Quando può essere contestata l’esterovestizione?

Fabio Gallio
26 Novembre 2025

La Corte di cassazione, con ordinanza del 12 ottobre 2025, n. 27262, si è occupata del caso di un contenzioso sorto a seguito della notifica di un avviso di accertamento, con il quale l'Agenzia delle Entrate richiedeva il pagamento delle imposte IRES, IVA e IRAP, sul presupposto che una società avesse sede effettiva in Italia.

La casistica

In primo grado, la contribuente è riuscita a dimostrare di essere una società estera con sede legale ed effettiva nel Regno Unito.

A seguito dell'appello presentato dall'Ufficio, la sentenza di primo grado è stata riformata, in quanto, in difetto di esibizione dell'atto costitutivo e dello Statuto e considerato il domicilio fiscale in Italia, i giudici di secondo grado hanno ritenuto  che l'attività fosse effettivamente esercitata in Italia; infatti, sarebbe stato verificato che la sede legale corrispondeva allo studio di un commercialista inglese, mentre in un altro indirizzo vi era l'abitazione privata dell'amministratore unico e non la sede amministrativa od operativa della società. Inoltre, sarebbe emerso che le fotografie prodotte dalle parti appellate erano prive di indicazioni sui tempi, luoghi e contenuti e riproducevano, a campo visivo ridotto, raccoglitori, computers, videate di schermi illeggibili ed alcuni abiti e pertanto non dimostravano l'esistenza di un ufficio organizzato a Londra. Di contro, in Italia, vi era la sede operativa, ove lavoravano tre dipendenti/collaboratori con contratti regolati dalla normativa italiana. Infine, era stato accertato che la sede italiana risultava aver sostenuto costi per euro 316.930,43 rispetto al fatturato complessivo di euro 401.201,77.

Contro tale sentenza, la parte privata ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che dalla documentazione prodotta si ricavava che la società estera era residente nel Regno Unito e che in Italia vi era solo un ufficio di rappresentanza ed ivi non si svolgeva alcuna attività produttiva.

Il ricorso è stato dichiarato inammissibile, ma i giudici di legittimità hanno sancito alcuni principi.

In particolare, è stato precisato che l'ipotesi della cd. esterovestizione ricorre quando una società, pur mantenendo nel territorio dello Stato la sede amministrativa, intesa quale luogo di concreto svolgimento dell'attività di direzione e gestione dell'impresa, localizza la propria residenza fiscale all'estero, al solo fine di fruire di una legislazione tributaria più vantaggiosa. Tale situazione può essere dimostrata dall'ente impositore mediante presunzioni, purché gli indici della fittizia localizzazione, desumibili da tutti gli elementi indiziari acquisiti agli atti di causa, siano esaminati nel loro insieme, non atomisticamente, secondo i criteri della gravità, precisione e concordanza tali da trarre vigore l'uno dall'altro, completandosi a vicenda.

A questo punto, si ritiene opportuno soffermarsi sulla relativa normativa.

La normativa

Prima delle recenti modifiche, ai sensi dell'art. 73, comma 3, del DPR 917/1986 (di seguito anche TUIR), prevede che: “Ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti (in Italia) le società e gli enti che per la maggior parte del periodo d'imposta hanno la sede legale o la sede dell'amministrazione o l'oggetto principale nel territorio dello Stato”.

Tuttavia il DL 223/2006 ha introdotto, ai commi 5-bis e 5-ter dell'art. 73 del TUIR una presunzione legale di residenza nel territorio dello Stato in capo alle società estere che detengano direttamente partecipazioni di controllo di diritto e di fatto in società di capitali ed enti commerciali italiani se, alternativamente:

  • sono controllate, anche indirettamente, da soggetti residenti nel territorio dello Stato; o
  • sono amministrate da un consiglio di amministrazione o altro organo equivalente di gestione, composto in prevalenza di consiglieri residenti nel territorio dello Stato.

La presunzione relativa in tema di esterovestizione di cui all'art. 73 co. 5-bis del TUIR non si applica nel caso in cui la società estera non detenga partecipazioni di controllo in società ed enti residenti in Italia (risposta a interpello Agenzia delle Entrate 17.1.2022 n. 27).

