Codice di Procedura Civile art. 62 - Attività del consulente.

Antonio Scarpa

Attività del consulente.

[I]. Il consulente compie le indagini che gli sono commesse dal giudice e fornisce, in udienza e in camera di consiglio, i chiarimenti che il giudice gli richiede a norma degli articoli 194 e seguenti, e degli articoli 441 e 463 [424, 445; 90 ss. att.].

Inquadramento.

L’art. 62 disciplina l’attività del consulente e l’espletamento della relazione, in forma orale all’udienza, oppure scritta, in riferimento alle indagini a lui commesse.

Attività del consulente

Il consulente tecnico è, dunque, chiamato a fornire al giudice, al fine del giudizio, quelle nozioni che esulano dal comune patrimonio di esperienze dell'uomo medio ed appaiono, allo stesso tempo, necessarie alla composizione della lite. Però, secondo gli autorevoli insegnamenti dottrinali richiamati, il giudice sarebbe pur sempre il miglior medico di sé stesso, sicché starebbe comunque a lui di ponderare quando senta il bisogno di supportare le sue conoscenze sulla materia del contendere con l'ausilio di un esperto dispensatore di regole tecniche, senza che i contendenti possano dargli assillo a tale scopo (Franchi, 57 ss.; Giudiceandrea, 531).

La Cassazione ragiona, tuttavia, in modo parzialmente diverso, nel senso, cioè, di complicare l'onere motivazionale del giudice che non intenda dar corso all'espletamento di una consulenza tecnica. Ammettere o non ammettere la consulenza non è, per la nostra Corte Suprema, scelta che dipende unicamente dalla fiducia che il giudice abbia nelle proprie forze, quanto decisione orientata dalla funzione epistemica fondamentale che la legge del processo gli assegna, ovvero l'accertamento della verità dei fatti. Si afferma, così, che la decisione di ricorrere o meno ad una consulenza tecnica d'ufficio costituisce, si, un potere discrezionale del giudice, ma questi è tenuto a motivare adeguatamente il rigetto dell'istanza di ammissione proveniente da una delle parti, dimostrando di poter comunque risolvere, sulla base di corretti criteri, tutti i problemi tecnici connessi alla valutazione degli elementi rilevanti ai fini della decisione, senza potersi limitare a disattendere l'istanza sul presupposto della mancata prova dei fatti che la consulenza avrebbe potuto accertare, e senza poter respingere l'istanza di ammissione della consulenza tecnica e poi ritenere non accertati i fatti che la consulenza avrebbe potuto verificare (Cass. III, n. 13038/2024Cass. I, n. 17165/2019; Cass. n. 7472/2017). Dal più generale “diritto alla prova”, garantito dall'art. 24 Cost., che comprende il diritto di agire o di resistere in giudizio provando, ovvero il diritto della parte all'assunzione ed alla valutazione di tutte le prove che siano rilevanti al fine di dimostrare la verità dei fatti che delineano la sua difesa, e che perciò obbliga il giudice a motivare la propria valutazione di ammissibilità e rilevanza delle deduzioni istruttorie, discende, dunque, il “diritto della parte alla consulenza tecnica d'ufficio” ogni volta che il giudice non sia in grado di verificare correttamente le questioni tecniche correlate alla selezione dei fatti rilevanti ai fini della decisione. Pertanto, nelle controversie che, per il loro contenuto, richiedono che si proceda ad un accertamento tecnico, il mancato espletamento di una consulenza, specie a fronte di una richiesta di parte in tal senso, costituisce una grave carenza nell'accertamento dei fatti da parte del giudice di merito, che si traduce in un vizio della motivazione della sentenza (Cass. n. 17399/2015; Cass. n. 11034/2002; Cass. n. 13209/1991; Cass., n. 3232/1984Riv. dir. proc. 1988, con nota di Magi, Omissione di consulenza tecnica ed insufficienza della motivazione; Cass. n. 203/1982). E' il caso, ad esempio, della consulenza  tecnica ematologica nei giudizi In tema di paternità, costituendo essa lo strumento istruttorio officioso indefettibilmente finalizzato a compiere la sola indagine decisiva in punto di accertamento della verità del rapporto di filiazione (Cass. I, n. 29584/2021).

