Codice di Procedura Civile art. 278 - Condanna generica - Provvisionale 1 .

Antonio Scarpa

Condanna generica - Provvisionale1.

[I]. Quando è già accertata la sussistenza di un diritto, ma è ancora controversa la quantità della prestazione dovuta, il collegio, su istanza di parte, può limitarsi a pronunciare con sentenza la condanna generica alla prestazione, disponendo con ordinanza [280] che il processo prosegua per la liquidazione [340, 361; 129 att.; 2818 1, 2836 c.c.].

[II]. In tal caso il collegio, con la stessa sentenza e sempre su istanza di parte, può altresì condannare il debitore al pagamento di una provvisionale, nei limiti della quantità per cui ritiene già raggiunta la prova [282, 423 2].

 

[1] Articolo così sostituito dall'art. 22 l. 14 luglio 1950, n. 581.

Inquadramento.

L’art. 278 detta le condizioni per la pronuncia di condanna generica, costituite dalla certezza circa la sussistenza del diritto, ovvero dall’accertamento di un fatto potenzialmente dannoso, e dall’istanza della parte interessata.

I presupposti per la sentenza di condanna generica

L'art. 278, comma 1, subordina la pronuncia della sentenza di condanna generica all'avvenuto accertamento della sussistenza di un diritto.

La giurisprudenza ha tuttavia più volte affermato, con l'interpretazione più largheggiante, che, ai fini della pronuncia di condanna generica, sia sufficiente in realtà l'accertamento, in base ad una valutazione di probabilità o di verosimiglianza, di un fatto potenzialmente produttivo di danno, essendo la prova dell'esistenza concreta del danno, della sua entità e del rapporto di causalità riservata alla fase successiva del giudizio di quantificazione.

In un primo momento, invero, la frazionabilità del giudizio di danni era stata subordinata unicamente alla positiva dimostrazione, all'esito della fase di giudizio relativa all'an debeatur, dell'esistenza di un danno effettivo, da liquidare poi nella fase successiva; in seguito, tuttavia, si era iniziato a ritenere sufficiente, ai fini della pronuncia di condanna generica, una prova del danno data sia pure «in modo generico», isolandosi altresì specifiche ipotesi di responsabilità (contrattuale ed extracontrattuale) connotate da dannosità intrinseca, o in re ipsa.

In altre decisioni, si è però sostenuto che nulla impedisce che il giudice possa accertare con la condanna generica anche l'effettivo avveramento del danno, lasciando impregiudicate le sole questioni relative alla liquidazione. Ancora, si è precisato, sempre in un prospettiva più rigorosa rispetto all'orientamento inizialmente richiamato, che, poiché la condanna generica presuppone appunto l'affermazione del diritto alla prestazione dovuta, rimanendone solo controversa la quantità, tutte le volte che la prestazione consista nel diritto al risarcimento del danno da illecito, dovrebbe ritenersi che la sussistenza del nesso di causalità materiale tra condotta ed evento produttivo di danno costituisca comunque un accertamento tendenzialmente presupposto dalla sentenza di condanna generica; di tal che nel giudizio relativo alla liquidazione non resterebbe che accertare quali effetti pregiudizievoli siano risarcibili. Inoltre, in alcune sentenze, ai fini sempre della statuizione di condanna generica ai sensi dell'art. 278, appare non sufficiente accertare l'illegittimità della condotta del convenuto, e si chiede di verificare, sia pure con modalità sommarie e valutazione prognostica, la sussistenza del danno, senza la quale il diritto al risarcimento, di cui si chiede l'anticipata tutela, non potrebbe essere nemmeno configurato, in attesa di operarne la determinazione quantitativa.

In definitiva, dovendo l'istituto della condanna generica atteggiarsi come strumento di tutela giurisdizionale di situazioni giuridiche soggettive qualificate in termini di spettanza e di meritevolezza degli interessi, sembra preferibile condizionare l'ammissibilità di una sentenza avente tale contenuto alla compiuta verifica da parte del giudice della contemporanea esistenza di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie risarcitoria, ivi compresa la concrea sussistenza di un danno. Viceversa, non risultano convincenti le opinioni che di un accertamento anche potenziale del danno, altrimenti anticipandosi eccessivamente la soglia della statuizione condannatoria a salvaguardia di fattispecie che non presentano tutti gli indici necessari per l'insorgenza di un obbligo risarcitorio.