Con la risposta a interpello 26.1.2023 n. 164, l'Agenzia delle Entrate ha ribadito che la presunzione di residenza in Italia di una società estera prevista dall'art. 73 co. 5-bis del TUIR non opera ove questa società non detenga, a sua volta, partecipazioni di controllo in società italiane.

Per quanto riguarda le persone giuridiche sono previsti tre criteri per individuare la residenza fiscale:

  1. la sede legale, che si identifica con la sede sociale indicata nell'atto costitutivo o nello statuto;
  2. la sede dell'amministrazione, che coincide con il luogo in cui viene svolta concretamente l'attività di gestione quotidiana dell'impresa;
  3. l'oggetto esclusivo o principale dell'attività, che per le società e gli enti residenti è determinato in base alla legge, all'atto costitutivo o allo statuto, quando esistenti in forma di atto pubblico o di scrittura privata autenticata, o, in mancanza di tali forme, in base all'attività effettivamente esercitata nel territorio dello Stato.

I criteri B e C sono stati recentemente sostituiti, rispettivamente con la sede di direzione effettiva e la gestione ordinaria in via principale, dove: i) per sede di direzione effettiva si intende la continua e coordinata assunzione delle decisioni strategiche riguardanti la società o l'ente nel suo complesso; mentre ii) per gestione ordinaria si intende il continuo e coordinato compimento degli atti della gestione corrente riguardanti la società o l'ente nel suo complesso (comma sostituito dall'art. 2, comma 1, lett. a), D.Lgs. 27.12.2023 n. 209, pubblicato in G.U. 28.12.2023 n. 301). Come sottolineato dalla relazione tecnica relativa alla nuova disposizione, le attività di supervisione e l'eventuale attività di monitoraggio della gestione da parte dei soci sono da considerarsi diverse dalla direzione effettiva e dalla gestione amministrativa corrente.

I criteri sopra individuati operano alternativamente e non è previsto alcun criterio di prevalenza, per cui può esservi la possibilità che un soggetto risulti residente in più Stati, venendosi a creare i c.d. “conflitti di residenza” tra diversi Stati, nel qual caso soccorrono le convenzioni bilaterali contro le doppie imposizioni, ed in particolare alle cosiddette “tie breaker rule” (art. 4, par. 2 e 3, del Modello OCSE), che per le società prevedono il criterio della sede effettiva.

Al verificarsi di uno solo di questi elementi, il soggetto è considerato fiscalmente residente in Italia e, quindi, soggetto alla potestà impositiva dello Stato per tutti i redditi ovunque prodotti (Cfr. Cass., sez. III pen., 23 febbraio 2012, n. 7080, dove viene precisato che: “I criteri indicati nell'art. 73 sono collegati da una “o” disgiuntiva, di conseguenza la sussistenza di uno solo di essi può permettere di individuare la residenza fiscale della società in Italia”).

La questione controversa

La Corte di cassazione si è occupata numerose volte della problematica dell'esterovestizione.

È stato, in particolare, precisato che la nozione di «sede dell'amministrazione», in quanto contrapposta alla «sede legale», deve ritenersi coincidente con quella di «sede effettiva» (di matrice civilistica), intesa come il luogo ove hanno concreto svolgimento le attività amministrative e di direzione dell'ente e si convocano le assemblee, e cioè il luogo deputato, o stabilmente utilizzato, per l'accentramento - nei rapporti interni e con i terzi - degli organi e degli uffici societari in vista del compimento degli affari e dell'impulso dell'attività (Cass. 21.6.2019 n. 16697).