Questo debito di completezza scientifica dell'istruzione probatoria, che il giudice sconta nei confronti delle parti, mette in pericolo anche la sopravvivenza di quel piccolo privilegio, frutto di una lunga tradizione giurisprudenziale, secondo cui non occorrerebbe neppure un'espressa pronuncia per denegare una rinnovazione della consulenza tecnica d'ufficio, trattandosi di esercizio di potere discrezionale del magistrato, e ciò quanto meno ove l'istante rappresenti l'opportunità di servirsi di nuove metodologie scientifiche o di indagini più evolute (Cass. n. 22799/2017; Cass. n. 17693/2013; Cass., n. 20227/2010; in senso contrario, già Cass. n. 9379/2011). 

Anche l'accoglimento o il rigetto dell'istanza di riconvocazione del consulente d'ufficio per chiarimenti o per un supplemento di consulenza rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, senza che l'eventuale provvedimento negativo possa essere censurato in sede di legittimità deducendo la carenza di motivazione espressa al riguardo, quando, dal complesso delle ragioni svolte in sentenza, risulti l'irrilevanza o la superfluità dell'indagine richiesta (Cass. II, n. 21525/2019; Cass. VI, n. 2103/2019).

La richiesta di rinnovazione della consulenza tecnica d'ufficio è ammissibile anche nel giudizio d'appello, poiché non viene così chiesta l'ammissione di un nuovo mezzo di prova. L'omesso espresso rigetto dell'istanza di rinnovazione non integra, peraltro, un vizio di omessa pronuncia ai sensi dell'art. 112, ma, eventualmente, un vizio di motivazione in ordine alle ragioni addotte per rigettare le censure tecniche alla sentenza impugnata (Cass. II, n. 26709/2020).

Non ostano in via assoluta all'accoglimento della richiesta di supplemento della consulenza tecnicai principi di economia processuale e ragionevole durata del processo (Cass. III, n. 2832/2021).

Secondo principio generale, la consulenza tecnica d'ufficio non è mezzo istruttorio in senso proprio, avendo la finalità di coadiuvare il giudice nella valutazione di elementi acquisiti o nella soluzione di questioni che necessitino di specifiche conoscenze; sicché tale mezzo di indagine non può essere utilizzato al fine di esonerare la parte dal fornire la prova di quanto assume, ed è quindi legittimamente negata qualora la parte tenda con essa a supplire alla deficienza delle proprie allegazioni o offerte di prova, ovvero di compiere una indagine esplorativa alla ricerca di elementi, fatti o circostanze non provati.

Nella pratica del contenzioso, tuttavia, il giudice spesso affida al consulente il compito di svolgere le indagini da solo. Si sostiene che in tali casi la consulenza degrada a mera perizia, anche se permane pur sempre la possibilità da parte del giudice di chiedere al consulente in udienza o in sede decisoria chiarimenti orali.

Si spiega che spetta comunque al giudice di merito esaminare e valutare le nozioni tecniche o scientifiche introdotte nel processo mediante la CTU, e dare conto dei motivi di consenso, come di quelli di eventuale dissenso, in ordine alla congruità dei risultati della consulenza e delle ragioni che li sorreggono (Cass. I, n. 15804/2024). Tale valutazione non può essere sindacata in sede di legittimità invocando dalla Corte di cassazione un accesso diretto agli atti e una loro delibazione, in maniera da pervenire ad una nuova validazione e legittimazione dei risultati dell'espletata consulenza tecnica d'ufficio. Ciò tanto più ove la consulenza tecnica poggi sul ricorso alle scienze idiografiche, le quali non si basano su leggi generalizzabili, ma studiano oggetti singoli, e perciò non sono connotate dall'assolutezza dell'inferenza induttiva tipica delle scienze che, al contrario, elaborano frequenze statistiche direttamente rilevanti per l'accertamento del fatto litigioso (Cass. II, n. 25790/2020).

