Il reato di peculato dell’amministratore di sostegno nella giurisprudenza della Suprema Corte di cassazione
Leonardo Degl'Innocenti
20 Novembre 2025
L'art. 404 c.c., come modificato dalla legge 9 gennaio 2024 n. 6, prevede che «la persona che, per effetto di una infermità ovvero di una menomazione fisica o psichica, si trova nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi, può essere assistita da un amministratore di sostegno, nominato dal giudice tutelare».
La qualifica di pubblico ufficiale dell'amministratore di sostegno e la conseguente configurabilità nei suoi confronti del reato di peculato
L'art. 404 c.c., come modificato dalla legge 9 gennaio 2024 n. 6, prevede che «la persona che, per effetto di una infermità ovvero di una menomazione fisica o psichica, si trova nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi, può essere assistita da un amministratore di sostegno, nominato dal giudice tutelare».
L'amministratore di sostegno riveste, secondo la costante giurisprudenza della Corte di cassazione, la qualità di pubblico ufficiale «considerato il complesso delle norme a lui applicabili ed in particolare: a) la prestazione del giuramento prima dell'assunzione dell'incarico (art. 349 c.c.); b) il regime delle incapacità e delle dispense (artt. 350-353 c.c.); c) la disciplina delle autorizzazioni, le categorie degli atti vietati, il rendiconto annuale al giudice tutelare sulla contabilità dell'amministrazione (artt. 374-388 c.c.); d) l'applicazione, nei c.c.) e capacità di ricevere per donazioni (art. 779 c.c.). In sostanza tutta una disciplina, formale e sostanziale, che pone l'amministratore di sostegno sullo stesso piano del tutore con obblighi e le ricadute penali che la sua qualità di pubblico ufficiale comporta» (cfr. Cass., sez. VI, 12 novembre 2014, n. 50574; nello stesso senso, più di recente, Cass., sez. VI, 14 maggio 2024, n. 23205; Cass., sez. VI, 30 gennaio 2019, n. 25390).
Da quanto esposto consegue che nei confronti dell'amministratore di sostegno trovano piena applicazione le previsioni contenute nel Titolo II del Libro II del codice penale sui delitti contro la pubblica amministrazione.
L'amministratore di sostegno pertanto risponde, in quanto pubblico ufficiale, del delitto di peculato di cui all'art. 314 c.p. nel caso in cui si appropri del denaro o di altri beni mobili del beneficiario.
A questo proposito deve essere evidenziato come il predetto reato non sia ravvisabile «a seguito del mero mancato rispetto delle procedure previste per l'effettuazione delle spese nell'interesse dell'amministrato, ma solo in presenza di una condotta appropriativa o comunque, che si risolva nell'uso di fondi o dei beni per finalità estranee all'amministrato» (cfr. Cass., sez. VI, 19 maggio 2016, n. 29617; nello stesso senso cfr. anche Cass. Sez. VI, 26 maggio 2022, n. 31378, inedita, nonché, da ultimo, Cass., sez. VI, 30 aprile 2025, n. 18242, in Riv. pen., 2025, pagg. 684, a tenore della quale non integra gli estremi del delitto «il mero disordine contabile o la mancata segnalazione al Giudice Tutelare, che pur si riscontra nel caso in esame, dal momento che dette condotte- per quanto censurabili- non sono univocamente indicative dell'avvenuta appropriazione di somme altrui»).
