Codice di Procedura Civile art. 366 - Contenuto del ricorso 1 .

Loredana Nazzicone
aggiornato da Mauro Di Marzio

Contenuto del ricorso 1.

[I]. Il ricorso deve contenere, a pena di inammissibilità [375 1, 387]:

1) l'indicazione delle parti;

2) l'indicazione della sentenza o decisione impugnata;

3) la chiara esposizione dei fatti della causa essenziali alla illustrazione dei motivi di ricorso2;

4) la chiara e sintetica esposizione dei motivi per i quali si chiede la cassazione, con l'indicazione delle norme di diritto su cui si fondano3;

5) l'indicazione della procura, se conferita con atto separato [82 2-3] e, nel caso di ammissione al gratuito patrocinio, del relativo decreto;

6) la specifica indicazione, per ciascuno dei motivi, degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali il motivo si fonda e l'illustrazione del contenuto rilevante degli stessi45.

 

 

[II]. Nel caso previsto nell'articolo 360, secondo comma, l'accordo delle parti deve risultare mediante visto apposto sul ricorso dalle altre parti o dai loro difensori muniti di procura speciale, oppure mediante atto separato, anche anteriore alla sentenza impugnata, da unirsi al ricorso stesso6.

 

 

[1] Articolo così sostituito dall'art. 5 d.lg. 2 febbraio 2006, n. 40, a far data dal 2 marzo 2006. Per la disciplina transitoria v. il secondo comma dell'art. 27. Il testo dell'articolo recitava: «[I]. Il ricorso deve contenere, a pena d'inammissibilità: 1) l'indicazione delle parti; 2) l'indicazione della sentenza o decisione impugnata; 3) l'esposizione sommaria dei fatti della causa; 4) i motivi per i quali si chiede la cassazione, con l'indicazione delle norme di diritto su cui si fondano; 5) l'indicazione della procura, se conferita con atto separato e, nel caso di ammissione al gratuito patrocinio, del relativo decreto. [II]. Se il ricorrente non ha eletto domicilio in Roma, le notificazioni gli sono fatte presso la cancelleria della Corte di cassazione. [III]. Nel caso previsto nell'articolo 360, secondo comma, l'accordo delle parti deve risultare mediante visto apposto sul ricorso dalle altre parti o dai loro difensori muniti di procura speciale, oppure mediante atto separato da unirsi al ricorso stesso». Precedentemente l'articolo era stato modificato dall'art. 3 l. 18 ottobre 1977, n. 793.

[2] Numero sostituito dall'art. 3, comma 27, lett. d), num. 1) d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, il testo precedente alla sostituzione era il seguente: <<3) l'esposizione sommaria dei fatti della causa;>>. Per la disciplina transitoria v. art. 35 d.lgs. n. 149/2022, come sostituito dall'art. 1, comma 380, lettera a), l. 29 dicembre 2022, n. 197, che prevede che : "5. Salvo quanto disposto dal comma 6, le norme del capo III del titolo III del libro secondo del codice di procedura civile e del capo IV delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie, di cui al regio decreto 18 dicembre 1941, n. 1368, come modificati dal presente decreto, hanno effetto a decorrere dal 1° gennaio 2023 e si applicano ai giudizi introdotti con ricorso notificato a decorrere da tale data".

[3] Numero sostituito dall'art. 3, comma 27, lett. d), num. 1) d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, il testo precedente alla sostituzione era il seguente: <<4) i motivi per i quali si chiede la cassazione, con l'indicazione delle norme di diritto su cui si fondano, secondo quanto previsto dall'articolo 366-bis;>>. Per la disciplina transitoria v. art. 35 d.lgs. n. 149/2022, come sostituito dall'art. 1, comma 380, lettera a), l. 29 dicembre 2022, n. 197, che prevede che : "5. Salvo quanto disposto dal comma 6, le norme del capo III del titolo III del libro secondo del codice di procedura civile e del capo IV delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie, di cui al regio decreto 18 dicembre 1941, n. 1368, come modificati dal presente decreto, hanno effetto a decorrere dal 1° gennaio 2023 e si applicano ai giudizi introdotti con ricorso notificato a decorrere da tale data".

[4] Numero sostituito dall'art. 3, comma 27, lett. d), num. 1) d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, il testo precedente alla sostituzione era il seguente:<<6) la specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda.>> Per la disciplina transitoria v. art. 35 d.lgs. n. 149/2022, come sostituito dall'art. 1, comma 380, lettera a), l. 29 dicembre 2022, n. 197, che prevede che : "5. Salvo quanto disposto dal comma 6, le norme del capo III del titolo III del libro secondo del codice di procedura civile e del capo IV delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie, di cui al regio decreto 18 dicembre 1941, n. 1368, come modificati dal presente decreto, hanno effetto a decorrere dal 1° gennaio 2023 e si applicano ai giudizi introdotti con ricorso notificato a decorrere da tale data".

[5] Seguiva un comma abrogato dall'art. 3, comma 27, lett. d), num. 2) d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149. Per la disciplina transitoria v. art. 35 d.lgs. n. 149/2022, come sostituito dall'art. 1, comma 380, lettera a), l. 29 dicembre 2022, n. 197, che prevede che : "5. Salvo quanto disposto dal comma 6, le norme del capo III del titolo III del libro secondo del codice di procedura civile e del capo IV delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie, di cui al regio decreto 18 dicembre 1941, n. 1368, come modificati dal presente decreto, hanno effetto a decorrere dal 1° gennaio 2023 e si applicano ai giudizi introdotti con ricorso notificato a decorrere da tale data". Il testo del comma, come da ultimo modificato dall'art. 25 della l. 12 novembre 2011, n. 183,   era il seguente: «Se il ricorrente non ha eletto domicilio in Roma ovvero non ha indicato l'indirizzo di posta elettronica certificata comunicato al proprio ordine, le notificazioni gli sono fatte presso la cancelleria della Corte di cassazione.>>.

[6] Seguiva un  comma  abrogato dall'art. 3, comma 27, lett. d), num. 2) d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149. Per la disciplina transitoria v. art. 35 d.lgs. n. 149/2022, come sostituito dall'art. 1, comma 380, lettera a), l. 29 dicembre 2022, n. 197, che prevede che : "5. Salvo quanto disposto dal comma 6, le norme del capo III del titolo III del libro secondo del codice di procedura civile e del capo IV delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie, di cui al regio decreto 18 dicembre 1941, n. 1368, come modificati dal presente decreto, hanno effetto a decorrere dal 1° gennaio 2023 e si applicano ai giudizi introdotti con ricorso notificato a decorrere da tale data". Il testo del comma, come da ultimo sostituito dall'art. 25, comma 1, lett. i, l. 12 novembre 2011, n. 183, era il seguente: «Le comunicazioni della cancelleria e le notificazioni tra i difensori di cui agli articoli 372 e 390 sono effettuate ai sensi dell'articolo 136, secondo e terzo comma>>.

