenza, in capo all'ente accertatore, del potere di operare un riscontro sul comportamento tenuto dal redattore del bilancio nella scelta delle modalità di contabilizzazione delle singole voci che hanno concorso a formare l'utile o la perdita di esercizio ed eventualmente di contestare la corretta classificazione di tali voci, nonché la corretta qualificazione.
Se, tuttavia, venisse riconosciuto ai verificatori il potere di intervenire sui calcoli effettuati dal redattore del bilancio con la possibilità di mutare le risultanze, si rischierebbe di ingenerare nei contribuenti una maggiore incertezza in ordine alle conseguenze dei comportamenti contabili adottati e di alimentare una conflittualità tra gli stessi e l'Amministrazione finanziaria. Dalla prospettiva “semplificatoria”, si giungerebbe ad un aggravamento degli oneri a carico dei contribuenti, i quali maturerebbero maggiore diffidenza nei confronti del fisco.
Ebbene, l'ultima riforma fiscale tra i principali obiettivi prevede anche quello di ridurre l'incertezza, proprio al fine di migliorare i rapporti tra Amministrazione finanziaria e contribuente, in linea con il fisco dal volto umano.
L'assenza di una norma attributiva del potere
All'interno del nostro ordinamento non si rinviene una norma specifica che attribuisca all'Amministrazione finanziaria una legittimazione ad intervenire sulle scelte adottate in sede di redazione del bilancio, al fine di accertare il rispetto delle norme civilistiche e che si riflettono sul conseguente trattamento fiscale delle corrispondenti voci.
Tale lacuna normativa potrebbe essere colmata nel senso di riconoscere implicitamente un potere, in capo all'Amministrazione finanziaria, di rettifica delle scelte operate nel bilancio.
In tal caso il potere troverebbe fonte nell'art. 53 Cost., che legittima l'Ufficio ad esercitare il potere impositivo al fine di rideterminare l'equa pretesa fiscale.
Si tratterebbe di un potere implicito che trova la propria fonte nel più ampio potere di imposizione fiscale.
L'altra ipotesi è quella di escludere qualsiasi possibilità di sindacato in ordine all'applicazione dei principi contabili, muovendo dall'assunto che il potere impositivo soggiace al principio di riserva di legge e, dunque, ogni potere deve essere attribuito solo ed esclusivamente mediante una norma, nella fattispecie di settore.
La prima tesi, oggi, appare prevalente e poggia su un orientamento condiviso dalla Guardia di finanza, che nella circolare n. 1 del 2018 ha sostenuto la possibilità che, nel corso delle attività ispettive, vengano a costituire oggetto di controllo le modalità di contabilizzazione adottate in concreto dall' impresa sul piano civilistico, al fine di verificare la loro conformità ai profili fattuali e materiali della voce di riferimento.
È chiaro che il problema emerge maggiormente quando ci si trova dinnanzi a potenziali “condotte elusive”, ovvero, qualora l'errore nell'applicazione dei principi contabili abbia dato vita ad una condotta elusiva.
Se è vero che il contribuente può scegliere tra più strumenti quello meno oneroso (cd. pianificazione fiscale), è parimenti vero che tale scelta non deve essere funzionale al raggiungimento di un indebito vantaggio fiscale.
Inoltre, qualificare una condotta come elusiva è una attività molto complessa che richiede un certo impegno interpretativo da parte dell'Ufficio, al punto che occorre applicare il principio di proporzionalità (art. 10 ter, l. n. 212/2000).
Il correttivo alla riforma fiscale
Una ulteriore criticità che per anni ha riguardato il principio di derivazione rafforzata è stata quella attinente alla violazione del principio di eguaglianza sostanziale.
In altre parole il principio di derivazione rafforzata era applicabile soltanto alle imprese che redigessero il bilancio in forma ordinaria, con esclusione, dunque, delle imprese che redigessero il bilancio in forma semplificata.
Ciò ha dato vita ad una inevitabile discriminazione tra i contribuenti chiamati a redigere un bilancio in forma ordinaria, i quali beneficiavano dell'applicazione dei principi contabili e i contribuenti tenuti a redigere la contabilità in forma semplificata, i quali soggiacevano alle disposizioni fiscali. L'obiettivo della derivazione rafforzata è, infatti, quello di semplificare il sistema fiscale, allineandolo maggiormente alle regole contabili, e promuovere un approccio sostanzialistico (prevalenza della sostanza sulla forma) nella rappresentazione economico-patrimoniale.
Da questo punto di vista l'esclusione delle microimprese con bilancio abbreviato appariva quindi in contrasto con questo obiettivo, soprattutto considerando che anche le imprese di dimensioni più ridotte che redigevano il bilancio abbreviato, ma non qualificate come microimprese, rientravano nel perimetro applicativo della norma.
Ebbene, il terzo decreto correttivo della riforma fiscale, approvato dal Consiglio dei Ministri il 14 luglio 2025, ha finalmente chiarito una delle questioni più controverse degli ultimi anni ovvero quella relativa all'applicazione del principio di derivazione rafforzata alle micro imprese.
