Codice di Procedura Civile art. 706 - [Forma della domanda] 1 2[[I]. La domanda di separazione personale si propone al tribunale del luogo dell'ultima residenza comune dei coniugi ovvero, in mancanza, del luogo in cui il coniuge convenuto ha residenza o domicilio, con ricorso che deve contenere l'esposizione dei fatti sui quali la domanda è fondata.] [[II]. Qualora il coniuge convenuto sia residente all'estero, o risulti irreperibile, la domanda si propone al tribunale del luogo di residenza o di domicilio del ricorrente, e, se anche questi è residente all'estero, a qualunque tribunale della Repubblica.] [[III]. Il presidente, nei cinque giorni successivi al deposito in cancelleria, fissa con decreto la data dell'udienza di comparizione dei coniugi davanti a sé, che deve essere tenuta entro novanta giorni dal deposito del ricorso, il termine per la notificazione del ricorso e del decreto, ed il termine entro cui il coniuge convenuto può depositare memoria difensiva e documenti. Al ricorso e alla memoria difensiva sono allegate le ultime dichiarazioni dei redditi presentate.] [[IV]. Nel ricorso deve essere indicata l'esistenza di figli di entrambi i coniugi3 .]
[1] Articolo così sostituito, in sede di conversione, dall'art. 23 lett. e-ter) d.l. 14 marzo 2005, n. 35, conv., con modif., in l. 14 maggio 2005, n. 80, con effetto dal 1° marzo 2006. Ai sensi dell'art. 2 3-quinquies d.l. n. 35, cit., le modifiche si applicano ai procedimenti instaurati successivamente al 1° marzo 2006 e successivamente abrogato dall'art. 3, comma 49, lett. a), del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 (ai sensi dell'art. 52 d.lgs. n. 149 /2022 , il presente decreto legislativo entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale). Per la disciplina transitoria v. art. 35 d.lgs. n. 149/2022, come da ultimo modificato dall'art. 1, comma 380, lett. a), l. 29 dicembre 2022, n.197, che prevede che : "1. Le disposizioni del presente decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti.". [2] L'art. 23 l. 6 marzo 1987, n. 74 rende applicabile ai procedimenti di separazione personale dei coniugi l'art. 4 l. 1° dicembre 1970, n. 898, come sostituito dall'art. 2 3-bis d.l. n. 35, cit., con effetto dal 1° marzo 2006. Ai sensi dell'art. 2 3-quinquies d.l. n. 35, cit., le modifiche si applicano ai procedimenti instaurati successivamente al 1° marzo 2006. Il testo in vigore recitava: «Forma della domanda. - [I] La domanda di separazione personale si propone al tribunale del luogo in cui il coniuge convenuto ha residenza o domicilio , con ricorso contenente l'esposizione dei fatti sui quali la domanda è fondata. - [II]. Il presidente fissa con decreto il giorno della comparizione dei coniugi davanti a sé e il termine per la notificazione del ricorso e del decreto.». [3] L'art. 95, d.lg. 28 dicembre 2013, n. 154, ha sostituito il comma. Il testo recitava: «Nel ricorso deve essere indicata l'esistenza di figli legittimi, legittimati o adottati da entrambi i coniugi durante il matrimonio». Ai sensi dell’art. 108, d.lg. n. 154 del 2013, la modifica è entrata in vigore a partire dal 7 febbraio 2014. InquadramentoSi riporta, considerata la pendenza di procedimenti regolati dal regime anteriore al d.lgs. n. 149 del 2022, il testo delle disposizioni, corredato del relativo commento, anteriore all'abrogazione dell'articolo in commento. La riforma di cui alla l. n. 80/2005 ha modificato significativamente i procedimenti di separazione disciplinati dagli artt. 706 e ss. e quelli di divorzio, innovando l'art. 4 l. n. 898/1970: la regolamentazione è ormai pressoché analoga. Il giudice competente in via principale per la separazione personale dei coniugi è il Tribunale dell'ultimo luogo di residenza comune degli stessi, ossia del luogo dove era sita la casa coniugale (Cass. n. 16957/2011). Tale criterio è venuto meno dopo l'intervento di Corte cost. n. 169/2008 per il divorzio, che pertanto va incardinato nel luogo di residenza o domicilio del convenuto. Tenendo conto anche del comma 3 dell'art. 709 deve ritenersi che la riforma del 2005 abbia avallato il c.d. rito romano, per il quale la fase contenziosa dei giudizi di separazione e divorzio inizia dopo il fallimento del tentativo di conciliazione, sicché soltanto con il deposito delle memorie integrative scattano le preclusioni, anche per la proposizione delle domande accessorie (es. addebito), a carico delle parti (Luiso - Sassani, 247). PremessaI procedimenti di separazione e di divorzio sono volti alla modificazione o alla estinzione, nella fase patologica, del rapporto coniugale. Più precisamente, con la separazione gli effetti del vincolo matrimoniale sono attenuati, mentre con il divorzio siffatti effetti cessano del tutto. La l. n. 80/2005 — le cui disposizioni sono entrate in vigore in relazione ai procedimenti incardinati dal 1° marzo 2006 — ha significativamente modificato le previsioni del codice di procedura civile in materia di separazione nonché l'art. 4 l. n. 898/1970 sul divorzio. È stata invero introdotta una disciplina in massima parte uniforme per le due procedure, innovando sia gli artt. da 706 a 711 del