Inquadramento

La disposizione si compone di due parti, alquanto eterogenee fra loro: l'una volta ad indicare i contenuti del ricorso e la seconda a disciplinare notificazioni e comunicazioni.

Se quest'ultima contiene prescrizioni pratiche, la prima ha un significato ulteriore: quello — quasi didattico — di sensibilizzare il professionista che intenda accedere alla Cassazione alle esigenze della chiarezza espositiva e della completezza del ricorso, che deve essere self contained e recare tutto quanto occorre al giudice di legittimità per comprendere la questione di diritto portata al suo esame. Al riguardo la norma è stata fatta oggetto della riforma del 2022 (d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149), che vi ha apportato modificazioni, del tutto inutili, al fine di valorizzare, con riguardo ai nn. 3 e 4, il principio di chiarezza e sitìnteticità, e che è da auspicare non si rivelino controproducenti.

La c.d. «riforma Cartabia» ha poi introdotto inoltre ulteriori modifiche nel n. 6, laddove è stata precisata la latitudine del principio di autosufficienza, la quale richiede «la specifica indicazione, per ciascuno dei motivi, degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali il motivo si fonda, illustrando il contenuto rilevante degli stessi».

La S.C. ha ben puntualizzato che l'obiettivo della norma è attribuire rilevanza allo scopo del processo, costituito dalla tendenza alla finalizzazione ad una decisione al cd. fondo delle questioni, al duplice fine di assicurare un'effettiva tutela del diritto di difesa della parte (artt. 24, 111 Cost., art. 6 CEDU), e di evitare di gravare sia lo Stato, sia le parti di oneri processuali superflui, donde, per il difensore — specialista del giudizio di cassazione — l'adempimento del preciso dovere processuale, il cui mancato rispetto espone il ricorrente al rischio di una declaratoria d'inammissibilità dell'impugnazione (cfr. es. Cass. n. 17698/2014; Cass. n. 19100/2006).

La norma contiene il “modello” di ricorso e vale anche per il controricorso ed il ricorso incidentale (Cass. n. 4249/2015; Cass. n. 6122/2014). I requisiti di forma-contenuto indicati sono condizioni formali di ammissibilità del ricorso o del singolo motivo, ove il vizio affetti solo uno o alcuni di essi (Cass. S.U., n. 16887/2013).

Si noti che la norma non richiede che siano anche indicate le “conclusioni”: il ricorso per cassazione, infatti, prevede solo che siano indicati, a pena di inammissibilità, i motivi per i quali si chiede la cassazione, sicché l'esplicita enunciazione delle conclusioni, ossia la richiesta della cassazione della sentenza, per essere la naturale e, per così dire, necessaria conseguenza, sul piano logico-giuridico, dell'attività assertiva espressa dai “motivi” del ricorso, non assurge a requisito essenziale di forma-contenuto del ricorso per cassazione, quale sua parte strutturale indefettibile, in quanto la volontà, da parte di chi impugna, di ottenere la cassazione della sentenza è desumibile, con certezza, dall'intero contenuto del ricorso medesimo (Cass. n. 2912/2019, che cita, in motiv., la remota Cass. n. 3596/1971).

A questa norma va correlato l'art. 369, n. 4 (v.): in sede di deposito del ricorso, devono essere prodotti gli atti e i documenti su cui esso si fonda.

I motivi di ricorso, per essere ammissibili, devono essere specifici ed autosufficienti.

La Cassazione (fra le altre, Cass. n. 10112/2018) ha osservato che il requisito della specificità non è, a rigore, espressamente contemplato dal codice di rito per il ricorso per cassazione (mentre per l'appello provvede l'art. 342), ma ciò solo perché il motivo di ricorso per cassazione non può, per ragioni intrinseche, che essere specifico, giacché diretto a demolire il provvedimento impugnato in ragione della sussistenza di uno dei vizi normativamente previsti, con la conseguente necessità di individuare il vizio e spiegare in qual modo esso si annida nella decisione impugnata: un motivo di cassazione non specifico è per definizione un non-motivo. L' autosufficienza è, più propriamente, il requisito richiesto dalla norma in commento.  A tal riguardo, tale principio deve essere modulato, in conformità alle indicazioni della sentenza Corte EDU del 28 ottobre 2021 (causa Succi ed altri c/Italia), secondo criteri di sinteticità e chiarezza, realizzati dal richiamo essenziale degli atti e dei documenti per la parte d'interesse, in modo da contemperare il fine legittimo di semplificare l'attività del giudice di legittimità e garantire al tempo stesso la certezza del diritto e la corretta amministrazione della giustizia(Cass. n. 8117/2022).

Ai sensi dell'art. 387 (v.), dalla dichiarazione di inammissibilità del ricorso deriva l'impedimento alla sua riproposizione, anche se i termini non siano ancora scaduti; non così, ove l'inammissibilità (o l'improcedibilità) non sia stata ancora dichiarata dalla Suprema Corte ed esso sia tempestivo, ossia proposto nel termine breve, decorrente dalla data di proposizione della prima impugnazione (Cass. n. 2848/2015; Cass. n. 18604/2014; Cass. n. 7344/2012; Cass. n. 22957/2010; con riguardo all'atto di appello, Cass. S.U., n. 12084/2016;Cass. n. 9265/2010). Si veda, sul punto, l'ordinanza di rimessione (Cass., ord. interl., n. 9782/2015, risolta dalla citata Cass. S.U., n. 12084/2016), con riguardo alla questione ivi posta di massima di particolare importanza, ossia se siano equipollenti, ai fini della decorrenza del termine breve per la riproposizione dell'impugnativa inammissibile o improcedibile, la notificazione dell'impugnazione e quella della sentenza.

Il 17 dicembre 2015 è stato sottoscritto un Protocollo d'intesa tra la Corte di cassazione ed il Consiglio nazionale forense, nel quale viene riassunto il modello ottimale di ricorso per cassazione, le cui regole si riflettono sulla stessa ammissibilità del ricorso.

Esso pone in evidenza le regole di redazione del ricorso, con l'esigenza che: 1) ciascun motivo articolato nel ricorso risponda ai criteri di specificità imposti dal codice di rito; 2) nel testo di ciascun motivo che lo richieda sia indicato l'atto, il documento, il contratto o l'accordo collettivo su cui si fonda il motivo stesso, ai sensi della norma ora in commento, con la specifica indicazione del punto dell'atto, del documento, del contratto o dell'accordo collettivo al quale ci si riferisce; 3) nel testo di ciascun motivo che lo richieda siano indicati il tempo (atto di citazione o ricorso originario, costituzione in giudizio, memorie difensive, ecc.) del deposito dell'atto, del documento, del contratto o dell'accordo collettivo e la fase (primo grado, secondo grado, ecc.) in cui esso è avvenuto; 4) siano allegati al ricorso (in apposito fascicoletto, che va pertanto ad aggiungersi all'allegazione del fascicolo di parte relativo ai precedenti gradi del giudizio), ai sensi dell'art. 369, comma 2, n. 4, c.p.c., gli atti, i documenti, il contratto o l'accordo collettivo ai quali si sia fatto riferimento nel ricorso e nel controricorso.