Tanto premesso, a titolo meramente esemplificativo è opportuno ricordare come sia stato ritenuto responsabile del reato in esame l'amministratore di sostegno che:
- prelevate le somme da destinarsi al pagamento della retta dovuta all'istituto nel quale è ricoverato il beneficiario, anziché provvedere a tale incombenza, pur senza trattenere per sé tali somme, le abbia consegnate a una terza persona, la quale le destini ad altre finalità (cfr. Cass., sez. VI, 8 novembre 2023, n. 48742, in Riv. pen., 2024, pag. 45);
- abbia utilizzato indebitamente la carta bancomat relativa al conto corrente del beneficiario, abbia effettuato numerose operazioni di prelievo in contanti e pagamenti a mezzo POS e abbia contravvenuto all'ordine del giudice di depositare tutto il denaro dell'amministrato sul conto corrente postale o bancario acceso in costanza di procedura e di chiudere eventuali altri conti, appropriandosi così delle somme di denaro del beneficiario e realizzando un ammanco di quasi 200.000 euro (cfr. Cass., sez. VI, 28 ottobre 2022, n. 45058, inedita; nella fattispecie l'amministratore di sostegno è stato ritenuto responsabile anche del reato di cui all'art. 9 decreto legislativo n. 231 del 2007, aggravato ai sensi dell'art. 61, n. 11, c.p.);
- abilitato ad operare sul libretto di deposito postale intestato all'amministrato, si sia appropriato delle somme di denaro giacenti sullo stesso (nella specie corrispondenti alla differenza contabile tra i prelievi e le spese documentate) per finalità non autorizzate e comunque estranee agli interessi della persona in Cass., sez. VI, 16 febbraio 2022, n. 10624);
- si sia appropriato del denaro destinato all'acquisto di una cappella cimiteriale per conto dell'amministrato (cfr. Cass., sez. VI, 17 maggio 2018, n. 29262);
- si sia appropriato delle somme di denaro giacenti sui conti correnti intestati all'amministrato (cfr. Cass., sez. VI, 19 maggio 2016, n. 29617, cit.);
- abilitato ad operare sui conti correnti intestati alla persona sottoposte all'amministrazione, si sia appropriato, attraverso apposite operazioni bancarie, delle somme di denaro giacenti sugli stessi (cfr. Cass., sez. VI, 12 novembre 2014, n. 50574, cit.).
Deve, poi, essere aggiunto come, tenuto conto della natura plurioffensiva del reato di peculato, l'eventuale mancanza di un danno patrimoniale conseguente all'appropriazione non esclude la sussistenza del delitto «atteso che rimane pur sempre leso dalla condotta dell'agente l'altro interesse protetto dalla norma, diverso da quello patrimoniale, cioè quello del buon andamento della pubblica amministrazione» (cfr. Cass., sez. VI, 17 maggio 2018, n. 29262, cit.).
Appare, però, opportuno ricordare come in giurisprudenza sia stato affermato che, sulla base di una interpretazione dell'art. 314 c.p. coerente con il principio di offensività, deve essere esclusa la configurabilità del delitto di peculato qualora la condotta appropriativa abbia avuto a oggetto beni privi di un valore economicamente apprezzabile e non abbia avuto alcuna concreta incidenza sulla funzionalità dell'ufficio o del servizio (così, in termini, Cass., sez. VI, 4 luglio 2024, n. 35031, relativa all'appropriazione da parte di un'infermiera di alcune compresse di medicinale e di due sacchi di soluzione fisiologica all'intero di un ospedale; nello stesso senso cfr. anche Cass., sez. VI., 20 maggio 2018, n. 24522, concernente l'impossessamento di tre tessere elettorali).
È, inoltre, opportuno ricordare come la Corte di cassazione abbia affermato che «non esclude il reato di peculato la circostanza che il pubblico ufficiale si appropri di somme di danaro pubblico in compensazione di crediti vantati nei confronti della amministrazione di appartenenza in quanto, salvi i casi espressamente contemplati dalla legge, non è previsto il riconoscimento dell'autotutela per la realizzazione dei propri diritti» (cfr., tra le altre, Cass., sez. VI, 6 giugno 2024, n. 27101, inedita e Cass., sez. VI, 29 settembre 2020, n. 1865).
È stato pertanto ritenuto, con riferimento al tutore ma la conclusione è certamente riferibile anche all'amministratore di sostegno, che l'appropriazione da parte del tutore di somme di denaro, depositate sul conto corrente intestato a una persona interdetta, in compensazione di pregressi crediti vantati dal pubblico ufficiale per il mantenimento del beneficiario, è qualificabile come peculato (cfr. Cass., sez. VI, 11 luglio 2017, n. 47003).
Parimenti è stato escluso che l'amministratore di sostegno possa, qualora il decreto di nomina non preveda un indennizzo o l'amministratore sia stato espressamente autorizzato dal giudice tutelare con lo stesso decreto di nomina o con un provvedimento successivo, auto assegnarsi una somma a titolo di indennità (cfr. Cass., sez. VI, 10 marzo 2022, n. 18479, inedita).
Per concludere questa breve disamina occorre, quanto all'elemento psicologico del reato, ricordare come sia pacificamente sufficiente a integrare la fattispecie incriminatrice il dolo generico e cioè la coscienza e volontà di appropriarsi del denaro o della cosa mobile altrui di cui il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio abbia il possesso per ragioni del proprio ufficio o servizio mentre sono irrilevanti i motivi che lo hanno indotto a tale condotta in quanto concernenti il momento antecedente del movente a delinquere.