Gli stessi requisiti si impongono nel caso in cui l'attore proponga una domanda limitata alla sola condanna generica, riservando ad un separato giudizio la richiesta di quantificazione della prestazione rivendicata.

La possibilità di rinviare la liquidazione addirittura a separato e successivo giudizio, su conforme domanda limitatrice rivolta dall'attore, è, come visto, istituto non previsto dal legislatore, ma di creazione puramente giurisprudenziale.

L'espansione della sfera di operatività del rimedio della condanna generica, oltre i limiti scritti nell'art. 278 comma 1, discende dalla idoneità di questo tipo di pronuncia a dare più ampia ed effettiva tutela giurisdizionale alle situazioni giuridiche soggettive.

In ipotesi di condanna generica al risarcimento, l'azione diretta alla determinazione del danno rimane assoggettata alla prescrizione decennale ex art. 2953, con decorrenza dalla data in cui la sentenza di condanna sia divenuta irrevocabile; al giudizio sul quantum sono legittimati unicamente coloro i quali abbiano preso parte al giudizio concluso con la pronuncia di condanna generica.

La scissione del giudizio su an e quantum

Secondo consolidato orientamento giurisprudenziale, con riguardo alle azioni di risarcimento del danno, sia in materia contrattuale che extracontrattuale, è ammissibile la domanda dell'attore originariamente rivolta unicamente ad una condanna generica, senza che sia necessario alcun consenso, né espresso né tacito, del convenuto.

Spiega la giurisprudenza che, nell'ipotesi in cui con la domanda iniziale sia stata richiesta una condanna specifica, ai fini della scissione del giudizio sull'«an» da quello sul «quantum», occorre distinguere a seconda che essa avvenga all'interno dello stesso processo, o dia invece luogo a due diversi processi in quanto solo nell'ultimo caso la scissione richiede l'istanza dell'attore ed il consenso del convenuto mentre, nel primo, la separazione può essere disposta, senza l'adesione della parte, anche d'ufficio, non determinandosi alcun vulnus dei principi generali del giusto processo. Tuttavia, in entrambe le ipotesi l'attore ha l'onere d'indicare i mezzi di prova dei quali intende avvalersi per la determinazione del «quantum», incorrendo altrimenti nel rigetto della domanda se non adeguatamente provata (Cass. III, n. 9404/2011).

Da ultimo, in particolare, si è riaffermato che la vittima di un fatto illecito può proporre una domanda di risarcimento del danno, limitata "ab origine" all'accertamento del solo "an debeatur", con riserva di accertamento del "quantum" in un separato giudizio. Nel giudizio introdotto da una siffatta domanda, peraltro, il giudice, su istanza di parte, può pronunciare anche condanna provvisionale ai sensi dell'art. 278 nei limiti in cui ritiene raggiunta la prova. Dunque, mentre per l'accoglimento della domanda generica di danno è sufficiente che l'esistenza di un danno sia probabile, per l'accoglimento dell'istanza di provvisionale ex art. 278 è necessario che l'esistenza di un danno sia certa, almeno in parte (Cass. S.U., n.  29862/2022).

La possibilità di limitare sin dall'inizio la domanda all'an debeatur rientra nel potere dispositivo della parte, ancorché la previsione dell'art. 278 testualmente si richiami all'ipotesi in cui la pronuncia di condanna generica non definisce il giudizio. È noto, infatti che per l'attore l'interesse ad ottenere una condanna, sia pure incompiuta in quanto indeterminata, deriva dall'idoneità di questa a costituire titolo per l'iscrizione dell'ipoteca giudiziale alla stregua dell'art. 2818 c.c., nonché dal potere di convertire in decennale la prescrizione, in ipotesi più breve, del diritto al risarcimento del danno. In conclusione la stessa ratio che sottende il disposto dell'art. 278 legittima a fortiori il diritto autonomo dell'attore alla decisione solo sull'an (Vitale, 1095).