La Cassazione (Cass. n. 10112/2018), sia pure in un mero passaggio incidentale, reputando il ricorso inammissibile per violazione dell'art. 366 c.p.c., in ragione del difetto dei requisiti di specificità e di autosufficienza, ha chiarito che l'inammissibilità «non discende, ovviamente, dalla violazione del protocollo, che è di per sé privo di efficacia normativa: ma il Protocollo testimonia di un condiviso orientamento interpretativo che ha la sua base nel dato normativo, sia per quanto attiene all'esigenza di specificità, sia per quanto attiene all'esigenza di autosufficienza, sicché legittima l'interpretazione della norma in conformità al protocollo, con l'ulteriore conseguenza che la violazione delle regole del protocollo dà luogo ad inammissibilità laddove esso rifletta opzioni interpretative di quel dato». La conclusione è che la violazione delle regole per la redazione del ricorso per cassazione secondo il Protocollo dà luogo ad inammissibilità laddove tale violazione «implica la violazione – non già, ovviamente, del Protocollo in sé, bensì – del dato normativo di riferimento nell'interpretazione recepita nello stesso Protocollo».

Anche la Cassazione penale (Cass. pen. II, n. 57737/2018Cass. pen. II, n. 24576/2018Cass. pen. VI, n. 57224/2017) ha ritenuto che, al fine della valutazione dell'ammissibilità dei motivi di ricorso, va considerato quale strumento esplicativo del dato normativo dettato dall'art. 606 c.p.p. il Protocollo d'intesa tra corte di cassazione e consiglio nazionale forense sulle regole redazionali dei motivi di ricorso in materia penale, sottoscritto il 17 dicembre 2015.

Riferimento al Protocollo si trova anche in altre decisioni, a diversi fini. Ad esempio, con esso si giustifica sia il deposito di una memoria (Cass. n. 12803 /2019), sia la condanna alle spese, in ipotesi della predisposizione della memoria da parte del controricorrente, con riguardo alla previsione, ivi contenuta, secondo cui per i ricorsi già depositati alla data del 30 ottobre 2016 e per i quali venga successivamente fissata l'adunanza camerale, l'intimato che non abbia proceduto a notificare e a depositare il controricorso nei termini di cui all'art. 370 c.p.c., ma che, in base alla pregressa normativa, avrebbe ancora avuto la possibilità di partecipare alla discussione orale, possa, per sopperire al venir meno di siffatta facoltà, presentare memoria, munita di procura speciale, nei medesimi termini entro i quali può farlo il controricorrente (v. Cass. n. 956/2019).

Indicazione delle parti e del provvedimento impugnato

Si tratta di requisiti minimali: la regola è che l'inammissibilità deriva solo dall'assoluta incertezza sull'identificazione delle parti o del provvedimento oggetto d'impugnazione.

L'erronea indicazione in epigrafe delle generalità del ricorrente non comporta l'inammissibilità dell'impugnazione ove l'effettiva identità del suo autore risulti dall'intestazione della sentenza impugnata, da quella del ricorso e dalla procura speciale (Cass. n. 14662/2015; e v. Cass. n. 21786/2015). Va da sé che l'omessa indicazione, nel ricorso per cassazione o nella relativa procura speciale, del codice fiscale o della partita IVA del ricorrente non ne determina la nullità, non essendo essa prescritta dall'art. 366, comma 1, n. 1, c.p.c. e potendosi, in ogni caso, risalire all'identità della parte attraverso la menzione dei dati anagrafici o della sede, se si tratti di società (Cass. S.U., n. 5303/2024).

Pertanto, l'indicazione, nell'epigrafe del ricorso, di un cognome diverso da quello effettivo della parte non lo rende  inammissibile, se questa sia individuabile senza equivoci, mediante i dati della sentenza impugnata (Cass. n. 16861/2018). 

Tra i rarissimi casi in cui è stata ritenuta la violazione della previsione in discorso si annovera la decisione che ha stabilito essere inammissibile il ricorso per cassazione, ai sensi dell'art. 366, comma 1, n. 1, c.p.c., quando manchi un'espressa indicazione della parte contro la quale è proposto e vi siano due notificazioni dirette a soggetti diversi, sicché non è possibile al lettore individuare il destinatario del ricorso, neppure nel soggetto cui l'atto sia stato notificato (Cass. n. 2234/2022).

Si ricorda che, dovendo partecipare al giudizio di cassazione gli stessi soggetti che erano parti del giudizio di merito, il successore a titolo universale o particolare, qualora proponga ricorso per cassazione, deve allegare e provare la propria legitimatio ad causam (Cass. n. 24050/2019; Cass. S.U., n. 9692/2013; Cass. n. 1943/2011 ), oltre a dovere naturalmente notificare il proprio atto alla controparte (Cass. n. 19172/2019), essendo ammesso il secondo, peraltro, a partecipare al giudizio di cassazione soltanto nell'ipotesi di mancata costituzione del dante causa (Cass. n. 25423/2019; Cass. n. 33444/2018). Mentre si esclude l'intervento del terzo, mancando un'espressa previsione  che lo preveda (Cass. n. 6774/2022; Cass. n. 5987/2021 Cass. n. 25423/2019; Cass. n. 20565/2018; Cass. n. 5759/2016).Laddove ammissibile, l’intervento deve avvenire attraverso un atto che sia partecipato alla controparte, mediante notificazione, al fine di assicurarle il contraddittorio sulla sopravvenuta partecipazione al giudizio di altro soggetto (Cass. n. 13118/2024). Per ulteriori indicazioni, v., quanto alla posizione del controricorrete, sub art. 370, e, circa la produzione documentale necessaria, sub art. 372.

È infondata l'eccezione di inammissibilità del ricorso per cassazione, per recare una errata intestazione della parte intimata, qualora esso sia stato notificato proprio al soggetto che era stato parte in causa nel giudizio conclusosi con la sentenza impugnata e che, resistendo nel grado di giudizio dì legittimità, dopo avere proposto l'eccezione per il motivo sopra esposto, si sia difeso, restando invero la nullità dell'atto di impugnazione sanata ai sensi dell'art. 156 c.p.c., non potendovi essere incertezza circa il destinatario  (Cass. n. 2827/2018; Cass. n. 13620/2007).

Il ricorso è stato ritenuto inammissibile, invece, in un caso in cui, mancando l'espressa indicazione della controparte, esso era stato notificato a due soggetti diversi (Cass. n. 13952/2014; Cass. n. 14707/2006); peraltro, si ammette pure che le parti risultino implicitamente dal contesto del ricorso, ma non dalla relazione di notificazione, che è dichiarazione dell'ufficiale giudiziario (Cass. n. 19286/2009).