La disciplina precedente, come affermato in precedenza, escludeva dall'ambito di applicazione della derivazione rafforzata le micro imprese definite dall'articolo 2435-ter del codice civile, salvo quelle che avessero espressamente optato per la redazione del bilancio in forma ordinaria.
Questa impostazione creava, però, una disparità di trattamento non compatibile con un ordinamento improntato al principio di eguaglianza sostanziale.
Il tema centrale era, dunque, se interpretare estensivamente la norma, in quanto più favorevole, oppure, in senso restrittivo, muovendo dal principio di certezza del diritto e legittimo affidamento.
Prima dell'intervento correttivo, la circolare Assonime n. 31/2022 aveva evidenziato come, sotto il profilo sistematico, non si comprendesse la ragione per escludere dalla derivazione rafforzata le micro imprese che, pur optando per il bilancio abbreviato anziché ordinario, comunque rinunciavano alle semplificazioni contabili loro concesse.
L'argomentazione si fondava su una considerazione di fondo: se la finalità del decreto-legge 73/2022 era quella di consentire anche ai soggetti di minori dimensioni l'accesso alla derivazione rafforzata, purché il loro bilancio fosse redatto con regole analoghe a quelle utilizzate dalle altre imprese, non appariva logico mantenere l'esclusione per le micro imprese che redigendo il bilancio abbreviato.
Questa impostazione trovava supporto nella Relazione illustrativa al decreto legislativo 192/2024 di riforma dell'IRPEF e dell'IRES, che sembrava implicitamente avvalorare l'interpretazione estensiva.
Analoga indicazione emergeva dalle considerazioni contenute nella Relazione illustrativa al decreto ministeriale 27 giugno 2025, relativo al coordinamento tra le indicazioni del documento OIC 34 sui ricavi e le regole di determinazione della base imponibile IRES e IRAP.
Si è giunti, così, all'articolo 3 dello schema di decreto legislativo approvato il 14 luglio 2025, il quale è intervenuto con una riformulazione dell'articolo 83, comma 1, terzo periodo del TUIR.
La derivazione rafforzata è stata espressamente estesa alle micro imprese che optano per la redazione del bilancio in forma abbreviata, sciogliendo così tutti i dubbi che avevano generato incertezze applicative e sistematiche.
La nuova versione stabilisce l'applicazione del principio di derivazione rafforzata ai soggetti che redigono il bilancio secondo le disposizioni del codice civile, “diversi dalle micro-imprese di cui all'articolo 2435-ter del codice civile che non hanno optato per la redazione del bilancio in forma ordinaria o abbreviata”.
Ne deriva che soggiacciono al principio di derivazione rafforzata: i soggetti che redigono il bilancio in forma abbreviata exarticolo 2435-bis del codice civile, equiparati sotto il profilo della determinazione del reddito d'impresa a quelli che redigono il bilancio ordinario; le micro imprese che, pur potendo accedere alle semplificazioni dell'articolo 2435-ter, scelgono volontariamente di redigere il bilancio in forma ordinaria o abbreviata.
Viene, dunque, aggiunta nell'art. 81 del Tuir, la formula, “o abbreviata”.
Non si tratta, tuttavia, solamente di una scelta linguistica, ma di un cambiamento culturale, in quanto rimuove ogni tipo di discriminazione tra contribuenti di piccole, medie o grandi imprese, in linea con la nuova visione del fisco, giustiziale e preventiva.
La formulazione previgente, infatti, risultava obsoleta e soffocante rispetto ad un sistema improntato, ormai, ad una eguaglianza sostanziale tra contribuenti, come espressione di un “fisco dal volto umano”.
In conclusione
Occorre ritornare al dominio delle regole per non lasciare l’arbitrio del giudice o dell’ufficio.
Il compito di stabilire se la nuova norma sia o meno applicabile alle predette condotte spetta al legislatore, in quanto, il bilanciamento deve essere effettuato a monte.
Soltanto con la certezza normativa il contribuente sarà indotto ad adottare delle condotte eticamente corrette.
Il primo passo verso un rapporto collaborativo tra fisco e contribuente è proprio la chiarezza normativa.
Si auspica, allora, un intervento da parte del legislatore che delinei i confini di operatività della riforma e specifichi quale disciplina applicare alle condotte adottate in epoca antecedente alla introduzione della riforma fiscale.
Sarebbe auspicabile che il legislatore intervenga per tutelare le posizioni di chi, in buona fede, aveva già applicato un’interpretazione che si è rivelata corretta.
Nonostante le predette criticità vi sono degli aspetti positivi che accompagnano l’estensione del principio di derivazione rafforzata che si identificano con l’armonizzazione della disciplina, con il rafforzamento del rapporto tra fisco e contribuente (obiettivo primario della riforma del fisco dal volto umano) e, per l’effetto, un incentivo alla tax compliance.
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