Se infatti la previsione specifica dell'art. 278 enuclea l'interesse giuridicamente rilevante dell'attore ad ottenere, sulla base dell'accertata sussistenza di un diritto, una sentenza di condanna generica alla prestazione, salva la liquidazione successiva, non può negarsi la ravvisabilità di un equipollente interesse allorché la domanda alla condanna generica sia proposta in via autonoma ab initio. Questa facoltà di agire per la sola condanna generica, avvalendosi di un potere di iniziativa processuale da individuare al momento della proposizione dell'azione, non può essere condizionata alla formazione di un accordo con il convenuto, successivo all'instaurazione del giudizio.

L'accertamento sul «se» di una certa prestazione è condizionato all'interesse, o bisogno, dell'attore alla forma di tutela oggetto della domanda. La tutela cui tende l'azione di condanna, ancorché generica, non si esaurisce in quella di un mero accertamento dell'esistenza di un diritto contestato (tipico dell'azione di mero accertamento), ma è pur sempre quella che nasce dall'esistenza di un diritto assertivamente violato, al fine di ottenere la reintegrazione anche coattiva del patrimonio in ipotesi pregiudicato e per equivalente pecuniario. Una forma di tutela tendente alla reintegrazione patrimoniale, peraltro, può assumere preventive forme cautelari per assicurare l'effettività di successive forme esecutive. Di fronte all'esistenza attuale di una lesione di diritto per la quale manchino ancora le prove dell'entità del pregiudizio, il pregiudicato può avere l'interesse di fatto ad un'azione attuale, in quanto su di essa si radica l'interesse, giuridicamente rilevante come condizione dell'azione, all'iscrizione dell'ipoteca giudiziale ex art. 2818 c.c., che prevede espressamente la sentenza di «condanna... al risarcimento dei danni da liquidarsi successivamente», ancorché non passata in giudicato (Cass. S.U., n. 12103/1995).

Può, quindi, affermarsi, in virtù di un principio di autonoma disponibilità delle forme di tutela offerte dall'ordinamento, la legittimazione dell'attore a proporre un'autonoma domanda di condanna generica, indipendentemente dal successivo consenso del convenuto.

La specialità della fattispecie contemplata dall'art. 278 comma 1 rileva in relazione al principio della concentrazione del giudizio, per come proposto nella sua interezza, ma non incide sulla ammissibilità di una situazione che è logicamente anteriore alla prosecuzione del giudizio: anzi, la stessa previsione di detto articolo appare espressione del più generale principio di disponibilità della domanda volta ad una tutela di cui l'attore abbia interesse.

Quale condotta può tuttavia assumere il convenuto in modo da incidere sull'estensione della conseguente attività processuale e della pronuncia del giudice? Può infatti ravvisarsi un interesse del convenuto ad ottenere un immediato accertamento dell'attuale insussistenza del danno, a fronte della proposizione autonoma della domanda di condanna generica.

Se è evidente l'interesse dell'attore a domandare solo una condanna generica, ai fini di una tutela cautelare o speciale del suo diritto risarcitorio, il convenuto potrebbe contrapporre il proprio bisogno di un mezzo che gli garantisca di porre subito in discussione la sussistenza del danno, in termini di certezza e non soltanto di probabilità, al fine, ad esempio, di ottenere il titolo per cancellare o ridurre l'ipoteca giudiziale.

Diverso è il caso in cui l'attore abbia chiesto originariamente, in via esclusiva o principale, la condanna al risarcimento del danno con sua liquidazione nello stesso giudizio ed abbia successivamente ristretto la sua domanda, limitandola specificamente alla richiesta di pronuncia sull'an, essendo in questa fattispecie davvero necessaria per la conforme statuizione del giudice un'effettiva espressa delimitazione della pretesa attorea alla condanna generica. La domanda di condanna specifica al risarcimento del danno può, in particolare, essere successivamente limitata, in corso di giudizio e pure in grado di appello con la richiesta di condanna generica e di rinvio della liquidazione in separato giudizio (trattandosi di riduzione dell'originaria domanda), purché sussista il consenso non soltanto espresso, ma anche tacito del convenuto, il quale è ravvisabile nella non tempestività della sua opposizione. Incorre, pertanto, in ultrapetizione il giudice che pronunci sentenza recante liquidazione dei danni in favore nonostante l'operata limitazione dell'originaria domanda di condanna risarcitoria specifica in domanda di condanna generica e di rinvio della liquidazione in separato giudizio (Cass. II, n. 26149/2015).