La sentenza impugnata deve parimenti essere individuabile in modo certo (Cass. n. 7053/2009) onde l'erronea indicazione dei suoi estremi non comporta inammissibilità ove sia individuabile con sicurezza (Cass. n. 20324/2014, in tema di appello, ma con principio estensibile al ricorso per cassazione). E però, il deposito da parte del ricorrente di copia della sentenza impugnata, priva del numero di pubblicazione, non determina l'improcedibilità del ricorso ove dalla stessa sia possibile desumere gli elementi sufficienti per la relativa identificazione, quali la data di deliberazione e il numero di ruolo del giudizio di merito (Cass. n. 865/2024).

Esposizione dei fatti

Sono i fatti della controversia, sia sostanziali sia processuali, i quali vanno esposti, tuttavia, solo in quanto rilevanti per la decisione di legittimità e, in ogni caso, in modo sommario, ossia riassuntivo. Si narrino, dunque, ma con congrua sintesi, le domande introduttive, le vicende del primo grado e del grado d'appello, con la relativa decisione: il tutto, quale premessa per l'esposizione dei motivi del ricorso. Il disposto dell'art. 366, comma 1, n. 3, c.p.c. - secondo cui il ricorso per cassazione deve contenere, a pena di inammissibilità, l'esposizione sommaria dei fatti di causa - non risponde ad un'esigenza di mero formalismo, bensì a consentire alla S.C. di conoscere dall'atto, senza attingerli aliunde, gli elementi indispensabili per una precisa cognizione dell'origine e dell'oggetto della controversia, dello svolgimento del processo e delle posizioni in esso assunte dalle parti; per soddisfare tale requisito occorre che il ricorso per cassazione contenga, in modo chiaro e sintetico, l'indicazione delle reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le hanno giustificate, delle eccezioni, delle difese e delle deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, dello svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni e, dunque, delle argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si è fondata la sentenza di primo grado, delle difese svolte dalle parti in appello e, infine, del tenore della sentenza impugnata (Cass. n. 1352/2024).

Se manca l'esposizione dei fatti di causa e del contenuto del provvedimento impugnato, il ricorso è inammissibile (Cass. S.U., n. 11308/2014; Cass. n. 18421/2009; Cass. n. 15808/2008; Cass. n. 2097/2007). È evidente, infatti, che l'esposizione sommaria dei fatti sostanziali e processuali della vicenda è funzionale alla stessa comprensione dei motivi nonché alla verifica dell'ammissibilità, pertinenza e fondatezza delle censure proposte (Cass. n. 10072/2018). La sentenza delle S.U. da ultimo citata afferma testualmente che tale mancanza non può essere superata attraverso l'esame delle censure in cui si articola il ricorso, non essendone garantita l'esatta comprensione in assenza di riferimenti alla motivazione del provvedimento censurato, né attraverso l'esame di altri atti processuali, ostandovi il principio di autonomia del ricorso per cassazione (da ult. tra le molte nell'identico senso Cass. n. 6611/2022). Ma occorre riconoscere che la S.C. si muove al riguardo in ordine sparso, sicché non mancano pronunce eterodosse secondo cui l'esposizione dei fatti di causa può anche emergere dallo svolgimento dei motivi (Cass. n. 17036/2018; Cass. n. 15478/2014; Cass. n. 16315/2007)

Omettere di esporre, nella parte del ricorso espressamente qualificata come esposizione dei fatti, le ragioni giuridiche sulla base delle quali la domanda era stata introdotta, non assolve al requisito richiesto dalla norma(Cass. n. 10072/2018; Cass. n. 5640/2018; Cass. n. 18887/2017).

Per altro verso è da evitare — anche per non impingere subito nella sospetta riproposizione del giudizio di fatto — la pedissequa riproduzione dell'intero letterale contenuto degli atti processuali: essa è superflua ed anzi controproducente, finendo per affidare alla Corte la scelta di quanto effettivamente rileva, in quanto si può in tutto equiparare al mero rinvio agli atti stessi, onde rende il ricorso parimenti inammissibile (Cass. n. 26277/2013; Cass. n. 22792/2013; Cass. n. 21137/2013; Cass. n. 17002/2013; Cass. n. 19357/2012; Cass. S.U., n. 5698/2012; Cass. n. 1905/2012), anche se sia riportato, ma senza alcuna necessità, ogni singolo accadimento processuale, sia pure con narrazione propria (Cass., n. 18962/2017) ed anche quando gli atti precedenti siano stati uniti al ricorso mediante “spillatura” (Cass. S.U. , n. 16628/2009) o siano stati assemblati nel ricorso (Cass. n. 22185/2015; Cass. n. 10244/2013; Cass. n. 17168/2012;Cass.S.U. , n. 5698/2012). Mentre il ricorso è “salvo” se, nonostante l'inserimento di copie fotostatiche o scannerizzate, sia presente comunque una chiara sintesi dei punti rilevanti (Cass. n. 8245/2018; Cass. S.U. , n. 4324/2014), alla quale non è idoneo l'avere unicamente inserito brevissime proposizioni di collegamento fra le riproduzioni (Cass. n. 18020/2013); ed è stato reputato ammissibile altresì il ricorso per cassazione che, instaurato per censurare la liquidazione delle spese processuali, presenti inseriti, con la tecnica dell'assemblaggio, gli atti e i verbali dei giudizi di merito attestanti l'attività difensiva svolta e le corrispondenti voci della tariffa professionale violate, ancorché non risulti depositata la nota spese (Cass. n. 22991/2017).

Riassumendo, il ricorso per cassazione redatto mediante la giustapposizione di una serie di documenti integralmente riprodotti è inammissibile per violazione del principio di autosufficienza, il quale postula che l'enunciazione dei motivi e delle relative argomentazioni sia espressa mediante un discorso linguistico organizzato in virtù di una concatenazione sintattica di parole, frasi e periodi, sicché, senza escludere radicalmente che nel contesto dell'atto siano inseriti documenti finalizzati alla migliore comprensione del testo, non può essere demandato all'interprete di ricercare gli elementi rilevanti all'interno dei menzionati documenti, se del caso ricostruendo una connessione logica tra gli stessi, non esplicitamente affermata dalla parte (Cass. n. 33353/2023).

Ove, così, si denunci la mancata pronuncia su motivi d'appello, è necessario riportarli in ricorso (Cass. n. 17049/2015; Cass. n. 21083/2014; Cass. n. 14561/2012).

Qualora una determinata questione, che implichi accertamenti di fatto, non risulti trattata in alcun modo nella decisione impugnata, il ricorrente, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l'onere non solo di allegare l'avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche di indicare, per il principio di autosufficienza, in quale modo e in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto (Cass. n. 16347/2018; Cass. n. 27568/2017; Cass. n. 12992/2010; Cass. n. 22540/2006).

Trattandosi di allegazioni che la legge vuole siano contenute nel ricorso, è tardiva l'integrazione successiva con le memorie di cui agli artt. 378, 380-bis  e 380-bis.1, ovvero ai sensi dell'art. 372, comma 2, che consente la produzione di documenti rilevanti per dimostrare la situazione allegata nel ricorso e non l'ingresso di nuove allegazioni (Cass. n. 6188/2014, con riguardo ai fatti che determinano la sospensione feriale dei termini). 

