Codice di Procedura Civile art. 23 - Foro per le cause tra soci e tra condomini.

Mauro Di Marzio

Foro per le cause tra soci e tra condomini.

[I]. Per le cause tra soci [2247 c.c.] è competente il giudice del luogo dove ha sede la società [19]; per le cause tra condomini, ovvero tra condomini e condominio  1 [1117 ss. c.c.], il giudice del luogo dove si trovano i beni comuni o la maggior parte di essi.

[II]. Tale norma si applica anche dopo lo scioglimento della società o del condominio, purché la domanda sia proposta entro un biennio dalla divisione.

[1] L'art. 31, l. 11 dicembre 2012, n. 220, ha inserito, dopo le parole «per le cause tra condomini» le parole: «ovvero tra condomini e condominio». La modifica è entrata in vigore il 18 giugno 2013.

Inquadramento

La disposizione in esame è dedicata all'individuazione della competenza territoriale, sulla base di distinti criteri, per le cause tra soci e per quelle tra condomini: per le prime è competente il giudice del luogo dove ha sede la società; per le seconde è competente il giudice del luogo ove si trovano i beni comuni o la maggior parte di essi; in entrambi i casi la norma opera fino al compimento di un biennio dallo scioglimento della società o del condominio.

Secondo la dottrina si tratta (come nel caso dell'art. 22) di competenza esclusiva ma derogabile (Levoni, 124).

La stessa opinione è accolta dalla giurisprudenza (Cass. n. 6319/2003, ove si chiarisce che la norma si riferisce a tutti i casi di comunione ex art. 1100 c.c.), che, con particolare riguardo alle cause condominiali, ha ribadito la derogabilità del foro, poiché la previsione non rientra nelle ipotesi di cui all'art. 28, né il suo carattere esclusivo implica una diversa soluzione, sicché è valida ed efficace la clausola del regolamento condominiale che stabilisca un foro convenzionale per ogni controversia relativa al regolamento medesimo (Cass. n. 17130/2015). 

Peraltro, dall'esclusività discende che la previsione per le cause societarie (comprese quelle tra ex soci o tra soci ed ex soci) del foro speciale esclusivo del luogo in cui ha sede la società, stabilita nell'art. 23 c.p.c. esime la parte eccipiente dall'onere di contestazione di tutti i fori alternativamente concorrenti ex art. 19 c.p.c., tanto più che, nel caso di una società priva di personalità giuridica, come nella specie, si presume la coincidenza tra sede legale e luogo di svolgimento continuativo dell'attività sociale (Cass. n. 13049/2019).

Cause tra soci

La norma è ritenuta applicabile anche alle società di fatto ed ai membri delle associazioni non riconosciute e dei comitati (Andrioli, 97; Levoni, 124), escluse le cause tra associante e associato in partecipazione (Cass. n. 2235/1963).

Essa riguarda le controversie tra soci (ovvero anche tra ex soci o tra soci ed ex soci: Cass. n. 4233/2001) aventi ad oggetto pretese che traggono fondamento, direttamente o indirettamente, dal rapporto sociale (Cass. n. 2318/2006, che ha escluso l'applicabilità della norma ad un'azione per responsabilità proposta dall'acquirente del 90 per cento del capitale sociale in conseguenza delle affermazioni, provenienti dal venditore nel corso delle trattative, e rivelatesi non veritiere, circa la situazione patrimoniale e di esercizio della società). Ricade altresì nell'ambito di applicazione della previsione in esame la controversia avente ad oggetto la dichiarazione della nullità o della risoluzione del contratto sociale (Cass. n. 5344/1980).

Si collocano invece al di fuori dell'ambito di applicazione della norma: i) la controversia avente ad oggetto l'accertamento dell'avvenuto trasferimento della proprietà di azioni, e la correlativa domanda di condanna al pagamento del prezzo, avendo essa ha ad oggetto un contratto di compravendita, cui può accedere il mutamento soggettivo della compagine sociale come effetto del passaggio di proprietà delle azioni medesime, il quale non vale però a trasformare la lite in una controversia riguardante il rapporto sociale (Cass. n. 13422/2005); ii) la controversia sulla restituzione di beni indebitamente attribuiti in sede di liquidazione della società (Cass. n. 2188/1970); iii) la controversia avente ad oggetto la domanda dell'erede del socio volta alla liquidazione della quota, sul rilievo che l'accettazione dell'eredità non comporta l'automatico acquisto della qualità di socio di società di persone (Cass. n. 1688/1971); neppure si applica il criterio di determinazione della competenza territoriale previsto dall'art. 23 c.p.c. alla controversia avente ad oggetto il trasferimento mortis causa di partecipazioni sociali (nella specie, per effetto di legato testamentario), poiché essa, pur comportando una modifica soggettiva della compagine dei soci, non incide sul rapporto sociale (Cass. 10322/2024); la controversia in cui l'usufruttuaria di azioni di una società agisca per sentir riconoscere il proprio diritto di usufrutto uxorio anche sulla quota delle azioni gratuitamente distribuite dalla società in occasione di aumenti di capitale, trattandosi di controversia tra usufruttuario e nudo proprietario di azioni sociali (Cass. n. 2846/1978); la controversia promossa da un terzo estraneo nei confronti di una società, per ottenere dai soci il rimborso di spese eseguite nel corso delle operazioni di liquidazione della società stessa, a lui affidate (Cass. n. 1985/1975).

La competenza territoriale si radica presso il giudice del luogo ove la società ha la propria sede, con la precisazione che per sede si intende non solo quella legale ma anche quella effettiva, ove diversa (Cass. n. 7753/1987).

Il foro previsto dall'art. 23 persiste per un biennio dallo scioglimento della società, ossia la divisione del patrimonio comune e non lo scioglimento o l'estinzione della società (Segrè, in Com. Utet, 274).

Cause condominiali

Per le cause tra condomini è competente il giudice del luogo in cui si trovano i beni comuni o la maggior parte di essi.

La nozione di cause condominiali è intesa in senso ampio, tale da ricomprendere anche la comproprietà sia un bene mobile, poiché la norma impiega il termine «condominio» quale sinonimo di «comunione», senza riguardo per il tipo di bene comune (Cass. n. 12148/2015, riferita ad un natante).

Nello stesso senso di è pronunciata la dottrina (Acone e Santulli, 39).

L'art. 23 si applica a tutte le liti tra singoli condomini attinenti ai rapporti giuridici derivanti dalla proprietà delle parti comuni dell'edificio o dall'uso e godimento delle stesse, incluse quelle relative al risarcimento dei danni arrecati alla proprietà individuale (Cass. n. 180/2015), nonché quelle fra il condominio ed il singolo condomino (Cass. n. 11008/2011; Cass. S.U., n. 20076/2006, ove si chiarisce che l'amministratore, nell'attività di riscossione, nella sua veste di mandatario con rappresentanza dei singoli condomini; l'indirizzo è stato recepito dalla norma, nel testo introdotto dall'art. 31 l. n. 220/2012).

La previsione in esame è stata ritenuta non applicabile: i) alla controversia promossa dall'amministratore del condominio per il pagamento del compenso (Cass. n. 5235/2000); alle controversie tra i proprietari appartenenti ad un consorzio per la gestione delle parti e dei servizi comuni, giacché tali consorzi, pur assimilabili al condominio, mantengono la loro natura di associazioni non riconosciute (Cass. n. 2960/2005); alla controversia introdotta dall'azione di rivalsa esercitata dal coerede che abbia corrisposto le somme spettanti all'amministratore giudiziario per la gestione di uno dei beni ereditari, in regime di comunione, sia assoggettata, configurandosi come una surrogazione all'amministratore stesso nei confronti degli altri coeredi (Cass. n. 2249/2000).

L'accordo con il quale i condòmini stabiliscono convenzionalmente il foro territorialmente competente a conoscere ogni controversia relativa al regolamento di condominio è applicabile a tutte le cause a qualsiasi titolo connesse con l'operatività del regolamento stesso (Cass. n. 1068/2022).

Il foro delle cause condominiali si protrae per un biennio dalla data della divisione.

Bibliografia

Acone e Santulli, Competenza (dir. proc. civ.), in Enc. giur. VII, Roma 1988; D'Onofrio, Commento al codice di procedura civile, I-II, Torino, 1957; Finocchiaro, La competenza inderogabile che deroga alle competenze inderogabili: l'art. 30-bis c.p.c., in Giust. civ. 2002, I, 3043; Levoni, Competenza, in Dig. civ., Torino, 1988.

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