Codice di Procedura Civile art. 287 - Casi di correzione.Casi di correzione. [I]. Le sentenze contro le quali non sia stato proposto appello1 [339 ss.] e le ordinanze non revocabili [177 3] possono essere corrette [91 3, 93 2, 826], su ricorso di parte, dallo stesso giudice che le ha pronunciate, qualora egli sia incorso in omissioni o in errori materiali o di calcolo [391-bis] 2.
[1] La Corte cost., con sentenza 10 novembre 2004, n. 335, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del presente articolo limitatamente alle parole « contro le quali non sia proposto appello ». [2] Per la correzione delle sentenze pronunciate dalla Corte di cassazione, v. art. 391-bis. Inquadramento.Gli artt. 287 e 288 delineano il procedimento di correzione di errori materiali, finalizzato alla eliminazione di errori di redazione del documento-sentenza, senza però incidere sul contenuto concettuale della decisione. Errori correggibiliLa Corte cost. n. 335/2004, ha dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione degli art. 3 e 24 Cost., l'art. 287, limitatamente alle parole «contro le quali non sia stato proposto appello». La Corte Costituzionale osservò che la norma, escludendo la sola sentenza di primo grado già investita dall'appello - ma non anche quella non ancora appellata - dallo speciale procedimento di correzione di errore materiale da essa disciplinato, veniva in tal modo a determinare una situazione eccezionale rispetto alla regola - ricavabile dall'esame del sistema normativo in cui tale norma si inserisce - secondo la quale il procedimento di correzione è insensibile alla proposizione dell'impugnazione ed è di competenza del giudice che ha emesso il provvedimento affetto da errore (lato sensu) ostativo, mentre la circostanza che la l. n. 353/1990 abbia introdotto la duplice regola della mancanza di efficacia sospensiva dell'appello (art. 337), unitamente a quella dell'immediata esecutività della sentenza di primo grado (art. 282), rendeva tale disciplina – che non può essere più giustificata in base a mere esigenze di economia processuale – del tutto irragionevole, risolvendosi essa altresì in una ingiustificabile compressione del diritto di agire esecutivamente della parte vittoriosa, e pertanto – costituendo l'azione esecutiva strumento essenziale dell'effettività della tutela giurisdizionale – in una violazione dell'art. 24 Cost. Deve, in ogni caso, qualificarsi come errore materiale suscettibile di correzione, quello che non riguarda la sostanza, e cioè il contenuto concettuale del giudizio, ma la manifestazione del pensiero all'atto della formazione del provvedimento e si risolve in una fortuita divergenza fra il giudizio e la sua espressione letterale, ovvero tra l'ideazione e la sua rappresentazione documentale grafica, cagionata da mera svista o disattenzione nella redazione della sentenza e come tale percepibile e rilevabile ictu oculi (Cass. S.U., n. 5165/2004). Peraltro, pure in caso di omessa pronuncia sull'istanza di distrazione delle spese proposta dal difensore, il rimedio esperibile, in assenza di un'espressa indicazione legislativa, è costituito dal procedimento di correzione degli errori materiali, e non dagli ordinari mezzi di impugnazione. Ciò in quanto la procedura di correzione, oltre ad essere in linea con il disposto dell'art. 93, comma 2 – che ad essa si richiama per il caso in cui la parte dimostri di aver soddisfatto il credito del difensore per onorari e spese –, consente il migliore rispetto del principio costituzionale della ragionevole durata del processo, garantisce con maggiore rapidità lo scopo del difensore distrattario di ottenere un titolo esecutivo ed è un rimedio applicabile, ai sensi dell'art. 391-bis, anche nei confronti delle pronunce della Corte di cassazione (Cass. S.U., n. 16037/2010; Cass. VI, n. 12437/2017; Cass. III, n. 5082/2024). Si è considerata ammissibile, alla stregua dell'interpretazione estensiva degli artt. 287 e ss., l'utilizzazione del procedimento di correzione degli errori materiali qualora il giudice del gravame, riformando la sentenza appellata, ometta, pur