Sono state risolte dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione la questione relativa all'ammissibilità delle critiche alla consulenza tecnica sollevate per la prima volta in comparsa conclusionale, nonché la questione relativa alla rilevabilità d'ufficio o solo su istanza di parte della nullità della consulenza tecnica di ufficio. La Cass. S.U., n. 5624/2022 ha precisato che il termine per le osservazioni sulla relazione previsto dall'ultimo comma dell'art. 195 ha natura ordinatoria e funzione acceleratoria e svolge ed esaurisce la sua funzione nel subprocedimento di consulenza; pertanto, le contestazioni e i rilievi critici delle parti alla consulenzatecnica d'ufficio, ove non integrino eccezioni di nullità relative al suo procedimento, come tali disciplinate dagli artt. 156 e 157 c.p.c., costituiscono argomentazioni difensive, sebbene di carattere non tecnico-giuridico, che possono essere formulate per la prima volta nella comparsa conclusionale e anche in appello, purché non introducano nuovi fatti costitutivi, modificativi o estintivi, nuove domande o eccezioni o nuove prove, ma si riferiscano all'attendibilità e alla valutazione delle risultanze della c.t.u. e siano volte a sollecitare il potere valutativo del giudice in relazione a tale mezzo istruttorio (si veda, peraltro, ancora Cass. III, n. 25823/2022, secondo la quale le critiche alla consulenza tecnica d'ufficio non possono essere formulate per la prima volta nella memoria di replica nell'ambito del giudizio di primo grado). Cass. S.U., n. 3086/2022 ha invece chiarito che il consulente nominato dal giudice, nei limiti delle indagini commessegli e nell'osservanza del contraddittorio delle parti, può accertare tutti i fatti inerenti all'oggetto della lite, il cui accertamento si renda necessario al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli, a condizione che non si tratti dei fatti principali che è onere delle parti allegare a fondamento della domanda o delle eccezioni e salvo, quanto a queste ultime, che non si tratti di fatti principali rilevabili d'ufficio; entro gli stessi limiti, il consulente può acquisire, anche prescindendo dall'attività di allegazione delle parti - non applicandosi alle attività del consulente le preclusioni istruttorie vigenti a loro carico -, tutti i documenti necessari al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli, a condizione che non siano diretti a provare i fatti principali dedotti a fondamento della domanda e delle eccezioni che è onere delle parti provare e salvo, quanto a queste ultime, che non si tratti di documenti diretti a provare fatti principali rilevabili d'ufficio; ove si tratti, peraltro, di esame contabile, ai sensi dell'art. 198 c.p.c., il consulente può acquisire, pur prescindendo dall'attività di allegazione delle parti, tutti i documenti necessari al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli, anche se diretti provare i fatti principali posti dalle parti a fondamento della domanda e delle eccezioni; l'accertamento di fatti diversi dai fatti principali dedotti dalle parti a fondamento della domanda o delle eccezioni e salvo, quanto a queste ultime, che non si tratti di fatti principali rilevabili d'ufficio, o l'acquisizione nei predetti limiti di documenti che il consulente nominato dal giudice accerti o acquisisca al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli in violazione del contraddittorio delle parti, è fonte di nullità relativa rilevabile ad iniziativa di parte nella prima difesa o istanza successiva all'atto viziato o alla notizia di esso;  l'accertamento di fatti principali diversi da quelli dedotti dalle parti a fondamento della domanda o delle eccezioni e salvo, quanto a queste ultime, che non si tratti di fatti principali rilevabili d'ufficio, cui il consulente nominato dal giudice pervenga nel rispondere ai quesiti sottopostigli dal giudice, viola il principio della domanda ed il principio dispositivo ed è fonte di nullità assoluta rilevabile d'ufficio o, in difetto, di motivo di impugnazione da farsi valere ai sensi dell'art. 161 (si vedano più di recente Cass. III, n. 26144/2023; Cass. II n. 21903/2023).

 

Si è rimarcato criticamente in sede di commento alle richiamate decisioni delle Sezioni Unite che il giudice è privo di un potere di allegazione di un fatto nuovo nel processo, sia pure eventualmente mediante formulazione del quesito al consulente tecnico, sicché sarebbe comunque incompatibile col presupposto legittimante la consulenza tecnica d'ufficio la decisione che infine dovesse fondarsi, ad esempio, su un atto di quietanza acquisito di propria iniziativa dall'ausiliario, non disponendo il giudice di generali poteri istruttori sopra i documenti che possa trasferire al consulente (Auletta).

