L’assenza di finalità specifica dell’addizionale all’accisa sull’energia elettrica e la possibilità di rimborso diretto all’Ufficio.
Gabriele Damascelli
10 Dicembre 2025
Con sentenza resa in C-645/23 del 19 giugno 2025 su rinvio del giudice italiano, la Corte UE ha affermato che l'addizionale all'accisa sull'energia elettrica, abrogata nel 2012, nel frattempo dichiarata incostituzionale con sentenza della Consulta n. 43 del 15 aprile 2025, sembra perseguire solo una finalità generica di supporto al bilancio degli enti territoriali e non già una finalità specifica , richiesta dall'art. 1, par. 2, della Direttiva 2008/118 quale prima condizione per l'introduzione di altre imposte indirette , nonostante rispetti la seconda condizione, dal momento che segue le medesime norme in materia di accertamento, liquidazione e riscossione applicabili all'accisa sull'energia elettrica, dimostrando di essere stata concepita fin dall'inizio come un'imposta conforme alle norme fiscali unionale applicabili per le accise.
Dall'assenza della prima condizione discende l'obbligo dello Stato membro di garantire al consumatore finale il rimborso dell'imposta contraria al sistema unionale, veicolabile anche direttamente nei confronti di dell'Agenzia delle entrate, qualora il rimborso richiesto al fornitore si rivelasse impossibile o eccessivamente difficile da ottenere rivolgendosi ai fornitori interessati.
Il caso
La vicenda odierna origina da un contratto di somministrazione di energia elettrica dalla società somministrante alla società somministrata a seguito della costituzione di un rapporto contrattuale sino al 1° aprile 2012 (data di efficacia dell'abrogazione dell'addizionale all'accisa sull'energia elettrica dell'accisa), con contestuale versamento all'Erario da parte della società somministrante, dell'addizionale in questione sul prodotto venduto alla società somministrata, previa rivalsa su quest'ultima del tributo pagato, ai sensi dell'art. 16, c. 3, del D.lgs. 504/1995 (Testo Unico Accise - TUA).
Si rammenta che l'addizionale in oggetto fu istituita con il D.lgs. 26/2007 (Attuazione della direttiva 2003/96 che ristruttura il quadro comunitario per la tassazione dei prodotti energetici e dell'elettricità), il cui art. 5, c. 1, modificava l'art. 6 del D.L. 511/1988, il quale disponeva che Ritenuta la straordinaria necessità ed urgenza di assicurare le necessarie risorse agli enti della finanza regionale e locale, al fine di garantire l'assolvimento dei compiti istituzionali … È istituita una addizionale all'accisa sull'energia elettrica di cui agli articoli 52, e seguenti, del TUA.
La norma prevedeva, altresì, che le addizionali sono dovute dai soggetti obbligati di cui all'articolo 53 del testo unico delle accise, al momento della fornitura dell'energia elettrica ai consumatori finali ovvero, per l'energia elettrica prodotta o acquistata per uso proprio, al momento del suo consumo. Le addizionali sono liquidate e riscosse con le stesse modalità dell'accisa sull'energia elettrica.
Con sentenza n. 43 del 15 aprile 2025, la Corte Costituzionale, anticipando di fatto le conclusioni della sentenza della Corte UE qui in commento, avvenuto il 19 giugno 2025, ha escluso che l'addizionale provinciale alle accise sull'energia elettrica rispetti il requisito della finalità specifica (v. p. 11), sancendo l'illegittimità costituzionale dell'imposta di cui all'art. 6 del d.l. n. 511/1988, per violazione degli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., in relazione all'art. 1, paragrafo 2, della direttiva 2008/118/CE.
Tornando ai fatti di causa, a seguito dell'impugnazione del rigetto della domanda di ripetizione dell'indebito oggettivo proposta dalla società somministrata, con successiva ordinanza il Tribunale di Bologna, nel giudizio tra due parti private, nell'accogliere la domanda della parte somministrata, condannava la società somministrante alla restituzione di una somma a titolo di addizionale all'accisa sull'energia elettrica, oltre interessi.