codice di rito, sia l'art. 4 della legge sul divorzio. La norma in commento apre il capo del codice di procedura civile dedicato ai procedimenti in materia di famiglia e di stato delle persone, che disciplina il giudizio di separazione personale dei coniugi, individuando i due distinti procedimenti — dalle caratteristiche strutturali alquanto differenziate in connessione alle diversità di presupposti — della separazione cd. giudiziale e della separazione consensuale (art. 711). In dottrina si è evidenziato che tali procedimenti hanno carattere costitutivo ed esclusivo di entrambi, atteso che la modifica di status non può essere raggiunta altrimenti che tramite pronuncia giurisdizionale a seguito dell'instaurazione dell'uno ovvero dell'altro procedimento (cfr. per tutti Picardi, Manuale, § 219). Tale considerazione peraltro deve essere rivisitata dopo l'emanazione del d.l. n. 132/2014, convertito nella l. n. 162/2014, la quale ha introdotto la possibilità che dette modifiche siano conseguite al di fuori del processo ossia attraverso una procedura di negoziazione assistita in tema di crisi familiare (art. 6) o mediante un accordo concluso direttamente dalle parti interessate di fronte all'ufficiale dello stato civile (art. 12). Invero, tali strumenti deflattivi del contenzioso sono proprio volti ad evitare l'esercizio dell'azione giudiziale avente ad oggetto la separazione personale tra coniugi, la cessazione degli effetti civili o lo scioglimento del matrimonio, la modifica delle condizioni di separazione e di divorzio . A fronte di questa tipologia di pretese, la legge di riforma appresta due strumenti diretti a comporre gli assetti di interessi tra le parti in sede stragiudiziale: per un verso, contempla una puntuale fattispecie di negoziazione assistita dagli avvocati, la cui disciplina ricade nel capo II, dedicato appunto alle procedure di negoziazione assistita; per altro verso, prevede una disciplina assestante in un capo separato, il capo III, intitolato alle ulteriori disposizioni per la semplificazione dei procedimenti di separazione personale e di divorzio, capo composto da un solo articolo, disciplina volta a regolare la possibilità di un accordo direttamente concluso dalle parti interessate, solo eventualmente con l'assistenza di un avvocato, innanzi all'ufficiale dello stato civile. La finalità comune di questi istituti rileva su un duplice piano: se, da un lato, essa si prefigge di giungere ad una soluzione della crisi familiare concordata tra le parti, cioè consensuale o congiunta, sia in tema di separazione, sia in tema di divorzio, sia in tema di modifica delle condizioni di separazione o divorzio, dall'altro lato, protende al raggiungimento di tale risultato attraverso sistemi alternativi da quelli consolidati e tradizionali del ricorso all'autorità giudiziaria per ottenere il decreto di omologazione della separazione consensuale ai sensi degli artt. 158 c.c. e 711 c.p.c., la sentenza di divorzio congiunto ai sensi dell'art. 4, comma 16, l. n. 898/1970, come modificata dalla l. n. 74/1987, i decreti camerali di modifica delle condizioni di separazione e divorzio ai sensi degli artt. 710 c.p.c. e 9 l. n. 898/1970, legge sul divorzio. I due rimedi presentano un ulteriore aspetto comune, in ragione del quadro normativo in cui si innestano: costituiscono entrambi mezzi ulteriori a disposizione delle parti interessate dalla crisi familiare, alternativi ma non preclusivi delle corrispondenti tipizzate domande giudiziali, siano esse contenziose ovvero fondate su un previo accordo tra esse. Sicché, sia la negoziazione assistita diretta al raggiungimento della regolamentazione condivisa della separazione personale o del divorzio o della modifica delle relative condizioni, sia la negoziazione diretta tra le parti per addivenire ad un accordo da denunziare all'ufficiale dello stato civile sempre sugli stessi temi, non sono previste a pena di improcedibilità delle corrispondenti azioni giudiziali. Le parti hanno altri strumenti per raggiungere il medesimo risultato, ma ben possono decidere di ricorrere direttamente all'autorità giudiziaria, senza l'esperimento di alcun previo filtro stragiudiziale. In entrambe le fattispecie, inoltre, la facoltà di avvalersi di siffatti presidi stragiudiziali è limitata alla sola causa di cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario o di scioglimento del matrimonio civile enucleata dall'art. 3, comma 1, n. 2, lett. b, legge sul divorzio, cioè - per un verso - al previo passaggio in giudicato della sentenza di separazione giudiziale fra coniugi ovvero all'omologazione della separazione consensuale ovvero all'intervenuta separazione di fatto, quando essa sia iniziata almeno due anni prima del 18 dicembre 1970, ovvero, nonostante la lacuna della legge, alla certificazione nell'accordo di separazione raggiunto a seguito di convenzione di negoziazione assistita ovvero alla formalizzazione dell'atto contenente l'accordo di separazione concluso innanzi all'ufficiale dello stato civile e - per altro verso - al decorso di almeno sei mesi di separazione ininterrotta a far tempo dalla comparizione dei coniugi davanti