Sempre a commento delle due pronunce della Suprema Corte, si è osservato che il punctum dolens è quello dell'acquisizione, da parte del consulente tecnico, nel corso delle sue indagini, di documenti nuovi, cioè diversi da quelli già raccolti nei fascicoli del processo, il che rafforza il rischio che la consulenza tecnica si configuri come forma di outsourcing dell'istruzione probatoria, che deresponsabilizza il giudice, allontanandolo dalla prova (Cavallone).

Non si manca in dottrina di rimarcare la contraddittorietà in cui incorre la giurisprudenza che, sul piano teorico, costantemente ribadisce che la consulenza tecnica non è mezzo di accertamento, ma strumento di valutazione di elementi già provati dalle parti, sebbene, quasi con la stessa frequenza, riconosce che essa possa costituire fonte oggettiva di prova quando volta all'accertamento di fatti rilevabili solo attraverso il ricorso a particolari cognizioni tecniche (Salomone,1017 ss.) La attuale collocazione sistematica della consulenza tecnica non ha impedito ai commentatori di riconoscere alla stessa una evidente valenza probatoria, al pari della perizia di cui al c.p.c. del 1865, che però la inseriva proprio tra le prove (cfr. Satta, 220).

Il giudice, quindi, finisce per affidare al consulente tecnico non solo l'incarico di valutare i fatti da lui stesso accertati o dati per esistenti (consulente deducente), ma anche quello di accertare i fatti stessi (consulente percipiente). Nel primo caso la consulenza presuppone l'avvenuto espletamento dei mezzi di prova e ha per oggetto la valutazione di fatti i cui elementi sono già stati completamente provati dalle parti; sicché opportunamente il consulente andrebbe nominato dopo la maturazione delle preclusioni istruttorie per le parti e dopo l'assunzione delle stesse prove ammesse, ovvero, al più presto, al termine della fase di trattazione della causa.

Nel secondo caso, invece, la consulenza può costituire essa stessa fonte oggettiva di prova, pur dovendo sempre vertere su elementi già allegati dalla parte, ma che soltanto un tecnico sia in grado di accertare, per mezzo delle conoscenze e degli strumenti di cui dispone (Cass. III, n. 3717/2019Cass. n. 1190/2015). Anche, dunque, in ipotesi di consulente percipiente, è necessario: 1) che la parte deduca quanto meno il fatto che pone a fondamento del proprio diritto; 2) che il giudice ritenga che il fatto sia possibile, rilevante e tale da lasciare tracce accertabili o, comunque, da poter essere ricostruito dal consulente; 3) che l'accertamento richieda cognizioni tecniche che il giudice non possiede oppure che vi siano altri motivi che impediscano o sconsiglino il giudice dal procedere personalmente all'accertamento (si pensi alla necessità di procedere all'ispezione corporale prevista dall'art. 260; 4) che il consulente indaghi sui fatti prospettati dalle parti e non su fatti sostanzialmente diversi. 

Ove, in particolare, la materia della causa implichi tipicamente accertamenti di natura tecnica (ad esempio, misura e consistenza di opere edili, intensità di suoni o di emissioni di gas, indagini genetiche), gli stessi vengono di regola compiuti mediante consulenza d'ufficio con funzione "percipiente", potendosi in tali casi ricorrere alla prova testimoniale soltanto quando essa verta su fatti caduti sotto la diretta percezione sensoriale dei deponenti e non si riveli espressione di giudizi valutativi (Cass. I., n. 15774/2018Cass. II, n. 1606/2017; Cass. I, n. 512/2017;  Cass. II, n. 31172/2017;Cass. II, n. 2132/2017).

Il “perito percipiente”, pertanto, si sostituisce al giudice o, quanto meno, concorre con esso nel percepire i fatti di causa, mentre il “perito deducente” è soltanto un somministratore di regole di esperienza ignote al giudice, e può sia limitarsi ad indicare tali regole, perché poi il giudice le applichi alla vicenda oggetto di lite, sia spingersi a valutare i fatti dedotti e provati col sussidio di quelle.