Con statuizione non appellata, non rivalutabile quindi dalla Corte d'appello, il Tribunale accertava sia il titolo del rapporto sia i pagamenti, ritenendoli incontroversi e documentati dalle fatture prodotte dall'appellata (parte somministrata).
Affermava, altresì, la contrarietà dell'art. 6 del DL 511/1988 rispetto all'art. 1, par. 2, della Direttiva 2008/118, per effetto del quale gli Stati membri possono applicare ai prodotti sottoposti ad accisa altre imposte indirette aventi finalità specifiche, purché queste siano conformi alle norme fiscali UE applicabili per le accise o per l'IVA in materia di determinazione della base imponibile, calcolo, esigibilità e controllo dell'imposta.
Da ultimo, il Tribunale disapplicava la norma interna ed ordinava il rimborso dei pagamenti, eseguiti in favore della somministrante, dalla scadenza del termine per l'attuazione della direttiva (1.4.2010: art. 7 direttiva citata) fino alla definitiva soppressione dell'imposta, a partire dal 1° aprile 2012, per assenza della causa debendi.
Al riguardo lo Stato italiano, a fronte dell'avvio di una procedura di infrazione da parte della Commissione UE con le lettere dell'1.12.2011 e del 20.03.2012, riconosciuta la contrarietà dell'addizionale all'accisa sull'energia elettrica rispetto alla Direttiva 2008/118, procedeva alla sua definitiva abrogazione a decorrere dall'anno 2012, mediante i D.lgs. n. 23/2011 e n. 68/2011, nelle Regioni a statuto ordinario, e con il D.L. n. 16/2012 anche nelle Regioni a statuto speciale.
In sede di gravame, la società appellante (somministrante) chiedeva il rigetto della domanda e la restituzione del pagamento con cui aveva dato spontanea esecuzione alla sua condanna, sostenendo che l'addizionale e l'accisa (base) non fossero imposte tra loro diverse, in quanto la prima rappresentava solo una maggiorazione dell'aliquota della seconda.
La Corte di appello, quindi, valutava che le questioni giuridiche rilevanti ai fini della decisione fossero:
a) se l'addizionale potesse essere considerata un'altra imposta indiretta sull'energia elettrica;
b) in caso affermativo, se l'art. 1 par. 2 della Dir. 2008/118 avesse effetti diretti e se l'art. 6, c. 1 e 2 del D.L. 511/1988 potesse essere disapplicato nel rapporto tra somministrante e somministrato (parti private), a fronte di una giurisprudenza della Corte UE che consente tale possibilità solo qualora una delle due parti processuali sia un ente pubblico (efficacia verticale e non anche orizzontale della direttiva, ossia estendibile anche ai giudizi tra parti private).
Nell'ordinanza di rimessione, la Corte di appello evidenziava che, alla luce della normativa interna (TUA), il venditore è il titolare esclusivo dell'obbligazione tributaria il quale, quindi, non si rivale nei confronti dell'utente quale sostituto d'imposta, ma si limita ad addebitargli il peso economico dell'accisa e/o della sua addizionale in quota parte del corrispettivo del bene ceduto o del servizio prestato. Ne discende che l'azione restitutoria dei pagamenti addebitati all'utente … deve essere eventualmente proposta, come avvenuto nella presente causa, nei confronti della venditrice anziché dell'Erario, poiché solo la somministrante è soggetto passivo dell'imposta e ha l'onere, in caso di accisa «indebitamente pagata» allo Stato (art. 14 comma 1) e indebitamente riscossa in rivalsa dal somministrato, di chiederne il rimborso all'Erario nel termine decadenziale di novanta giorni dal passaggio in giudicato della sua condanna alla restituzione in favore del somministrato (art. 14, c. 4, TUA), mentre l'azione di ripetizione del somministrato è, invece, regolata dalla disciplina dell'indebito oggettivo (art. 2033, c.c.).
