Codice di Procedura Civile art. 784 - Litisconsorzio necessario.Litisconsorzio necessario. [I]. Le domande di divisione ereditaria o di scioglimento di qualsiasi altra comunione [713 ss., 1111 ss. c.c.] debbono proporsi [102 1] in confronto di tutti gli eredi o condomini e dei creditori opponenti se vi sono [1113 1-2, 2666 c.c.]. Inquadramento.Gli artt. 784 e ss. configurano il giudizio di scioglimento delle comunioni come finalizzato non all'accertamento di diritti, quanto all'individuazione del miglior modo per dividere il patrimonio comune, rendendo soltanto eventuale la pronuncia di sentenze ove si verifichino contestazioni. Profili generali.Nel giudizio di divisione della cosa comune, il risultato finale - della trasformazione dei diritti «pro quota» dei singoli partecipanti in altrettanti diritti individuali di proprietà esclusiva su concrete e determinate porzioni di beni comuni - si attua attraverso tre fasi fondamentali: la fase della c.d. assificazione, quella della formazione delle quote e quella della attribuzione. Pur articolato nel suo svolgimento in una molteplicità di fasi, il giudizio di divisione presenta, comunque, un carattere unitario e deve, quindi, considerarsi un processo unico, avente quale finalità ultima la trasformazione di un diritto a una quota ideale in un diritto di proprietà su beni determinati; di talché, fino a quanto tali scopi non siano stati integralmente raggiunti, le sentenze emesse nel corso del procedimento divisionale assumono la natura di non definitività, eccettuata l'ultima che provvede, ai sensi degli artt. 789 e 791, alla formazione definitiva dei lotti, anche quanto rimetta alla fase successiva le operazioni relative al sorteggio delle quote (Cass. II, n. 24300/2023). Tale sequenza ha carattere progressivo per cui non possono i condividenti chiedere direttamente l'attribuzione senza che il giudice abbia previamente disposto il progetto di formazione delle quote ed abbia precisato le modalità della divisione, dando disposizioni in merito all'estrazione a sorte dei lotti. Ne consegue che, ove al progetto divisionale non siano state sollevate contestazioni ed esso sia, conseguentemente, divenuto esecutivo, il giudice deve provvedere, con ordinanza non impugnabile, all'attuazione di tale progetto e dare disposizioni in merito all'estrazione a sorte dei lotti (Cass. II, n. 5266/2011). Tuttavia, il giudizio di divisione, pur potendo presentare una molteplicità di fasi per la risoluzione delle varie controversie che possono sorgere tra I condividenti, presenta un carattere unitario, e deve quindi, considerarsi un processo unico. Pertanto, I suoi scopi non siano stati integralmente raggiunti, le eventuali sentenze che concludono le singole fasi hanno solo carattere strumentale, e non possono considerarsi definitive rispetto al giudizio nel suo complesso. Ciò non esclude che, in presenza di riserva di gravame avverso la sentenza che ha chiuso davanti al giudice di primo grado la prima fase, quella di accertamento del diritto alla divisione senza che sia sospeso il giudizio di secondo grado sulla seconda fase, quella di determinazione ed attribuzione delle quote, il giudice possa dichiarare esecutivo il progetto di divisione non contestato (Cass. II, n. 11293/1998). Quando tra i condividenti non vi sia stato accordo per limitare le operazioni divisionali ad una parte soltanto del compendio comune, il giudizio di divisione deve ritenersi istaurato per giungere al completo scioglimento della comunione, previa esatta individuazione di tutto ciò che ne forma oggetto; pertanto, salva l'operatività delle preclusioni dell'ordinario giudizio di cognizione, l'indicazione dei beni può essere compiuta successivamente alla domanda anche dal condividente che non l'abbia proposta, costituendo essa una precisazione dell'unitaria istanza, comune a tutte le parti, rivolta allo scioglimento della comunione (Cass. II, n. 1065/2022). Una risalente impostazione dottrinale colloca il giudizio di divisione nell'ambito dei procedimenti di volontaria giurisdizione. Il ruolo del giudice nel giudizio di scioglimento di comunioni viene paragonato a quello un mediatore al quale le parti si rivolgono in caso di dissenso sul modo migliore per realizzare interessi comuni: nel caso in cui nessuno dei condividenti sollevi contestazioni, non si porrebbe la necessità di accertare alcun diritto, ma solo di trovare il modo migliore di dividere il patrimonio comune. Raggiunto l'accordo delle parti sul progetto di divisione predisposto, ed assegnate materialmente le quote, il procedimento si chiuderebbe con una sorta di omologazione giudiziale. Per questo, l'ordinanza del giudice ex art. 789 svolgerebbe una funzione limitata a rendere esecutivo il progetto espressamente o tacitamente accolto dai condividenti, precludendo agli stessi qualsiasi futura contestazione: non essendo decisoria su diritti, tale ordinanza non sarebbe quindi impugnabile neanche con il ricorso ex art. 111 Cost., senza che al riguardo sia configurabile alcuna violazione dell'art. 24 Cost., avendo le parti già consapevolmente rinunciato ad ogni difesa per non aver contestato il progetto. La decisione con sentenza è dal codice di rito imposta unicamente nel caso in cui nel corso del procedimento si innestino quelle occasionali vicende contenziose analizzate negli artt. 785, 787, 788, 789 e art. 195 disp. att. Soltanto queste sentenze che si originano su base contenziosa possono dirsi soggette ai mezzi di impugnazione previsti dall'ordinamento processuale per I provvedimenti decisori su diritti, mentre, ove il procedimento divisorio si concluda con ordinanza, l'unico rimedio avverso l'accordo, espresso o tacito, intervenuto sul progetto, sarebbe dato dalle impugnative negoziali sulla validità di tale accordo (Di Cola, 2005, 317 ss., 387 ss., 416 ss., 433 ss.; Di Cola, Sull'impugnazione dei provvedimenti, 2011, 619). in tema di divisione giudiziale di compendio immobiliare ereditario, l'art. 718 c.c., in virtù del quale ciascun coerede ha il diritto di conseguire in natura la parte dei beni a lui spettanti con le modalità stabilite nei successivi artt. 726 e 727 c.c., trova deroga, ai sensi dell'art. 720 c.c., nel caso di "non divisibilità" dei beni, come anche in ogni ipotesi in cui gli stessi non siano "comodamente" divisibili e, cioè, allorché, pur risultando il frazionamento materialmente possibile sotto l'aspetto strutturale, non siano tuttavia realizzabili porzioni suscettibili di formare oggetto di autonomo e libero godimento, non compromesso da servitù, pesi o limitazioni eccessive, e non richiedenti opere complesse o di notevole costo, ovvero porzioni che, sotto l'aspetto economico-funzionale, risulterebbero sensibilmente deprezzate in proporzione al valore dell'intero (Cass. II, n. 30073/2017; Cass. II, n. 25888/2016; Cass. II, n. 12498/2007). La non comoda divisibilità di un immobile, integrando, tuttavia, un'eccezione al diritto potestativo di ciascun partecipante alla comunione di conseguire i beni in natura, può ritenersi legittimamente praticabile solo quando risulti rigorosamente accertata la ricorrenza dei suoi presupposti, costituiti, come detto, dall'irrealizzabilità del frazionamento dell'immobile, o dalla sua realizzabilità a pena di notevole deprezzamento o di costi eccessivi, o dall'impossibilità di formare in concreto porzioni autonome. La relativa indagine implica un accertamento di fatto e la conseguente decisione è incensurabile in sede di legittimità per violazione di legge, potendosi sindacare soltanto l'eventuale omesso esame di fatto, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 5 (Cass. II, n. 30073/2017; Cass. II, n. 14577/2012; Cass. II, n. 1738/2002; Cass. II, n. 5133/1983). Si è affermato in giurisprudenza che la domanda di frazionamento di un immobile sia cosa diversa, per petitum e causa petendi, da quella di divisione dell'immobile stesso, avendo la prima ad oggetto la redazione di un documento tecnico indicante in planimetria le particelle catastali frazionate, al fine della voltura catastale, mentre la seconda ha ad oggetto lo scioglimento della comunione (così Cass. III, n. 4240/1999). E', in realtà controverso se occorra un'espressa domanda delle parti per procedere al frazionamento-accatastamento ed alla relativa trascrizione (si veda anche Cass. II, n. 13112/2010). Cass. II, n. 30073/2017 ha chiarito che la redazione dei documenti di frazionamento, necessari alla trascrizione dei diritti nascenti dalla sentenza di divisione, può avvenire pure in sede stragiudiziale, sulla base di un accordo tra le parti che utilmente sopraggiunga prima che sia approvato il verbale di sorteggio dei lotti, il quale soltanto determina la definitiva attribuzione delle quote a ciascuno dei condividenti. Né, altrimenti, l'emanazione di una sentenza dichiarativa di scioglimento di una comunione di fabbricati relativi ad unità immobiliari urbane può essere subordinata alla preventiva identificazione catastale delle porzioni ed al riferimento alle planimetrie depositate in catasto. La produzione dei certificati relativi alle trascrizioni e iscrizioni sull'immobile da dividere, imposta dall'art. 567 per la vendita del bene pignorato, non costituisce un adempimento previsto a pena di inammissibilità o improcedibilità della domanda di scioglimento della comunione, tenuto conto che, in tali giudizi, l'intervento dei creditori e degli aventi causa dei condividenti è consentito ai soli fini dell'opponibilità delle statuizioni adottate. Ciò vale anche nel caso in cui si debba procedere alla vendita dell'immobile comune, sebbene le informazioni richieste dal predetto articolo si debbano necessariamente acquisire a tutela del terzo acquirente, ma a tale esigenza sovraintende d'ufficio il giudice della divisione, il quale, nello svolgimento del potere di direzione delle operazioni, può ordinare alle parti la produzione della documentazione occorrente o avvalersi del professionista delegato alla vendita (Cass. VI, n. 10067/2020; ma ancora in senso contrario Trib. Napoli, 23 maggio 2022, n. 5118; In dottrina, M. Acone, La Cassazione mette fine alla "strage dei giudizi di divisione" causata dalla indebita applicazione analogica dell'art. 567 c.p.c., in Foro it. 2020, I, 3128). Si è del pari deciso che, nel giudizio di scioglimento della comunione, quando la comune appartenenza dei beni sia incontroversa tra i condividenti, il giudice di appello, dinanzi al quale sia stata impugnata la sentenza che abbia erroneamente dichiarato inammissibile la domanda di divisione, non può rigettare il gravame sul rilievo della mancata estrazione, da parte dell'appellante, della copia della relazione notarile relativa agli immobili da dividere, già acquisita dinanzi al primo giudice, ma non rinvenibile nel fascicolo di parte; invero, la documentazione mancante non integra la prova di un fatto favorevole ad una parte e sfavorevole all'altra, ma ridonda a vantaggio di tutti i condividenti, ai quali la domanda di divisione è comune, sicché il giudice di appello, qualora ritenga di non poterne prescindere, può ordinarne alle parti la produzione anche nel corso delle operazioni divisionali, avuto riguardo all'esigenza di reiterare il riscontro documentale, già dato in primo grado, di una comune appartenenza pacifica e incontroversa (Cass. II, n. 1065/2022).). Se il giudice dell'appello, in riforma della decisione impugnata, disponga la divisione, non può rimettere gli atti al primo giudice per lo svolgimento delle attività conseguenti, ma deve adottare tutti i provvedimenti del caso, attesa la tassatività delle ipotesi di rimessione ex artt. 353 e 354 (Cass. II, n. 1992/2016). Il principio riguardante la natura unitaria del giudizio di divisione va riferito all'intera comunione ereditaria che venga sciolta nei modi e nelle forme di legge, ma non si estende alle ipotesi di divisione di singoli beni ereditari, nelle quali non venga fatta alcuna questione che possa in qualsiasi modo incidere circa la divisione degli altri beni ereditari, e, in particolare, circa l'eventuale appartenenza ad alcune parti, o altro titolo diverso da quello ereditario, di taluni beni apparentemente rientranti nell'eredità. In tal caso ciascuna divisione, anche se collegata con la successiva, ha una propria autonomia processuale, mentre sul piano del diritto sostanziale, ai fini della efficacia preclusiva di eventuali giudicati, assume rilievo il contenuto delle domande espresso nel "petitum" effettivamente richiesto nei diversi giudizi (Cass. II, n. 139/2020). Litisconsorzio necessario.La qualità di litisconsorti necessari di tutti I comproprietari rispetto alla domanda di scioglimento della comunione, agli effetti dell'art. 784, permane in ogni grado del processo, indipendentemente dall'attività e dal comportamento di ciascuna parte; ne consegue che, se, in fase di appello, l'appellante non abbia provveduto alla citazione di uno o più comunisti, il giudice di secondo grado deve ordinare l'integrazione del contraddittorio in forza dell'art. 331, ancorché in primo grado il giudice abbia accertato la proprietà esclusiva per intervenuta usucapione di alcuni beni di cui si richiedeva la divisione (Cass. II, n. 21510/2019; Cass. II, n. 14654/2013). La necessità del litisconsorzio di tutti i condividenti sussiste anche se oggetto del giudizio di impugnazione siano esclusivamente i conguagli (Cass. II, n. 23511/2023). La parte che eccepisce la non integrità del contraddittorio, a causa della mancata partecipazione al giudizio di