Codice di Procedura Civile art. 341 - Giudice dell'appello (1).

Mauro Di Marzio

Giudice dell'appello (1).

[I]. L'appello contro le sentenze del giudice di pace e del tribunale si propone rispettivamente al tribunale e alla corte di appello nella cui circoscrizione ha sede il giudice che ha pronunciato la sentenza.

(1) Articolo così sostituito dall'art. 73 d.lg. 19 febbraio 1998, n. 51, con effetto, ai sensi dell'art. 247 comma 1 dello stesso decreto quale modificato dall'art. 1 l. 16 giugno 1998, n. 188, dal 2 giugno 1999. Precedentemente l'articolo era stato sostituito dall'art. 6 l. 30 luglio 1984, n. 399, e poi modificato, con l'aggiunta del secondo comma, dall'art. 34 l. 21 novembre 1991, n. 374. Il testo recitava: «[I]. L'appello contro le sentenze del pretore e del tribunale si propone rispettivamente al tribunale e alla corte di appello nella cui circoscrizione ha sede il giudice che ha pronunciato la sentenza. [II]. L'appello contro le sentenze del giudice di pace si propone al tribunale nel cui circondario ha sede il giudice che ha pronunciato la sentenza».

Inquadramento

Allo stato attuale, a seguito della soppressione dell'ufficio del pretore, sono confluiti dinanzi alle corti d'appello tutti gli appelli contro le sentenze del tribunale e degli ex pretori, che in precedenza erano ripartiti tra corti d'appello e tribunali.

Dal punto di vista della competenza verticale, il giudice di appello, che fisiologicamente è un giudice di grado superiore rispetto a quello che ha pronunciato la sentenza impugnata, è il tribunale (in composizione monocratica) per le sentenze del giudice di pace (nella misura in cui esse siano appellabili, per il che si rinvia al commento dell'art. 339) e la corte d'appello per le sentenze del tribunale, sia in caso di decisione monocratica che collegiale secondo la disciplina dell'art. 50-bis.

Territorialmente competente è rispettivamente il tribunale (o eventualmente la sezione distaccata, fintanto che esse saranno operanti: art. 48-ter dell'ordinamento giudiziario di cui al r.d. n. 12/1941, e successive modificazioni) o la corte d'appello nel cui ambito territoriale è stata pronunciata la sentenza impugnata. Era per lo più ritenuto, in passato, che l'individuazione del giudice di appello territorialmente competente, ex art. 341, attenesse ad una «competenza» territoriale del tutto sui generis, che prescinde dai comuni criteri di collegamento tra una causa e un luogo: dipende indefettibilmente dalla sede del giudice a quo, sicché è dotata di un carattere prettamente funzionale. Si tratta perciò di una competenza inderogabile e rilevabile d'ufficio, il cui rilievo non è sottoposto alla barriera preclusiva prevista dall'art. 38Da ultimo è stato però stabilito che nel giudizio di appello la disciplina dell'incompetenza non soggiace ad un regime diverso da quello previsto per tutte le competenze dall'art. 38. Ne consegue che il potere della parte convenuta di eccepire l'incompetenza del giudice del gravame deve ancorarsi alla comparsa di risposta tempestivamente depositata, cosi come quello del giudice di rilevare d'ufficio la propria incompetenza si deve ritenere collegato all'omologo in appello dell'udienza di cui all'art. 183 e, dunque, all'udienza ex art. 350 (Cass n. 11118/2020).

Le controversie di cui sia parte un'amministrazione dello Stato sono attribuite in grado d'appello al giudice del luogo ove ha sede l'ufficio dell'Avvocatura dello Stato nel cui distretto si trova il giudice di primo grado che ha emesso la sentenza impugnata (art. 7, comma 2, r.d. n. 1611/1933).

La regola del «foro erariale» non è però applicabile ai giudizi di appello in materia di sanzioni amministrative (sul tema v. Costantino, 2011, 444).

Se l'appello è proposto dinanzi al giudice territorialmente incompetente, ritiene la prevalente giurisprudenza, in conformità a parte della dottrina (Luiso, 1987, 365), si debba fare applicazione del generale principio che riconosce effetto conservativo alla proposizione della domanda a giudice incompetente.

Perciò, il giudice d'appello territorialmente incompetente — salvo non sussistano diversi profili di inammissibilità, quale, innanzitutto, la tardività dell'appello — deve provvedere non già dichiarando l'inammissibilità dell'impugnazione, bensì dichiarando la propria incompetenza e rimettendo le parti al giudice competente, dinanzi al quale il giudizio di appello dovrà essere riassunto in ossequio all'art. 50: sicché l'effetto conservativo si realizzerà in caso di riassunzione effettuata tempestivamente.

In tal senso si sono definitivamente pronunciate di recente le Sezioni Unite, stabilendo che l'appello proposto davanti ad un giudice diverso, per territorio o grado, da quello indicato dall'art. 341 non determina l'inammissibilità dell'impugnazione, ma è idoneo ad instaurare un valido rapporto processuale, suscettibile di proseguire dinanzi al giudice competente attraverso il meccanismo della translatio iudicii (Cass. S.U. , n. 18121/2016).

Tale regola — guardando al prevalente dato giurisprudenziale — non trova però applicazione né in caso di errore sull'individuazione del mezzo d'impugnazione (es. proposizione del ricorso per cassazione in luogo dell'appello), né in caso di errore sull'individuazione del grado di appartenenza del giudice di appello (es. appello proposto al tribunale in luogo della corte d'appello). In tali ultime ipotesi l'appello va dunque dichiarato inammissibile, senza che possa dunque darsi corso alla translatio iudicii ai sensi dell'art. 50, e può essere riproposto.

Riassumendo alcuni principi affermati dalla giurisprudenza, occorre rammentare che la competenza territoriale del giudice d'appello è inderogabile e l'incompetenza è rilevabile in cassazione (Cass. n. 1937/1989, Cass. n. 4829/1989); il rilievo dell'incompetenza non è sottoposto ai limiti temporali previsti dall'art. 38 (Cass. S.U., n. 23594/2010); contro le sentenze del giudice di pace si propone appello al tribunale monocratico, ma se decide il collegio la nullità è sanabile (Cass. n. 1658/2004); contro le sentenze del giudice di pace in materia di sanzioni amministrativa, non opera, ai fini dell'individuazione del tribunale competente per l'appello, il criterio del «foro erariale» (Cass. S.U., n. 23594/2010); la La regola stabilita dalla norma si estende alla sentenza non definitiva pur dopo la pronuncia della pronuncia definitiva (Cass. n. 13264/2000); se, tra la sentenza non definitiva e quella definitiva la competenza cambia, occorre avere riguardo al momento di pronuncia di quest'ultima (Cass. n. 12696/2005); la regola stabilita dalla norma si estende, a seguito della riforma del giudice unico, alle sentenze del pretore oggetto di ricorso in appello in sede di rinvio dalla cassazione (Cass. n. 12838/1999; Cass. n. 12836/1999; Cass. n. 750/2000; Cass. n. 1083/2000; Cass. n. 745/2000; Cass. n. 577/2001; non dà luogo ad una questione di competenza la proposizione dell'appello contro sentenza del giudice di pace alla sezione distaccata del tribunale anziché alla sede centrale (Cass. n. 9915/2000); se l'appello è inammissibile, perché proposto dinanzi a giudice di grado inferiore a quello del giudice competente, esso può essere reiterato dinanzi al giudice competente, ma solo entro il termine «breve» (Cass. n. 19047/2003).

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