Sulla base, altresì, del c. 4 dell'art. 14 del TUA in tema di rimborso dell'accisa, qualora, al termine di un procedimento giurisdizionale, il soggetto obbligato al pagamento dell'accisa sia condannato alla restituzione a terzi di somme indebitamente percepite a titolo di rivalsa dell'accisa, il rimborso è richiesto dal predetto soggetto obbligato, a pena di decadenza, entro novanta giorni dal passaggio in giudicato della sentenza che impone la restituzione delle somme.
Quanto alla giurisprudenza interna, nell'ordinanza di rinvio la Cassazione ha osservato che la decisione appellata ha aderito all'orientamento prevalente, delineatosi con Cass. del 24.5.2019 n. 14200 e radicatosi in giurisprudenza (v. Cass. 23.10.2019 nn. 27099, 27100 e 27101; Cass. 24.10.2019 n. 27306; Cass. 19.11.2019 n. 29980; Cass. 5.6.2020 n. 10691; Cass. 28.7.2020 n. 16142; Cass. 15.10.2020 n. 22343), secondo il quale la disciplina del rimborso dell'addizionale è compatibile con il diritto unionale, poiché, in assenza di norme comuni sul rimborso delle imposte, sono gli Stati membri a disciplinarlo nel rispetto dei principi di equivalenza e di effettività, (v. C-35/05, p. 37, C-380/17, p. 56 e 58, C-562/17, p. 40-41). L'utente, quindi, può ripetere l'addizionale dal cedente (v. C-427/10, p. 42, C-94/10, p. 27-29) e, solo se il rimborso da parte di quegli è impossibile o eccessivamente difficile, come nel caso di suo fallimento, può rivolgersi all'Erario, eccezionalmente legittimato a resistere alla domanda in attuazione del principio di effettività (v. C-564/15, p. 57, C-660, p. 66).
Al riguardo la giurisprudenza interna (v. Cass. 15198/2019, p. 2.3), è uniforme nell'escludere che l'addizionale abbia le finalità specifiche richieste dall'art. 1 par. 2 della Dir. 2008/118, dal momento che il suo unico è quello di assicurare le necessarie risorse agli enti della finanza regionale e locale, al fine di garantire l'assolvimento dei compiti istituzionali (preambolo del DL 511/1988), mentre la sua ipotetica ulteriore finalità di sostenere il servizio di smaltimento dei rifiuti (art. 2, c. 2 bis, DL 225/2010) è indicata dalla legge come meramente potenziale e non è allegato né provato che sia stata perseguita.
Quanto, poi, alla seconda questione giuridica, attinente all'applicabilità diretta dell'art. 1 par. 2 della Dir. 2008/118 ed all'eventuale e correlata disapplicazione dell'art. 6, c. 1 e 2 del D.L. 511/1988 nel rapporto tra somministrante e somministrato (parti private), nell'ordinanza di rimessione alla Corte UE la Cassazione dava conto che parte della giurisprudenza (v. Cass. 5.6.2020 n. 10691, p. 5.7) sostiene l'obbligo di disapplicazione dell'art. 6, c. 1 e 2 del D.L. 511/1988, prescindendo dall'efficacia diretta, orizzontale o verticale, dell'art. 1 par. 2 dir. cit. e invocando il principio dell'immediata applicabilità dell'interpretazione del diritto dell'Unione europea data dalla Corte di giustizia ex art. 267 TFUE (v. Cass., SS.UU., 12.4.1996 n. 3458), nonostante prendesse atto che nelle controversie sottoposte al suo esame, però, destinataria della domanda restitutoria era sempre la Pubblica Amministrazione, quindi la questione dell'efficacia orizzontale della direttiva era assorbita.
Al riguardo, infatti, nell'ordinanza si prendeva atto che l'appellante non è un'impresa a partecipazione pubblica né è preposta ad un pubblico servizio con poteri derogatori della normativa statuale (C-413/15, parr. 26-29), sicché non può essere considerata un organismo dello Stato membro (C-188/89, parr. 18-20). Ne discende che il rapporto oggetto della controversia, sebbene dipendente da un rapporto verticale, ha natura orizzontale.