È stato, inoltre, chiarito che la fattispecie della esterovestizione, tesa ad accordare prevalenza al dato fattuale dello svolgimento dell'attività direttiva presso un territorio diverso da quello in cui ha sede legale la società, non contrasta con la libertà di stabilimento. Se ne trae conferma dalla sentenza della Corte di Giustizia 12 settembre 2006, Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas, causa C-196/04 (richiamata da Cass. 20.6.2025 n. 16609), la quale, con riferimento al fenomeno della localizzazione all'estero della residenza fiscale di una società, ha stabilito che la circostanza che una società sia stata creata in uno Stato membro per fruire di una legislazione più vantaggiosa non costituisce per sé sola un abuso di tale libertà; tuttavia, una misura nazionale che restringa la libertà di stabilimento è ammessa se concerne specificamente le costruzioni di puro artificio finalizzate ad escludere la normativa dello Stato membro interessato.

Inoltre, è stato precisato che, con riferimento all'IVA, non vi è stata alcuna estensione della disciplina di cui all'art. 73 TUIR, ma secondo la Corte di cassazione
il pagamento dell'IVA in Italia è  conseguenza diretta dell'accertamento della "esterovestizione" (Cass. 20.6.2025 n. 16606).

A questo punto è necessario ricordare che, a livello giurisprudenziale, esiste una dicotomia tra esterovestizione quale fenomeno derivante dalla mera sussistenza di almeno uno tra i criteri di collegamento previsti dalla norma interna ed “esterovestizione abusiva”, per cui l'esterovestizione non può essere contestata in mancanza di una costruzione di puro artificio, ove la società svolga all'estero un'attività economica effettiva

A questo secondo filone, ha aderito una parte della giurisprudenza della Suprema Corte,

In particolare, con la sentenza del 25 agosto 2025, n.  23842 , la Corte di cassazione si è occupata del caso di una verifica fiscale effettuata dalla Guardia di finanza nei confronti di una società residente a Madeira, la quale era controllata, attraverso delle fiduciarie, da due persone fisiche italiane ed aveva affidato a due società italiane la gestione di alcune attività.

In tale caso, alla società era stata contestata la presenza della sede effettiva in Italia, in quanto, in tale luogo, si svolgeva la prevalente attività direttiva e amministrativa, essendo, secondo l'Amministrazione finanziaria, la gestione solo formalmente affidata all'estero. Secondo la tesi erariale, gli impulsi gestionali e di direzione erano localizzati in Italia.

Secondo i giudici di legittimità, però, il suddetto criterio non è sufficiente per dimostrare l'esterovestizione della società con sede in altro Stato membro dovendosi comunque dimostrare che quest'ultima è una "struttura non effettiva". In ogni caso, il fatto di stabilire la sede, legale o effettiva, di una società in conformità alla legislazione di uno Stato membro al fine di beneficiare di una legislazione più vantaggiosa, non costituisce di per sé un abuso.

Al contrario e aderendo alla prima interpretazione sulla necessità comunque della verifica dei tre criteri previsti dalla normativa interna, con la sentenza del 19 luglio 2024, n. 20002, la Corte di Cassazione si è occupata del caso di una verifica fiscale effettuata dalla Guardia di finanza nei confronti di una società controllante italiana, durante la quale è emerso che l'effettiva direzione continuativa dell'attività operativa quotidiana della  propria società controllata, con sede legale e stabilimento in Romania, era avvenuta di fatto presso la medesima controllante italiana, ravvisandosi pertanto un caso di esterovestizione della controllata, la cui residenza fiscale sostanziale doveva ritenersi collocata sul territorio nazionale.

La Suprema Corte ha accolto la tesi erariale, sostenendo che era stato dimostrato che lo svolgimento dell'attività era in Italia, in quanto l'esame di numerosi documenti portava alla conclusione che la sede amministrativa era di fatto nel territorio italiano.

Considerazioni

Come si è cercato di esporre, prima delle recenti modifiche normative, il criterio della sede dell'amministrazione risulta essere fondamentale per determinare la residenza fiscale di una società o ente, anche in considerazione della sua valenza internazionale come criterio convenzionale previsto dal Modello OCSE per risolvere i conflitti di residenza (c.d. tie-break rule).

Con specifico riferimento a soggetti non residenti che operano nel territorio dello Stato, l'Amministrazione finanziaria ha specificato che gli elementi di collegamento al territorio dello Stato italiano della legal entity estera, “devono essere valutati in base ad elementi di effettività sostanziale e richiedono - talora - complessi accertamenti di fatto del reale rapporto della società o dell'ente con un determinato territorio.” (Cfr. circ. n. 28/E/2006.).