In dottrina, si segnala che “indicare” non è sinonimo di “trascrivere”, onde il ricorso contiene solo i passi salienti per esprimere compiutamente la critica e poterne valutare la decisività, nonché indica atti e documenti (Caponi, in Foro it., 2011, I, 1181).

Illustrazione dei motivi

Nel rinviare anche al commento all'art. 360, si ricorda che il ricorso per cassazione è ancorato rigidamente ad uno dei cinque vizi del provvedimento impugnato ivi previsti, cui ciascuna doglianza deve poter essere agevolmente ricondotta la legge impone, altresì, l'indicazione delle norme violate.

Ogni motivo deve essere autosufficiente, ossia intellegibile da solo, senza il ricorso ad elementi esterni.

Il vizio va dedotto mediante valutazione comparativa fra opposte soluzioni, evidenziando le ragioni per cui non si condividono quelle esposte nel provvedimento impugnato (Cass. n. 287/2016; Cass. n. 16760/2015Cass. n. 16038/2013; Cass. n. 3010/2010).

Occorre poi considerare il canone, costantemente affermato dal giudice di legittimità, secondo cui il motivo d'impugnazione è costituito dall'enunciazione delle ragioni per le quali la decisione è erronea e si traduce in una critica della decisione impugnata, non potendosi, a tal fine, prescindere dalle motivazioni poste a base del provvedimento stesso, la mancata considerazione delle quali comporta la nullità del motivo per inidoneità al raggiungimento dello scopo, che, nel giudizio di cassazione, risolvendosi in un “non motivo”, è sanzionata con l'inammissibilità ai sensi dell'art. 366, comma 1, n. 4, (cfr., ex multisCass. n. 9450/2024; Cass. n. 1341/2024;  Cass. S.U., n.  20501/2019; Cass. n. 454/2019; Cass. n. 447/2019; Cass. n. 22478/2018; Cass. n. 20910/2017; Cass. n. 17330/2015;Cass. n. 187/2014; Cass. n. 11984/2011).

Ovvio, poi, che, in caso di decisione sorretta da una pluralità di rationes dedicendi, ciascuna delle quali idonea a sostenerla, la critica della decisione impugnata deve attingere ciascuna di dette rationes,  rimanendo altrimenti essa ferma sulla base della ratio non censurata (da ult. Cass. n. 5102/2024, espressione di un indirizzo consolidato).

Sotto tale profilo, giova ricordare le puntualizzazioni, in punto di tecnica di formulazione del motivi, rese dalla S.C. (Cass. n. 5001/2018).

Già in precedenza, è principio costantemente affermato dal giudice di legittimità che il motivo ha l'onere di enunciare le ragioni della dedotta erroneità della decisione, onde non può prescindere dall'esame delle ragioni poste a base del provvedimento stesso (Cass. n. 454/2019; Cass. n. 447/2019; Cass. n. 22478/2018; Cass. n. 20910/2017; Cass. n. 17330/2015Cass. n. 187/2014; Cass. n. 11984/2011), dal momento che la proposizione di censure prive di specifica attinenza al decisum integra mancanza di motivi riconducibili al paradigma di cui all'art. 366 c.p.c. (Cass. n. 830/2019Cass. n. 508/2019; Cass. n. 13483/2018; Cass. n. 5478/2018; Cass. n. 24765/2017; Cass. n. 11637/2016; Cass. n. 8569/2013; Cass. 20652/2009Cass. n. 17125/2007).

Ne deriva che, perché si possa valutare la conformità della decisione impugnata alla giurisprudenza della Corte, occorre che il ricorso contenga  l'esame della decisione impugnata alla luce di tale giurisprudenza, e, nel caso in cui la decisione risulti ad essa conforme, proponga gli argomenti per mutarla o confermarla; in mancanza, il motivo risulterà aspecifico, non idoneo al raggiungimento dello scopo, e si infrangerà nella inammissibilità processuale menzionata.

In definitiva, la specificità del motivo, prescritta dall'art. 366, comma 1, n. 4, va calibrata in relazione alla previsione dell'art. 360-bis: norma che, in fin dei conti, ha preso il posto dell'art. 366-bis, tuttora peraltro menzionato dalla prima disposizione.

La conclusione cui la decisione giunge è che ogni motivo, col quale si denunzi una violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ai sensi dell'art. 360, comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4 (a seconda che si tratti di norme processuali o sostanziali) non può, in forza del disposto dell''art. 360-bis, essere formulato richiamando esclusivamente la norma giuridica che si assume violata, ma deve essere articolato in una serie di argomenti coerenti con quanto preteso dall'ultima menzionata disposizione. Precisa ancora la decisione: «A tal fine, va chiarito che non si tratta di pretendere dal ricorrente una illustrazione fine a se stessa della giurisprudenza di legittimità, che – ovviamente – è ben nota alla Corte; si tratta invece di prendere atto della necessità che il ricorrente, nella formulazione del motivo e ai fini della specificità dello stesso, provveda a raffrontare la decisione impugnata con tale giurisprudenza, al fine di dimostrare come la prima si ponga in contrasto con la seconda, e – qualora tale contrasto non vi sia – offra alla Corte argomenti che puntino a sollecitare un mutamento dell'orientamento giurisprudenziale esistente».

La S.C. (Cass. n. 5001/2018) ha, quindi, elencato in dettaglio gli elementi, che ogni motivo di ricorso – relativo a violazione di legge, dunque formulato per i vizi di cui all'art. 360, comma 1, nn. 1, 2, 3, 4 – deve contenere per rispettare il precetto dell'art. 366, comma 1, n. 4:

a) innanzitutto, il motivo deve indicare le norme di diritto che si assumono violate: a tal fine, il ricorrente deve esaminare il contenuto precettivo di ciascuna norma di cui denunzia la violazione, secondo il c.d. diritto vivente derivante dalla giurisprudenza della Corte suprema, non essendo consentita la nuda elencazione di articoli di legge;

b) il motivo poi deve individuare la ratio decidendi della sentenza impugnata ed operare un raffronto tra la regola giuridica applicata dai giudici di merito e la giurisprudenza della Corte suprema; tale raffronto sarà sufficiente ai fini della specificità del motivo, se il giudice di merito si è discostato dalla giurisprudenza di legittimità; ove, al contrario, il detto raffronto dimostri che il giudice di merito ha deciso in modo conforme a tale giurisprudenza, il motivo sarà inidoneo al raggiungimento del suo scopo, se il ricorrente non fornisca l'ulteriore elemento, che segue;

c) nel caso in cui la pronuncia impugnata risulti conforme alla giurisprudenza di legittimità, il motivo, infine, deve contenere argomenti per contrastare l'indirizzo giurisprudenziale seguito dai giudici di merito.