al presidente del tribunale nella procedura di separazione e, per il futuro, dalla data certificata nell'accordo di separazione raggiunto a seguito di convenzione di negoziazione assistita ovvero dalla data dell'atto contenente l'accordo di separazione concluso innanzi all'ufficiale dello stato civile. Pur rimanendo ferme queste similitudini, la negoziazione assistita e la negoziazione diretta per il raggiungimento della soluzione della crisi familiare non sono né esattamente complementari né totalmente alternative tra loro, poiché i presupposti giustificativi del ricorso all'accordo diretto sono più restrittivi dei presupposti richiesti per l'accesso alla negoziazione assistita. Infatti, la negoziazione assistita è attivabile sia in presenza sia in assenza di figli minori, figli maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave ovvero di figli maggiorenni economicamente non autosufficienti mentre la negoziazione diretta è ammessa solo in assenza di figli minori, figli maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave ovvero di figli maggiorenni economicamente non autosufficienti; ma vi è di più, sotto il secondo profilo dell'ampiezza economica delle disposizioni prospettabili, la negoziazione assistita può concernere anche condizioni di natura patrimoniale mentre l'accordo diretto non ammette alcuna statuizione accessoria di natura patrimoniale. Su un piano più generale, è tradizionalmente discussa in dottrina la natura dei procedimenti, trattandosi di questione strettamente correlata alla funzione ed all'estensione che si attribuisce nell'ordinamento alla giurisdizione volontaria. Secondo una prima tesi, avrebbe natura di giurisdizione volontaria il solo procedimento di separazione consensuale, mentre quello di separazione giudiziale assume i caratteri del procedimento di cognizione speciale, a nulla rilevando la presenza di caratteri propri della giurisdizione volontaria (Mandrioli, 1962, 1 ss.). Per altri, invece, entrambi i procedimenti possono farsi rientrare nella giurisdizione volontaria, essendo richiesta sia con il ricorso di separazione consensuale che con quello di separazione giudiziale una modificazione di status all'autorità giudiziaria , come sarebbe attestata dalla intrinseca revocabilità della separazione, nonché dalla possibilità di modificare il titolo della separazione per fatti sopravvenuti (cfr. Cipriani, 1971, 51 ss.). In accordo con un'altra posizione, il procedimento di separazione individua una terza categoria di giurisdizione, intermedia tra la volontaria e la contenziosa, definita giurisdizione civile oggettiva. Il carattere misto della materia oggetto del giudizio di separazione — in cui sono presenti interessi propri dell'istituto familiare, dei figli e dei coniugi, non tutti caratterizzati dalla disponibilità — richiede forme « oggettive » di tutela che si esplicano: 1) nel caso della separazione giudiziale, nel potere del giudice di decidere la controversia riguardante non il se ma il come della separazione, e conseguentemente nella struttura almeno parzialmente contenziosa del procedimento; 2) nel caso della separazione consensuale, nel potere di valutare positivamente o negativamente la soluzione proposta congiuntamente dalle parti, e conseguentemente nella struttura interamente camerale del procedimento (Montesano, 591). Più di recente, è stato argomentato il superamento di queste tesi, a favore della natura integralmente contenziosa dei procedimenti di separazione giudiziale e divorzio, quali azioni costitutive (Vullo, 2011, I, 9 ss.). CompetenzaAvendo riguardo alla formulazione originaria della disposizione in esame, come modificata dalla l. n. 80/2005, sia la domanda di separazione personale dei coniugi, sia quella di divorzio, dovevano proporsi al Tribunale del luogo dell'ultima residenza comune dei coniugi o, in mancanza, a quello del luogo nel quale il coniuge convenuto ha la residenza o il domicilio, criterio in precedenza principale. In conformità al disposto normativo, si è affermato che, ai fini dell'individuazione del tribunale territorialmente competente sulla domanda di separazione personale dei coniugi, l'art. 706, comma 1, c.p.c. impone, quale criterio principale di collegamento, l'ultima residenza comune, e, solo nell'ipotesi in cui non vi sia mai stata convivenza tra i coniugi, il criterio subordinato della residenza o del domicilio della parte convenuta (Cass. n. 13569/2019; Cass. n. 4109/2017). Peraltro, con riferimenti ai procedimenti di divorzio, tale modifica è venuta meno, in quanto la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittimo l'art. 4, comma 1, l. n. 898/1970, nel testo sostituito dall'art. 2, comma 3-bis, d.l. n. 35/2005, conv., con modif., in l. n. 80/2005, limitatamente alle parole «del luogo dell'ultima residenza comune dei coniugi ovvero, in mancanza». In particolare, la Corte ha sottolineato che la previsione, tra i criteri di competenza per territorio applicabili ai procedimenti concernenti lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, di quello del luogo dell'ultima residenza comune dei coniugi è manifestamente irragionevole ove si consideri