Di qui, per giurisprudenza costante della Corte UE, l'enunciazione del principio secondo cui le direttive, istituendo obblighi solo in capo allo Stato membro, possono creare vantaggi per il singolo nei confronti dello Stato, ma non possono conferirgli diritti nei rapporti interindividuali (v. C-152/84, p. 48; C-80/86, p. 9; C-168/95, p. 36-38; C-397/01, p. 108-109; C-568/19, p. 35; C‑383/21, p. 36; nonché da ultimo, su rinvio italiano, v. C-316/22, p. 22).
In conclusione, la Corte remittente ha chiesto alla Corte UE:
a) se i principi riaffermati dalla Corte UE, in particolare nella sentenza Poplawski (C-573/17) ed il principio di leale cooperazione (art. 4, par. 3, TUE), che obbliga gli Stati membri e le sue autorità, inclusi i giudici, ad adottare le misure necessarie a rimuovere le ripercussioni illecite della violazione del diritto UE (C-411/17, p. 170) possano essere coniugati, ove l'interpretazione conforme sia preclusa, dalla disapplicazione per esclusione della norma interna confliggente con la norma unionale (art. 1, par. 2, Dir. 118/2008), quale ne sia il fondamento normativo, o solo dal rimedio residuale del risarcimento del danno (C-6/90 e C-91/92), la cui applicazione compete al giudice nazionale (C-129/19, p. 58-61), previa eventuale valutazione della legittimità costituzionale della norma interna;
b) se i principi enunciati dalla Corte UE in ordine ai rapporti triangolari possano essere applicati alla fattispecie in esame, ove un singolo non si contrappone formalmente allo Stato deducendo l'applicazione nei suoi confronti della norma di una direttiva la cui corretta trasposizione lo avrebbe favorito a svantaggio di un terzo, bensì ad un'impresa, che, a sua volta, andrà a contrapporsi allo Stato con la domanda di rivalsa. I rispettivi rapporti, il primo orizzontale, il secondo verticale, sono interdipendenti: l'impresa, debitrice dell'addizionale, può contestare all'Erario l'illegittimità dell'imposizione fiscale, ma, essendosene rivalsa nei confronti della sua controparte contrattuale, non ha diritto né interesse ad esserne rimborsata dallo Stato fin quando non abbia restituito l'indebito all'utente; il singolo ha interesse a ripetere il pagamento, ma non ha il diritto di farlo se non può opporre all'impresa l'illegittimità dell'imposizione fiscale.
Di qui, conclude “proponendo” alla Corte UE per l'applicabilitàdell'art. 1, par. 2, della Dir. 2008/118 al rapporto orizzontale dipendente dal rapporto verticale, evitando l'irragionevole discriminazione del singolo indotto a confidare nell'impossibilità di adempiere della controparte al fine di ripetere l'indebito dello Stato, poiché l'utente, se l'impresa fosse in condizione di soddisfare regolarmente il suo credito restitutorio, non potrebbe opporre alla sua controparte l'illegittimità dell'imposizione tributaria di cui ha sopportato il peso economico (per effetto del “limite” di applicabilità/opponibilità dell'efficacia diretta orizzontale della direttiva). Residuerebbe, quindi, riferisce la Cassazione, solo la tutela risarcitoria con il conseguente aggravio dell'onere probatorio incombente sul singolo, tenuto a provare non solo i pagamenti, ma la sufficiente caratterizzazione dell'inadempimento dello Stato membro (v. C-224/01, p. 51-56), salva l'eventuale declaratoria di illegittimità costituzionale della disposizione nazionale.
Le condizioni cumulative per l'introduzione di altre imposte indirette
Con la prima questione in C-645/2023, è stato chiesto alla Corte UE se, a fronte dell'accisa sull'energia elettrica e dell'addizionale, aventi struttura e disciplina parzialmente coincidenti, dato che la seconda incrementa l'aliquota della prima e ha identiche modalità di liquidazione, accertamento e riscossione, l'addizionale introdotta dal legislatore italiano, in quanto costituisce solo una frazione o un multiplo dell'accisa alla quale è già sottoposto tale prodotto, ma il cui gettito è destinato a enti pubblici diversi da quello cui è destinata l'accisa, possa essere considerata un'imposta distinta da tale accisa e rientrare quindi nella nozione di “altre imposte indirette”, e come tale essere riscossa dagli Stati membri qualora persegua una finalità specifica, distinta dall'accisa.