Naturalmente, tale orientamento rafforza il principio dello stare decisis.

Trattandosi di una inammissibilità che attiene alla forma-contenuto dell'atto (il ricorso per cassazione) e dipende dalla carenza degli elementi costitutivi necessari del motivo, essa ha carattere strettamente processuale; la stessa, pertanto, va valutata con riferimento al momento della proposizione del ricorso, non potendo l'inammissibilità iniziale essere sanata successivamente con la memoria presentata, a seconda dei casi, ai sensi degli artt. 378 o art. 380-bis ss.

Si noti che, se manchino delle pagine nell'originale che rendano inintellegibile il motivo, il ricorso è inammissibile, né è sanato dalla completezza della copia depositata dal resistente (Cass. n. 9262/2015).

Indicazione della procura separata

La norma riguarda la procura intesa come negozio processuale attributivo dello ius postulandi, non il negozio sostanziale attributivo dell'incarico professionale al difensore (Cass. n. 5367/2014, con riguardo alla difesa dell'avvocatura dello Stato).

Il requisito è soddisfatto, in caso di procura anteriore all'impugnazione, anche ove manchi la indicazione della data o di altri elementi, purché prodotta (Cass. n. 20812/2010; Cass. n. 12821/2014; Cass. n. 27385/2005). Si veda, per altre osservazioni, il commento all’art. 365. 

Indicazione degli atti su cui il ricorso si fonda

L'autosufficienza – o, se si preferisce, la specificità – del ricorso è espressione del principio di idoneità dell'atto processuale al raggiungimento dello scopo (art. 156, comma 2).

La regola non contrasta con il principio dell'effettività della tutela giurisdizionale, sancito dalla Cedu , in quanto è coerente con la natura di impugnazione a critica limitata e con l'assenza di istruttoria (Cass. n.7455/2013 ;Cass. S.U., n. 7161/2010), si tratta di requisiti di ammissibilità di contenuto-forma, perfettamente ammessi dalla detta convenzione europea dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, posto che essi sono individuati in modo chiaro (tanto da doversi escludere che il ricorrente in cassazione, tramite la difesa tecnica, non sia in grado di percepirne il significato e le implicazioni) ed in armonia con il principio della idoneità dell'atto processuale al raggiungimento dello scopo (Cass. n. 27/2020).

Il ricorso per cassazione — è il cd. principio di autosufficienza — deve dunque contenere in sé tutti gli elementi necessari ad integrare le ragioni per cui si chiede l'annullamento della sentenza di merito e, altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso. Perché ogni motivo si reputi ritualmente formulato, occorre dunque osservare il principio, che significa rendere intellegibile ogni passaggio della censura proposta, ivi compreso il riferimento a documenti e atti esterni, che, pertanto, devono essere riportati, per le parti rilevanti, nel ricorso e dei quali vanno indicati il tempo ed il luogo di ingresso nel processo.

Il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, ex art. 366, comma 1, n. 6), c.p.c., è compatibile, come si diceva, con il principio di cui all'art. 6, par. 1, della CEDU, qualora, in ossequio al criterio di proporzionalità, non trasmodi in un eccessivo formalismo, dovendosi, di conseguenza, ritenere rispettato ogni qualvolta l'indicazione dei documenti o degli atti processuali sui quali il ricorso si fondi, avvenga, alternativamente, o riassumendone il contenuto, o trascrivendone i passaggi essenziali, bastando, ai fini dell'assolvimento dell'onere di deposito previsto dall'art. 369, comma 2, n. 4 c.p.c., che il documento o l'atto, specificamente indicati nel ricorso, siano accompagnati da un riferimento idoneo ad identificare la fase del processo di merito in cui siano stati prodotti o formati (Cass. n. 12481/2022; Cass. S.U. n. 8950/2022). Resta fermo che il principio di autosufficienza, anche interpretato alla luce dei principi contenuti nella sentenza della Corte EDU, I, 28 ottobre 2021, non può ritenersi rispettato qualora il motivo di ricorso faccia rinvio agli atti allegati e contenuti nel fascicolo di parte senza riassumerne il contenuto al fine di soddisfare il requisito ineludibile dell'autonomia del ricorso per cassazione, fondato sulla idoneità del contenuto delle censure a consentire la decisione (Cass. n. 6769/2022).

Il senso dell’intervento contenuto nella novella del 2022 sul n. 6 della disposizione in commento, già prima ricordato, sembra essere volto per l’appunto ad armonizzare la norma con la giurisprudenza CEDU, escludendo che il rispetto del principio di autosufficienza debba necessariamente richiedere la trascrizione in ricorso del contenuto dell’atto o del documento, che, invece, sembra almeno tendenzialmente sufficiente riassumere.

Il ricorrente per cassazione ha, in definitiva, un duplice onere, imposto a pena di inammissibilità del ricorso: a) evidenziare il contenuto dell'atto rilevante, trascrivendolo o riassumendolo; b) indicare la fase processuale ed il fascicolo di parte o d'ufficio da cui esso risulti.

Ciò è stato ribadito: con riguardo alla censura, proposta per la prima volta in sede di legittimità, di difetto di legitimatio ad processum  in capo al sedicente rappresentante di una persona giuridica per difetto di potere rappresentativo (Cass. n. 10009/2018); per la denuncia del vizio d'indeterminatezza della domanda proposta in primo grado (Cass. n. 896/2014; Cass. S.U., n. 8077/2012); di violazione del giudicato esterno (Cass. n. 2617/2015; Cass. n. 16227/2014; Cass. n. 26627/2006; Cass. S.U., n. 1416/2004) o del litisconsorzio necessario, ove vi è l'onere di indicare nominalmente i soggetti pretermessi e i titoli da cui discenda la qualità (Cass. n. 6822/2013; Cass. n. 3445/2012); con riguardo alla notificazione nelle precedenti fasi ed a suoi pretesi vizi (Cass. n. 1150/2019, la quale precisa che però la trascrizione integrale della relata di notifica si rende necessaria soltanto qualora sia strettamente funzionale alla comprensione del motivo ; lo stesso, sempre con riguardo alla cartella di pagamento, Cass. n. 31038/2018; Cass. n. 23452/2017 ; Cass. n. 5185/2017 ); parimenti quando, ad esempio, si denuncino vizi relativi a specifici documenti (per la mancata qualificazione di una richiesta come costituzione in mora, Cass. n. 3218/2012; per la censurata inosservanza di un accordo interbancario, Cass. n. 21473/2013; per l'esistenza di un contratto, Cass. n. 23167/2013; per l'omesso esame di raccomandata interruttiva della prescrizione, Cass. n. 4980/2014; per la procura, Cass. n. 26174/2014; per il lodo arbitrale, Cass. n. 16900/2015; per le c.d. tabelle milanesi, Cass. n. 12288/2016; per il contenuto del bilancio, Cass. n. 5478/2018; per il proprio ricorso in appello, Cass. n. 15936/2018); anche il regolamento di competenza deve assolvere tale onere di indicare specificamente degli atti e la loro puntuale individuazione tra quelli prodotti in giudizio (Cass. n. 22576/2015).