Viceversa, qualora l'attore abbia formulato una domanda di condanna specifica, e successivamente l'abbia limitata all'an debeatur, il giudice non incorre nel vizio di ultrapetizione se pronuncia una sentenza di condanna generica, rimettendo la liquidazione ad un separato giudizio, ove il convenuto abbia prestato il suo consenso (Cass. L, n. 28514/2017) .

In particolare, laddove l'attore formuli sin dall'inizio in via alternativa una domanda di risarcimento danni e una richiesta di condanna generica limitata all'an debeatur, riservando ad ulteriore giudizio la determinazione del quantum, non si reputa occorrente, come visto, alcun consenso, da parte del convenuto, alla successiva eventuale limitazione della medesima domanda alla sola pronuncia sull' an debeatur. Tale consenso del convenuto risulta, per converso, necessario nell'ipotesi in cui una tale limitazione della domanda risarcitoria intervenga soltanto nel corso del giudizio di primo grado (Cass. II, n. 20127/2014). Al convenuto viene accordata, pertanto, in caso di domande sin dall'origine alternative, la mera facoltà di opporsi alla istanza di condanna generica, con conseguente onere dell'attore di dare, in questo caso, dimostrazione dell'esistenza del danno, e conseguente divieto per il giudice di rimettere ad un separato giudizio la determinazione del quantum. Rispetto invero ad una domanda di condanna generica di tal fatta, l'opposizione del convenuto viene intesa nelle sentenze come richiesta, sia pure implicita, di accertamento dell'insussistenza del danno, ricollegabile all'interesse del convenuto medesimo ad ottenere una tutela preventiva contrapposta a quella richiesta dall'attore. Se ne fa discendere che, una volta proposta opposizione dal convenuto, l'attore, per veder accogliere la sua domanda, debba dare prova della esistenza del danno, e non della sua mera probabilità.

Il convenuto, a fronte di una domanda di condanna generica, ha, in particolare, la facoltà di domandare in via riconvenzionale l'accertamento negativo della sussistenza del danno, con conseguente onere dell'attore, in tal caso, di dare piena prova dell'esistenza del danno e divieto per il giudice, ai sensi dell'art. 278, di rimettere la determinazione del quantum ad un separato giudizio (Cass. III, n. 25113/2017; altrimenti, si veda Cass. I, n. 20894/2017).

È controversa in dottrina l'esatta qualificazione della natura giuridica dell'opposizione del convenuto, in ipotesi di limitazione della domanda al solo an in un giudizio inizialmente unitario: si discute se la stessa debba rivestire le forme della domanda riconvenzionale, sia pure soltanto di mero accertamento, o se dia piuttosto luogo ad un'eccezione in senso proprio, o se, infine, essa non necessiti affatto di un inquadramento nell'ambito degli atti di impulso processuale, non potendosi ovviamente onerare il medesimo convenuto di manifestare la propria volontà oppositiva con riguardo alla scissione dei giudizi prima ancora che l'attore abbia esplicitato una sua richiesta in tal senso. Ove peraltro manchi il consenso del controinteressato, questi farà valere in sede di gravame il vizio della sentenza definitiva di condanna generica comunque pronunciata. Se sia mancata l'istanza dell'attore di riduzione dei capi di domanda alla sola sentenza di condanna generica, il giudice che proceda d'ufficio a scindere l'unitario processo incorre, invero, nel vizio di violazione dell'art. 112, non essendogli consentito di scindere d'ufficio l'unitario processo (Prendini, 968).

Il descritto onere di attivazione processuale del convenuto, consistente nella facoltà riconosciutagli di richiedere l'estensione del giudizio alla liquidazione del danno, non opera nel caso in cui la domanda attrice abbia ad oggetto non soltanto il risarcimento del danno già patito, ma altresì l'inibitoria a proseguire nell'attività illecita, la cui pronuncia il convenuto non potrebbe certo dilazionare in attesa della quantificazione del danno maturato.