Fatte queste premesse, come stabilito da alcuni giudici di legittimità, per esterovestizione s'intende la fittizia localizzazione della residenza fiscale di una società all'estero, in particolare in un Paese con un trattamento fiscale più vantaggioso di quello nazionale, allo scopo, ovviamente, di sottrarsi al più gravoso regime nazionale (Cfr. Cass. 9.3.2021 n. 6476.).

Inoltre, è stato precisato che la fattispecie della esterovestizione, tesa ad accordare prevalenza al dato fattuale dello svolgimento dell'attività direttiva presso un territorio diverso da quello in cui ha sede legale la società, non contrasta con la libertà di stabilimento ex articolo 49 del TFUE.

Ciò troverebbe conferma dalla giurisprudenza unionale,  la quale, con riferimento al fenomeno della localizzazione all'estero della residenza fiscale di una società, ha stabilito che la circostanza che una società sia stata creata in uno Stato membro per fruire di una legislazione più vantaggiosa non costituisce per sé sola un abuso di tale libertà; tuttavia, una misura nazionale che restringa la libertà di stabilimento è ammessa se concerne specificamente le costruzioni di puro artificio finalizzate ad escludere la normativa dello Stato membro interessato (Cfr. Corte di giustizia 12.9.2006 n. C-196/04).

Basandosi anche su quanto statuito dalla Corte di giustizia europea (Cfr. sentenza della Corte di giustizia 28 giugno 2007, Planzer Luxembourg Sàrl) è stato ribadito che la nozione di sede dell'attività economica “indica il luogo in cui vengono adottate le decisioni essenziali concernenti la direzione generale della società e in cui sono svolte le funzioni di amministrazione centrale di quest'ultima” (punto 60), e che la determinazione del luogo della sede dell'attività economica di una società implica “la presa in considerazione di un complesso di fattori, al primo posto dei quali figurano la  sede statutaria, il luogo dell'amministrazione centrale, il luogo di riunione dei dirigenti societari e quello, abitualmente identico, in cui si adotta la politica generale di tale società. Possono essere presi in considerazione anche altri elementi, quali il domicilio dei principali dirigenti, il luogo di riunione delle assemblee generali, di tenuta dei documenti amministrativi e contabili e di svolgimento della maggior parte delle attività finanziarie, in particolare bancarie” (punto 61).

Di conseguenza, quel che deve essere accertato, ai fini della corretta applicazione della previsione normativa in esame, è l'apparente localizzazione all'estero di un soggetto.

In altri termini, quel che rileva non è accertare la sussistenza o meno di ragioni economiche diverse da quelle relative alla convenienza fiscale, ma accertare se il trasferimento in realtà vi è stato o meno, se, cioè, l'operazione sia meramente artificiosa (wholly artificial arrangement), consistendo nella creazione di una forma giuridica che non riproduce una corrispondente e genuina realtà economica (Cfr. Cass. 7.2.2013 n. 2869.); è quindi necessario accertare che si tratta di costruzioni puramente artificiose, prive di effettività economica, il cui scopo essenziale è limitato all'ottenimento di un vantaggio fiscale, attraverso a fittizia localizzazione della residenza fiscale di una società all'estero, in particolare in un Paese con un trattamento fiscale più vantaggioso di quello nazionale, allo scopo, ovviamente, di sottrarsi al più gravoso regime nazionale (Cfr. Cass. 21.12.2018 n. 33234.).

Pertanto, la maggior attenzione al dato della "fittizietà", della "artificiosità", dell'assenza di "effettività economica", rispetto ai vantaggi economici e fiscali, è coerente con la giurisprudenza unionale secondo la quale, quando può scegliere tra due operazioni, il contribuente non è obbligato a preferire quella che implica il pagamento di maggiori imposte, ma, al contrario, ha il diritto di scegliere la forma di conduzione degli affari che gli consenta di ridurre la sua contribuzione fiscale (Cfr. Corte di giustizia 17.12.2015 n. C-419/14.), a meno che consimili meccanismi non abbiano come risultato l'ottenimento di un vantaggio fiscale la cui concessione sarebbe contraria all'obiettivo perseguito dalle norme e da un insieme di elementi oggettivi risulti che lo scopo essenziale dell'operazione si limiti all'ottenimento di tale vantaggio fiscale (Cfr. Corte di giustizia 7.9.2017 n. C-6/16.).