Occorre, altresì, che sia specificata la sede processuale in cui il documento risulti prodotto (Cass. S.U., n. 7161/2010, che dà indicazioni di dettaglio; Cass. n. 28184/2020 Cass. n. 5478/2018),  poiché – secondo tale severo orientamento – indicare un documento significa necessariamente, oltre che specificare gli elementi che valgono ad individuarlo, riportandone il contenuto, dire dove nel processo esso è rintracciabile, sicchè la mancata «localizzazione» del documento basta per la dichiarazione di inammissibilità del ricorso, senza necessità di soffermarsi sull'osservanza del principio di autosufficienza dal versante «contenutistico».

Ad esempio, in caso di deduzione del vizio di omessa pronuncia ex art. 112, è onere della parte, oltre che riportare in ricorso la domanda o eccezione pretermessa, anche indicare l'atto difensivo o il verbale di udienza in cui furono proposte (Cass. n. 3845/2018; Cass. n. 14784/2015; Cass. n. 25299/2014; Cass. n. 5344/2013; Cass. S.U., n. 15781/2005; e v., sulla censura di omesso esame dell'eccezione di prescrizione, Cass. n. 21645/2014; Cass. n. 21083/2014; Cass. n. 15910/2005); lo stesso quanto al vizio opposto di ultrapetizione (Cass. n. 25482/2014; Cass. n. 22607/2014; Cass. n. 8008/2014) o che si fondi sull'irregolarità di una notificazione (Cass. n. 22607/2014).

Le S.U. hanno precisato che, quando si impugna una motivazione enunciata dal giudice di appello per relationem alla sentenza di primo grado, occorre non solo identificare il tenore della motivazione del primo giudice, ma anche indicare quali critiche erano state rivolte ad essa con l'atto di appello (Cass. S.U., n. 7074/2017).

Con riguardo ai casi in cui il ricorso è stato ritenuto inammissibile, si ricorda la necessità –  fra le ipotesi più frequenti – di indicare, quando si denunci la violazione degli artt. 1362 ss. c.c. in tema di interpretazione del contratto, i passaggi e le clausole che sarebbero state male interpretate (Cass. 13603/2019, con riguardo all'esigenza, in particolare, di riportare quelle clausole, che avrebbero reso necessaria l'applicazione dei criteri della buona fede ex art. 1366 e della funzione del contratto ex art. 1369); e, quando di censuri l'interpretazione del giudicato esterno, di riprodurre nel ricorso per cassazione il testo del giudicato che si assume erroneamente interpretato, con richiamo congiunto della motivazione e del dispositivo, atteso che il solo dispositivo non può essere sufficiente alla comprensione del comando giudiziale (Cass. n. 5508/2018; Cass. n. 26627/2006).

Il duplice requisito vige anche per il vizio di motivazione di cui al testo anteriore dell'art. 360, comma 1, n. 5 (es. Cass. n. 2928/2015; Cass. n. 22003/2014; Cass. n. 2014/4980; Cass. n. 8569/2013), in particolare quanto alle istanze di prova (Cass. n. 17915/2010; Cass. n. 6023/2009; v. Cass. n. 4365/2015 sul giuramento decisorio) o alla c.t.u. avendo la parte che ne deduca la nullità, in ragione di documenti irritualmente prodotti, l'onere di specificare, a pena di inammissibilità dell'impugnazione, il contenuto della documentazione di cui lamenta l'irregolare acquisizione, quali accertamenti vi siano stati fondati e le ragioni per le quali la stessa sia stata decisiva nella valutazione del consulente tecnico d'ufficio (Cass. n. 11752/2018; Cass. n. 7737/2016; e v. Cass. n. 16368/2014; Cass. n. 3224/2014; Cass. n. 21632/2013; Cass. n. 17915/2010; Cass. n. 4201/2010; Cass. n. 13845/2007); nelle censure circa la liquidazione delle spese di lite, vanno indicate le singole voci della tariffa (Cass. n. 20808/2014; Cass. n. 1382/2003; Cass. n. 21325/2005).

Con riguardo al vizio di omesso esame di fatto storico di cui al nuovo art. 360, 1° comma, n. 5, avendo la parte l'onere di dedurre che esso fu oggetto di discussione processuale tra le parti e sia decisivo, essa è dunque onerata di indicare: il fatto, il dato da cui risulti esistente, il modo e il tempo della discussione (Cass. S.U.., n. 19881/2014 e Cass. S.U., n. 8053/2014, in Foro it., 2015, I, 209, con nota di Quero).

Nel caso in cui, quindi, sia dedotta l' omessa o viziata valutazione di documenti , deve procedersi ad un sintetico, ma completo resoconto del loro contenuto, nonché alla specifica indicazione del luogo in cui ne è avvenuta la produzione ( Cass. n. 5478/2018 , in tema di impugnazione di bilancio); mentre quando si censuri la decisione del giudice di appello che abbia ritenuto non indispensabili i nuovi documenti prodotti occorre specificarne il contenuto ( Cass. n. 17399/2017 ).

Qualora il ricorrente, in sede di legittimità, denunci l'omessa valutazione di prove documentali, ha l'onere non solo di trascrivere il testo integrale, o la parte significativa del documento nel ricorso per cassazione, al fine di consentire il vaglio di decisività, ma anche di specificare gli argomenti, deduzioni o istanze che, in relazione alla pretesa fatta valere, siano state formulate nel giudizio di merito, pena l'irrilevanza giuridica della sola produzione (Cass. n. 13625/2019).

Se si tratti di documento straniero, l'art. 366, comma 1, n. 6 impone un sintetico ma completo resoconto del loro contenuto, previa traduzione in italiano, nonché della specifica indicazione del luogo in cui ne è avvenuta la produzione (Cass. n. 2331/2019).

Come si è detto, viene stigmatizzato con l'inammissibilità il “confezionamento” del ricorso mediante la riproduzione degli atti e documenti con procedimento fotografico o similare e la giustapposizione degli stessi con mere proposizioni di collegamento (Cass. n. 17447/2012; Cass. n. 4782/2012 ; Cass. n. 1716/2012; Cass. n. 21297/2011; Cass. n. 6279/2011; v. supra, § 3).

Comunicazioni e notificazioni

Le comunicazioni tramite PEC sono obbligatorie in Cassazione dal 16 febbraio 2016.Con riguardo al regime anteriore alle comunicazioni telematiche obbligatorie ex art. 16 d.l. n. 179/2012, conv. in l. n. 221/2012 (divenuto operativo in cassazione, come esposto, dal 16 febbraio 2016, per effetto di d.m. 19 gennaio 2016), le S.U. sono intervenute affermando che le comunicazioni di cancelleria operate mediante deposito dei provvedimenti presso la stessa, allorché il difensore non abbia eletto domicilio in Roma, sono legittime solo se non sia andata a buon fine né la trasmissione a mezzo posta elettronica certificata, né quella via fax (Cass. S. U., n. 11383/2016).

