Il giudice dell’esecuzione può revocare le pene accessorie quando riduce di un sesto la pena per omessa impugnazione?

04 Dicembre 2025

La riduzione di un sesto della pena irrogata all'esito del giudizio abbreviato prevista dall'art. 442, comma 2-bis, c.p.p. per i casi di omessa impugnazione della sentenza di condanna produce effetti anche sulle pene accessorie?

Massima

Qualora, a seguito dell'applicazione della diminuente prevista dall'art. 442, comma-bis, c.p.p., per i casi di mancata impugnazione della sentenza di condanna emessa all'esito del giudizio abbreviato, la pena scenda al di sotto dei tre anni di reclusione, il giudice dell'esecuzione deve revocare la pena accessoria dell'interdizione temporanea dai pubblici uffici applicata dal giudice della cognizione.

Il caso

Tizio veniva condannato dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Pavia alla pena di tre anni di reclusione, sostituita con 2190 ore di pubblica utilità ex art. 56-bis l. n. 689/1981, per reati in materia di sostanze stupefacenti. A Tizio veniva applicata anche la pena accessoria dell'interdizione dai pubblicai uffici per la durata di cinque anni.

A seguito della mancata impugnazione della sentenza di condanna, Tizio chiedeva al giudice dell'esecuzione che la pena irrogatagli fosse ulteriormente ridotta di un sesto, ai sensi dell'art. 442, comma 2-bis, c.p.p., e che la pena accessoria fosse revocata per mancanza dei presupposti legali, dovendo la pena irrogata essere rideterminata nella misura di due anni e sei mesi di reclusione, dunque al di sotto del limite di tre anni di reclusione stabilito dal primo comma dell'art. 29 c.p.

Il Giudice dell'esecuzione, rideterminata la pena irrogata, rigettava la richiesta di revoca della pena accessoria, osservando che, in assenza di una espressa indicazione del legislatore, dove escludersi che la riduzione prevista dall'art. 442, comma 2-bis, c.p.p. influisca sugli ulteriori effetti penali della sentenza, tra i quali le pene accessorie.

A seguito del ricorso di Tizio, la Corte di cassazione annullava senza rinvio l'ordinanza impugnata eliminando la pena accessoria dell'interdizione temporanea dai pubblici uffici.

La questione

La questione affrontata dalla Corte di cassazione è la seguente: la riduzione di un sesto della pena irrogata all'esito del giudizio abbreviato prevista dall'art. 442, comma 2-bis, c.p.p. per i casi di omessa impugnazione della sentenza di condanna produce effetti anche sulle pene accessorie?

Le soluzioni giuridiche

Occorre premettere che l'art. 442, comma 2-bis, c.p.p., e in via consequenziale, ai sensi dell'art. 27 l. n. 87/1953, anche l'art. 676, comma 3-bis, c.p.p., sono stati dichiarati costituzionalmente illegittimi, per violazione degli artt. 3,111, comma 2, e 117, comma 1, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 6, paragrafo 1, CEDU, nella parte in cui non prevedevano che il giudice dell'esecuzione potesse concedere la sospensione della pena e la non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale, quando il giudice della cognizione non aveva potuto provvedervi perché la pena allora determinata era superiore ai limiti di legge che consentono la concessione di tali benefici (C. cost., 19 dicembre 2024, n. 208, in questa Rivista, 23 dicembre 2024, con nota di Trinci, La Consulta sulla sospensione della pena inflitta con rito abbreviato e ridotta per mancata impugnazione).

Per quanto qui interessa, la Corte ha ravvisato, innanzitutto, un'irragionevole disparità di trattamento tra chi rinunci al proprio diritto all'impugnazione della sentenza di condanna pronunciata all'esito di un giudizio abbreviato, in cambio di un ulteriore sconto di pena rispetto a quello già ottenuto per effetto della scelta del rito, e chi si avvalga di analoghi sconti di pena attraverso il meccanismo del concordato con rinuncia ai motivi di appello di cui all'art. 599-bis c.p.p., dunque in cambio della rinuncia a proprie facoltà processuali parimenti coperte dal diritto costituzionale di difesa e dai principi del giusto processo.

