Codice di Procedura Civile art. 123 - Nomina del traduttore.Nomina del traduttore. [I]. Quando occorre procedere all'esame di documenti che non sono scritti in lingua italiana, il giudice può nominare un traduttore, il quale presta giuramento a norma dell'articolo 1931. [1] Le parole «dell'articolo 193» sono state sostituite alle parole «dell'articolo precedente» dall'art. 3, comma 1, lett. g), del d.lgs. 31 ottobre 2024, n. 164. Ai sensi dell’art. 7, comma 1, del medesimo decreto, le disposizioni di cui al d.lgs. n. 164/2024 cit. si applicano ai procedimenti introdotti successivamente al 28 febbraio 2023. InquadramentoIl giudice può nominare un traduttore (ausiliario e non consulente tecnico: Cormio, in Comm. Allorio, I, 1, 1973, 1351) quando i documenti esibiti nel corso del processo non siano redatti in lingua italiana. Il giudice ha la facoltà, e non l'obbligo, di procedere alla nomina di un traduttore, di cui si può fare a meno allorché non vi siano contestazioni sul contenuto del documento o sulla traduzione giurata allegata dalla parte e ritenuta idonea dal giudice Cass. n. 12525/2015). Ricorso al traduttorePoiché, come evidenziato (v. sub art. 122), nel processo è prescritto l'utilizzo della lingua italiana per i soli atti processuali in senso stretto, per gli atti prodromici al processo (ad esempio, procura rilasciata all'estero) e per i documenti esibiti nel corso dello stesso, la norma in esame consente al giudice, ove gli stessi non siano redatti in lingua italiana, di ricorrere ad un traduttore (Cass. n. 12162/2004). Peraltro, la possibilità per il giudice di disporre la traduzione della documentazione pronta non deve essere esercitata entro un termine determinato. Ne consegue che non è tardiva la produzione, con la memoria di cui all'art. 183, comma 6, n. 3, c.p.c., della traduzione in italiano di documenti redatti in lingua straniera tempestivamente depositati, atteso che detta traduzione non integra un nuovo mezzo di prova soggetto alle preclusioni istruttorie di cui alla norma citata in quanto l'attitudine dimostrativa di uno scritto discende dal contenuto che esso esprime, quale che sia l'idioma impiegato nella sua redazione, sicché è con la produzione del documento in lingua straniera che la parte assolve all'onere di comprovare le proprie allegazioni difensive, mentre la traduzione, che può essere disposta dal giudice ai sensi dell'art. 123 c.p.c. senza previsione di termini, è incombente meramente accessorio e facoltativo che si colloca al di fuori dell'area delle attività processuali finalizzate alla definizione del "thema decidendum" e del "thema probandum", soggette a termini perentori (Cass. n. 12365/2018). Dell'obbligo di procedere alla nomina di un traduttore, può farsi a meno allorché trattasi di un testo di facile comprensibilità, sia da parte dello stesso giudice che dei difensori, sicché non è configurabile la nullità di una consulenza tecnica di ufficio regolarmente redatta in lingua italiana benché fondata su pubblicazioni in inglese (Cass. n. 6093/2013). Inoltre, si può fare a meno della nomina di un traduttore allorché il giudice conosca la lingua del documento ovvero la parte avversa a quella che lo ha prodotto concordi sulla traduzione del contenuto dello stesso (Cass. n. 4416/2011). Invero, il giudice ha la facoltà, e non l'obbligo, di procedere alla nomina di un traduttore, di cui si può fare a meno allorché non vi siano contestazioni sul contenuto del documento o sulla traduzione giurata allegata dalla parte e ritenuta idonea dal giudice (mentre, al di fuori di queste ipotesi, è necessario procedere alla nomina di un traduttore, non potendosi ritenere non acquisiti i documenti prodotti in lingua straniera: Cass. 12525/2015). Più in generale, infatti, il principio dell'obbligatorietà dell'uso della lingua italiana - previsto dall'art. 122 - si riferisce agli atti processuali in senso proprio e non anche ai documenti prodotti dalle parti, ragion per cui, quando questi ultimi siano redatti in lingua straniera, il giudice, ai sensi dell'art. 123, ha la facoltà, e non l'obbligo, di nominare un traduttore, per cui il mancato esercizio di detta facoltà, specie quando trattasi di un testo di facile comprensibilità sia da parte dello stesso giudice che dei difensori, non può formare oggetto di censura in sede di legittimità (Cass. n. 19756/2005). È stato chiarito, poi, in conformità ai predetti principi, che in tema di delibazione di sentenza ecclesiastica dichiarativa della nullità di un matrimonio, la circostanza che detto provvedimento sia redatto in latino non comporta l'obbligo della sua traduzione nella lingua italiana, ma solo la facoltà per il giudice di disporla per il caso in cui non conosca la lingua latina, ovvero sia insorta controversia tra le parti sul significato di determinate espressioni (Cass. n. 19808/2009). Alla medesima stregua dell'interprete, il traduttore è un ausiliario del giudice ex art. 68 e non un consulente tecnico (Cormio, in Comm. Allorio, I, 1, 1973, 1351). Prestazione del giuramentoIl d.lgs. n. 164 del 2024 ha modificato la norma in esame, in una prospettiva di economia processuale, estendendo al giuramento del traduttore la facoltà, contemplata già per il consulente tecnico d'ufficio dall'art. 193 c.p.c. cui oggi la norma rinvia, di depositare una dichiarazione sottoscritta con firma digitale contenente il giuramento. Sinora, invece, il traduttore era tenuto a prestare giuramento in udienza, poiché l'art. 123 c.p.c. richiamava la disposizione a tal fine dettata dal precedente art. 122 dello stesso codice per l'interprete. Come puntualizzato nella Relazione Illustrativa al decreto in commento, l'art. 122 c.p.c. sul giuramento dell'interprete non è stato anch'esso in parte qua modificato poiché l'interprete è comunque tenuto a svolgere la sua attività in udienza e, dunque, non comporta alcun dispendio rilevante di attività processuale la circostanza che prima presti giuramento alla medesima udienza. BibliografiaCavallone, Discrezionalità del giudice civile nella nomina del traduttore e dell'interprete, in Riv. dir. proc. 1968, 271; Cavallone, Processo verbale, in Dig. civ., Torino, 1997, XV, 299; Chiarloni, Contrasto tra il diritto alla difesa ed obbligo della difesa: un paradosso del formalismo concettuale, in Riv. dir. proc. 1982, 641; Denti, Procedimento civile (atti del), in Dig. civ., Torino, 1996, IV, 553; Furno, Nullità e rinnovazione degli atti processuali, in Scritti in onore di Redenti, I, Milano, 1951, 405 Giordano, Uso della telematica nel processo civile: primi traguardi e prospettive future, in AA.VV., L'informatica nel diritto suppl. a Giur. mer. 2006, n. 11, 74; Massari, Processo verbale (dir. proc. civ.), in Nss. D.I., XIII, Torino, 1957, 1119; Montesano, Le disposizioni generali del codice di procedura civile, Roma, 1984; Oriani, Nullità degli atti processuali, in Enc. giur., XXI, Roma, 1988; Redenti, Atti processuali civili, in Enc. dir., IV, Milano 1959, 105. |