Nel nuovo sistema, si è deciso che le notificazioni e comunicazioni ai soggetti per i quali la legge prevede l'obbligo di munirsi di un indirizzo di posta elettronica certificata devono essere eseguite, ai sensi dell'art. 16, comma 6, d.l. n. 179/2012, conv. con modif. dalla l. n. 221/2012, esclusivamente mediante deposito in cancelleria quando essi non abbiano provveduto ad istituire o comunicare il predetto indirizzo, salva la sola ipotesi in cui non sia possibile procedere tramite posta elettronica certificata per causa non imputabile al destinatario medesimo, nel qual caso, in base al comma 8 del citato art. 16, trova applicazione l'art. 136,  comma 3 (Cass. n. 33547/2018; Cass. n. 20698/2018) e può allora rilevare l'elezione di domicilio (Cass. n. 21519/2017).

Nelle notifiche telematiche a mezzo posta elettronica certificata, richieste dal cancelliere dell'ufficio giudiziario, la ricevuta di avvenuta consegna generata automaticamente dal sistema informatico del gestore di posta elettronica certificata del destinatario costituisce prova dell'avvenuta consegna del messaggio nella sua casella, suscettibile di prova contraria a carico della parte che intende contestarne il contenuto senza necessità di proposizione di querela di falso (Cass. n. 15035/2016).

Si è affermato che, qualora nell'atto sia stato specificato di voler ricevere le comunicazioni esclusivamente presso l'indirizzo PEC di uno dei difensori di fiducia, non è valida la comunicazione di cancelleria effettuata all'indirizzo PEC di altro difensore (Cass. n. 2942/2019, con riguardo al giudizio di appello).

L'elezione di domicilio in Roma da parte del ricorrente o l'indicazione dell'indirizzo di posta elettronica certificata non sono condizione di ammissibilità del ricorso (Mandrioli, testo alla nota 1646).

La S.C. ha dunque ritenuto che:

- la notifica del controricorso al difensore che non abbia eletto domicilio in Roma deve essere effettuata all'indirizzo di posta elettronica certificata (Cass. n. 13857/2014, che non dichiara la nullità, atteso il raggiungimento dello scopo; v. pure Cass. n. 5457/2014), onde è inammissibile il controricorso notificato presso la cancelleria della Corte anziché presso l'indirizzo di posta elettronica certificata indicato in ricorso (Cass. n. 26696/2013, in Giur. it. 2014, 866, con nota di Ferrari; Cass. n. 6752/2013);

- se il ricorrente abbia eletto domicilio in Roma ed anche indicato l'indirizzo Pec, il controricorso può essere indifferentemente notificato all'uno o all'altro (Cass. n. 5457/2014);

- se il ricorrente abbia indicato l'indirizzo di posta elettronica certificata ai soli fini delle comunicazioni di cancelleria, è valida la notificazione del controricorso presso la cancelleria della Corte di cassazione (Cass. n. 23289/2017 Cass. n. 25215/2014; e v. Cass. n. 26696/2013; Cass. S.U., n. 10143/2012);

- è valida la notificazione del controricorso effettuata presso la cancelleria della Corte, se il ricorrente abbia ivi volontariamente eletto domicilio, senza che rilevi l'indicazione, nel ricorso, dell'indirizzo di posta elettronica certificata comunicata al proprio ordine (Cass. n. 14969/2015; Cass. n. 25215/2014);

- nonostante l'ultimo comma menzioni solo comunicazioni e notificazioni tra difensori, in virtù di un'interpretazione estensiva anche il decreto di fissazione dell'adunanza della Corte e la relazione ex art. 380-bis, comma 2, devono essere notificati a mezzo Pec o fax, mentre è irrituale quella presso la cancelleria della Corte (Cass. n. 6752/2013; ma v. Cass. n. 7625/2012); parimenti, la notificazione del decreto di fissazione dell'adunanza camerale e della proposta del relatore è validamente effettuata all'indirizzo Pec del difensore di fiducia, quale risultante dal ReGIndE, indipendentemente dalla sua indicazione in atti, ai sensi dell'art. 16-sexies d.l. n. 179/2012, non potendosi configurare un diritto a ricevere le notificazioni esclusivamente presso il domiciliatario indicato (Cass. n. 12876/2018); e l'indicazione, nel ricorso, del codice fiscale del difensore, pur in mancanza di quella del relativo indirizzo di PEC, comporta l'automatica domiciliazione in tale ultimo indirizzo (Cass. n. 4920/2021).

È stato anche chiarito che, essendo l'elezione di domicilio una dichiarazione indirizzata ai soggetti del processo (controparti, giudice, cancelliere) e dovendo, quindi, il trasferimento essere parimenti indirizzato, resta irrilevante per le comunicazioni di cancelleria l'indicazione di un nuovo domicilio contenuta in un atto indirizzato dal ricorrente al giudice a diversi fini (Cass. n. 24163/2013; Cass. n. 6508/2004); mentre il trasferimento del domiciliatario non comunicato alla cancelleria della Corte comporta che l'avviso di fissazione dell'udienza vada notificato al difensore, nell'ordine, a mezzo Pec o a mezzo telefax — con attestazione di trasmissione — o, quando le due comunicazioni precedenti non siano andate a buon fine, con deposito dell'atto in cancelleria (Cass. n. 21892/2015).

Con riguardo alla notificazione del ricorso per cassazione – per la quale si vedano le norme comuni degli art. 330-333 –  si è chiarito (Cass. n. 3805/2018; nello stesso senso, v. Cass. n. 31159/2018Cass. n. 31340/2018; Cass. n. 24735/2018; Cass. n. 2018/14042; Cass. n. 6518/2017) che l'irritualità della notificazione del ricorso per cassazione a mezzo di PEC, in quanto priva, nella relata, della sottoscrizione digitale del legale, non ne comporta la nullità, se la consegna telematica abbia comunque prodotto il risultato della conoscenza dell'atto, determinando il raggiungimento dello scopo ex art. 156, e che la relativa eccezione è inammissibile se non prospetta un concreto pregiudizio per l'esercizio del diritto di difesa. Si veda pure la decisione (Cass. S.U., n. 7665/2016), secondo cui l'irritualità della notificazione a mezzo di posta elettronica certificata non ne comporta la nullità, se la consegna telematica, in «estensione .doc» anziché «formato .pdf», ha comunque prodotto il risultato della conoscenza dell'atto e determinato così il raggiungimento dello scopo legale. Inoltre, la nullità della notificazione del ricorso per cassazione contro una pubblica amministrazione, in quanto eseguita presso l'avvocatura distrettuale anziché presso l'avvocatura generale dello Stato, resta sanata, con effetto ex tunc, dalla rinnovazione della notificazione stessa presso detta avvocatura generale, ancorché posteriormente alla scadenza del termine per proporre l'impugnazione (Cass. n. 20890/2018Cass. n. 17207/2003).

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