esistendo in atti tutti gli elementi a ciò necessari, di ordinare la restituzione di quanto corrisposto in esecuzione della pronuncia di primo grado, atteso che una siffatta condanna è sottratta a qualunque forma di valutazione giudiziale, sicché sono configurabili i presupposti di fatto che giustificano la correzione e la relativa declaratoria necessariamente "accede" al "decisum" complessivo della controversia, senza assumere una propria autonomia formale, collegandosi l'omissione ad una mera disattenzione. L'ordinanza di correzione, inoltre, in quanto priva di contenuto decisorio, non è impugnabile, neppure con il ricorso ex art. 111 Cost. (Cass. I, n. 2819/2016). I requisiti di contenuto della sentenza sono indicati dall'art. 132. Non si tratta, peraltro, di elementi che devono tutti sussistere a pena di nullità della sentenza: la mancanza o l'incompletezza di alcuni di essi dà luogo, infatti, a mere irregolarità, al più rimediabili proprio con il procedimento di correzione ex art. 287. Così, la mancata intestazione “Repubblica Italiana” e “in nome del popolo italiano”, oppure l'omessa indicazione dei nomi delle parti o dei difensori ritualmente costituiti, sempre che l'atto risulti idoneo a conseguire il proprio scopo, costituiscono incompletezze materiali che non incidono sulla validità del provvedimento e sulla sua decisorietà e definitività ( Cass. I, n. 22275/2017 ). In particolare, l 'omessa o inesatta indicazione del nome di una delle parti nell'intestazione della sentenza va considerata un mero errore materiale, emendabile con la procedura di cui agli artt. 287 e 288, quando dal contesto della sentenza risulti con sufficiente chiarezza l'esatta identità di tutte le parti e comporta, viceversa, la nullità della sentenza qualora da essa si deduca che non si è regolarmente costituito il contraddittorio, ai sensi dell'art. 101, e quando sussiste una situazione di incertezza, non eliminabile a mezzo della lettura dell'intero provvedimento, in ordine ai soggetti cui la decisione si riferisce (Cass. VI, n. 19437/2019). Anche la mancanza o l'erronea indicazione della data di deliberazione della sentenza , la quale, a differenza della data di pubblicazione (che ne segna il momento di acquisto della rilevanza giuridica), non è elemento essenziale dell'atto processuale, costituiscono fattispecie di mero errore materiale, come tale emendabile ex artt. 287 e 288 (Cass. V. n. 21806/2017). Ancora, il difetto di trascrizione delle conclusioni delle parti si riduce a semplice irregolarità formale della sentenza, se esso non abbia comportato una omissione di pronuncia sulle domande o sulle eccezioni delle parti, oppure un'assenza di motivazione in ordine a punti decisivi prospettati. Viceversa, la sottoscrizione della sentenza da parte del giudice costituisce un requisito essenziale del provvedimento, la cui assenza ne cagiona la nullità assoluta e insanabile. Anche l'indicazione, nell'intestazione del provvedimento pronunciato dal tribunale, del nome di un giudice diverso da quelli componenti il collegio dinanzi al quale il procedimento è stato discusso e che lo ha trattenuto in decisione, va ascritta ad un mero errore materiale, come tale non comportante la nullità del provvedimento, ma suscettibile di correzione ai sensi dell'art. 287, atteso che l'intestazione è priva di autonoma efficacia probatoria, si esaurisce nella riproduzione dei dati del verbale di udienza e, in difetto di elementi contrari, debbono ritenersi coincidenti i magistrati indicati nel verbale come componenti del collegio giudicante con quelli che, in concreto, hanno partecipato alla deliberazione del decreto stesso (Cass. I, n. 2318/2016).Era controverso in giurisprudenza se la mancata statuizione sulle spese processuali nel provvedimento a contenuto decisorio che definisce il giudizio costituisse mero errore materiale emendabile con la speciale procedura di correzione prevista dagli artt. 287 ss., oppure vizio di omessa pronuncia da farsi valere solo con i mezzi d'impugnazione. Cass. S.U., n. 16415/2018, ha deciso che, a fronte della mancata liquidazione