Ai fini della condanna generica al risarcimento dei danni ex art. 278, non è, dunque, sufficiente accertare l'illegittimità della condotta, ma occorre anche accertarne, sia pure con modalità sommaria e valutazione probabilistica, la portata dannosa, senza la quale il diritto al risarcimento, di cui si chiede anticipatamente la tutela, non può essere configurato; in simile ipotesi, infatti, ciò che viene rinviato al separato giudizio è soltanto l'accertamento in concreto del danno nella sua determinazione quantitativa, mentre l'esistenza del fatto illecito e la sua potenzialità dannosa devono essere accertati nel giudizio relativo all' an debeatur e di essi va data la prova sia pure sommaria e generica, in quanto costituiscono il presupposto per la pronuncia di condanna generica (Cass. II, n. 21326/2018; Cass. II. n. 6235/2018; Cass. I, n. 20444/2016).

La domanda di condanna specifica al risarcimento del danno, sia essa formulata in maniera determinata o indeterminata, dà, in ogni caso, luogo ad un'unica domanda giudiziale, e non a due distinti capi di domanda sull' an e sul quantum debeatur. Ne consegue che in detta ipotesi non trova applicazione l'art. 277, comma 2, il quale consente, come visto, ove siano state avanzate più domande, la decisione separata di alcune di esse per le quali non sia necessaria ulteriore attività istruttoria, presupponendo la scissione del giudizio sull' «an» da quello sul «quantum», a norma dell'art. 278, comma 1, un'espressa richiesta della parte, la cui volontà in tal senso non può desumersi dalla formulazione di una domanda di risarcimento di danni non determinati, ma determinabili (Cass. II, n. 6517/2012).

In caso di condanna generica il danneggiato può, oltre alla domanda di liquidazione del danno accertato, proporne anche una volta all'accertamento ed alla liquidazione di danni ulteriori, riconducibili a fatti diversi da quelli dedotti nel primo giudizio; in tal caso, il passaggio in giudicato della sentenza di condanna generica, mentre preclude che nel giudizio sulla quantificazione possano essere proposte ed esaminate deduzioni di fatti estintivi, modificativi ed impeditivi anteriori alla pronuncia sull'"an", non estende i suoi effetti ai danni ricollegabili a fatti diversi da quelli dedotti nel relativo giudizio. Ne consegue che, ove nel giudizio di liquidazione vengano richiesti danni non collegabili a fatti rientranti nella prima domanda, il giudice deve preliminarmente accertarne la sussistenza ed eventualmente procedere alla loro quantificazione, senza con ciò incorrere nella violazione del giudicato (Cass. II, n. 10498/2018)

Bibliografia

Biavati, Appunti sulla struttura della decisione e l'ordine delle questioni, in Riv. trim. dir. proc. CIV. 2009, 1301; Bove, Sentenze non definitive e riserva d'impugnazione, in Riv. trim. dir. proc. CIV. 1998, 415; Califano, Le Sezioni unite civili ripropongono l'indirizzo formale in tema di sentenze non definitive su una fra più domande cumulate nel medesimo processo, in Giust. CIV. 2000, 1, 63; Damiani, La precisazione delle conclusioni e il “collo di bottiglia” nel processo civile, in Riv. trim. dir. proc. CIV. 2005, 1313; Menichelli, La sospensione del giudizio di primo grado a seguito d'appello immediato avverso sentenza non definitive, in Giust. CIV. 2005, 1, 230; Merlin, Condanna generica e opposizione del convenuto alla liquidazione del quantum in separato giudizio, in Riv. dir. proc. 1987, 207; Prendini, Osservazioni in tema di condanna generica e poteri del giudice, in Resp. CIV. prev. 2000, 968; Proto Pisani, In tema di condanna generica e precisazioni delle conclusioni, in Foro it. 1986, I, 1533; Scarselli, Considerazioni sulla condanna generica (nella evoluzione giurisprudenziale e dopo la riforma), in Corr. giur. 1998, 714; Vitale, Condanna generica e separazione dei giudizi, in Giust. CIV. 1999, 4, 1095.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario