Codice di Procedura Civile art. 709 ter - [Soluzione delle controversie e provvedimenti in caso di inadempienze o violazioni] 1[Soluzione delle controversie e provvedimenti in caso di inadempienze o violazioni]1 [[I]. Per la soluzione delle controversie insorte tra i genitori in ordine all'esercizio della responsabilità genitoriale o delle modalità dell'affidamento è competente il giudice del procedimento in corso. Per i procedimenti di cui all'articolo 710 è competente il tribunale del luogo di residenza del minore2.] [[II]. A seguito del ricorso, il giudice convoca le parti e adotta i provvedimenti opportuni. In caso di gravi inadempienze o di atti che comunque arrechino pregiudizio al minore od ostacolino il corretto svolgimento delle modalità dell'affidamento, può modificare i provvedimenti in vigore e può, anche congiuntamente: 1) ammonire il genitore inadempiente; 2) disporre il risarcimento dei danni, a carico di uno dei genitori, nei confronti del minore; 3) disporre il risarcimento dei danni a carico di uno dei genitori nei confronti dell'altro anche individuando la somma giornaliera dovuta per ciascun giorno di violazione o di inosservanza dei provvedimenti assunti dal giudice. Il provvedimento del giudice costituisce titolo esecutivo per il pagamento delle somme dovute per ogni violazione o inosservanza ai sensi dell'articolo 614-bis3 4) condannare il genitore inadempiente al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria, da un minimo di 75 euro a un massimo di 5.000 euro a favore della Cassa delle ammende4.] [[III]. I provvedimenti assunti dal giudice del procedimento sono impugnabili nei modi ordinari.]
[1] Articolo inserito dall'art. 2, comma 2, l. 8 febbraio 2006, n. 54 e , da ultimo, abrogato dall'art. 3, comma 49, lett. a), del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 (ai sensi dell'art. 52 d.lgs. n. 149 /2022 , il presente decreto legislativo entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale). Per la disciplina transitoria v. art. 35 d.lgs. n. 149/2022, come da ultimo modificato dall'art. 1, comma 380, lett. a), l. 29 dicembre 2022, n.197, che prevede che : "1. Le disposizioni del presente decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti.". [2] L'art. 95, d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, ha sostituito alla parola: «potestà» la parola: «responsabilità». Ai sensi dell’art. 108, d.lgs. n. 154 del 2013, la modifica entra in vigore a partire dal 7 febbraio 2014. [3] Numero sostituito dall'art. 1, comma 33, l. 26 novembre 2021, n. 206. Il testo precedente era il seguente: «3) disporre il risarcimento dei danni, a carico di uno dei genitori, nei confronti dell'altro;». Ai sensi del comma 37 del medesimo articolo, la presente disposizione si applica ai procedimenti instaurati a decorrere dal centottantesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore della l. n. 206, cit.. [4] La Corte cost. 10 luglio 2020, n. 145 ha dichiarato non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 709-ter, secondo comma, numero 4), del codice di procedura civile, sollevata, in riferimento all'art. 117, primo comma, della Costituzione, in relazione all'art. 4 del Protocollo n. 7 alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, adottato a Strasburgo il 22 novembre 1984, ratificato e reso esecutivo con legge 9 aprile 1990, n. 98. InquadramentoSi riporta, considerata la pendenza di procedimenti regolati dal regime anteriore al d.lgs. n. 149 del 2022, il testo delle disposizioni, corredato del relativo commento, anteriore all'abrogazione dell'articolo in commento. La portata maggiormente innovativa ascrivibile alla norma in commento è la previsione della possibilità per il giudice adito non soltanto di modificare i provvedimenti in vigore ma, altresì, di adottare, anche congiuntamente, provvedimenti sanzionatori (Luiso - Sassani, 250). Le misure che possono essere emanate a fronte del grave inadempimento di uno dei genitori rispetto ai doveri enucleati dal provvedimento relativo all'affidamento della prole o di atti comunque pregiudizievoli per la corretta esplicazione delle modalità di affidamento della stessa, sono, secondo un criterio di progressiva afflittività: a) l'ammonimento del genitore inadempiente; b-c) la condanna al risarcimento dei danni a carico del genitore inadempiente ed a favore dell'altro genitore o del minore; d) la condanna del genitore inadempiente al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria, quantificata nel minimo in 75 euro e nel massimo in 5000 euro, a favore della Cassa delle ammende. Manca una tipizzazione legislativa delle ipotesi nelle quali, a fronte di un determinato inadempimento o comportamento, deve essere adottata una misura piuttosto che l'altra, talché la relativa valutazione è rimessa al potere discrezionale del giudice (Doronzo, in Cipriani - Monteleone, 2007, 625). CompetenzaLa norma detta due regole di competenza nel comma 1, distinguendo, invero, tra l'ipotesi in cui sia in corso il procedimento di separazione o divorzio tra i coniugi, in relazione alle quali sussiste la competenza del giudice del procedimento quella in cui detto procedimento si sia già concluso, rispetto alla quale viene invece prevista la competenza del tribunale del luogo di residenza del minore. Diversi problemi interpretativi sono peraltro sorti rispetto ad entrambi i criteri di collegamento della competenza ora richiamati. Con specifico riguardo all'ipotesi in cui la controversia tra i genitori in ordine all'esercizio della potestà genitoriale o alle modalità di affidamento dei figli sia sorta nel corso del giudizio principale di separazione o di divorzio, sorge l'interrogativo, attesa la collegialità delle cause di famiglia, se anche le controversie di cui alla norma in commento debbano essere decise dal collegio o se la definizione delle stesse sia demandata al giudice istruttore. La dottrina ha assunto sulla questione posizioni estremamente variegate. Secondo un primo orientamento la competenza dovrebbe essere attribuita in ogni caso al giudice istruttore, stante l'esigenza di ottenere, per la natura delle controversie in esame, una decisione in tempi brevi ed essendo lo stesso giudice istruttore competente ex art. 709, comma 4, a provvedere in tema di revoca e modifica dei provvedimenti presidenziali nell'interesse della prole e dei coniugi (Casaburi, 2007, 1610). Questa posizione è stata avallata, nella prassi, da Trib. Messina 5 aprile 2007, Giur. mer., 2007, n. 10, 2635. In senso diverso si è rilevato che, costituendo la controversia sull'esercizio della potestà genitoriale o le modalità di affidamento della prole un sub-procedimento nell'ambito del giudizio principale, la stessa deve essere decisa dal collegio (Carratta in Chiarloni, II, 2007, 1559). Analogamente, in sede applicativa, Trib. Pisa 17 dicembre 2007 e Trib. Napoli 29 novembre 2007, Corr. mer., 2008, 141. Nella giurisprudenza di merito, inoltre, va affermandosi la posizione, ancora diversa rispetto alle predette, per la quale la competenza spetta al giudice istruttore se la causa non è ancora nella fase decisoria ed al collegio quando la causa è in tale fase (v., tra le altre, Trib. Bologna 15 ottobre 2007; Trib. Termini Imerese 12 luglio 2006, Foro it., 2007, I, 3243; Trib. Modena 29 gennaio 2007). Come evidenziato, invece, per i procedimenti di cui all'art. 710, incardinati quando non è più in corso la controversia sullo scioglimento o attenuazione del vincolo coniugale, è competente il tribunale del luogo di residenza del minore. A riguardo, la S.C. ha sancito che il procedimento ex art. 709-ter si instaura nel luogo di residenza abituale del minore, senza che assumano rilievo la mera residenza anagrafica o eventuali trasferimenti contingenti o temporanei, atteso che nella individuazione in concreto del luogo di abituale dimora non può farsi riferimento ad un dato meramente quantitativo, rappresentato dalla prossimità temporale del trasferimento di residenza e dalla maggiore durata del soggiorno in altra città, essendo, invece, necessaria una prognosi sulla probabilità che la nuova dimora diventi l'effettivo e stabile centro d'interessi del minore, ovvero resti su un piano di verosimile precarietà o sia un mero espediente per sottrarlo alla vicinanza dell'altro genitore o alla disciplina della competenza territoriale (Cass. n. 27358/2017). Sul punto si segnala, poi, una decisione di merito per la quale il comma 1 della disposizione in esame, applicabile ai procedimenti di revisione delle condizioni di divorzio per effetto dell'art. 9 l. n. 898/1970, nella parte in cui prevede la competenza del tribunale del luogo in cui il minore abbia la residenza deve essere interpretata nel senso che tale criterio di competenza valga anche laddove la sentenza di divorzio non sia ancora passata in giudicato per non essere ancora decorso il termine lungo o breve di impugnazione (Trib. Busto Arsizio 26 gennaio 2010). Distinta questione è quella avente ad oggetto la reclamabilità dei provvedimenti mediante i quali, ai sensi del comma 4 della norma in esame, il giudice istruttore revoca o modifica l'ordinanza presidenziale emanata nell'interesse della prole e dei coniugi, anche a fronte dei contrasti emersi nella giurisprudenza di merito già prima delle riforme di cui alla l. n. 80/2005 e l. n. 52/2006 (per la soluzione affermativa, Trib. Brindisi 12 agosto 2003, in Foro it., 2003, I, 3156, con nota di Cipriani; Trib. Genova 16 marzo 2001, in Foro it., 2001, I, 2356 e, per la negativa, Trib. Verona 20 febbraio 2003, ivi, 2003, I, 3156, con nota di Cipriani; Trib. Roma 8 gennaio 2004, GIUS, 2004, 720). Secondo un primo orientamento, suffragato anche da alcune decisioni di merito i provvedimenti in questione sarebbero reclamabili ai sensi del comma 4 della norma in esame dinanzi alla Corte d'Appello nel termine di 10 giorni dalla notificazione, alla medesima stregua dei provvedimenti presidenziali (App. Bari 16 giugno 2006, in Foro it., 2006, n. 11, 3242, con nota di Cea; Trib. Genova, 2 maggio 2006, in Giur. it., 2007, I, con nota di Carratta; Trib. Foggia 2 maggio 2006, in Foro it., 2006, I, 2213, con nota di Cea). Questa tesi è stata sostenuta anche da alcuni Autori (De Marzo 2006, 95; Salvaneschi 2006, 369; Siracusano 2007, 387; Carratta 2007, 1526, il quale, sull'assunto della natura giurisdizional-volontaria dei relativi provvedimenti, ritiene che si possa addivenire ad una tale conclusione anche applicando l'art. 739). Nell'ambito della posizione favorevole alla reclamabilità dei provvedimenti in questione si segnala, tuttavia, anche la distinta tesi per la quale i provvedimenti con i quali il giudice istruttore, nel giudizio di separazione, abbia modificato le misure adottate dal presidente del tribunale nell'interesse della prole e dei coniugi, sono reclamabili davanti al tribunale ai sensi dell'art. 669-terdecies, con la conseguenza che, qualora il reclamo sia stato proposto alla corte d'appello, questa, dichiarata la propria incompetenza, deve disporre, ai sensi dell'art. 50, la prosecuzione del giudizio davanti al giudice competente (App. Genova 20 novembre 2006, in Foro it., 2007, n. 2, 590; conf. Trib. Napoli 5 marzo 2007, in Corr. mer., 2007, 838). Opposta è la soluzione secondo la quale i provvedimenti temporanei ed urgenti adottati nell'interesse della prole e dei coniugi dal giudice istruttore, aventi natura cautelare, sono modificabili o revocabili dallo stesso giudice istruttore, ma non reclamabili. Secondo il nuovo assetto normativo dunque, è consentita la reclamabilità del provvedimento presidenziale alla Corte d'Appello per un controllo immediato, mentre, avverso i provvedimenti del giudice istruttore pur non essendone prevista la reclamabilità, è possibile la modificabilità o revocabilità da parte dello stesso giudice istruttore anche senza il verificarsi di fatti nuovi o il sopravvenire di nuove e diverse circostanze rispetto a quelle valutate con il provvedimento costitutivo (Trib. Lucera 31 gennaio 2007, in iuritalia.com; cfr. anche App. Napoli 5 marzo 2007, ibidem). I contrasti espressi sulla questione della reclamabilità dei provvedimenti del giudice istruttore di revoca o modifica dei provvedimenti presidenziali sono stati risolti dalla S.C. nel senso dell'inammissibilità di detto rimedio, tanto davanti alla corte d'appello, quanto dinanzi al tribunale (Cass. n. 15416/2014, in Foro it., 2014, n. 10, 2779, nt. Cea). Per altro verso, la regola di competenza dettata dalla disposizione in esame deroga a quella di cui all'art. 18, norma che la giurisprudenza ritiene generalmente applicabile ai procedimenti instaurati ai sensi dell' art. 710 (v. commento). In astratto nessun problema di interferenza e quindi sulla competenza potrebbe porsi in quanto dovrà ricorrersi al procedimento di cui all'art. 710 onde ottenere la revisione delle disposizioni sull'affidamento dei figli e l'attribuzione e l'esercizio della potestà genitoriale sugli stessi, mentre differenti sono le controversie per le quali possono essere richiesti provvedimenti ai sensi della norma in commento. Non può tuttavia escludersi un cumulo originario o successivo (i.e. determinato da una domanda riconvenzionale del coniuge convenuto) tra tali controversie, idoneo a comportare problemi in tema di competenza per territorio laddove non vi sia coincidenza tra la residenza del minore e quella del coniuge convenuto (in arg. Balena (-Bove), 421). Secondo alcuni una soluzione adeguata potrebbe essere individuata nell'interpretare estensivamente il riferimento operato dalla norma in esame ai procedimenti di cui all'art. 710, in modo da includere tutti i procedimenti relativi a provvedimenti sulla potestà genitoriale e l'affidamento dei figli anche nell'ipotesi in cui ne sia chiesta la revisione (Balena(-Bove), 422), ovvero tutte le fattispecie nelle quali non vi sia un procedimento in corso (Luiso-Sassani, 249). Per altri, invece, la soluzione dovrebbe essere individuata nell'applicazione, instaurato il tradizionale procedimento ex art. 710, dell'art. 20 in tema di fori alternativi per le cause in materia di obbligazioni, poiché tale previsione consentirebbe di cumulare, ad esempio, una controversia sulle modalità di affidamento del minore con le questioni di natura economica dinanzi al giudice del luogo ove l'obbligazione di mantenimento deve essere adempiuta, luogo che, probabilmente, è anche quello di residenza del minore (Salvaneschi, 2006, 153). In ogni caso, la S.C. ha chiarito che la competenza territoriale a conoscere dei procedimenti di revisione delle disposizioni economiche contenute nella sentenza di divorzio è devoluta al giudice del luogo in cui è sorta l'obbligazione controversa, dovendo applicarsi a tali procedimenti i criteri ordinari di competenza per territorio stabiliti dagli artt. da 18 a 20 e non il disposto dell'art. 709-ter, ultimo comma, introdotto dalla l. n. 54/2006, destinato alla soluzione di controversie insorte tra genitori in ordine all'esercizio della potestà genitoriale o alle modalità di affidamento e, in tale ambito, all'adozione, in caso di gravi inadempienze dei genitori o di atti che arrechino pregiudizio al minore od ostacolino il corretto svolgimento delle modalità di affidamento, dei provvedimenti sanzionatori previsti dalla norma stessa, anche in unione con la modifica dei provvedimenti in vigore relativamente a tali modalità (Cass., n. 8016/2013). L'art. 38 disp. att. c.c., nella formulazione antecedente alle modifiche introdotte dall'art. 3 l. n. 219/2012, demandava alla competenza del tribunale per i minorenni l'emanazione dei «provvedimenti contemplati dagli articoli 84, 90, 171, 194, comma 2, 250, 252, 262, 264, 326, 317-bis, 330, 332 333 334 335 e 371, ultimo comma, nonché nel caso di minori dall'articolo 269, primo comma, del codice civile». Nel comma 2 si precisava che rientravano, invece, nella competenza del tribunale ordinario i provvedimenti non attribuiti espressamente alla competenza di una diversa autorità giudiziaria. Nella vigenza di tale previsione normativa, si riteneva che quando nell'esercizio della potestà genitoriale si realizzava un pregiudizio all'interesse del minore, la competenza ai sensi dell'art. 333 c.c. si radicava in capo al tribunale per i minorenni. In particolare, la S.C. aveva affermato che, poiché il discrimine tra la competenza del tribunale ordinario e quella del tribunale per i minorenni deve essere individuato in riferimento al petitum ed alla causa petendi, rientrano, ai sensi del combinato disposto degli artt. 333 c.c. e 38 disp. att. c.c., nella competenza del tribunale per i minorenni le domande finalizzate ad ottenere provvedimenti cautelari e temporanei idonei ad ovviare a situazioni pregiudizievoli per il minore, anche se non di gravità tale da giustificare la declaratoria di decadenza dalla potestà genitoriale, di cui all'art. 330 c.c., mentre appartengono alla competenza del tribunale ordinario, in sede di separazione personale dei coniugi, di annullamento del matrimonio o di divorzio, le pronunzie di affidamento dei minori che mirino solo ad individuare quale dei due genitori sia più idoneo a prendersi cura del figlio (Cass. I, n. 3765/2001). Tuttavia, anche nell'assetto normativo delineato dalla pregressa formulazione dell'art. 38 disp. att. c.c., era problematica l'individuazione dell'autorità giudiziaria competente a decidere in ordine all'esercizio della potestà sul minore, in pendenza di un procedimento di separazione personale tra i genitori. Invero, la questione si correlava al disposto dell'art. 155, comma 3, c.c., che, già nel testo introdotto dall'art. 36 l. n. 151/1975, stabiliva che il coniuge separato non collocatario potesse ricorrere al tribunale ordinario nell'ipotesi in cui assumesse l'adozione da parte del coniuge esercente la potestà di decisioni pregiudizievoli al figlio. In effetti, se non sussistevano dubbi in ordine alla “riserva” di competenza del tribunale per i minorenni ai fini dell'assunzione dei provvedimenti ablativi, ci si interrogava sull'attribuzione, da parte dell'art. 155, comma 3, c.c., di una competenza concorrente al tribunale ordinario per l'adozione dei “provvedimenti convenienti” ex art. 333 c.c. Sulla questione, già prima della riforma di cui alla l. n. 54/2006, la Corte di legittimità aveva chiarito che la tutela della prole rispetto ad una condotta pregiudizievole dei genitori non costituiva ragione esclusiva per radicare la competenza del tribunale per i minorenni ex art. 333 c.c., potendo, per vero, la stessa essere demandata alla competenza del tribunale ordinario, come causa di adozione dei provvedimenti relativi all'esercizio della potestà nella sentenza di separazione o nei provvedimenti assunti ai sensi dell'art. 155, ultimo comma, c.c. (Cass. I, n. 3159/1997). La problematica è stata, in seguito, oggetto di peculiare attenzione da parte di un'altra decisione della S.C., la quale – considerando i poteri di intervento del tribunale ordinario in pendenza di un procedimento di separazione coniugale tra i genitori ai sensi dell'art. 155 c.c. (anche nella formulazione successiva alla l. n. 54/2006), al disposto dell'art. 6, comma 8, l. n. 898/1970, in tema di divorzio ed ai poteri del giudice ordinario adito ex art. 709-ter – ha statuito che non sussiste alcun limite alla competenza del giudice ordinario correlato alla tipologia dei provvedimenti da assumere nei confronti dei minori. In particolare, la S.C. ha sottolineato che tanto il giudice specializzato (nel caso di coppie non coniugate o tra le quali comunque non penda un procedimento di separazione) che il giudice della separazione e del divorzio, a fronte di una situazione di pregiudizio per i minori, possono assumere i provvedimenti volti alla tutela degli stessi. Non trascurabile, nell'argomentare della Corte, è il rilievo per il quale “è assai difficile, se non impossibile, distinguere una domanda di modifica pura e semplice da quella fondata appunto sul comportamento pregiudizievole (o, magari, sul grave abuso) del genitore: la competenza (in questo caso) speciale del Tribunale ordinario, trattandosi di genitori separati, prevarrebbe su quella generale dell'organo giudiziario minorile in materia di limitazione della potestà” (Cass. I, n. 20352/2011). Sorge, inoltre, il problema della delimitazione di competenza tra il tribunale ordinario rispetto alle controversie di cui alla disposizione in commento ed il tribunale dei minorenni ai sensi dell'art. 38 disp. att. c.c., questione resa ancora più complessa dalle modifiche dalla predetta norma realizzate dalla l. n. 219/2012 e quindi dal d.lgs. n. 154/2013. La riforma ha la propria ratio nella concentrazione della tutela, ai fini dell'effettività della stessa, dinanzi ad un unico giudice. Il legislatore, perseguendo tale obiettivo, piuttosto che incidere sui criteri di competenza, ha previsto, al ricorrere di determinate condizioni, una vis attractiva tra un procedimento “pilota” ed un procedimento “vicario” (Danovi, 620). Il novellato art. 38 disp. att. c.c. sembra non attribuire, per converso, alcuna competenza per attrazione del tribunale ordinario di fronte al quale sia in corso un procedimento relativo all'affidamento ovvero all'esercizio della responsabilità genitoriale sui figli di genitori non coniugati ai sensi dell'art. 317-bis, ora art. 337-ter c.c. Secondo alcuni tale lacuna non sarebbe superabile in via interpretativa, in ragione del principio per il quale le norme sulla competenza sono di stretta interpretazione (Tommaseo, 560). E' stato tuttavia evidenziato, in senso diverso, che andrebbe considerata la finalità normativa di evitare qualsivoglia discriminazione, peraltro con evidenti profili di incostituzionalità, tra i figli correlata allo status giuridico dei genitori (Lupoi, 1293). Molteplici sono, in realtà, gli interrogativi suscitati dalla novellata formulazione dell'art. 38 disp. att. c.c. anche in giurisprudenza. L'unico precedente di legittimità che, allo stato, ha affrontato la spinosa questione, ha ritenuto che l'art. 38, comma 1, disp. att. c.c. (come modificato dall'art. 3, comma 1, l. n. 219/2012, applicabile ai giudizi instaurati a decorrere dall'1 gennaio 2013), si interpreta nel senso che, per i procedimenti di limitazione e decadenza dalla potestà genitoriale di cui agli artt. 330 e 333 c.c., la competenza è attribuita in via generale al tribunale dei minorenni, ma, quando sia pendente un giudizio di separazione, di divorzio o ex art. 316 c.c., e fino alla sua definitiva conclusione, in deroga a questa attribuzione, le azioni dirette ad ottenere provvedimenti limitativi o ablativi della responsabilità genitoriale, proposte successivamente e richieste con unico atto introduttivo dalle parti (così determinandosi un'ipotesi di connessione oggettiva e soggettiva), spettano al giudice del conflitto familiare, individuabile nel tribunale ordinario, se sia ancora in corso il giudizio di primo grado, ovvero nella corte d'appello in composizione ordinaria, se penda il termine per l'impugnazione o sia stato interposto appello (Cass. n. 1349/2015). In sede applicativa nel senso che la competenza a decidere sulle domande relative ai rapporti con la prole minorenne ex art. 709-ter, anche di genitori non coniugati (art. 4, comma 2, l. n. 54/2006), spetta in via esclusiva al tribunale ordinario del luogo di residenza della prole stessa v. Trib. Modena II, 27 febbraio 2014. Sulla specifica questione, nella successiva giurisprudenza di merito si è inoltre ritenuto che la disciplina dell'art. 709-ter attiene alle questioni inerenti all'attuazione dei provvedimenti relativi ai figli, in materia di affidamento ed esercizio della responsabilità genitoriale, ossia a un ambito diverso rispetto a quello relativo ai provvedimenti de potestate di cui agli artt. 330 c.c. e art 333 c.c.: pendenti i giudizi di separazione, divorzio, nullità del matrimonio, della regolamentazione dei rapporti relativi ai figli di genitori non coniugati, la competenza, per i casi di gravi inadempienze o atti che comunque arrechino pregiudizio al minore od ostacolino il corretto svolgimento delle modalità di affidamento, è sempre quella del giudice del tribunale ordinario. Rimane ferma la competenza del Tribunale ordinario per i provvedimenti ex art. 709-ter anche quando la sentenza di separazione e divorzio sia passata in giudicato (Trib. min. Potenza, 13 marzo 2017, in Ilfamiliarista.it). ProcedimentoIl comma 2 si limita a stabilire, a riguardo, che a seguito del deposito del ricorso, il giudice convoca le parti ed adotta i provvedimenti opportuni. Il procedimento dovrebbe peraltro seguire le forme previste dagli artt. 737 e ss. (contra Carratta, in Chiarloni, II, 2007, 1569 ss., il quale ritiene che, trattandosi di un procedimento volto all'accertamento di responsabilità dovrebbero essere applicate le norme sul giudizio di separazione o divorzio). Il procedimento è quindi introdotto mediante ricorso, avente gli elementi di cui all'art. 125, e depositato il quale il giudice fissa in calce allo stesso la data dell'udienza di comparizione, assegnando al ricorrente un termine per la notifica del ricorso e del pedissequo decreto. Ai fini della decisione sull'emanazione di misure sanzionatorie potrà essere espletata attività istruttoria (Luiso-Sassani, 250; Balena (-Bove), 422-423), nel corso della quale, trovando applicazione il rito camerale il giudice istruttore potrà utilizzare anche poteri istruttori officiosi ex art. 738 (Doronzo, in Cipriani - Monteleone, 2007, 624). Invero, in linea di principio l’applicabilità delle forme del procedimento in camera di consiglio postula la decisione da parte del tribunale in composizione collegiale. Misure comminabili nei confronti del genitore inadempienteLa portata maggiormente innovativa ascrivibile alla norma in commento è la previsione della possibilità per il giudice adito non soltanto di modificare i provvedimenti in vigore ma, altresì, di adottare, anche congiuntamente, provvedimenti sanzionatori. Infatti, se non emergono comportamenti definibili, almeno in senso lato, illeciti, il giudice si limiterà a dirimere la controversia, determinando i comportamenti che devono essere tenuti dai genitori, viceversa emanerà i richiamati provvedimenti (Luiso-Sassani, 250). È controverso, peraltro, in giurisprudenza se le misure in esame possano essere adottate anche solo per la violazione da parte di un coniuge degli obblighi di natura economica (Trib. Modena II, 20 gennaio 2012, Giur. mer., 2012, n. 3, 600; Trib. Roma 10 giugno 2011, Dir. fam., 2012, n. 1, 298) ovvero se le stesse siano riservate a comportamenti pregiudizievoli rispetto alla disciplina dell'affidamento ed all'esercizio della responsabilità genitoriale nei confronti della prole (App. Caltanissetta 3 maggio 2012, in Guida dir., 2012, n. 25, 7, con nota di Porracciolo). Sulla questione ha fatto chiarezza con un'importante pronuncia interpretativa di rigetto, Corte Cost. n. 145 del 2020, sottolineando che la norma in esame è un rimedio solo per la violazione di provvedimenti contenenti obblighi di carattere infungibile nei confronti della prole, stante l'ampiezza degli strumenti già esistenti nell'ordinamento per “presidiare” l'adempimento delle statuzioni di natura economica. Peraltro, nei mesi immediatamente precedenti, Cass. n. 6371/2020, ha ritenuto che, in tema di rapporti con la prole, il diritto dovere di visita del figlio minore spettante al genitore non collocatario, non è suscettibile di coercizione neppure nelle forme indirette previste dall'art. 614 bis c.p.c., trattandosi di un "potere-funzione" che, non essendo sussumibile negli obblighi la cui violazione integra una grave inadempienza ex art. 709 ter c.p.c., è destinato a rimanere libero nel suo esercizio, quale esito di autonome scelte che rispondono anche all'interesse superiore del minore ad una crescita sana ed equilibrata. (Nella specie la S.C. ha cassato il provvedimento del giudice di merito, che aveva condannato il genitore non collocatario al pagamento di una somma in favore dell'altro genitore, per ogni inadempimento all'obbligo di visitare il figlio minore). Le misure che possono essere emanate a fronte del grave inadempimento di uno dei genitori rispetto ai doveri enucleati dal provvedimento relativo all'affidamento della prole o di atti comunque pregiudizievoli per la corretta esplicazione delle modalità di affidamento della stessa, sono, secondo un criterio di progressiva afflittività: a) l'ammonimento del genitore inadempiente; b-c) la condanna al risarcimento dei danni a carico del genitore inadempiente ed a favore dell'altro genitore o del minore; d) la condanna del genitore inadempiente al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria, quantificata nel minimo in 75 euro e nel massimo in 5000 euro, a favore della Cassa delle ammende. Manca una tipizzazione legislativa delle ipotesi nelle quali, a fronte di un determinato inadempimento o comportamento, deve essere adottata una misura piuttosto che l'altra, talché la relativa valutazione è rimessa al potere discrezionale del giudice (Doronzo, in Cipriani - Monteleone, 2007, 625). Sulla latitudine del potere discrezionale del giudice nella scelta del trattamento sanzionatorio, sia sulla necessità o meno di disporre sanzioni, rispetto alla ratio della norma, v. Trib. min. Milano, 14 giugno 2012, n. 529. Nel silenzio del legislatore sul punto, sorge la questione se il giudice possa pronunciare le misure in esame d'ufficio ovvero se sia necessaria una domanda di parte. In dottrina si tende a ritenere possibile una pronuncia d'ufficio, ponendo in rilievo il carattere eminentemente sanzionatorio dei provvedimenti in questione, da emanare in vista dell'interesse, di natura pubblica, del minore (v., tra gli altri, Carratta, in Chiarloni, 2007, II, 1568). Questa posizione sembra avere il conforto della giurisprudenza (cfr. Trib. Padova I, 3 ottobre 2008).È stato espressamente affermato che, qualora un genitore, senza il consenso del figlio, continui a pubblicare sui social network immagini e notizie relative alla vita privata del minore, peraltro in violazione di un precedente divieto posto dall'Autorità giudiziaria, il Giudice può intervenire anche d'ufficio, ai sensi dell'art. 709-ter c.p.c., imponendo non solo l'immediata cessazione pro futuro delle condotte lesive del diritto alla vita privata del figlio minore, ma altresì la rimozione delle immagini e delle notizie già pubblicate, prevedendosi inoltre l'applicazione dell'istituto dell'astreinte ai sensi dell'art. 614-bis c.p.c., pur in assenza di specifica richiesta di parte, atteso che tale potere rientra tra le attribuzioni ufficiose del Giudice che è competente ad adottare, anche motu proprio, ogni misura ritenuta utile a perseguire la finalità di tutela della persona del minore (Trib. Roma I, 23 dicembre 2017, in Ilfamiliarista.it, con nota di Cesaro). Più generale è la problematica relativa alla qualificazione di tali misure che, per alcuni, sarebbero tutte misure di coercizione indiretta, sul modello delle astreintes del sistema francese, tese a favorire l'adempimento di obbligazioni familiari di carattere non patrimoniale (cfr. Salvaneschi, 2006, 152) mentre, per altri, dovrebbe operarsi una distinzione, in quanto, se sarebbe corretto attribuire natura punitiva alla sanzione amministrativa dell'ammenda, alle medesime conclusioni non potrebbe pervenirsi anche per il risarcimento dei danni a favore dell'altro coniuge o del figlio minore, che seguirebbe ad una canonica forma di responsabilità civile nelle relazioni familiari già teorizzata dalla recente giurisprudenza di legittimità (Rossini in Briguglio - Capponi, 2007, 407 ss.). La prima tesi è stata affermata, in sede di pretoria, da diverse decisioni di merito (cfr., tra le altre,Trib. Messina I, 8 ottobre 2012; Trib. Novara, 21 luglio 2011, in Giur. mer., 2013, n. 5, 1048, nt. Russo; Trib. Reggio Emilia 27 marzo 2008, Fam. e dir., 2009, n. 2, 189; Trib. Napoli 30 aprile 2008, Fam. e dir., 2008, n. 11, 1024). Peraltro, nella prassi più recente, sta prevalendo l'opposta impostazione interpretativa sul generale assunto in omaggio al quale in tema di controversie insorte tra i genitori in ordine all'esercizio della potestà genitoriale o delle modalità di affidamento, la condanna al risarcimento del danno non può essere ascritta alla categoria del danno punitivo, o pena privata, in quanto, avendo il legislatore differenziato la condanna in considerazione del soggetto danneggiato prevedendo due ipotesi diverse ai nn. 2) e 3) dell'art. 709-ter, non può sostenersi che tale condanna debba essere commisurata alla gravità della condotta posta in essere dal genitore inadempiente, e non al pregiudizio arrecato, secondo i principi generali dell'azione risarcitoria (App. Catania 18 febbraio 2010, in Il civilista, 2011, n. 2, 61, nt. Cimmino). In tale prospettiva, si è affermato, per l'adozione della misura risarcitoria devono sussistere i presupposti tipici del rimedio risarcitorio, e cioè la sussistenza di un concreto pregiudizio, e il nesso di causalità tra la condotta illecita e il pregiudizio stesso, potendo, in mancanza, un determinato comportamento lesivo essere sanzionato attraverso i rimedi dell'ammonizione e della sanzione pecuniaria (Trib. Modena II, 17 settembre 2012, n. 1425; v. anche Trib. Firenze 7 maggio 2012, Foro it., 2012, n. 6, 1941; Trib. Ascoli Piceno 21 maggio 2015). Nel procedimento camerale finalizzato all'adozione delle misure di cui all'art. 709-ter c.p.c., è così consentita la proposizione della domanda risarcitoria da illecito endofamiliare per gli atti pregiudizievoli commessi dall'altro genitore ai danni del minore, non essendovi motivo per imporre al genitore, che intenda svolgere siffatta domanda nell'interesse del figlio minore, la necessità di proporre un'autonoma azione da illecito aquiliano. In vero, l'art. 709-ter c.p.c. è, infatti, norma processuale che, in via eccezionale, consente al giudice di trattare una domanda ordinaria con rito speciale, per preminenti ragioni di celerità del mezzo di tutela, ed il provvedimento terminativo del giudizio riveste il carattere della decisorietà, con conseguente idoneità al giudicato (Cass. I, n. 27147/2021). L'ammonimento costituisce una semplice moral suasion nei confronti del genitore inadempiente (Doronzo in Cipriani, 2007, 625). Nella prassi si è ritenuto che costituisce una grave inadempienza, da sanzionare con l'ammonimento, la condotta del genitore che non concorda con l'altro, neanche informandolo compiutamente, la partecipazione del figlio minore infradodicenne — in regime di affidamento condiviso — ad un percorso di catechesi, finalizzato al battesimo, quest'ultimo originariamente escluso concordemente dai genitori medesimi (App. Milano 21 febbraio 2011, Foro it., 2012, n. 3, 919). È stato inoltre ritenuto passibile di ammonimento, ai sensi della disposizione in esame, il genitore affidatario esclusivo del figlio minore che trasferisce la residenza sua e del figlio convivente senza il preventivo consenso dell'altro genitore, così rendendo più difficile il mantenimento di un continuo rapporto fra figlio e genitore non affidatario (Trib. Tivoli 1° febbraio 2011). Diversamente, si è esclusa la sanzione dell'ammonimento ove le controversie tra i genitori riguardino, non tanto inadempienze gravi o reali ostacoli al corretto svolgimento dell'affidamento della prole minorenne, ma piuttosto la gestione minimale della concreta vita di tutti i giorni, che i genitori stessi hanno l'onere di risolvere in autonomia, con l'impegno collaborativo che il regime dell'affidamento condiviso impone loro (Trib. Modena II, 28 marzo 2012, in Giur. mer., 2013, n. 5, 1047, nt. Russo). Con riguardo alla sanzione amministrativa disposta ai sensi del comma 2 n. 4 della norma in esame, devono trovare applicazione le regole generali dettate dalla l. n. 689/1981. Parte della dottrina ha però dubitato della legittimità costituzionale in parte qua della disposizione in esame per contrasto con il principio di tipicità e determinatezza delle condotte che possono comportare l'applicazione delle sanzioni in questione (Doronzo in Cipriani - Monteleone, 2007, 625-626). Si è osservato che la condanna al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria debba essere disposta avendo riguardo alla gravità dell'azione compiuta senza svolgere istruttoria sull'esistenza e l'entità dei danni, istruttoria invece necessaria nell'ipotesi in cui venga disposta la condanna al pagamento di una somma di denaro per riparare all'illecito (Di Girolamo). Impugnazione dei provvedimentiL'ultimo comma stabilisce che i provvedimenti assunti ai sensi della stessa sono impugnabili nei modi ordinari. La S.C. ha chiarito che tale espressione deve essere intesa nel senso che la legge opera un richiamo ai mezzi “ordinari” di impugnazione previsti per la gamma di provvedimenti indicati nella norma in esame (Cass. n. 21718/2010, in Dir. fam., 2011, n. 2, 651, con nota di Zingales). Sul punto, in sede applicativa si è affermato che le ordinanze emesse dal giudice istruttore ai sensi dell'art. 709-ter, non sono reclamabili ex art. 669-terdecies, ma possono essere reclamate alla Corte d'Appello, ex art. 739, se emesse all'esito o nel corso di un giudizio exart. 710 ovvero, ex art. 708 comma 4, se emesse all'esito o nel corso della fase presidenziale, mentre qualora detti provvedimenti siano emessi o confermati nella sentenza che definisce il giudizio, gli stessi potranno essere impugnati nelle forme ordinarie di cui all'art. 323 (Trib. Arezzo, 3 febbraio 2009). Per altra tesi, affermata più di recente, i provvedimenti di cui all'art. 709-ter emessi con ordinanza dal giudice istruttore nel corso di un procedimento di separazione o di divorzio sono privi di decisorietà (in senso stretto intesa) e di definitività e non necessitano dei requisiti tipici del fumus boni iuris e del periculum in mora, e, pertanto, non risultano equiparabili ai provvedimenti cautelari. L'art. 708 è disposizione eccezionale e riguarda soltanto il reclamo nei confronti dell'ordinanza presidenziale, sicché non ne è possibile l'applicazione analogica alle ordinanze del giudice istruttore. Peraltro, connotandosi i provvedimenti in oggetto per la mancanza di natura decisoria, può ritenersi che l'assenza di un mezzo di impugnazione non costituisca propriamente lacuna in tal caso (Trib. Locri, 4 ottobre 2017, in Dir. fam. pers. 2018, n. 1, I, 173). Sotto un distinto profilo, occorre chiedersi se ed in quali ipotesi i provvedimenti emessi dalla Corte d'Appello (non ovviamente in sede di impugnazione ordinaria della sentenza di separazione o divorzio, ricorribile per cassazione in via ordinaria) possano essere oggetto di ricorso straordinario per cassazione ex art. 111, comma 7, Cost. Sul punto, la Corte di Cassazione ha statuito che il provvedimento emesso ai sensi della disposizione in esame, con il quale il giudice, nella controversia insorta tra i genitori in ordine all'esercizio della potestà genitoriale, abbia irrogato una sanzione pecuniaria o condannato al risarcimento dei danni il genitore inadempiente agli obblighi posti a suo carico, rivestendo i caratteri della decisorietà e della definitività all'esito della fase del reclamo (a differenza delle statuizioni relative alle modalità di affidamento dei minori), è ricorribile per cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost. (Cass. n. 18977/2013). Tuttavia, il provvedimento di ammonimento di uno dei genitori emesso ex art. 709 ter, comma 2, n. 1 c.p.c., a differenza dei provvedimenti di risarcimento dei danni o di irrogazione di una sanzione pecuniaria, previsti dalla stessa norma, non è ricorribile per cassazione, essendo privo dei caratteri della decisorietà e definitività (Cass. I, n. 22100/2022). Su un piano più generale, vi è che i provvedimenti del giudice di merito volti alla mera conformazione delle modalità concrete di esercizio della responsabilità genitoriale e di affidamento della prole, in quanto privi del carattere di definitività e di contenuto decisorio, non sono ricorribili per cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost. (Cass. I, n. 1568 del 2022, che ha di conseguenza dichiarato inammissibile il ricorso proposto da uno dei genitori avverso la decisione del giudice di merito che aveva autorizzato l'altro genitore ad iscrivere il minore presso una scuola nordamericana, con connesso trasferimento della residenza). CasisticaNel corso di un procedimento di divorzio, qualora è necessario risolvere un conflitto tra i genitori su una questione di rilevante interesse per la vita dei minori (nel caso di specie, la sottoposizione alle vaccinazioni), potendo incidere significatamene sulla loro salute, in presenza di un disaccordo insanabile e pendendo un giudizio divorzio, la procedura corretta è quella prevista ai sensi dell'art. 709-ter ed il giudice competente non può essere che quello del procedimento in corso (Trib. Milano, 9 gennaio 2018). L'assenza (volontaria, consapevole e chiara) del genitore di cui tratta l'art. 709-ter si realizza quando la di lui condotta si traduce in una completa non curanza della crescita del figlio, facendogli mancare, senza soluzione di continuità e fin dall'inizio, la presenza affettiva cui il figlio ha diritto e che costituisce uno dei doveri inderogabili della genitorialità (Trib. Ascoli Piceno, 21 maggio 2015). Tenuto conto che le omissioni paterne hanno avuto ricaduta diretta sulla minore, si ritiene che debba trovare applicazione il meccanismo sanzionatorio previsto dall'art. 709-ter e in ragione della funzione punitiva o comunque improntata, sotto forma di dissuasione indiretta, alla cessazione del protrarsi dell'inadempimento degli obblighi famigliari che, attesa la loro natura personale, non sono di per sé coercibili né suscettibili di esecuzione diretta, si reputa che la sanzione più consona alla fattispecie sia quella del risarcimento del danno nei confronti della minore (Trib. Roma I, 23 gennaio 2015). È onere di ogni genitore attivarsi per recuperare e mantenere l'immagine dell'altro genitore nei confronti del figlio, sicché in caso di "boicottaggio" di un genitore nei confronti dell'altro, scatta la sanzione del risarcimento del danno prevista dall'art. 709-ter comma 3 (Trib. Roma I, 11 ottobre 2016, n. 18799, in Guida al dir. 2016, n. 44, 26, che, nella specie, ha condannato la madre collocataria al pagamento di 30mila euro in favore del padre in quanto la donna, anziché attivarsi per "consentire il giusto recupero del ruolo paterno da parte del figlio", aveva continuato a "palesare la sua disapprovazione in termini screditanti nei confronti del marito"). Nel caso in cui si debba modificare la residenza del minore è necessario il previo accordo di entrambi i genitori, dovendo il giudice decidere in caso di disaccordo il luogo della residenza abituale del figlio, decisione da assumere avendo come unico principio ispiratore il superiore interesse del minore: il comportamento della madre di unilaterale modificazione della residenza e dell'istituto scolastico frequentato dalla minore comporta la violazione del diritto alla bigenitorialità, con conseguente risarcimento del danno ove richiesto dal padre (Trib. Roma I, 30 settembre 2016, in Ilfamiliarista.it). La madre di un minore non può modificare unilateralmente il regime di affidamento del figlio stabilito con provvedimento del Tribunale (nel caso di specie, oltre all'ammonimento a rispettare il vigente regime di affidamento del figlio minore il Tribunale condanna la madre ricorrente al pagamento di una sanzione ex art. art. 709-ter : Trib. Avellino, 29 settembre 2016). In tema di affidamento condiviso dei figli minori, nella specie in forza di separazione consensuale dei genitori, costituisce condotta illecita, sanzionabile con le misure di cui all'art. 709-ter , sia la modifica unilaterale della residenza del minore, ad opera del genitore collocatario, che però non comporta automaticamente il collocamento presso l'altro genitore, dovendosi pur sempre dare prevalenza all'interesse del minore, sia la decisione unilaterale, da parte dell'altro genitore, di far seguire al figlio un corso di catechismo (Trib. Roma, 26 marzo 2016, in Foro it., 2016, n. 7-8, I, 2605, con nota di Casaburi: nella specie, il tribunale ha inflitto ad entrambi i genitori la sanzione dell'ammonimento; pur non disponendo il ritorno della minore nell'originario comune di residenza, ha però statuito che essa continui a frequentare la scuola in quel comune, poco lontano da quello di attuale residenza, ha rimodulato le modalità di permanenza con l'uno e l'altro genitore ed infine ha confermato la frequentazione del catechismo, in conformità alle originarie scelte educative dei genitori, sempre nel comune di origine). Allorché una minore in tenera età, nata fuori dal matrimonio ed in affidamento congiunto ai genitori, residenti, però, in luoghi assai distanti ed in reiterato disaccordo giudiziario circa i tempi e le modalità di esercizio del diritto di visita e di permanenza periodica, presso ognuno di loro, della figlia minore, va comunque assicurato a quest'ultima il diritto a regolari, soddisfacenti e formative relazioni familiari, nonché il diritto all'istruzione alla salute, alla stabilità dell'ambiente domestico, alla serenità di sua vita ed al soddisfacimento delle proprie esigenze scolastiche, sportive, ludiche e ricreative, fermo restando che in caso di nuove iniziative di carattere dilatorio, o del tutto infondate od ostruzionistiche, il genitore istante sarebbe soggetto alle sanzioni di cui all'art. 709-ter (App. Catania, 15 febbraio 2016, in Dir. pers. fam. , 2016, n. 3, 823). La condotta alienante del genitore collocatario di un figlio minore preadolescente, intesa non in termini di patologia clinica, ma come insieme di comportamenti, anche non dolosi, per emarginare e neutralizzare l'altro genitore, al punto che il figlio ne abbia una visione distorta e rifiuti di frequentarlo, giustifica l'affidamento del minore stesso al comune di residenza, con collocamento provvisorio (adeguatamente monitorato dai servizi sociali) presso il primo genitore, cui vanno impartite idonee prescrizioni al fine di conseguire un superamento della richiamata alienazione, anche a mezzo di adeguato supporto psicologico al figlio, e con facoltà per l'ente, in caso contrario, di modificare tale collocamento (Trib. Milano IX, 11 marzo 2017, in Foro it., 2017, I, 1212, nt. Casaburi: nella specie, il tribunale ha anche condannato il genitore alienante, la madre, che aveva chiesto infliggersi al padre le sanzioni di cui all'art. 709-ter, al risarcimento dei danni per responsabilità aggravata, ai sensi dell'art. 96, comma 3). In caso di insanabile contrasto dei genitori sulla scelta dell'indirizzo scolastico della prole, il tribunale - cui non competono valutazioni circa l'offerta formativa pubblica o privata - può dirimere detta controversia (art. 709-ter , comma 1) attribuendo ad uno solo di essi l'esclusiva potestà di decidere in merito, con l'auspicio che l'altro genitore dimostri alla prole, nell'esclusivo interesse di questa, di condividere il percorso scolastico intrapreso o comunque si astenga dal frapporre ulteriori ostacoli che sarebbero fonte di potenziale disagio (Trib. Modena II, 15 luglio 2013, n. 1143, in una fattispecie nella quale i genitori non riuscivano ad accordarsi sull'iscrizione del figlio ad una scuola pubblica o privata ed uno di essi aveva chiesto che decidesse, in loro vece, il tribunale). Ritenuto che l'allontanamento di un coniuge/genitore dalla casa familiare (o per motivi di instabilità psichiatrica o psicologica, o per motivi di violazione del dovere di fedeltà coniugale) non può comportare, in sé, la decadenza dal diritto di ottenere il preminente collocamento dei figli a prescindere dal loro preminente interesse, non è sostenibile che un genitore (nella specie, la madre) solo perché afflitto da turbe psichiatriche o psicologiche, possa non essere un genitore adeguato, e sia, quindi, escluso dalla responsabilità genitoriale anche, e soprattutto, per i pregiudizi ed i preconcetti che accompagnano il suo stato anomalo, stato che, solo in quanto tale, lo renderebbe costantemente escluso dall'affidamento mono-genitoriale della prole, a prescindere dalle disposizioni di cui agli artt. 337-ter e 337-quater c.c., e ritenuto che la violazione maritale del dovere di fedeltà coniugale non fa, in sé, del padre fedifrago un padre inadatto alla cura, all'affidamento della prole e al diritto di vistarla, potendo la violazione maritale essere sanzionabile con l'addebito e, financo, con l'azione risarcitoria, ma non con un affidamento mono-genitoriale o con una limitazione del diritto paterno di visita: in ogni caso, tuttavia, una madre che utilizzi la infedeltà del coniuge come un mezzo per incidere negativamente sui rapporti genitoriali tra padre e figli, tiene una condotta scorretta, non conforme ai propri doveri genitoriali e rilevante ex art. 337-ter c.c. e art. 709-ter (Trib. Milano IX, 9 luglio 2015, n. 37959). All'interno di un procedimento ex art. 337-quinquies c.c., una volta accertati gli atteggiamenti ostativi alla frequentazione dei figli da parte dell'ex coniuge, oltre all'ammonimento previsto dall'art. 709-ter, è possibile disporre, sempre ex officio, le misure ex art. 614-bis in qualità di deterrente a tale condotta pregiudizievole (Trib. Milano IX, 7 gennaio 2018). Posto che l'interesse di un minore ancora in tenera età (nella specie, tre anni) non è leso dalla mancata somministrazione di un sacramento, in ordine al quale egli non può ancora esprimere una scelta autonoma, tanto più se cresciuto in una famiglia non praticante, e fermo che, semmai, i genitori devono impartirgli insegnamenti morali (attinenti ad un credo religioso o anche aconfessionali) secondo la propria libera autodeterminazione, è infondato e va rigettato il ricorso proposto, ai sensi dell'art. 709-ter , dal genitore non collocatario colto a conseguire l'ammonimento dell'altro, oltre che l'irrogazione allo stesso di una sanzione pecuniaria, perché ottemperi alle formalità necessarie al battesimo del figlio (App. Napoli 17 gennaio 2018, in Foro it., 2018, I, 1645). Nell'ambito del giudizio finalizzato al riconoscimento della paternità il padre va condannato a risarcire il danno non patrimoniale richiesto dal figlio per mancanza del sostegno morale e materiale ed in particolare per non aver potuto intraprendere gli studi universitari, ciò non ai sensi dell'art. 709-ter come danno punitivo o sanzionatorio ma come danni da c.d. illecito endofamiliare ricompresi nell'alveo della previsione di cui all'art. 2059 c.c. (Trib. Matera 7 dicembre 2017, n. 1370). BibliografiaBriguglio-Capponi (a cura di), Commentario alle riforme del processo civile, I, Padova, 2007; Casaburi, Il nuovo processo di famiglia, in Giur. mer. 2006/3, 5 ss.; Cea, I processi di separazione e divorzio all'indomani della promulgazione della l. n. 80/2005, in Riv. dir. civ. 2006, II, 103 ss.; Cea, L'affidamento condiviso. Profili processuali, in Foro it. 2006, V, 100; Chiarloni (a cura di), Le recenti riforme del processo civile, II, Bologna, 2007; Cipriani, I provvedimenti presidenziali nell'interesse dei coniugi e della prole, Napoli, 1970; Cipriani, Dalla separazione al divorzio, Napoli, 1971; Cipriani, Sulla revoca del consenso per la separazione consensuale (ancora in difesa dell'art. 711 c.p.c.), in Riv. arb. 1994, 938 ss.; Cipriani, Processi di separazione e di divorzio, in Foro it. 2005, V, 140; Cipriani-Monteleone (a cura di), La riforma del processo civile, Padova, 2007; Danovi, Le nuove norme sui procedimenti di separazione e di divorzio, in Riv. dir. proc. 2005, 849; Graziosi, Osservazioni sulla riforma dei processi di separazione e di divorzio, in Riv. trim. dir. proc. civ. 2005, 1113; Luiso-Sassani, La riforma del processo civile, Milano, 2006; Lupoi, La riforma dei procedimenti della crisi matrimoniale: profili sistematici e fase introduttiva, in Riv. trim. dir. proc. civ. 2006, 955; Lupoi, Aspetti processuali della normativa sull'affidamento condiviso, in Riv. trim. dir. proc. civ. 2006, 1063; Mandrioli, I provvedimenti presidenziali nel giudizio di separazione dei coniugi, Milano, 1953; Mandrioli, Il « rito ambrosiano » nei giudizi di separazione e divorzio, in Fam. e dir. 1994, 215 ss.; Pagano, Modifica dell'art. 710 del cod. di proc. civ. in materia di modificabilità dei provvedimenti del tribunale nei casi di separazione personale dei coniugi, in Nuove leggi civ. comm. 1989, 367 ss.; Salvaneschi, Provvedimenti presidenziali nell'interesse dei coniugi e della prole e procedimento cautelare uniforme, in Riv. dir. proc. 1994, 1063 ss.; Salvaneschi, Alcuni profili processuali della legge sull'affidamento condiviso, in Riv. dir. proc. 2006, 1292; Salvaneschi, La Corte Costituzionale modifica la competenza nei giudici di divorzio, in Riv. dir. proc. 2009, 491; Tommaseo, Nuove norme per i giudizi di separazione e di divorzio, in Fam. e dir. 2005, 231; Tommaseo, La disciplina processuale della separazione e del divorzio dopo le riforme del 2005 (e del 2006), in Fam. e dir. 2006, 7 ss.; Tommaseo, Dichiarate parzialmente illegittime le regole sul foro competente per i giudizi di divorzio: una sentenza scontata o un'occasione perduta?, in Fam. e dir. 2008, 669. |