delle spese nel dispositivo della sentenza, sebbene in parte motiva il giudice abbia espresso la propria volontà di porle a carico della parte soccombente, la parte interessata deve fare ricorso alla procedura di correzione degli errori materiali di cui agli artt. 287 e ss. per ottenerne la quantificazione, (si veda anche Cass. I, n. 28323/2020 , con riguardo altresì all'omessa indicazione delle parti beneficiarie della liquidazione; Cass. VI-2, n. 12185/2020, con riguardo alla condanna alle spese in favore della parte intimata che non si sia costituita in giudizio). La Cass. S.U.,19137/2023 ha però specificato che il mancato regolamento delle spese processuali, nel dispositivo e anche nella motivazione, è emendabile soltanto con l'impugnazione, non già con la speciale procedura di correzione degli errori materiali di cui agli artt. 287 ss. L'errore del giudice nella determinazione della misura delle spese vive, sostenute dalla parte vittoriosa, può essere emendato o con il procedimento di correzione di cui all'art. 287, ovvero per mezzo del procedimento di revocazione del provvedimento che le ha liquidate, ma non col ricorso per cassazione (Cass. II, n. 14006/2023). Non può farsi ricorso al procedimento di correzione degli errori materiali quando il giudice, nel redigere la sentenza e in conseguenza di un mero errore di sostituzione del "file" informatico, ad un'epigrafe pertinente abbia fatto seguire uno "svolgimento del processo", dei "motivi della decisione" ed un dispositivo afferenti ad una diversa controversia: in tal caso, infatti, l'estensione della correzione integra il deposito di una decisione affatto distinta, la quale verrebbe interamente sostituita a quella corretta (Cass. I, n. 2815/2016 ; in senso opposto, Cass. III, n. 4319/2019 ). Non può essere eliminato con il rimedio della correzione degli errori materiali il contrasto insanabile tra motivazione e dispositivo della sentenza, poiché esso non consente di individuare la statuizione del giudice attraverso una valutazione di prevalenza di una delle contrastanti affermazioni contenute nella decisione, determinando, piuttosto, la nullità della pronuncia ai sensi dell'art. 156, comma 2 (Cass. II, n. 5939/2018). Nell'ipotesi di errori materiali o di calcolo contenuti nella sentenza, non è ammissibile il ricorso per cassazione, rientrando nell'esclusiva competenza del giudice autore del provvedimento contenente l'errore procedere alla sua eliminazione, in contraddittorio delle parti, ex artt. 287 e 288 (Cass. II, n. 8287/2006). La correzione di errori materiali contenuti nella pronuncia di merito impugnata, va fatta dal giudice a quo pure dopo la proposizione del ricorso per cassazione. Più precisamente, l'errore di calcolo può essere denunciato con ricorso per cassazione soltanto quando sia riconducibile all'impostazione delle operazioni matematiche necessarie per ottenere un certo risultato, lamentandosi un "error in iudicando" nell'individuazione di parametri e criteri di conteggio, e non ove consista in un'erronea utilizzazione delle regole matematiche sulla base di presupposti numerici, individuazione e ordine delle operazioni da compiere esattamente determinati, essendo in tale ultimo caso emendabile con la procedura di correzione ex art. art. 287 (Cass. VI, n. 2486/2019;Cass. III, n. 23704/2016). L'errore materiale, che colpisce la manifestazione della volontà espressa dal comando giudiziale, va distinto dall'errore revocatorio, che incide sulla formazione del giudizio di fatto contenuto nella decisione (Cass. S.U., n. 12210/2022). In particolare, la “correzione” suppone l'esattezza della decisione giudiziale, nonostante l'erroneità dei dati indicati per una mera svista, mentre se il decisum si dice erroneo per effetto di una errata percezione delle risultanze di fatto da parte del giudice, il rimedio che si presta astrattamente è, piuttosto, quello della revocazione per errore di fatto (Cass. VI-2, n.38629/2021). BibliografiaLuiso-Sassani, La riforma del processo civile, Milano, 2006; Punzi, Il processo civile. Sistema e problematiche, II, Torino, 2010. |