Pertanto, come sancito da alcuni giudici di legittimità, almeno nell'ambito delle operazioni europee, deve prevalere il concetto di “esterovestizione abusiva”, che non può essere contestata in mancanza di una costruzione di puro artificio, ove la società svolga all'estero un'attività economica effettiva.

In conclusione 

Come si è cercato di esporre, la giurisprudenza prevalente si è basata sui precedenti criteri necessari per stabilire se una società è residente o meno in Italia.

Secondo la versione attuale dell'art. 73 del TUIR, è stabilito che, ai fini delle imposte sui redditi, si considerano residenti le società e gli enti che per la maggior parte del periodo di imposta hanno nel territorio dello Stato la sede legale o la sede di direzione effettiva o la gestione ordinaria in via principale.

Sono eliminati così dalle menzionate disposizioni i riferimenti ai criteri (i) della sede dell'amministrazione, sostituito dai criteri di sede di direzione effettiva e di gestione ordinaria in via principale, in coerenza con la prassi internazionale (come si chiarirà meglio nel prosieguo), e (ii) dell'oggetto principale, quest'ultimo foriero di controversie e incertezze interpretative, come chiarito nella Relazione illustrativa al Decreto.

L'Agenzia delle Entrate ha fornito i primi chiarimenti in merito ai due nuovi criteri (cfr. Circolare Agenzia Entrate 4.11.2024 n. 20).

In particolare, è stato ricordato che, per sede di direzione effettiva, si intende la continua e coordinata assunzione delle decisioni strategiche riguardanti la società o l'ente nel suo complesso". A tal riguardo, la Relazione illustrativa ha chiarito che "ai fini della direzione effettiva, non rilevano le decisioni diverse da quelle aventi contenuto di gestione assunte dai soci né le attività di supervisione e l'eventuale attività di monitoraggio della gestione da parte degli stessi". Pertanto, le decisioni assunte dai soci non dovrebbero rilevare per individuare la sede di direzione effettiva, fatta eccezione per quelle aventi contenuto gestorio.

Per gestione ordinaria in via principale, invece, si deve intendere "il continuo e coordinato compimento degli atti della gestione corrente riguardanti la società o l'ente nel suo complesso".
Anche in tale scelta legislativa si dovrebbe ravvisare un allineamento con i chiarimenti forniti dal paragrafo 24.1 del Commentario all'articolo 4 del Modello OCSE, secondo cui, tra i fattori considerati per la risoluzione del conflitto di residenza a favore di uno Stato contraente, è compreso il luogo dove avviene la gestione quotidiana dell'attività.
Il criterio di collegamento in esame deve, secondo l'Agenzia delle entrate, essere associato al luogo in cui si esplicano il normale funzionamento della società e gli adempimenti che attengono all'ordinaria amministrazione della stessa.
Sul punto, viene segnalato  che i fattori di determinazione della gestione ordinaria variano a seconda della conformazione della struttura imprenditoriale, dell'attività caratteristica, nonché della organizzazione del complesso aziendale della società o dell'ente.

Secondo alcuni giudici di merito (sentenza della Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado del Piemonte del 10 giugno 2025, n. 424) , indicando nella motivazione la nuova normativa, hanno sancito che, nel caso specifico, non sarebbero applicabili alla fattispecie in esame le norme richiamate dall'Ufficio in materia di esterovestizione. Alla base di tale decisione, risulterebbe per tabulas come le decisioni relative alla società svizzera fossero assunte nel territorio elvetico, i contatti con i fornitori fossero tenuti direttamente contribuente dalla sede svizzera e gli archivi dei documenti contabili della società fossero detenuti nella sede svizzera ed ivi tenuti secondo la normativa colà vigente.

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