È stato, pertanto, affermato che l'errore dell'amministratore di sostegno in ordine alla propria facoltà di disporre dei beni (nel caso di specie il medesimo si era appropriato, a mezzo di periodici prelievi, di un ingente somma di denaro esistente sul conto corrente del fratello, persona sottoposta alla misura di protezione ed aveva poi ritenuto di potersi auto compensare per il servizio prestato) non integra gli estremi di un errore di fatto su legge diversa da quella penale idoneo ad escludere il dolo «ma costituisce errore o ignoranza della legge penale il cui contenuto è integrato dalla norma amministrativa che disciplina la destinazione del bene pubblico o nel caso in esame del denaro di proprietà privata, dal momento che l'art. 314 c.p. non tutela dall'indebita appropriazione solo il patrimonio pubblico, ma anche il “denaro o altra cosa mobile altrui”» (cfr. Cass pen., 14 maggio 2024, n. 23205, cit.; nello stesso senso cfr. anche Cass. pen., 14 febbraio 2023, n. 15844, inedita e pronunciata nell'ambito della stessa vicenda durante la fase delle indagini preliminari con riferimento al provvedimento di sequestro preventivo per equivalente disposto nei riguardi dell'indagato).
L'irrilevanza dell'assenza di giuramento da parte dell'amministratore di sostegno
A questo riguardo occorre, innanzitutto, evidenziare come anche con riferimento alle condotte dell'amministratore di sostegno di carattere appropriativo o comunque risoltesi nell'uso di fondi o di beni per finalità estranee all'amministrato, la giurisprudenza di legittimità abbia confermato l'indirizzo interpretativo a tenore del quale nell'ambito dei delitti contro la pubblica amministrazione non rileva, ai fini della qualifica soggettiva, l'investitura formale e regolare di una carica pubblica o di uno status connesso al rapporto di impiego con lo Stato o altro ente pubblico, ma, fatta eccezione dei casi di usurpazione, l'esercizio di fatto di funzioni che possano essere definite pubbliche.
In proposito è stato, infatti, affermato che non rileva l'investitura formale ma piuttosto l'esercizio di fatto della funzione pubblica con la conseguenza che integra gli estremi del delitto di peculato e non di quello di appropriazione indebita l'appropriazione di somme di denaro del beneficiario da parte di chi, dopo la nomina a opera del giudice tutelare e antecedentemente alla prestazione del giuramento, abbia comunque esercitato di fatto le funzioni di amministratore di sostegno (cfr., in termini, Cass. sez. VI, 30 aprile 2025, n. 18242, cit.., con nota di F.M.M. Bisanti, “L'assenza di giuramento dell'amministratore di sostegno non incide sulla sua qualifica di pubblico ufficiale”; nello stesso senso cfr., con riferimento al tutore, Cass. sez. VI, 4 febbraio 2014, n. 23353 e, per quanto attiene al protutore, Cass. sez. V, 5 maggio 2015, n. 41004).
Il reato di peculato nel caso di cessazione dell'amministrazione di sostegno per morte del beneficiario
La morte del beneficiario costituisce un'ipotesi di cessazione dell'ufficio dell'amministrazione di sostegno.
È stato conseguentemente affermato dalla Corte di cassazione che «cessata ex lege l'amministrazione di sostegno, all'amministratore non può neppure demandarsi un ulteriore compito di mera conservazione e gestione del patrimonio residuo, proprio perché la ratio dell'istituto non attiene alla tutela del patrimonio, bensì alla gestione delle esigenze di un soggetto non in grado di provvedervi autonomamente. Quanto detto comporta che, per effetto della morte dell'amministrato, il suo patrimonio sarà sottoposto all'ordinaria disciplina della successione ereditaria, non potendo l'amministratore di sostegno svolgere alcuna ulteriore attività» (cfr. Cass. sez.VI, 11 luglio 2024, n. 33016, inedita).
Osserva ulteriormente la Suprema Corte che «Deve sottolinearsi come la tesi della cessazione dall'ufficio di amministratore di sostegno per effetto del sopravvenuto decesso dell'amministrato, senza necessità di attendere l'esito del rendiconto, trova conferma proprio nell'art. 385 c.c. che impone tale obbligo (la norma disciplina la tutela e curatela, ma è espressamente applicabile all'amministrazione di sostegno per effetto del richiamo di cui all'art. 411 c.c.).
L'art. 385 c.c. stabilisce che «Il tutore che cessa dalle funzioni deve fare subito la consegna dei beni e deve presentare nel termine di due mesi il conto finale dell'amministrazione al giudice tutelare», in tal modo evidenziando come l'obbligo di riconsegna dei beni, implicante anche la perdita di qualsivoglia possibilità di disporne, consegue immediatamente per effetto della cessazione dell'ufficio, mentre l'obbligo di rendiconto è differito, trattandosi di una mera attività riepilogativa di quanto svolto in pendenza dell'amministrazione».
Le osservazioni che precedono hanno rilevanti ricadute sul piano penalistico in quanto, cessando l'amministratore di sostegno dall'ufficio nel momento stesso in cui interviene la morte del beneficiario, «eventuali condotte appropriative commesse in epoca successiva non possono ricadere nell'alveo del delitto di peculato, ma solo nella corrispondente ipotesi dell'appropriazione indebita».
Esclusa, per i motivi sopra esposti, l'attualità pubblicistica di una condotta appropriativa commessa in un momento successivo al decesso del soggetto sottoposto ad amministrazione di sostegno, deve però essere valutata la possibilità di ritenere l'ultrattività della qualifica di pubblico ufficiale ai sensi dell'art. 360 c.p. a tenore del quale «Quando la legge considera la qualità di pubblico ufficiale, o di incaricato di un pubblico servizio, o di esercente un servizio di pubblica necessità, come elemento costitutivo o come circostanza aggravante di un reato, la cessazione di tale qualità, nel momento in cui il reato è commesso, non esclude la esistenza di questo né la circostanza aggravante, se il fatto si riferisce all'ufficio o al servizio esercitato».
A questo riguardo deve essere evidenziato come secondo l'ormai consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità è sufficiente, per potere configurare il delitto di peculato, che il possesso o la disponibilità del denaro o della cosa mobile si siano verificati per ragioni di ufficio o di servizio, essendo irrilevante, ai sensi del citato art. 360 c.p., che l'appropriazione sia avvenuta in un momento in cui la qualità di pubblico agente sia cessata, qualora la condotta appropriativa sia funzionalmente connessa all'ufficio o al servizio precedentemente esercitati.
Nel caso affrontato dalla menzionata sentenza n. 33016 del 2024, avente a oggetto l'appropriazione di una somma denaro depositata su un conto corrente contestato con la madre dell'imputata, in favore della quale quest'ultima aveva svolto la funzione di amministratore di sostegno, il delitto di peculato non è stato ritenuto sussistente essendo emerso, in forza delle sentenze di merito, che «…l'appropriazione è avvenuta non già per effetto della disponibilità del denaro collegata alla funzione che la ricorrente aveva svolto, bensì in virtù della posizione di cointestataria del conto corrente, già attribuita prima dell'assunzione della qualifica di amministratrice di sostegno» con conseguente configurabilità della diversa ipotesi dell'appropriazione indebita posto che la ricorrente si era «appropriata di una somma di denaro ricadente nella successione e, quindi, destinata ad essere ripartita con i coeredi» (così Cass. sez.VI, 11 luglio 2024, n. 33016, cit.).
Il concorso dell'extraneus nel reato di peculato commesso dall'amministratore di sostegno
In tema di concorso di persone nel reato di peculato commesso dall'amministratore di sostegno occorre sottolineare come, secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione, l'estensione al concorrente extraneus della responsabilità a titolo di reato proprio, ai sensi dell'art. 117 c.p., norma che disciplina appunto il mutamento del titolo di reato per taluno dei concorrenti, presuppone la prova della conoscibilità della qualifica soggettiva pubblicistica del concorrente intraneus, da accertare quanto meno a titolo di colpa in concreto, «ancorata ad una violazione di regole cautelari di condotta e ad un coefficiente di prevedibilità-evitabilità, in concreto e non in astratto» non essendo consentita l'attribuzione di una responsabilità a titolo di dolo a un soggetto che senza dolo né colpa non si sia rappresentato l'esistenza della qualifica soggettiva dell'intraneus (cfr. Cass. sez. VI, 30 gennaio 2019, n. 25390, cit.).
