Codice di Procedura Civile art. 487 - Forma dei provvedimenti del giudice.

Rosaria Giordano

Forma dei provvedimenti del giudice.

[I]. Salvo che la legge disponga altrimenti [65 2, 485 1, 530 5, 533 3, 545 1, 574 1-3, 585 2, 586 1, 587 1, 611 2, 613, 614 2, 615 2, 618 1, 619 2, 625 2; 166, 177 1, 183 att.], i provvedimenti del giudice dell'esecuzione sono dati con ordinanza, che può essere dal giudice stesso modificata o revocata finché non abbia avuto esecuzione [177 2, 485, 515 1, 593 3; 168 3 att.].

[II]. Per le ordinanze del giudice dell'esecuzione si osservano le disposizioni degli articoli 176 e seguenti in quanto applicabili e quella dell'articolo 186.

Inquadramento

I provvedimenti del giudice dell'esecuzione, ove non diversamente previsto dalla legge, assumono la forma delle ordinanze, che devono essere motivate.

Le ordinanze sono revocabili e modificabili dal giudice dell'esecuzione sino a quando non abbiano avuto concreta attuazione.

Anche dopo tale momento, le stesse restano, nelle forme e nei termini di cui all'art. 617, suscettibili di opposizione agli atti esecutivi (Cass. n. 12053/2014).

In tale assetto, pertanto, le ordinanze del giudice dell'esecuzione non possono ritenersi definitive ai fini dell'esperibilità avverso le stesse del ricorso straordinario per cassazione (Cass. n. 11318/2011).

Forma dei provvedimenti del giudice dell'esecuzione

Di regola la forma dei provvedimenti del giudice dell'esecuzione è quella dell'ordinanza, salva diversa previsione normativa. Alcuni provvedimenti sono invero assunti nella forma del decreto.

Le ordinanze del giudice dell'esecuzione devono essere motivate, se rese su sollecitazione delle parti tramite istanze o domande (Martinetto 90).

Secondo una parte della dottrina il giudice dell'esecuzione, richiesto di compiere un atto esecutivo, potrebbe limitarsi a non effettuare lo stesso (Tarzia 430), mentre per altri è comunque necessario un espresso provvedimento di diniego.

I provvedimenti del giudice dell'esecuzione non sono ricorribili per cassazione ex art. 111 Cost., in quanto normalmente privi di natura decisoria e carattere definitivo, poiché revocabili o modificabili da parte dello stesso giudice, in quanto generalmente assunti con ordinanza (Cass. n. 11318/2011).

In alcune ipotesi, è previsto che il giudice dell'esecuzione assuma i propri provvedimenti con decreto: ad esempio, l'art. 625, comma 2, consente in caso d'urgenza di disporre la sospensione dell'esecuzione con decreto inaudita altera parte, fissando contestualmente l'udienza di comparizione delle parti, nel corso della quale la misura sarà riesaminata nel contraddittorio (tale decreto, pur non reclamabile ex art. 624 che fa riferimento alle sole ordinanze, è impugnabile per vizi propri mediante opposizione agli atti esecutivi: peraltro, l'interesse all'impugnazione dello stesso viene meno quando si è svolta la fase successiva nel contraddittorio delle parti con l'emanazione dell'ordinanza: Cass. n. 2042/2010).

In dottrina si tende a ritenere che, invece, il giudice dell'esecuzione, essendo privo di poteri decisori, volti ad accertare con efficacia di giudicato diritti soggettivi (Mandrioli, 1969, I, 169; proprio per l'assenza di poteri decisori del giudice dell'esecuzione, anche in ordine alla competenza, costituisce principio consolidato quello secondo cui è inammissibile il regolamento di competenza avverso i provvedimenti del giudice dell'esecuzione, su cui v., ad esempio, Cass., n. 15957/2002; tuttavia il giudice dell'esecuzione non è munito di soli poteri ordinatori ma anche satisfattori: Castoro, 148), non può emanare provvedimenti aventi veste formale di sentenza. Peraltro, occorre considerare che  nel sistema attuale, il giudice dell'esecuzione emana sentenza all'esito dell'istruzione del giudizio di divisione c.d. endoesecutivo disposto ex art. 601.

Sotto altro profilo, è discusso in dottrina se, anche per i provvedimenti del giudice dell'esecuzione, operi, almeno ai fini dell'impugnabilità, il principio della prevalenza della forma sulla sostanza.

Invero, occorre ricordare che, secondo una parte della dottrina, dovrebbe attribuirsi a riguardo esclusiva rilevanza alla veste formale e non al contenuto del provvedimento (Tarzia, 1967, 86 ss.), mentre per altri l'art. 339 dovrebbe essere interpretato sistematicamente in uno con l'art. 323, con la conseguenza che l'appello potrebbe essere ammesso anche avverso provvedimenti formalmente emanati come decreti o ordinanza aventi, nondimeno, perché assunti in difetto dei presupposti di legge, contenuto di sentenza (Garbagnati, 1974, I, 1, 1713).

Quest'ultima impostazione appare condivisa nella giurisprudenza di legittimità anche con riferimento ai provvedimenti aventi veste formale di decreto o ordinanza emanati dal giudice dell'esecuzione, in difetto dei presupposti normativi previsti. Si può ricordare, a titolo esemplificativo, che, in tema di espropriazione presso terzi si è ritenuto che l'ordinanza di assegnazione al creditore, emessa ai sensi dell'art. 553, costituendo l'atto conclusivo del procedimento, va impugnata con il rimedio dell'opposizione agli atti esecutivi, senza che abbia rilievo che la contestazione degli importi assegnati riguardi il credito per cui si procede, ovvero gli accessori di questo o le spese del processo, rimanendo salva l'impugnazione con l'appello quando il provvedimento abbia un contenuto decisorio diverso da quello suo proprio ed assuma il carattere sostanziale di una sentenza, per aver inciso sulle posizioni di diritto soggettivo di debitore e creditore (Cass. n. 20631/2011). Analogamente, si è affermato che l'ordinanza, con la quale il giudice dell'esecuzione, ai sensi dell'art. 612, determina le modalità dell'esecuzione forzata di una sentenza per violazione di un obbligo di fare o di non fare, si caratterizza come un provvedimento con il quale vengono fissate le regole dello svolgimento del procedimento esecutivo e, quindi, non attiene al diritto della parte di procedere all'esecuzione, bensì ai modi con cui questa deve essere condotta, con la conseguenza che essa è soggetta soltanto al rimedio dell'opposizione agli atti esecutivi per eventuali vizi formali, mentre il provvedimento con cui il giudice, ancorché in forma di ordinanza, come espressamente indicato nell'art. 612, nell'individuare le modalità dell'esecuzione, dirima una controversia insorta fra le parti in ordine alla portata del titolo esecutivo ed all'ammissibilità dell'azione esecutiva intrapresa, ha natura sostanziale di sentenza in forza del suo contenuto decisorio sul diritto della parte istante a procedere ad esecuzione forzata, cioè su una opposizione all'esecuzione ex art. 615, proposta dall'esecutato o rilevata d'ufficio dal giudice, ed è, pertanto, impugnabile con l'appello (Cass. n. 3722/2012).

Il rinvio agli artt. 176 ss. ed all'art. 186.

Il comma secondo della previsione in esame stabilisce che per le ordinanze del giudice dell'esecuzione si osservano gli artt. 176 e ss., in quanto applicabili, e l'art. 186.

Il rinvio in questione opera, quindi, anche con riguardo a all'art. 177, comma 3: ciò comporta che non sono modificabili né revocabili, ai sensi del n. 1, le ordinanze pronunciate su accordo delle parti, in materia della quale queste possono disporre, salvo successivo accordo di tutte e, del n. 2, le ordinanze dichiarate espressamente non impugnabili dalla legge.

Rispetto alle ordinanze per le quali la legge predispone uno speciale mezzo di reclamo diverso da quello previsto nel successivo art. 178, né delle ordinanze per le quali è stato proposto reclamo a norma di questo ultimo articolo, invece, le relative previsioni appaiono inapplicabili atteso che, come correttamente evidenziato, «nel processo esecutivo, salvo il disposto dell'art. 630, ultimo comma, che tratta del reclamo al giudice competente per l'esecuzione contro l'ordinanza che dichiara l'estinzione del processo o rigetta l'eccezione relativa, non esiste altra specie di reclamo ordinario o straordinario al giudice decidente anche perché, avendo il processo uno svolgimento normale, in nessun modo è dato a quest'ultimo di intervenire con qualsiasi provvedimento; per contro il giudice decidente, che si identifica nel giudice competente per l'esecuzione, può essere sì chiamato a decidere circa la congruenza (o convenienza od opportunità) delle ordinanze (come di ogni altro atto esecutivo), ma solo quando contro queste venga proposta opposizione a mente dell'art. 617, che pertanto è unico mezzo di impugnazione» (Castoro, 140 ss.).

La norma in commento richiama, poi, l'art. 176, comma secondo, di talché i provvedimenti assunti dal giudice dell'esecuzione nel corso dell'udienza si assumono conosciuti dalle parti presenti e da quelle che dovevano comparirvi (Cass. n. 14045/2001).

Le ordinanze rese fuori udienza (la prova di tale circostanza resta a carico della parte che eccepisce l'omessa comunicazione: Cass. n. 14045/2001), vanno invece comunicate alle parti, a cura della cancelleria (Cass. n. 435/1996). La comunicazione deve avvenire secondo quanto previsto dall'art. 136 nell'attuale formulazione (v. anche commento sub art. 136), ovvero di regola mediante posta elettronica certificata.

Modifica e revoca delle ordinanze

Il giudice dell'esecuzione può modificare o revocare le ordinanze che ha emesso finché le stesse non abbiano avuto esecuzione, su istanza di parte o d'ufficio.

È discussa in dottrina la portata del potere di revoca concesso al giudice dell'esecuzione prima dell'esecuzione del provvedimento: in particolare, è controverso se la revoca in questione debba riguardare tutti i motivi per i quali il giudice dell'esecuzione vi ha fatto ricorso (Furno, 174 ss.), o se di revoca possa parlarsi solo nel caso di motivi di opportunità (Martinetto, 164 ss.), dovendosi piuttosto fare riferimenti, per i casi di vizi formali dei provvedimenti, di annullamento degli stessi e conseguente rinnovazione (Castoro, 140 ss.).

La tesi più liberale circa i motivi che il giudice dell'esecuzione può porre a fondamento della revoca o modifica del provvedimento appare condivisa nella giurisprudenza della S.C. per la quale l'esercizio del potere di revoca può correlarsi sia a vizi dell'ordinanza che a valutazioni di inopportunità, originaria o sopravvenuta (Cass. n. 1936/2003).

Il provvedimento di revoca spiega efficacia ex tunc  (v., tra le molte, Cass. n. 5934/2013, per la quale, in tema di espropriazione forzata immobiliare, la revoca dell'aggiudicazione ex art. 487 opera con efficacia retroattiva, travolgendo ab initio il sub-procedimento di vendita, dall'avviso fino al provvedimento di aggiudicazione, e comportando il venir meno dell'obbligazione di pagare il prezzo nel termine sancito dall'ordinanza di cui all'art. 569, comma 3, del medesimo codice, con conseguente irrilevanza, di tutte le vicende connesse all'adempimento di detta obbligazione).

È inoltre consolidato nella giurisprudenza di legittimità l'assunto in forza del quale è inammissibile il ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost. avverso le ordinanze con cui il giudice dell'esecuzione revoca o modifica un proprio precedente provvedimento, in quanto le stesse non sono definitive, poichè soggette a riesame in forma contenziosa mediante l'opposizione agli atti esecutivi (Cass. 10840/2001).

Opposizione agli atti avverso le ordinanze del giudice dell'esecuzione

Sebbene il provvedimento del giudice dell'esecuzione, una volta eseguito, non sia revocabile o modificabile dallo stesso giudice, lo stesso resta impugnabile, con le forme e nei termini di cui all'art. 617, senza che l'avvenuta esecuzione osti all'esame nel merito dei motivi dell'opposizione agli atti esecutivi, la cui fondatezza comporta l'annullamento del provvedimento opposto, ponendo nel nulla retroattivamente gli effetti prodotti in sede esecutiva (Cass. n. 12053/2014).

Più in generale,  il potere del giudice dell'esecuzione di revocare i propri provvedimenti, ai sensi dell'art. 487, concorre con quello delle parti di impugnarli con opposizione agli atti esecutivi (Cass. n. 26185/2011): in concreto, siffatta situazione si realizza quando l'ordinanza non abbia ancora avuto esecuzione e la parte interessata sia nel termine per proporre opposizione agli atti esecutivi.

In altre e più chiare parole, il provvedimento del giudice dell'esecuzione, revocabile o modificabile dal medesimo giudice, è impugnabile, con le forme e nei termini di cui all'art. 617, senza che l'avvenuta esecuzione osti all'esame nel merito dei motivi dell'opposizione agli atti esecutivi, la cui fondatezza comporta l'annullamento del provvedimento opposto, ponendo nel nulla retroattivamente gli effetti prodotti in sede esecutiva (Cass. n. 12053/2014).

In senso analogo, in dottrina si è osservato che l'ordinanza non ancora eseguita può essere oggetto sia di un'istanza finalizzata ad ottenerne la revoca o la modifica sia dell'opposizione agli atti, mentre, una volta attuata, sarebbe esclusivamente opponibile salvo il decorso del termine di decadenza ex art. 617 (Oriani, 614).

Peraltro, si è al contempo evidenziato, da parte di alcuni, che il potere di revoca delle ordinanze da parte del giudice dell'esecuzione resta fermo anche ove sia decorso il termine per proporre opposizione agli atti, laddove vengano in rilievo nullità assolute (Vaccarella, 289) e, a fortiori, qualora siano emanati provvedimenti abnormi da parte del giudice dell'esecuzione (Martinetto, 185).

Nella stessa giurisprudenza di legittimità si è affermato, a quest'ultimo riguardo, che è revocabile dal giudice dell'esecuzione, su istanza del terzo pignorato, in ogni tempo ed anche se sia stata eseguita, l'ordinanza di assegnazione del credito, emanata nonostante la dichiarazione negativa del terzo (Cass. n. 6245/1980, in Foro it., 1981, I, 1101, con nota di Oriani).

È inoltre revocabile il decreto di trasferimento, sebbene già posto in esecuzione, laddove emesso nonostante il mancato versamento del prezzo, atteso che il trasferimento dell'immobile aggiudicato, infatti, è l'effetto di una fattispecie complessa, costituita dall'aggiudicazione, dal successivo versamento del prezzo e dal decreto di trasferimento, atto quest'ultimo, che verifica ed accerta la sussistenza degli altri presupposti, ed è, in sé e per sé considerato, privo di autonoma efficacia traslativa in assenza delle altre condizioni, ed in particolar modo del pagamento del prezzo, attraverso il quale si realizza il fine della vendita, consistente nella liquidazione del bene per il soddisfacimento dei creditori, e si giustifica il trasferimento del bene all'aggiudicatario (Cass. n. 15222/2005).

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, sebbene in un obiter dictum, hanno altresì riconosciuto l'esistenza nell'ambito dell'esecuzione forzata di “situazioni che, nell'impedire al processo stesso di proseguire per la realizzazione del suo scopo, da un lato risultano costantemente rilevabili d'ufficio dal giudice, dall'altro non sono suscettibili di sanatoria e, perciò, legittimamente denunciabili dalla parte interessate mercé il rimedio dell'opposizione agli atti esecutivi proposto avverso qualsiasi, successivo provvedimento del giudice volto alla realizzazione della pretesa esecutiva, mentre il provvedimento che il giudice stesso adotti sul presupposto del proprio difetto di giurisdizione, assumendo, come contenuto, la dichiarazione che il processo non può proseguire, e, come natura giuridica, quella dell'atto esecutivo, è del pari suscettibile di opposizione agli atti” (Cass. S.U., n. 1124/2000).

Pertanto, la nullità assoluta si estende, in omaggio peraltro al disposto dell'art. 159, agli atti successivi e dipendenti, salvo il disposto dell'art. 2929 c.c., con la conseguenza che la vendita e l'assegnazione non sono travolte dalla nullità degli atti precedenti, salva l'ipotesi di collusione tra creditore procedente ed acquirente o assegnatario (Martinetto, 189).

In senso analogo si è espressa la S.C. affermando che nel procedimento di vendita con incanto, l'aggiudicazione del bene posto in vendita a soggetti che hanno offerto un prezzo di acquisto inferiore al valore dell'aggiudicazione si traduce in un vizio del provvedimento di aggiudicazione, in quanto atto finale di attività procedimentalizzata, che deve essere fatto valere con il rimedio della opposizione agli atti esecutivi ex art. 617, nei termini ivi indicati. In particolare, la Corte ha evidenziato che deve, infatti, escludersi che detto vizio produca la inesistenza giuridica del provvedimento in esame, con la conseguente possibilità di esperire un'azione di nullità dello stesso indipendentemente dal decorso del termine di cui al citato art. 617 ed invero, quanto alla ipotizzabilità di una nullità insanabile, nel senso di nullità che sfugga ai limiti della disciplina delle doglianze di rito, occorre distinguere tra atti che precedono le udienze sulle istanza di assegnazione o vendita ex art. 530 (nella espropriazione mobiliare) o art. 569 (nella espropriazione immobiliare), in relazione ai quali il provvedimento che autorizza la vendita funge da preclusione alla proposizione della opposizione agli atti esecutivi; ed atti che seguono dette udienze, per i quali, quando si tratti di atti dal cui compimento dipende l'esercizio del potere del giudice dell'esecuzione di emettere l'atto successivo, può parlarsi di atti procedimentali veri e propri, con conseguente possibilità di propagazione del vizio dell'atto precedente a quello successivo. Peraltro, anche per tali atti, deve essere richiamato il principio dell'art. 2929 c.c., in base al quale la nullità degli atti esecutivi che hanno preceduto la vendita o l'assegnazione non ha effetto nei confronti degli acquirenti o degli assegnatari; sicché deve concludersi che, una volta chiuso il processo esecutivo senza che il vizio sia stato denunziato, questo non può più essere riproposto (Cass. n. 1639/2000, in Riv. esec. forz., 2000, 457, con nota di Auletta).

Sotto altro profilo, è stato precisato che al novero degli atti esecutivi impugnabili (cioè opponibili o reclamabili) possono essere ricondotti anche i provvedimenti con cui il giudice dell'esecuzione rigetta l'istanza di modifica o revoca di un proprio precedente provvedimento, quante volte però, pur rimanendo inalterata la posizione fatta alle parti dal quel provvedimento, un pregiudizio possa loro derivare dagli argomenti addotti a sostegno del diniego. È invece insuscettibile di impugnazione va considerato il provvedimento di diniego che, anche per la motivazione adottata, non altera la posizione fatta alle parti dal provvedimento di cui il giudice rifiuta la modifica o la revoca, poiché in tale caso, consentire la opposizione agli atti o il reclamo contro il provvedimento negativo significherebbe riaprire a favore della parte decadutane la possibilità di far valere i vizi di cui era affetto il provvedimento precedente (Cass. n. 3723/2012).

L'avvenuta esecuzione del provvedimento come limite alla revoca o modifica dello stesso

Il limite alla modificabilità e revocabilità delle ordinanze del giudice dell'esecuzione costituito dall'avvenuta esecuzione delle stesse è correlato all'esigenza di prevenire il pregiudizio che deriverebbe alle parti ed eventualmente agli altri interessati se determinati effetti sostanziali dell'ordinanza potessero essere variati dopo che questa ha avuto esecuzione o attuazione (Satta, 1963, 49).

Il provvedimento riceve concreta attuazione quando il contenuto dello stesso viene applicato alla realtà.

In ragione della finalità per la quale è previsto il limite in questione, si ritiene che non siano modificabili o revocabili le ordinanze del giudice dell'esecuzione che producono effetti immediati (Castoro, 150 ss.). Tra tali provvedimenti rientrano, ad esempio, le ordinanze di distribuzione della somma ricavata e di assegnazione dei beni pignorati che, invero, spiegano affetti al momento stesso della loro emanazione (Andrioli, III, 159).

Peraltro, le ordinanze del giudice dell'esecuzione, non più revocabili per avvenuta attuazione, sono suscettibili di correzione nei casi e nelle forme previste dagli artt. 287 e 288 c.p.c., trattandosi di disposizioni espressione di una esigenza di ordine generale propria ad ogni tipo di processo, sicché, in assenza di una diversa e specifica disciplina, sono applicabili anche ai provvedimenti resi nel processo di esecuzione (Cass. n. 1891/2015).

Casistica

In giurisprudenza è molto ampia l'elaborazione in ordine all'individuazione del momento entro il quale il provvedimento diviene non più modificabile o revocabile per aver avuto concreta attuazione.

Si ritiene, ad esempio, che tale momento deve essere identificato: per l'ordinanza di vendita, nell'aggiudicazione, sino alla quale le prescrizioni contenute nell'ordinanza possono essere revocate o modificate (Cass. n. 14842/2007); per il provvedimento di aggiudicazione nella conseguita definitività della stessa (Cass. n. 9490/2007); per l'ordinanza definitiva di aggiudicazione in quello della pronuncia del decreto di trasferimento dopo il versamento del prezzo (Cass. n. 1498/2007).

È stato affermato, poi, che il decreto di trasferimento ha definitiva esecuzione non quando viene emanato ma a seguito del compimento, da parte del cancelliere, delle operazioni indicate dall'art. 586 (Cass. n. 24001/2011). In senso implicitamente difforme, peraltro, nella medesima giurisprudenza di legittimità, si è evidenziato che il potere del giudice dell'esecuzione di revoca dei propri provvedimenti, per ragioni determinate da vizi del provvedimento,oltre che da valutazioni di inopportunità, originaria o sopravvenuta, può essere esercitato sino a quando l'ordinanza di aggiudicazione provvisoria non abbia avuto definitiva esecuzione con la pronuncia del decreto di trasferimento del bene (Cass. n. 1936/2003).

Nell'espropriazione presso terzi, il provvedimento di assegnazione di crediti di cui all'art. 552, emesso dal giudice dell'esecuzione, è configurato come una cessio pro solvendo in favore del creditore, cosicché l'ordine del giudice produce una modificazione giuridica che incide sul diritto di credito coattivamente ceduto, il quale è trasferito all'assegnatario simultaneamente al provvedimento di assegnazione. Deriva da tale impostazione che la cosiddetta «materiale assegnazione delle somme» attiene al pagamento o all'adempimento dell'obbligazione di consegna ed è estranea all'ordinanza di assegnazione, che per tale profilo non può essere sospesa (Cass. n. 4494/2001).

In una recente decisione, la S.C. ha ritenuto che in caso di opposizione all'esecuzione forzata di obblighi di fare, l'accoglimento dell'istanza di sospensione del processo esecutivo non consente al giudice dell'esecuzione di ordinare la rimessione in pristino di ciò che sia stato eseguito, ai sensi dell'art. 612 , prima della sospensione, in quanto il potere del giudice di revoca o modifica dei propri provvedimenti è soggetto al limite dell'intervenuta esecuzione del provvedimento di cui all'art. 487, che ha carattere generale ed opera anche in caso di proposizione dei rimedi oppositivi da parte dell'esecutato, sicché il provvedimento sospensivo può soltanto impedire che l'esecuzione prosegua e non anche disfare ciò che è stato fatto quando il processo esecutivo era ancora in corso (Cass. n. 19572/2015).

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