D'altro canto, la scienza conosce e si dà sempre meno limiti, raggiunge ogni giorno nuovi ambiti dell'attività umana e fornisce costantemente nuove spiegazioni ad interrogativi cui prima si dava soluzione soltanto col senso comune, anche se, per il principio kantiano della propagazione dei problemi, le nuove risposte che la scienza offre a vecchi problemi aprono poi la via a problemi ancora irrisolti. C'è poi una progressiva fiducia nella scienza, vista come sicuro veicolo di conoscenze certe ed empiricamente riscontrabili. Se allora occorre insistere sulla dimensione epistemica dell'ammissione della consulenza tecnica d'ufficio come irrinunciabile strumento di accertamento e di valutazione degli elementi rilevanti ai fini della decisione che presentino problemi tecnici, i contenuti sempre più sofisticati dei rapporti privatistici e i progressi della scienza rendono il consulente un collaboratore assai poco occasionale del giudice civile.

Proprio perché non è mai la consulenza tecnica, quanto la sentenza, a dover dare la risposta di merito, favorevole o contraria, alle domande delle parti, neppure queste devono rivolgere al consulente le loro domande. A norma, invero, dell'art 90, comma 2, disp. att., il consulente tecnico d'ufficio non può ricevere altri scritti difensionali oltre quelli contenenti le osservazioni e le istanze di parte consentite dall'art 194, né deve, quindi, tener conto di memorie contenenti osservazioni ed istanze al di fuori di quelli che vengano presentati nel contraddittorio che si istituisce in sede di indagini (Cass. n. 5396/1977). In base all'art. 195, comma 2, inoltre, se le indagini sono compiute dal consulente tecnico d'ufficio senza l'intervento del giudice, il consulente deve fame relazione, tenendo conto delle osservazioni e delle istanze che le parti, anche a mezzo dei propri consulenti, possono presentare, pur senza essere obbligato a redigere un processo verbale (Cass. n. 9890/2005; Cass. n. 15/2003). Tuttavia, le istanze che le parti possono formulare al consulente tecnico sottintendono richieste rivolte all'ausiliare affinché questi prenda in considerazione particolari accertamenti o specifiche indagini, ma non certo domande che mirano all'attribuzione di un autonomo bene della vita; sicché l'omessa pronuncia  del giudice al riguardo di una tale istanza indirizzata all'ausiliare non configura nemmeno il vizio di cui all'art. 112 (Cass. II, n. 17519/2016).

E’ stato affermato comunque che l'omesso esame, da parte del giudice di merito che recepisca le conclusioni di una consulenza tecnica d'ufficio in materia medico-legale, dei rilievi contenuti in una consulenza tecnica di parte e trascurati dal consulente tecnico d'ufficio, può rilevare come vizio di omessa motivazione, denunciabile in cassazione, in quanto la parte ne indichi, con riferimento a serie e documentate argomentazioni medico-legali, la decisività, ossia l'incidenza sulla valutazione della sussistenza o meno di un determinato stato patologico (Cass. III, n. 7716/2024Cass. III, n. 15733/2022). Più rigorosamente, si afferma che la critica alla consulenza tecnica d’ufficio recepita dal giudice non può essere veicolata in sede di legittimità tramite l’art. 360, comma 1, n. 5), non trattandosi di omesso esame di un fatto, quanto di mere argomentazioni difensive contro un elemento istruttorio (Cass. I, n. 8584/2022Cass. VI, n. 12387/2020).

Si afferma, tuttavia, che il giudice che abbia disposto una consulenza  tecnica cd. percipiente può disattenderne le risultanze solo ove motivi in ordine agli elementi di valutazione adottati e a quelli probatori utilizzati per addivenire alla decisione, specificando le ragioni per le quali ha ritenuto di discostarsi dalle conclusioni del CTU. (Cass. III, n. 36638/2021; Cass. III, n. 200/2021).

La consulenza tecnica d'ufficio è, in ogni caso, funzionale alla sola risoluzione di questioni di fatto che presuppongano cognizioni di ordine tecnico e non giuridico sicché i consulenti tecnici non possono essere incaricati di accertamenti e valutazioni circa la qualificazione giuridica di fatti e la conformità al diritto di comportamenti, né, ove una tale inammissibile valutazione sia stata comunque effettuata, di essa si deve tenere conto, a meno che non venga vagliata criticamente e sottoposta al dibattito processuale delle parti (Cass. II, n. 31273/2022). Perché, come è da intendere implicito in questa definizione, l'insufficienza tecnica del giudice, cui il perito può essere chiamato a supplire, non deve mai essere quella che deriva dalla mancata conoscenza delle norme di diritto.

Si è ritenuto, anzi, che il conferimento al consulente tecnico di un incarico con quesito indeterminato volto alla qualificazione giuridica di fatti configuri per il magistrato l'illecito disciplinare previsto dall'art. 2, comma 1, lett. o, d.lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, poiché affida ad altri funzioni giudiziarie indeclinabili, ancorché egli riservi a sé la valutazione finale degli esiti della consulenza (Cass. S.U., n. 11037/ 2008; Cass. S .U.n. 6495/2015).

La violazione, da parte del CTU, dell'obbligo di bene e fedelmente adempiere le funzioni affidategli comporta la nullità della perizia, rilevabile d'ufficio, poiché l'ausiliare del giudice svolge nel processo una pubblica funzione nell'interesse generale e superiore della giustizia (Cass. III, n. 25022/2019).

Nello svolgimento dell'incarico affidatogli, il consulente tecnico d'ufficio può avvalersi dell'opera di esperti specialisti, al fine di acquisire, mediante gli opportuni e necessari sussidi tecnici, tutti gli elementi di giudizio che gli consentono di rendere al giudice un parere più informato.

Il ricorso, da parte del consulente d'ufficio, all'opera di detti esperti non richiede una preventiva autorizzazione del giudice, né, a maggiore ragione, una nomina formale ed il successivo giuramento degli esperti medesimi, atteso che le loro indagini tecniche sono sottoposte al vaglio del consulente stesso, che le trasfonde e le utilizza nel suo elaborato, e, in definitiva, alla valutazione del giudice, restando salva la facoltà delle parti di proporre deduzioni ed osservazioni in ordine alle indagini predette, come utilizzate nella relazione tecnica (Cass. III, n. 16471/2009Cass. III, n. 7243/2006). Del pari, il consulente tecnico di ufficio può ricorrere all'opera di collaboratorinell'espletamento di incombenze materiali relative all'incarico ricevuto.   La facoltà dell'ausiliare di avvalersi di pareri scientifici di terzi esperti, al fine di coadiuvare il giudice nella valutazione degli elementi acquisiti, o di dare soluzione a questioni che necessitino di specifiche conoscenze, non deve però trasmodare in una integrale traslazione dell'incarico giudiziario allo specialista (Cass. n.  26875/2017). Parimenti, il consulente d'ufficio può ricorrere all'opera di collaboratori nell'espletamento di incombenze materiali relative all'incarico ricevuto: non costituisce, perciò, motivo di nullità della consulenza il sol fatto che il perito abbia attinto elementi di giudizio anche dalle cognizioni e dalle percezioni del proprio collaboratore, nel rispetto del contraddittorio e sotto il controllo delle parti tempestivamente avvertite e poste in grado di muovere le loro osservazioni (Cass. VI, n. 4257/2018; Cass. n. 456/1976; Cass. S.U., n, 2851/1976). Il limite rimane quello della traslazione dell'incarico dall'ausiliare del giudice al collaboratore, non potendo l'operato di quest'ultimo dimostrarsi integralmente sostitutivo di quello del consulente (Cass. n. 13428/2007; Cass. n. 21728/2006; Cass. n. 7243/2006; Cass.  n. 16471/2009).

Se il consulente tecnico è stato autorizzato dal giudice ad avvalersi dell'ausilio di altri prestatori d'opera per attività strumentale rispetto ai quesiti posti con l'incarico, la spesa per l'opera dell'ausiliare va inclusa, in base all'art. 56, commi 3 e 4, d.P.R. n. 115/2002, tra quelle di cui il giudice dispone il rimborso a favore del consulente, potendosi procedere alla liquidazione di un autonomo compenso a favore dell'ausiliare stesso solo quando il giudice abbia conferito a quest'ultimo uno specifico incarico, in considerazione dell'autonomia delle prestazioni al medesimo richieste (Cass, n. 5204/2017).

L'obbligo di pagare il compenso per la prestazione eseguita dal consulente d'ufficio ha natura solidale, per essere l'attività svolta dal consulente finalizzata all'interesse comune di tutte le parti; ciò premesso, nei rapporti interni tra i condebitori, vi è solo una presunzione di eguaglianza, che fa salva la possibilità di individuare un diverso criterio di riparto delle quote dell'obbligazione solidale (Cass. VI, n. 3239/2018). 

In caso di conciliazione tra le parti e conseguente pronuncia di estinzione del giudizio, cessazione della materia del contendere o cancellazione della causa dal ruolo - l'ausiliare del giudice può agire autonomamente in giudizio nei confronti di ognuna delle parti, salvo che il fatto estintivo non si sia verificato prima della sua nomina (Cass. II, n. 28572/2023).

La mancata determinazione nella sentenza del compenso spettante al consulente tecnico d'ufficio integra un mero errore materiale per omissione, suscettibile di correzione da parte del giudice d'appello con riferimento all'importo della liquidazione effettuata in favore del consulente (Cass. II, n. 28309/2020).

Il decreto di liquidazione del compenso dovuto al consulente tecnico d'ufficio, che pone lo stesso a carico di entrambe le parti (o di una di esse), non è implicitamente assorbito dalla regolamentazione delle spese di lite ex art. 91 poiché quest'ultima attiene al diverso rapporto tra parte vittoriosa e soccombente, sicché, ove non sia espressamente modificato dalla sentenza in sede di regolamento delle spese di lite, resta fermo e vincolante anche nei confronti della parte vittoriosa, salvi i rapporti interni tra la medesima e quella soccombente (Cass. II, n. 25047/2018).

Il credito del consulente tecnico d'ufficio, giacché fondato su un decreto di liquidazione emesso dall'autorità giudiziaria, non è assoggettato alla prescrizione presuntiva ex art. 2956, comma 1, n. 2), c.c.(Cass. VI, n. 34639/2021).

Non viola l'art 92 c.p.c. il giudice che, dopo avere disposto la compensazione delle spese fra le parti, pone a carico dell'attore quelle della consulenza tecnica di ufficio, in quanto tale pronuncia sta solo ad indicare che la compensazione ha natura parziale (Cass. III, n. 22868/2019).

L'incarico conferito al consulente d'ufficio si intende espletato con il deposito della relazione. Dalla data di tale deposito, pertanto, decorre il termine di cento giorni entro cui i detti ausiliari devono presentare, a pena di decadenza, ai sensi dell'art. 71 d.P.R. n. 115/2002, la domanda di liquidazione del compenso loro spettante e delle spese sostenute (Cass. II, n. 22030/2018).

L'art. 52, comma 2, del d.P.R. n. 115 del 2002, secondo cui se la prestazione degli ausiliari del magistrato non è completata nel termine originariamente stabilito o entro quello prorogato, gli onorari non a tempo sono ridotti di un terzo, va interpretato nel senso che la sanzione della riduzione della remunerazione deve essere applicata previo accertamento che il ritardo nell'espletamento dell'incarico sia imputabile a negligenza del consulente, essendo tale sanzione finalizzata a prevenire comportamenti non virtuosi, nonché indebite dilatazioni dei tempi processuali (Cass. II, n. 24723/2023).

La previsione, invece, del secondo comma dell'art. 71 del d.P.R. n. 115 del 2002, secondo cui la domanda di liquidazione delle spettanze deve essere presentata a pena di decadenza entro cento giorni dal compimento delle operazioni, rispondendo ad un canone di razionale scansione dei tempi procedimentali l'esigenza di conoscere tempestivamente i costi necessari per lo svolgimento del giudizio, opera per tutti gli ausiliari del magistrato, ovvero per il perito, il consulente tecnico, l'interprete, il traduttore e qualunque altro soggetto competente, in una determinata arte o professione o comunque idoneo al compimento di atti, che il magistrato può nominare a norma di legge (Cass. II, n. 18797/2023).