che negli indicati procedimenti, nella maggioranza delle ipotesi, la residenza comune è cessata, quanto meno dal momento in cui i coniugi, in occasione della domanda di separazione — giudiziale o consensuale — sono stati autorizzati a vivere separatamente, sicché non è ravvisabile alcun collegamento fra i coniugi e il tribunale individuato dalla norma (Corte cost. n. 169/2008). Rispetto alla competenza per territorio nei giudizi di separazione personale, la S.C. ha invece chiarito che, ai fini dell'individuazione del tribunale competente per territorio sulla domanda di separazione personale dei coniugi, tale luogo deve essere identificato con l'ultima residenza comune dei coniugi, non potendosi ricorrere al foro subordinato della residenza o del domicilio della parte convenuta, sulla base di una applicazione estensiva della sent. Corte Cost. 23 maggio 2008 n. 169 , atteso che nell'ipotesi della separazione non potrebbe sussistere il predetto dubbio di legittimità, stante la diversità di situazioni, dei coniugi in procinto di separarsi, rispetto a coniugi già separati da tempo e parti nel giudizio di cessazione degli effetti civili nel matrimonio (Cass. n. 16957/2011). Pertanto, ai fini dell'individuazione del tribunale territorialmente competente sulla domanda di separazione personale dei coniugi, l'art. 706, comma 1, impone, quale criterio principale di collegamento, l'ultima residenza comune, e, solo nell'ipotesi in cui non vi sia mai stata convivenza tra i coniugi, il criterio subordinato della residenza o del domicilio della parte convenuta (Cass. n. 4109/2017). Peraltro, anche per i giudizi di separazione, la competenza per territorio nel luogo dell'ultima residenza comune dei coniugi, da individuarsi nel luogo della casa coniugale, può essere superato dalla prova del verificarsi di una frattura del rapporto di convivenza prima della proposizione della domanda di separazione, a causa dello spostamento da parte del convenuto della propria dimora abituale (Cass. n. 5108/2013). In senso analogo in sede applicativa si è osservato che giudice competente per la separazione è quello del luogo in cui si trova l'abitazione coniugale, salvo che non vi sia stata una frattura della convivenza antecedente alla domanda giudiziale, ipotesi nella quale il giudice competente va individuato secondo la residenza o il domicilio del coniuge convenuto (Trib. Lucca I, 2 marzo 2010). Altre pronunce di merito edite hanno invece ritenuto che il criterio principale di collegamento dell'ultima residenza comune dei coniugi venga meno nella sola ipotesi in cui non ci sia mai stata convivenza (Trib. Messina I, 8 maggio 2012; Trib. Bari I, 19 febbraio 2010). Il principale criterio di competenza territoriale — inderogabile in siffatti procedimenti ai sensi dell'art. 28 — è, pertanto, quello “dell'ultima residenza comune di entrambi i coniugi”. Il legislatore, probabilmente, ha tenuto conto di quella giurisprudenza, soprattutto di legittimità, secondo la quale, già prima della riforma del 2005, al fine dell'individuazione del tribunale competente per territorio sulla domanda di separazione personale o di divorzio, il luogo di residenza del coniuge convenuto al momento della proposizione della domanda doveva comunque essere identificato, in via presuntiva, con la casa coniugale, da ritenersi sino a prova contraria luogo di dimora abituale di tutti i componenti della famiglia (Cass. n. 19595/2004). Il comma 2 della disposizione in esame (ed il comma 1 dell'art. 4 l. n. 898/1970) prevede, poi, che qualora il coniuge convenuto sia residente all'estero o risulti comunque irreperibile, la domanda andrà proposta al Tribunale del luogo di residenza o di domicilio del ricorrente e, se anche quest'ultimo risiede all'estero, in qualunque Tribunale della Repubblica. Il giudizio di separazione personale tra coniugi, cittadini di due diversi Stati membri dell'Unione Europea, può essere validamente instaurato nella residenza abituale della parte attrice, così come previsto nell'art. 3, n. 1, lett. a), del Regolamento CE n. 2201/2003, anche se la domanda non sia proposta congiuntamente da entrambi i coniugi, in quanto tale criterio di collegamento è previsto in via alternativa sia in caso di domanda congiunta sia in caso di domanda proposta da una sola parte, in presenza (come nella specie) di una durata almeno annuale della residenza abituale dell'attore prima della proposizione della domanda (Cass. S.U., ord. n. 3680/2010). Ricorso introduttivo e memoria integrativaSia la domanda di separazione, sia quella di divorzio si propongono con ricorso piuttosto che con citazione (Cass. n. 10291/2002): di talché l'atto deve essere innanzitutto depositato presso la cancelleria del giudice adito e, solo successivamente, unitamente al decreto di fissazione dell'udienza presidenziale, dovrà essere notificato, ove proposto soltanto da un coniuge, al convenuto. Quanto agli elementi essenziali del ricorso, ai sensi dell'art. 706, quando lo stesso è volto ad introdurre un procedimento di separazione personale, deve semplicemente contenere “l'esposizione dei fatti sui quali la domanda è fondata”, mentre nella