Dall'ordinanza di rinvio è emerso che l'obiettivo perseguito dall'addizionale fosse (solo) quello di assicurare le necessarie risorse agli enti della finanza regionale e locale, al fine di garantire l'assolvimento dei compiti istituzionali, in uno ad un ulteriore obiettivo, ipotetico, ossia sostenere il servizio di smaltimento dei rifiuti, che tuttavia sarebbe presentato dalla normativa nazionale come meramente potenziale, non essendoci alcuna prova che tale finalità sia stata effettivamente perseguita.
Ribadito che la nozione di altre imposte indirette designa quelle che gravano sul consumo dei prodotti sottoposti ad accisa (soggetti ed assoggettati), elencati all'art. 1, par. 1, della Dir. 2008/118, diverse dalle accise di cui al par. 1 citato (prodotti energetici ed elettricità, alcole e bevande alcoliche, e tabacchi) e che vengono prelevate per finalità specifiche (v. C‑5/14, p. 59 e C‑220/19, p. 48), la Corte ricorda in sentenza che la direttiva citata (sostituita dal 13.2.2023 dalla Dir. 262/2020) armonizza negli Stati UE le condizioni per la riscossione delle accise e, attraverso il par. 2 dell'art. 1 citato, mira a tenere conto della diversità delle tradizioni fiscali degli Stati membri in materia e delricorso frequente alle imposte indirette per l'attuazione di politiche non di bilancio (v. C‑220/19, p. 48).
La possibilità di introdurre differenti imposte indirette va però calibrata alla luce dell'art, 1, par. 2, della Dir. 2008/118, altresì spettando esclusivamente alla Corte UE laqualificazione di un'imposta, tassa, dazio o prelievo con riferimento al diritto dell'Unione, in base alle caratteristiche oggettive del tributo ed indipendentemente dalla qualificazione che viene ad esso attribuita nel diritto nazionale (C‑220/19, p. 45).
Alla luce del quadro giuridico riferito dal giudice del rinvio circa l'imposta addizionale, la Corte UE ha osservato che la base imponibile dell'addizionale era calcolata analogamente all'accisa ordinaria sull'energia elettrica, rispondendo altresì alle medesime norme in materia di accertamento, liquidazione e riscossione applicabili a quest'ultima, ed avendo in comune il medesimo fatto generatore d'imposta (ossia la fornitura e la vendita di energia elettrica).
Divergeva, però, quanto al beneficiario finale, dato che l'addizionale da un lato doveva essere versata all'erario e, dall'altro, andava a beneficio degli enti locali o regionali, oltre che consentiva di differenziare la tassazione in funzione dell'uso, del luogo di fornitura nonché della quantità consumata (criteri però non previsti dalle Dir. 2008/118 e 2003/96), ed infine, laddove l'art. 52, par. 3, del TUA (D.lgs. 504/1995) prevedeva talune esenzioni dalle accise, escludeva da queste specificamente i soggetti passivi dell'imposta addizionale.
Da ciò ne ha dedotto, condivisibilmente, che l'addizionale in oggetto non possa essere considerata come una mera maggiorazione dell'aliquota dell'accisa sull'energia elettrica, in quanto frazione o multiplo di quest'ultima, ma può costituire un'altra imposta indiretta gravante direttamente o indirettamente sul consumo dell'energia elettrica ai sensi della direttiva 2003/96.