In secondo luogo, la Consulta ha ritenuto che la scelta legislativa di non consentire al giudice dell'esecuzione l'applicazione dei benefici della sospensione della pena e della non menzione della condanna contrasti con gli scopi deflattivi della riforma del 2022. Chi ha subito la condanna ad una pena che, grazie alla riduzione di un sesto, potrebbe rientrare nei limiti di legge per la sospensione condizionale e la non menzione, non potendo ottenere tali benefici dal giudice dell'esecuzione sarebbe incentivato a proporre appello, mirando a ottenerli in quella sede, anche attraverso il meccanismo di riduzione della pena connesso al concordato con rinuncia ai motivi di appello. Il che frustrerebbe lo scopo legislativo di favorire una più rapida definizione del contenzioso penale, con conseguente ulteriore profilo di frizione rispetto all'art. 3 Cost., in combinato disposto con gli artt. 111, comma 2, e 117, comma 1, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 6, paragrafo 1, CEDU.

Passando a individuare il rimedio al vulnus riscontrato, i giudici costituzionali hanno osservato che, alla luce dell'evoluzione giurisprudenziale sui poteri di intervento del giudice dell'esecuzione, un'interpretazione costituzionalmente conforme della norma censurata sarebbe stata possibile. La teoria dei poteri impliciti, secondo la quale, se una legge processuale demanda al giudice una determinata funzione, allo stesso giudice deve ritenersi conferita la titolarità di tutti i poteri necessari all'esercizio di quella medesima attribuzione, avrebbe consentito al giudice rimettente di ritenere che tra i poteri del giudice dell'esecuzione rientrasse anche quello di valutare la concedibilità dei benefici della sospensione condizionale e della non menzione conseguenti alla rideterminazione della pena irrogata nella sentenza irrevocabile. E tanto sarebbe basato per emettere una sentenza interpretativa di rigetto, ma la Corte ha preferito adottare comunque una decisione di accoglimento, precisando di averlo fatto per soddisfare le esigenze di certezza giuridica che sono particolarmente acute nella materia processuale.

Ebbene, il percorso argomentativo seguito dalla Consulta in tema di sospensione condizionale e non menzione consente alla Corte di cassazione di arrivare, per via ermeneutica, al medesimo risultato con riferimento alle pene accessorie.

Del reso, le situazioni sono assimilabili: come la riduzione ex art. 442, comma 2-bis, c.p. può rendere applicabili i benefici di legge che la pena inizialmente irrogata dal giudice della cognizione precludeva, così la medesima riduzione può privare dei presupposti legali – in particolare il quantum di pena detentiva irrogata – le pene accessorie applicate dal giudice della cognizione. Più precisamente, la diminuzione automatica di pena per la mancata impugnazione della sentenza di condanna emessa in sede di giudizio abbreviato potrebbe far scendere la pena irrogata dal giudice della cognizione al di sotto del limite di tre anni che l'art. 29, comma 1, c.p. richiede per la pena accessoria dell'interdizione temporanea dai pubblici uffici.

Ne consegue, osserva la Corte nella decisione in commento, che «anche la valutazione sui presupposti per l'applicazione delle pene accessorie venga operata rispetto alla pena così come determinata “a valle” delle scelte processuali dell'imputato, che costituiscono, essere pure, elementi significativi nella “commisurazione in senso lato” della pena a lui applicabile».

La Corte traccia un parallelismo fra la riduzione (della metà o di un terzo) prevista dal capoverso dell'art. 442 c.p.p. e quella (di un sesto) prevista dal comma 2-bis della medesima norma. In entrambi i meccanismi normativi, osserva la Corte, la pena originariamente determinata dal giudice in base ai criteri di commisurazione giudiziale fissati dagli artt. 133 e 133-ter c.p. subisce una modificazione ex lege, in omaggio a logiche deflattive del contezioso penale: nel primo caso, si evita il dibattimento rinunciando alla garanzia del contraddittorio nella formazione della prova, mentre nel secondo si evita il giudizio di appello mediante la rinuncia all'impugnazione. L'unica differenza fra le due ipotesi (oltre al quantum di riduzione) attiene alla competenza, perché la diminuzione ex art. 442, comma 2, c.p.p. spetta al giudice della cognizione, mentre alla rideterminazione della pena ai sensi dell'art. 442, comma 2-bis, c.p.p. è chiamato il giudice dell'esecuzione. La competenza di quest'ultimo è coerente rispetto ad un meccanismo normativo che, richiedendo l'astensione dall'impugnazione, implica il passaggio in giudicato della sentenza; essa, però, pone il problema di capire se, nonostante il silenzio del legislatore, tale giudice abbia anche il potere-dovere di revocare la pena accessoria di cui siano venuti meno i requisiti a seguito della rideterminazione della pena principale.

A tacere del fatto che un referente normativo potrebbe essere rinvenuto nel primo comma dell'art. 676 c.p.p., che individua, fra le “altre competenze” attribuite al giudice dell'esecuzione, anche quella «a decidere […] in ordine alle pene accessorie», la Corte, nel rispondere positivamente al suddetto quesito, osserva che i parametri costituzionali invocati dalla Consulta nella sentenza n. 208 del 2024 consentono di adottare un'interpretazione costituzionalmente conforme degli artt. 442, comma 2-bis, e 676 c.p.p.

Innanzitutto, viene in rilievo il parametro della ragionevolezza (art. 3 Cost.), perché una soluzione che osti alla revocabilità della pena accessoria porrebbe il condannato rinunciante ad impugnare «in una posizione significativamente deteriore rispetto a tutti coloro che si avvalgono di analoghi sconti di pena, in cambio della rinuncia a proprie facoltà processuali parimenti coperte dal diritto costituzionale di difesa e dai principi del giusto processo»; basti pensare a coloro che scelgono di definire il proprio appello con un concordato ex art. 599-bis c.p. ad una pena che non consente di mantenere le pene accessorie disposte dal primo giudice. Si tratta, come osservato dalla Corte, di una disparità di trattamento che non sarebbe giustificabile sulla base dell'art. 3 Cost. «E ciò tanto più in quanto […] la rinuncia all'impugnazione della sentenza di condanna, dalla quale dipende la riduzione di un sesto della pena, è sacrificio diverso e ulteriore rispetto alla rinuncia alle garanzie del dibattimento, che è già “compensata” dalla riduzione della metà o di un terzo prevista dal comma 2 dell'art. 442 c.p.p.».

Infine, la Corte osserva come la soluzione avversata rischierebbe di disinnescare l'appetibilità dell'incentivo alla rinuncia all'impugnazione: a fronte di condanne a pene che, se ridotte di un sesto, scenderebbero sotto i limiti di legge richiesti per l'applicazione di pene accessorie, per il condannato potrebbe essere preferibile proporre appello per ottenere una riduzione della pena, magari attraverso il meccanismo del concordato con rinuncia ai motivi di appello di cui all'art. 599-bis c.p.p., anziché mirare alla riduzione ex art. 442, comma 2-bis, c.p.p.

Dunque, secondo la Corte di cassazione, risponde a precise coordinate costituzionali che sia la misura finale della pena (e non già quella irrogata in sede di cognizione) a costituire il parametro per i benefici di legge e per le statuizioni accessorie.

Osservazioni

La pronuncia che si annota ha ritenuto che il giudice dell'esecuzione debba revocare la pena accessoria quando ridetermina la pena principale ai sensi dell'art. 442, comma 2-bis, c.p.p., se tale pena, a seguito della riduzione di un sesto, scenda al di sotto dei limiti legali previsti per l'applicazione della pena accessoria.

L'assunto è condivisibile.

In mancanza di dati testuali incompatibili, deve ritenersi che rientri fra i poteri del giudice dell'esecuzione quello di adeguare il titolo esecutivo ai fatti sopravvenuti al giudicato. Tra questi poteri vi è, in particolare, quello di effettuare ogni valutazione conseguente alla rideterminazione della pena irrogata nella sentenza irrevocabile, compresa la verifica della permanenza o meno dei presupposti legali di applicazione delle pene accessorie

Ciò è stato affermato in maniera frontale dalla Corte costituzionale con riferimento ai benefici della sospensione condizionale e della non menzione, ma non può che valere anche per le pene accessorie, la cui decisione, di regola, non involge quelle valutazioni discrezionali e di merito tipiche dei benefici menzionati sopra.

L'automatismo punitivo a cui sono legate talune statuizioni accessorie ne implica la facile revocabilità da parte del giudice dell'esecuzione, che non deve svolgere particolari attività istruttorie e cognitive, ma solo verificare se la pena principale rideterminata si collochi ancora sopra ai limiti legali di operatività della pena accessoria.

Naturalmente, al di là del caso specifico (interdizione temporanea dai pubblici uffici), la decisione in esame è destinata ad operare per tutte le pene accessorie la cui operatività sia legate a soglie punitive.

Ne consegue, ad esempio, che, nel caso in cui la riduzione di un sesto collochi la pena finale al di sotto dei cinque anni di reclusione (ma sopra i tre anni), il giudice dell'esecuzione dovrà revocare la pena accessoria dell'interdizione legale (art. 32 c.p.) e sostituire l'interdizione perpetua dai pubblici uffici con la sua variate temporanea.

Allo stesso modo, la riduzione in executive della pena al di sotto della soglia dei due anni di reclusione, nei casi di condanna per i reati di cui agli artt. 314, comma 1, 317,318,319,319-ter, 319-quater, comma 1, e 320 c.p., comporta la revoca della pena accessoria dell'estinzione del rapporto di lavoro (art. 32-quinquies c.p.).  

Ancora. Se la pena irrogata per uno dei delitti previsti dagli artt. 314,317,318,319,319-bis, 319-ter, 319-quater, comma 1, 320,321,322,322-bis e 346-bis c.p. viene ridotta dal giudice dell'esecuzione al di sotto dei due anni di reclusione, l'interdizione dai pubblici uffici e l'incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione (salvo che per ottenere la prestazione di un pubblico servizio) non possono rimanere perpetue, ma la loro durata va determinata per un tempo non inferiore a chiunque anni né superiore a sette anni.

Si noti come in quest'ultimo caso la decisione del giudice dell'esecuzione non abbia un contenuto vincolato, dovendo egli stimare la durata della pena accessoria come farebbe il giudice della cognizione. In simili ipotesi, come riporta la sentenza che si annota, «il giudizio di esecuzione è chiamato a ospitare un frammento di cognizione» (sentenza n, 183 del 2013, punto 6 del Considerando in diritto), sulla base del materiale raccolto in precedenza o – eventualmente – delle nuove evenienze necessarie a compiere le valutazioni in parola, sì da adeguare le statuizioni relative alla pena nel loro complesso alla mutata situazione sopravvenuta al giudicato, e alla quale il giudicato stesso deve essere conformato».

Il contenuto (probatoriamente) complesso che può assumere l'incidente di esecuzione in questo caso rende ancora più condivisibile l'orientamento giurisprudenziale che esclude la possibilità di applicare la diminuzione di pena prevista dall'art. 442, comma-bis, c.p.p.de plano, secondo la procedura semplificata prevista dall'art. 667, comma 4, c.p.p., essendo invece necessaria la procedura ordinaria di cui all'art. 666 c.p.p., con la conseguenza che, ove il giudice ometta di fissare l'udienza camerale provvedendo inaudita altera parte, l'ordinanza è affetta da nullità assoluta ex art. 178, comma 1, lett. c), c.p.p., rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del procedimento (così Cass. pen., sez. I, 6 febbraio 2025-21 febbraio 2025, n. 7356, in IUS Penale, con nota di Trinci, Riduzione di pena per mancata impugnazione nel giudizio abbreviato).

Va detto, infine, che la scelta della Corte di intraprendere la strada dell'interpretazione costituzionalmente conforme, se appare in linea con le indicazioni dalla Consulta, che già ne aveva sostenuta la praticabilità con riferimento ai benefici della sospensione condizionale e della non menzione, si espone al rischio di cambiamento di rotta da parte delle decisioni successive. Forse, le medesime ragioni di certezza giuridica che hanno indotto i giudici costituzionali ad adottare una sentenza di incostituzionalità, avrebbero potuto suggerire alla Suprema Corte di intraprendere la strada di un indicente di costituzionalità, che avrebbe impedito future oscillazioni giurisprudenziali.

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