domanda di divorzio devono naturalmente essere evidenziati anche gli elementi di diritto sui quali la medesima si fonda. Il che si spiega agevolmente in virtù del fatto che l'art. 3 l. n. 898/1970 (legge divorzio) individua tassativamente i casi nei quali può essere proposta domanda di scioglimento del matrimonio ovvero di cessazione degli effetti civili dello stesso. È necessario tuttavia evidenziare, con riferimento al contenuto del ricorso introduttivo, che lo stesso deve essere delimitato tenendo presente che, a seguito delle innovazioni dovute alla l. n. 80/2005, ai sensi dell'art. 709 (v. anche commento) ove il tentativo di conciliazione non riesca, il presidente fissa la data dell'udienza di comparizione delle parti dinanzi al giudice istruttore ed, al contempo, assegna al ricorrente termine per il deposito in cancelleria di una memoria integrativa che deve avere il contenuto di cui all'art. 163 ed al convenuto termine per la costituzione in giudizio ai sensi degli artt. 163 e 167. Ne deriva che l'atto introduttivo dei giudizi in esame è stato da ultimo ricostruito dal legislatore alla stregua di un atto a formazione progressiva: di conseguenza ai fini della determinazione della litispendenza dovrà aversi riguardo al momento del deposito del ricorso soltanto quanto alla domanda principale di separazione o di divorzio, mentre per le altre, eventuali domande, il momento determinativo della litispendenza potrebbe sovente riconnettersi al deposito della memoria integrativa. La descritta modificazione del regime degli atti introduttivi delle due procedure risponde altresì all'intento di fare chiarezza in ordine alla natura, monofasica o bifasica, dei procedimenti di separazione e divorzio. Più in particolare, secondo alcuni il procedimento doveva configurarsi in modo unitario mentre per altri aveva una struttura bifasica per la quale il momento contenzioso del giudizio aveva inizio soltanto una volta chiusa, con la pronuncia dei provvedimenti urgenti nell'interesse della prole e dei coniugi, la fase presidenziale (nel primo senso v. Cipriani,1970, 5 ss.; contra Mandrioli,1972, 207). La questione era stata resa ancora più complessa da successivi interventi normativi: in particolare, la l. n. 74/1987 modificando l'art. 4 l. n. 898/1970 , aveva individuato, compiutamente il contenuto dell'atto introduttivo del giudizio di divorzio facendo riferimento all'art. 163 nn. 1-5 c.p.c. ed, in ragione del rinvio posto dall'art. 23 stessa l. n. 74/1987, tale disposizione si riteneva comunemente applicabile anche al ricorso introduttivo dei procedimenti di separazione personale dei coniugi; inoltre, con la novella operata dalla l. n. 353/1990, erano state reintrodotte rigide preclusioni nel rito di cognizione ordinaria e ciò aveva indotto i i fautori della struttura unitaria dei procedimenti in esame, non avevano mancato di equiparare l'udienza presidenziale alla prima udienza ex art. 180 c.p.c., con le relative conseguenze in tema di preclusioni per le parti (Salvaneschi, 1996, 233). Sul punto, la stessa giurisprudenza, dopo la riforma della legge sul divorzio, operata dalla l. n. 74/1987, e di quelle intervenute nell'ambito del processo civile, sulla disciplina delle preclusioni, degli anni novanta, aveva assunto posizioni discordanti, tanto da indurre la dottrina a parlare (con un chiaro riferimento alle prassi radicate nei relativi tribunali), di “rito ambrosiano” e di “rito romano”. Infatti, il Tribunale di Milano, soprattutto sul presupposto della dettagliata disciplina dell'atto introduttivo del processo di divorzio secondo l'art. 4 l. n. 898/1970, siccome innovato dalla citata l. n. 74/1987, applicabile in virtù del richiamo operato dall'art. 23 anche ai giudizi di separazione, aveva equiparato, in adesione alla dottrina fautrice della natura monofasica di tali procedimenti (Cipriani, 1970, 5 ss.), la fase presidenziale all'udienza ex art. 180 e, per questo, ritenuto applicabile, alla costituzione del convenuto, l'art. 167, con le relative preclusioni circa la proposizione delle domande riconvenzionali. Si era a riguardo sottolineato che il ricorso introduttivo dei giudizi di separazione e divorzio, ritualmente notificato, è idoneo ad assolvere definitivamente le funzioni di edictio actionis e di vocatio in ius proprie della domanda giudiziale, con la conseguenza che il convenuto ha l'onere di costituirsi anteriormente all'udienza presidenziale, secondo i termini previsti dal regime ordinario ridotti della metà, mentre ogni domanda successivamente proposta, salve le facoltà di cui all'art. 183 c.p.c., deve ritenersi inammissibile perché tardiva (Trib. Milano 27 giugno 1997, in Dir. fam., 1998, 1009, con nota di Danovi). Secondo un'altra posizione, condivisa anche dalla S.C. (Cass. n. 10914/2002), la fase contenziosa di tali giudizi aveva invece inizio soltanto quando le parti, fallito il tentativo di conciliazione, erano rimesse — con ordinanza presidenziale — dinanzi al giudice istruttore; di talché solo da tale momento sarebbero scattate le preclusioni del rito ordinario di cognizione (conf. anche Trib. Nola, 26 marzo 1997, in Fam. e dir., 1997, 455, con