È stata, di conseguenza, annullata con rinvio una sentenza di condanna di una badante, anziché per il delitto di appropriazione indebita, per quello di peculato commesso in concorso, ai sensi dell'art. 117 ultima parte c.p., con l'amministrazione di sostegno, in quanto i giudici di merito di primo e secondo grado, pur avendo accertato che nel caso di specie non vi erano elementi sufficienti per ritenere che la predetta badante fosse stata sicuramente a conoscenza dell'incarico pubblicistico di amministratore di sostegno svolto dal coimputato, «circostanza che, di per sé, ne avrebbe peraltro comportato la piena responsabilità concorsuale in applicazione della regola generale stabilita dall'art. 110 c.p.», non avevano ulteriormente accertato «se la presenza della qualifica soggettiva in capo all'intraneus benché ignorata» fosse stata dalla donna “concretamente conoscibile” (così espressamente Cass. sez. VI, 30 gennaio 2019, n. 25390, cit.).
I rapporti tra abuso d'ufficio (abrogato), peculato e peculato per distrazione
Il delitto di abuso d'ufficio di cui all'art. 323 c.p. è stato abrogato dall'art. 1, comma 1, lett. b) della legge 9 agosto 2024, n. 114.
Con sentenza 7 maggio 2025 n. 95, depositata in data 3 luglio 2025, la Corte costituzionale ha dichiarato infondate le questioni di legittimità costituzionale dell'intervenuta abrogazione dell'art. 323 c.p. sollevate da quattordici giudici a quo in riferimento agli obblighi derivanti dalla Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione (c.d. Convenzione di Merida), non avendo ritenuto che dalla predetta Convenzione derivi un obbligo di introdurre il reato di abuso di ufficio o un divieto di abrogare la disposizione incriminatrice eventualmente già prevista nell'ordinamento interno.
La Corte costituzionale ha, invece, dichiarato inammissibili le ulteriori questioni di legittimità costituzionale sollevate dai giudici remittenti in relazione alla dedotta violazione dei principi costituzionali di uguaglianza nonché di buon andamento e imparzialità della pubblica amministrazione in forza della propria costante giurisprudenza che ritiene precluso l'esame di questioni di legittimità costituzionale formulate sulla base degli artt. 3 o 97 della Costituzione quando dal loro accoglimento conseguirebbe un effetto espansivo e, pertanto, in malam partem.
L'art. 9, comma 1, del decreto legge 4 luglio 2024 n. 92, convertito con modificazioni nella legge 8 agosto 2024 n. 112, ha introdotto il reato di cui all'art. 314-bis c.p. la cui rubrica è intitolata “Indebita destinazione di denaro o cose mobili”.
Senza potere in questa sede affrontare in modo analitico la problematica relativa ai rapporti intercorrenti tra i reati di peculato di cui all'art. 314 c.p. e di peculato c.d. per distrazione previsto dal nuovo art. 314-bis c.p. anche alla luce dell'intervenuta abrogazione del reato di abuso d'ufficio, deve, per quanto di interesse in merito alle condotte appropriative poste in essere dall'amministratore di sostegno, essere sinteticamente ricordato come la S.C. di Cassazione abbia affermato che «In tema di delitti contro la pubblica amministrazione, il delitto di indebita destinazione di denaro o cose mobili, di cui all'art. 314-bis c.p. … sanziona le condotte distrattive dei beni indicati che, nella disciplina previgente, la giurisprudenza di legittimità inquadrava nella fattispecie abrogata dell'abuso di ufficio, sicché l'ambito applicativo del delitto di peculato non risulta modificato dall'introduzione della nuova fattispecie incriminatrice» (cfr. Cass. sez. VI, 23 ottobre 2024, n. 4520/2025; nello stesso senso cfr., più di recente, Cass. sez. VI., 4 luglio 2025, n. 30193; Cass. sez. V, 14 febbraio 2025, n. 10398 e Cass. sez.VI, 12 febbraio 2025, n. 18587).
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Sommario
La qualifica di pubblico ufficiale dell'amministratore di sostegno e la conseguente configurabilità nei suoi confronti del reato di peculato
L'irrilevanza dell'assenza di giuramento da parte dell'amministratore di sostegno
Il reato di peculato nel caso di cessazione dell'amministrazione di sostegno per morte del beneficiario
Il concorso dell'extraneus nel reato di peculato commesso dall'amministratore di sostegno
I rapporti tra abuso d'ufficio (abrogato), peculato e peculato per distrazione