Si è reso necessario, quindi, indagare se tale addizionale rispettasse o meno le due condizioni cumulative richieste dall'art. 1, par. 2, della Dir. 2008/118, ossia che questa perseguisse una o più finalità specifiche e che osservasse le regole unionali ai fini per la determinazione della base imponibile, il calcolo, l'esigibilità e il controllo dell'imposta (v. C‑553/13, p. 35), al fine ultimo di evitare che le imposizioni indirette supplementari ostacolino indebitamente gli scambi (v. C‑553/13, p. 36).
Quanto alla prima condizione, nel caso C-553/13 ora richiamato, si discuteva della compatibilità all'art. 1, par. 2, della Dir. 2008/118, di una norma estone che gravava sul combustibile liquido, introdotta al fine di finanziare il trasporto pubblico nel territorio di una città, disincentivando l'uso dell'automobile a favore dei mezzi pubblici, riducendo così l'impatto negativo dei trasporti sull'ambiente e i danni alla salute che ne derivano.
La Corte UE lì osservava (p. 38) che, in merito alla prima condizione, questa non può essere intesa come una finalità puramente di bilancio (v. C-434/97, p. 19), nonostante occorra in tali casi riconoscere che, siccome qualsiasi imposta persegue necessariamente uno scopo di bilancio, la sola circostanza che un'imposta miri ad un obiettivo di bilancio non può, di per sé sola (salvo privare l'art. 1, par. 2, della direttiva citata di qualsivoglia sostanza, in violazione del principio di libera circolazione delle merci), essere sufficiente ad escludere che l'imposta possa essere considerata come dotata parimenti di una finalità specifica ai sensi di tale disposizione.
Allo stesso modo, continuava, sebbene la destinazione predeterminata del gettito tributario al finanziamento da parte delle autorità locali di competenze loro trasferite possa costituire un elemento di cui tenere conto al fine di identificare la sussistenza di una finalità specifica, una siffatta destinazione, relativa ad una semplice modalità di organizzazione interna del bilancio di uno Stato membro, non può, in quanto tale, costituire una condizione sufficiente, poiché ogni Stato membro può decidere di imporre, a prescindere dalla finalità perseguita, la destinazione del gettito di un'imposta al finanziamento di determinate spese.
Ecco perché, secondo la corte UE, l'esistenza di una finalità specifica non può essere individuata e dimostrata dalla sola destinazione del gettito d'imposta al finanziamento di spese generali incombenti all'ente pubblico in un determinato settore, dato che, così ragionando, la finalità specifica andrebbe a sovrapporsi concettualmente a quella puramente di bilancio.
La regola, quindi, va individuata sulla base delle caratteristiche proprie dell'imposta, richiedendosi che questa miri, di per se stessa, a garantire la realizzazione della finalità specifica invocata, e quindi che sussista un nesso diretto tra l'uso del gettito derivante dall'imposta e la predetta finalità specifica (v. C-82/12, p. 30), rintracciandosi una finalità specifica solo qualora l'imposta sia concepita, quanto alla sua struttura, alla materia imponibile o all'aliquota d'imposta, in modo tale da influenzare il comportamento dei contribuenti nel senso di consentire la realizzazione della finalità specifica invocata, ad esempio mediante una forte tassazione dei prodotti di cui trattasi al fine di scoraggiarne il consumo (v. C-82/12, p. 32).
Così ragionando, in C-553/13 concludeva nel senso di ritenere che la destinazione della tassa per l'incentivo del trasporto pubblico riguardava spese generali incombenti sull'ente pubblico, a prescindere dall'esistenza dell'imposta, le quali potevano essere finanziate dal gettito di imposte di qualsiasi natura, in tal caso non potendosi distinguere la finalità prefissata con una puramente di bilancio, per l'assenza, secondo la Corte, di un nesso diretto tra l'uso del gettito della predetta imposta e tali finalità ambientali e di salute pubblica, ossia
Al riguardo, chiarificatrici appaiono le argomentazioni espresse dell'Avv. gen. N. Wahl ai p. 28 e 29 delle proprie conclusioni a C-82/12, laddove (condivisibilmente) osservava che, in casi analoghi quello in commento, è importante operare una distinzione tra l'obiettivo dell'imposta e i possibili usi per i quali è impiegato il gettito della medesima.
Dirimente, quindi, appare la questione del come sia impiegato il gettito d'imposta, dovendo accertare che l'uso per cui sono impiegati i fondi contribuisca al raggiungimento della finalità non di bilancio dell'imposta di cui trattasi, dal momento che accettare che l'osservanza dell'art. 1, par. 2, citato, richieda soltanto che il gettito dell'imposta sia assegnato ad una finalità predeterminata, priverebbe semplicemente la direttiva della sua efficacia, aprendo la deroga a qualsiasi finalità, di bilancio o non di bilancio, purché il gettito di cui trattasi sia impiegato in un modo specifico per far fronte a determinati costi sopportati dalle autorità, e consentendo quindi agli Stati membri di invocare diversi obiettivi concorrenti predeterminati al fine di giustificare la necessità di introdurre altre imposte indirette su prodotti disciplinati dalla direttiva.
Alla luce di tali argomentazioni, in C-645/23 la Corte ha concluso nel senso di considerare l'addizionale italiana quale imposta distinta dall'accisa ordinaria sull'energia elettrica, rientrante quindi nella nozione di altre imposte indirette, non avente però una finalità specifica, in quanto indimostrabile dalla sola destinazione del gettito dell'imposta al finanziamento di spese generali incombenti all'ente pubblico in un dato settore (v. altresì C‑255/20, p. 38 e 39, emessa su rinvio italiano).
L'inefficacia orizzontale della direttiva e l'inapplicabilità nei giudizi tra parti private
Con la seconda questione è stato chiesto alla Corte UE se l'art. 1, par. 2, su richiamato, possa essere invocato in una controversia tra privati vertente sul rimborso di un'imposta indebitamente pagata, per il motivo che la disposizione nazionale che ha istituito tale imposta è contraria alla norma citata, cosicché un giudice nazionale, investito di una siffatta controversia, è tenuto, sulla sola base del diritto dell'Unione, a disapplicare tale disposizione nazionale.
La Corte, in C-645/23, ribadisce di essersi già espressa su questioni analoghe, richiamando in particolare il precedente reso in C‑316/22, emesso proprio su rinvio del giudice italiano, laddove osservava che, ai sensi dell'art. 288, c. 3, TFUE, per il quale La direttiva vincola lo Stato membro cui è rivolta per quanto riguarda il risultato da raggiungere, il carattere vincolante di una direttiva, sul quale si fonda la possibilità di invocare quest'ultima, sussiste solo nei confronti dello Stato membro cui è rivolta, con la conseguenza che una direttiva non può di per sé creare obblighi in capo a un singolo e non può quindi essere invocata, in quanto tale, nei confronti di quest'ultimo dinanzi ad un giudice nazionale (v. C‑316/22, p. 22), il quale può esclusivamente, qualora il proprio diritto interno lo consenta, disapplicarequalsiasi disposizione di quest'ultimo contraria a una disposizione del diritto dell'Unione priva di tale efficacia (v. C‑261/20, p. 33), come previsto dal nostro sistema giuridico interno ed espressamente riconosciuto anche dalla giurisprudenza di legittimità (v. da ultimo Corte di Cassazione, sent. n. 22343/2020).
Il c.d. effetto diretto orizzontale della direttiva (ossia la possibilità che la direttiva venga invocata in un giudizio da un privato nei confronti di altri privati), è stato più volte negato dalla Corte UE (a partire da C-152/84, p. 48, poi confermato in C‑91/92, p. 20, in C-573/17, p. 52-68, in C‑261/20, p. 32, ed in ulteriori interventi), riconoscendosi l'applicabilità del soloeffetto diretto verticale, in osservanza del quale si ha che, scaduto il termine di recepimento, i singoli possono far valere contro lo Stato i diritti loro attribuiti da una direttiva non recepita o non correttamente recepita, purché siano presenti determinati requisiti (v. C-41/74, p. 12).
Ciononostante, l'evoluzione giurisprudenziale prodottasi in seno alla Corte l'ha portata a specificare che, malgrado l'assenza di effetto diretto orizzontale di una direttiva, un giudice nazionale può permettere ad un singolo di far valere l'illegittimità, alla luce di una disposizione chiara, precisa e incondizionata di una direttiva, di un'imposta che sia stata indebitamente ripercossa su di lui da un venditore, conformemente ad una facoltà riconosciutagli dalla normativa nazionale, al fine di ottenere la neutralizzazione dell'onere economico supplementare che esso ha, in definitiva, dovuto sopportare (v. C‑316/22, p. 25).
In C-316/22, infatti, si evidenziava (v. p. 23) come il diritto unionale non osti a che uno Stato membro eserciti la propria competenza riguardo alla forma e ai mezzi per raggiungere i risultati stabiliti dalla direttiva prevedendo, nella propria normativa nazionale, che, scaduto il termine di trasposizione, le disposizioni chiare, precise e incondizionate di una direttiva non trasposta o non correttamente trasposta, entrino a far parte del proprio ordinamento e che, di conseguenza, possano essere fatte valere da un singolo nei confronti di un altro singolo, dal momento che tale obbligo imposto ai singoli non deriva dal diritto dell'Unione, bensì dal diritto nazionale, e non costituisce, pertanto, un obbligo aggiuntivo rispetto a quelli previsti da tale diritto (v. anche C‑261/20, p. 32).
Il diritto al rimborso dell'addizionale
Di qui il conseguente obbligo, per gli Stati membri, di rimborsare le imposte ed i tributi riscossi in violazione del diritto dell'Unione, dato che il diritto di ottenere il rimborso di tali imposte e tributi è infatti la conseguenza ed il complemento dei diritti attribuiti ai singoli dalle disposizioni del diritto dell'Unione che vietano tali tributi (v., tra i tanti, C‑94/10, p. 20).
Al riguardo, per effetto della giurisprudenza costante della Corte UE, si prevede che qualora tale rimborso si rivelasse impossibile o eccessivamente difficile da ottenere rivolgendosi ai fornitori interessati, il principio di effettività esigerebbe che il consumatore finale sia in grado di rivolgere la propria domanda di rimborso direttamente allo Stato membro interessato (v. C‑316/22, p. 34, C‑564/15, p. 53 e C‑35/05, p. 41 Cass. n. 19, nonché Cass. n. 29980/2019).
In C-645/23 la Corte ha quindi concluso nel senso che, posta la preclusione al giudice nazionale, sulla sola base del diritto dell'Unione, di disapplicare le disposizioni di diritto nazionale, tale diritto esige tuttavia che, in caso di impossibilità o di difficoltà eccessiva di ottenere dal fornitore il rimborso dell'imposta indebitamente pagata, il consumatore finale deve essere posto in grado di rivolgere la propria domanda di rimborso direttamente allo Stato membro interessato.
Da ultimo, interessanti risultano le argomentazioni rese dalla nostra Cassazione nell'Ord. n. 24373/2024, laddove si osserva che l'impossibilità ad agire nei confronti del fornitore da parte del consumatore può discendere proprio dalla impossibilità di invocare a fondamento della ripetizione di indebito la mancata o irregolare trasposizione della direttiva nell'ordinamento interno, senza doversi accertare l'eccessiva difficoltà dovuta alla condizione del fornitore.
Di qui ne ha concluso che, indipendentemente dalla condizione soggettiva del fornitore, l'indebita corresponsione di addizionali in via di rivalsa al fornitore costituisce presupposto perché il consumatore finale possa ottenere soddisfazione - nei limiti della prescrizione ordinaria - del proprio diritto a vedersi manlevato dall'Ufficio delle imposte indebitamente corrisposte in applicazione del principio di effettività, avendo titolo per procedere direttamente nei confronti dell'Ente impositore con azione di ripetizione di indebito oggettivo (rich. Cass. n. 21154/2024).
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Sommario
Le condizioni cumulative per l'introduzione di altre imposte indirette
L'inefficacia orizzontale della direttiva e l'inapplicabilità nei giudizi tra parti private