Sempre ai fini della liquidazione del compenso al consulente tecnico d'ufficio, l'unicità o la pluralità degli incarichi dipendono dalla unicità o dalla pluralità degli accertamenti e delle indagini tecnico-peritali, a prescindere dalla pluralità delle domande, delle attività e delle risposte, definibili unitarie o plurime soltanto in ragione della loro autonomia ed autosufficienza e, pertanto, della interdipendenza delle indagini che connota la unitarietà dell'incarico e dell'onorario (così Cass. II, n. 10367/2021; Cass. II, n. 15306/2020Cass. n. 14292/2018 )

In caso di affidamento al c.t.u. di un incarico unitario per la stima di un bene complesso come l'azienda, il compenso deve essere liquidato sulla base del disposto di cui all'art. 3 d.m. 30 maggio 2002, e non secondo criteri corrispondenti a ciascuno dei singoli beni che compongono l'azienda stessa, alla stregua degli artt. 11 e 13 del medesimo d.m., poiché, nella valutazione dei patrimoni, l'unicità dell'incarico e, di conseguenza, del compenso, non è esclusa dalla pluralità delle verifiche (Cass. II, n. 27914/2018).

Il giudice dell'opposizione al decreto di liquidazione del compenso a favore del CTU deve verificare unicamente se l'opera svolta dall'ausiliare sia rispondente ai quesiti posti con il conferimento dell'incarico, tenuto conto, quali parametri per la determinazione di detto compenso, ex art. 51 del d.P.R. n. 115 del 2002, della difficoltà, completezza e pregio della relazione peritale, mentre dall'accertamento rimane esclusa ogni valutazione circa l'utilità della consulenza tecnica (Cass. VI, n. 36396/2021).  Del pari, le eventuali nullità dell'attività del consulente tecnico d'ufficio, idonee a determinare il conseguente venir meno del suo diritto alla liquidazione del compenso, devono essere necessariamente oggetto di declaratoria da parte del giudice del merito e non possono essere, quindi, dedotte nel giudizio di opposizione ex art. 170 d.P.R. n. 115/2002 (Cass. II, n. 5200/2017).

Nel giudizio di opposizione avverso il provvedimento di liquidazione del compenso al CTU, il giudice di cui all'art. 15 d.lgs. n. 150/2011 ha il potere-dovere di richiedere gli atti, i documenti e le informazioni necessarie ai fini della decisione, senza limitarsi a fare meccanica applicazione della regola formale del giudizio fondata sull'onere della prova (Cass. II, n. 4194/2017).

Le parti del processo nel quale è stata espletata la consulenza sono litisconsorti necessari nel giudizio di opposizione al decreto di pagamento emesso a favore del consulente tecnico d'ufficio, ai sensi dell'art. 170 del d.P.R. n. 115/2002, sicché l'omessa notifica del ricorso in opposizione e del decreto di comparizione ad una di tali parti determina la nullità del procedimento e della decisione (Cass. VI, n. 19694/2019; Cass. VI, n. 31072/2018 ; si veda però Cass. VI, n. 32005/2021).

È stata dichiarata non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 8, commi 1 e 2, della legge n. 24 del 2017, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., nella misura in cui escludono che il giudice possa addebitare, in tutto o in parte, a carico di una parte diversa da quella ricorrente, il costo, comprensivo di compensi ed esborsi, dell'attività del collegio peritale nominato nel procedimento di cui all'art. 696-bis, che il predetto art. 8 della legge n. 24 del 2017 individua quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale di merito in materia di responsabilità sanitaria (Corte cost. n. 87/2021).

Bibliografia

Andrioli, La scientificità della prova con particolare riferimento alla perizia e al libero apprezzamento del giudice, in Dir. e giur. 1971, 802 ss.; Cataldi, La nomina del C.T.U., in Giur. mer. 2007, 11, 2799 ss.; Carnelutti, Lezioni di diritto processuale civile,  III, Padova, 1931; FranchiLa perizia civile, Padova, 1959; Giudiceandrea, voce  Consulente tecnico – diritto processuale civile, in Enc.. dir. IX, Milano, 1961, 531 ss.;  Salomone, Sulla motivazione con riferimento alla consulenza tecnica d'ufficio, in Riv. trim. dir. proc. civ. 2002, 3, 1017 ss.; Satta, Commentario al codice di procedura civile, I, Milano, 1959; Taruffo, La prova scientifica nel processo civile, in Riv. trim. dir. proc. civ. 2005, 4, 1079 ss.

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