nota di Carratta; Trib. Napoli, 12 febbraio 1997). Quest'ultimo è stato l'orientamento avallato dal legislatore con la riforma del 2006, atteso che ai sensi dell'art. 709 solo le memorie integrative devono avere, a pena di decadenza, i contenuti, rispettivamente, di cui agli artt. 163 e 167. L'intento perseguito dal legislatore, ovvero quello di non privare di una qualsivoglia possibilità di successo il tentativo di conciliazione che si svolge davanti al Presidente e che sarebbe reso del tutto inutile dalle accuse reciproche e, soprattutto, dalle domande di addebito contenute negli atti introduttivi del giudizio, in astratto apprezzabile, potrebbe scontrarsi con un dato di comune esperienza: i coniugi (o almeno uno di essi), quando hanno scelto di chiedere la separazione o il divorzio, hanno, nella grandissima parte dei casi escluso la possibilità di salvare il rapporto coniugale e, di conseguenza, difficilmente l'intervento di un terzo potrebbe indurli a rimeditare su quanto già deciso. Peraltro, almeno in dottrina, non è pacifico se con le memorie integrative possano, in omaggio alla predetta finalità, essere “veicolate”, domande nuove (in senso affermativo, tra gli altri, Luiso - Sassani, 247 ed in senso contrario Tommaseo, 2006, 232). In sede di merito nel giudizio di separazione la domanda di addebito va richiesta, a pena di inammissibilità, nelle conclusioni formulate nel ricorso introduttivo e non nella memoria integrativa ex art. 709 (Trib. Teramo 26 febbraio 2015, n. 327). La S.C., con riguardo all'assetto antecedente alla riforma di cui alla l. n. 80/2005, aveva affermato il principio per il quale nel giudizio di separazione personale dei coniugi ai fini dell'ammissibilità della domanda di addebito, autonoma rispetto a quella di separazione, non occorre che essa sia espressamente ripetuta nella parte relativa alle conclusioni del ricorso introduttivo, essendo sufficiente che l'intenzione di uno dei coniugi di addebitare la separazione all'altro risulti univocamente dalla lettura dell'atto nel suo complesso (Cass. n. 1278/2014). Onere di allegazione delle dichiarazioni dei redditi ed indicazione dell'esistenza di figli Il secondo periodo del comma 3 della norma in esame stabilisce che al ricorso ed alla memoria integrativa sono devono essere allegate le ultime dichiarazioni dei redditi presentate dai coniugi. La norma suscita talune perplessità poiché non è indicato il numero di dichiarazioni da allegare (Danovi 2006, 849), sebbene l'utilizzazione del plurale da parte del legislatore induca a ritenere che le dichiarazioni da allegare debbano essere almeno due (Luiso - Sassani, 241). Si è osservato che in realtà è stato demandato alla discrezionalità del giudice l'onere di completare di volta in volta il contenuto della disposizione, richiedendo nell'ordine di produzione il numero di dichiarazioni necessario in ragione delle circostanze del caso concreto (Casaburi, 2006, 17; così anche Doronzo in Cipriani - Monteleone, 557). Dall'omessa allegazione delle dichiarazioni il giudice potrebbe desumere argomenti di prova ex art. 116, comma 2, a carico della parte inadempiente (Balena (-Bove), 400). Nel ricorso, ai sensi dell'ultimo comma, deve poi essere indicata la presenza di figli di entrambi i coniugi. La norma non precisa se debbano essere indicati anche i figli maggiorenni, ma in relazione alla ratio della stessa deve ritenersi che debba essere indicata la presenza dei medesimi solo se portatori di handicap grave o non economicamente autosufficienti (Luiso - Sassani, 241). Fissazione dell'udienza presidenzialeIl comma 3 della disposizione in esame prevede che il Presidente nel pronunciare, depositato il ricorso, il decreto di fissazione dell'udienza di comparizione dinanzi a sé indichi il termine entro il quale il convenuto può depositare la memoria difensiva ed i documenti. Non è previsto un termine a difesa per il convenuto, tuttavia la memoria difensiva sarebbe, almeno in accordo con l'opinione dominante (v. supra con riferimento al contenuto del ricorso introduttivo) solo funzionale alla predisposizione di un atto di difesa in forma scritta in vista dell'udienza dinanzi al Presidente, talché il vero onere di costituzione in giudizio si avrebbe soltanto, alla stregua di quanto desumibile dal comma 3, all'esito della fase presidenziale nei dieci giorni precedenti la comparizione e trattazione davanti al giudice istruttore (Lupoi, 2006, 967). In tal senso si è affermato in sede di merito che nel giudizio per la separazione dei coniugi, il primo atto cui ricondurre effetti decadenziali a carico del convenuto — in specie la proposizione di domanda riconvenzionale — è la comparsa di risposta depositata prima dell'udienza davanti al giudice istruttore e non già la memoria di costituzione in occasione dell'udienza presidenziale posto che l'art. 706 nella nuova formulazione conseguente all'introduzione della l. n. 80/2005, nel prescrivere che il convenuto prima dell'udienza presidenziale possa depositare memoria, indica una facoltà e non un onere (Trib. Novara 12 febbraio 2010, n. 150). Gli effetti processuali dell’introduzione della l. n. 55 del 2015 sul c.d. divorzio breveL’art. 1 l. n. 55/2015, intervenendo sull’art. 3 della legge sul divorzio, prevede che la domanda di scioglimento del vincolo coniugale o di cessazione degli effetti civili del matrimonio può essere proposta decorsi dodici mesi dalla comparizione dei coniugi dinanzi al Presidente in caso di separazione giudiziale e sei mesi da tale comparizione nell’ipotesi di separazione consensuale (ovvero qualora la separazione giudiziale si converta in consensuale). In realtà, il testo inizialmente approvato alla Camera prevedeva che tali termini decorressero dal deposito del ricorso: ciò avrebbe evitato talune disarmonie derivanti dalla circostanza che il momento di fissazione dell’udienza presidenziale può essere più o meno distante rispetto a quello del deposito del ricorso, in ragione del carico del ruolo degli uffici giudiziari nei quali le procedure vengono incardinate. La riforma sul c.d. divorzio breve nulla prevede in ordine ai rapporti, tradizionalmente controversi, tra giudizio di separazione e giudizio di divorzio ove gli stessi siano entrambi pendenti. Tale problematica è tradizionale ma tende, evidentemente, ad aggravarsi considerata l’abbreviazione dei termini per proporre domanda di divorzio (Danovi, 608). In realtà, nell’originaria formulazione del testo approvato alla Camera si prevedeva che, se alla data di instaurazione del giudizio di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio era ancora pendente il giudizio di separazione con riguardo alle domande accessorie, la causa doveva essere assegnata al giudice della separazione personale. Tale soluzione, ritenuta comunque non risolutiva da autorevole dottrina (Danovi, 609) è poi venuta meno. Occorre quindi interrogarsi sulla complessa problematica utilizzando gli strumenti tradizionali. E’ noto che la giurisprudenza, anche di legittimità, è incline a negare che tra i due giudizi sussista un rapporto di pregiudizialità-dipendenza tra cause idoneo a giustificare, se pendenti di fronte a giudici diversi, la sospensione ex art. 295 dell’uno in attesa della definizione dell’altro (Cass. n. 6732/1985; Cass. n. 1128/1979). Tale ipotesi riguarda, in particolare, il procedimento di separazione che prosegua sulle sole domande accessorie ed il giudizio di divorzio, atteso che il divorzio comporta la cessazione della materia del contendere nel procedimento ove si discuta della sola separazione (Cass. n. 3358/1975). Sul punto, si ritiene, invero, che tra il processo di divorzio e quello di separazione personale non esiste alcun rapporto che giustifichi una pronunzia di litispendenza o di sospensione necessaria del primo in attesa della decisione sul secondo, data l'autonomia dei due procedimento, sia per la diversa struttura, finalità e natura dell'assegno di divorzio rispetto a quello determinato nel giudizio di separazione personale, sia per la cessazione di ogni efficacia, della sentenza di separazione personale con la pronuncia di divorzio (Cass. n. 2514/1983). La S.C. ha osservato che, in particolare, se esiste sentenza di separazione giudiziale passata in giudicato, questa fa stato tra le parti e, oltre a determinare l'ampiezza del termine per la proposizione della domanda, può influire sulla determinazione dell'assegno, ma, se tale pronuncia non esiste ancora, non vi è alcuna necessità di attenderla procrastinando la pronunzia di cessazione degli effetti civili ed i fatti addotti nel giudizio di separazione potranno essere liberamente apprezzati e valutati dal giudice del divorzio (Cass. n. 2009/1981). La dottrina che, anche a seguito della riforma, accede a questa impostazione dominante rileva che, pure in presenza di domande identiche nei due procedimenti (ad esempio, di assegnazione della casa familiare e di affidamento), gli stessi possano proseguire indipendentemente l’uno dall’altro, con un’armonizzazione da realizzarsi ex post, attraverso la prevalenza della prima decisione idonea a passare in giudicato (Danovi, 609). Peraltro, in un sistema normativo nel quale il divorzio c.d. immediato è limitato a particolari fattispecie di carattere residuale, è anche vero che la cessazione degli effetti civili del matrimonio è “dipendente” dall’avvenuta separazione, alla stregua di quanto si è già accennato, di talché, fino a quando la decisione sull’an della separazione non è stata emanata, non sarà possibile pronunciare il divorzio. Anche per quanto attiene alle domande accessorie occorre interrogarsi, inoltre, sull’effettiva utilità e, quindi, sul permanere del necessario requisito dell’interesse ad agire ed a contraddire in giudizio, di una decisione sulle domande stesse nel giudizio di separazione, una volta che sia intervenuta la pronuncia di divorzio (contra, Cass. n. 1128/1972). Con riguardo alla domanda di addebito della separazione, va ricordato che in un sistema che non conosce più la separazione c.d. per colpa, come quello successivo alla riforma del diritto di famiglia del 1975, la pronuncia di addebito è funzionale soprattutto all’anticipazione del venir meno dei diritti successori del coniuge “colpevole” ed alla possibilità per lo stesso di ottenere soltanto un assegno alimentare in luogo di quello di mantenimento. In base a tali generali principi, autorevole dottrina ha evidenziato che la sopravvenienza del divorzio nelle more di un processo sull’addebito sottrae in ogni caso ragion d’essere al processo stesso, in quanto tutte le conseguenze che l’addebito potrebbe produrre sono state già superate o assorbite dal divorzio (Cipriani, 2002, 385). Per vero, una volta che è stata pronunciata la sentenza di divorzio, vengono in ogni caso meno i reciproci diritti successori degli ex coniugi e l’assegno che può essere concesso in sede di divorzio avrebbe, in ogni caso, una mera funzione assistenziale (Tizi 1081; Giordano, 605 ss.). In tale prospettiva, laddove il giudizio sulla separazione – ovviamente definito sull’an – prosegua limitatamente alla domanda di addebito, potrebbe ritenersi che, pronunciata la sentenza di divorzio, debba cessare nell’ambito dello stesso la materia del contendere per insussistenza di interesse alla prosecuzione (contra, Danovi, 610). Più complessa è la questione afferente le altre domande di natura economica, specie dopo l’evoluzione della giurisprudenza di legittimità nel senso che l’assegno che può essere posto a carico di uno dei coniugi con il divorzio ha natura assistenziale e non già “mista”, come era in precedenza (Cass. n. 3398/2013). E’ invero evidente che, ancor più alla luce di ciò, la domanda di mantenimento formulata nel giudizio di separazione e quella volta ad ottenere l’assegno divorzile sono distinte ed autonome, con conseguente possibilità di prosecuzione indipendente, almeno in astratto, dei due giudizi. Nondimeno, non può neppure trascurarsi, ai fini della valutazione di un interesse ex art. 100 c.p.c. alla prosecuzione del procedimento di separazione in ordine alla domanda di mantenimento che, una volta pronunciato il divorzio e le relative statuizioni economiche, non sembra neppure avere senso disquisire di una domanda volta ad ottenere un assegno di mantenimento correlato ad un rapporto di coniugio ormai venuto meno (Danovi, 610; Tizi,1081). BibliografiaBriguglio-Capponi (a cura di), Commentario alle riforme del processo civile, I, Padova, 2007; Casaburi, Il nuovo processo di famiglia, in Giur. mer. 2006/3, 5 ss.; Cea, I processi di separazione e divorzio all'indomani della promulgazione della l. n. 80/2005, in Riv. dir. civ. 2006, II, 103 ss.; Cea, L'affidamento condiviso. Profili processuali, in Foro it. 2006, V, 100; Chiarloni (a cura di), Le recenti riforme del processo civile, II, Bologna, 2007; Cipriani, I provvedimenti presidenziali nell'interesse dei coniugi e della prole, Napoli, 1970; Cipriani, Dalla separazione al divorzio, Napoli, 1971; Cipriani, Sulla revoca del consenso per la separazione consensuale (ancora in difesa dell'art. 711 c.p.c.), in Riv. arb. 1994, 938 ss.; Ciprinia, Sulle domande di separazione, di addebito e di divorzio, in Foro it. 2002, I, 385; Cipriani, Processi di separazione e di divorzio, in Foro it. 2005, V, 140; Cipriani-Monteleone (a cura di), La riforma del processo civile, Padova, 2007; Danovi, Al via il “divorzio breve”: tempi ridotti ma manca il coordinamento con la separazione, in Fam. dir. 2015, n. 6, 607; Danovi, Le nuove norme sui procedimenti di separazione e di divorzio, in Riv. dir. proc. 2005, 849; Giordano, Note processuali sulla legge in tema di divorzio c.d. breve, in Giust. civ. 2016, n. 3; Graziosi, Osservazioni sulla riforma dei processi di separazione e di divorzio, in Riv. trim. dir. proc. civ. 2005, 1113; Luiso-Sassani, La riforma del processo civile, Milano, 2006; Lupoi, La riforma dei procedimenti della crisi matrimoniale: profili sistematici e fase introduttiva, in Riv. trim. dir. proc. civ. 2006, 955; Lupoi, Aspetti processuali della normativa sull'affidamento condiviso, in Riv. trim. dir. proc. civ. 2006, 1063; Mandrioli, I provvedimenti presidenziali nel giudizio di separazione dei coniugi, Milano, 1953; Mandrioli, Il « rito ambrosiano » nei giudizi di separazione e divorzio, in Fam. e dir. 1994, 215 ss.; Pagano, Modifica dell'art. 710 del cod. di proc. civ. in materia di modificabilità dei provvedimenti del tribunale nei casi di separazione personale dei coniugi, in Nuove leggi civ. comm. 1989, 367 ss.; Salvaneschi, Provvedimenti presidenziali nell'interesse dei coniugi e della prole e procedimento cautelare uniforme, in Riv. dir. proc. 1994, 1063 ss.; Salvaneschi, Alcuni profili processuali della legge sull'affidamento condiviso, in Riv. dir. proc. 2006, 1292; Salvaneschi, La Corte Costituzionale modifica la competenza nei giudici di divorzio, in Riv. dir. proc. 2009, 491; Tizi, La nuova normativa sul divorzio breve: analisi della disciplina e aspetti problematici, in Nuove leggi civ. comm., 2015, 1079; Tommaseo, Nuove norme per i giudizi di separazione e di divorzio, in Fam. e dir. 2005, 231; Tommaseo, La disciplina processuale della separazione e del divorzio dopo le riforme del 2005 (e del 2006), in Fam. e dir. 2006, 7 ss.; Tommaseo, Dichiarate parzialmente illegittime le regole sul foro competente per i giudizi di divorzio: una sentenza scontata o un'occasione perduta?, in Fam. e dir. 2008, 669. |