un coerede o di un condomino, non può, tuttavia, limitarsi ad assumere genericamente l'esistenza di litisconsorti pretermessi, ma ha l'onere di indicare le persone degli altri eredi o comproprietari, oltre quelli che, in tale qualità, abbiano ritualmente partecipato alle pregresse fasi del giudizio e di specificare le ragioni di fatto e di diritto della necessità di integrazione, le quali non debbono apparire prima facie pretestuose (Cass. II, n. 15086/2005). Anche la domanda volta a conseguire la declaratoria di nullità di una divisione ereditaria giudiziale già attuata dà luogo ad un giudizio a carattere universale ed unitario sulla base di un rapporto soggettivo indivisibile, che deve svolgersi nei confronti di tutti i partecipanti alla comunione; ne deriva la sussistenza di un'ipotesi di litisconsorzio necessario dei coeredi parti del giudizio divisorio (Cass. II, n. 24834/2022). La norma dettata dall'art. 784 - per la divisione giudiziale - sul litisconsorzio processuale, non trova applicazione in tema di divisione negoziale, nel senso che la partecipazione (di natura sostanziale) al negozio da parte del contitolare della comunione è necessaria soltanto se lo scioglimento concerna la contitolarità del medesimo diritto (comunione omogenea) e non invece allorché sullo stesso bene concorrano diritti reali di tipo differente, come ad esempio usufrutto e proprietà (comunione impropria) (Cass. II, n. 17881/2003). Così, qualora con la domanda di divisione si chieda lo scioglimento della comunione non ereditaria avente ad oggetto la contitolarità della nuda proprietà, l'usufruttuario "pro quota" dell'immobile non è parte necessaria del giudizio, atteso che l'usufrutto e la nuda proprietà, costituendo diritti reali diversi, danno luogo - ove spettino a più persone - a un concorso di iura in re aliena sul medesimo bene; né, d'altra parte, l'art. 784 prefigura la sussistenza di un litisconsorzio necessario nei confronti dell'usufruttuario pro quota, atteso che, nel giudizio di divisione, l'usufruttuario stesso, il quale abbia acquistato il diritto in base a un negozio trascritto in data anteriore alla trascrizione della domanda di divisione, può essere chiamato in giudizio, ai sensi dell'art. 1113, comma 3, c.c. in relazione all'art. 106, perché la sentenza abbia effetto nei suoi confronti (Cass. n. 27412/2005). Nel giudizio di divisione di una comunione ereditaria, si deve comunque tener conto, al fine della determinazione delle singole quote, anche del diritto di usufrutto attribuito per testamento ad uno degli eredi sulla quota spettante ad altri coeredi, in quanto la mancata capitalizzazione di tale diritto comporterebbe il permanere della comunione sui beni oggetto di usufrutto, in tal modo risultando vanificato l'obiettivo fondamentale del giudizio divisorio, che è quello di sciogliere integralmente la comunione; né tale finalità può essere preclusa dalla volontà del testatore la quale, mentre va rispettata in ordine alla determinazione delle quote, non può comportare anche l'impossibilità di una completa divisione dei beni ereditari (Cass. II, n. 11640/2010). Al creditore del condividente non spetta alcuna facoltà di impedire, sospendere o interrompere il giudizio di divisione attivato dal proprio debitore, atteso che il diritto alla generica garanzia patrimoniale offerta dal patrimonio del debitore cede non solo rispetto agli atti di alienazione, ma anche nei confronti del diritto alla divisione spettante al debitore. Al creditore è riconosciuto, per converso, il diritto di partecipare volontariamente al detto giudizio onde verificarne il quomodo e gli effetti, comportando il relativo procedimento peculiarità risolventesi in una serie di valutazioni di fatto potenzialmente idonee a pregiudicare il patrimonio del condividente e, di riflesso, il suo creditore (Cass. II, n. 9765/2004). I creditori iscritti e coloro che hanno acquistato diritti sull'immobile in virtù di atti trascritti hanno, invece, diritto ad intervenire nella divisione, ex art. 1113, comma 1, c.c., ma non ne sono parti necessarie, assumendo la posizione di litisconsorti, con la conseguente necessità d'integrazione del contraddittorio nel giudizio di appello, exart. 331, soltanto con l'effettivo intervento in causa, anche a seguito di chiamata in giudizio, ex art. 1113, comma 3, c.c., la quale costituisce un onere per i comunisti, sui quali grava l'obbligo di salvaguardare il diritto d'intervento dei creditori iscritti e dei cessionari opponenti o trascriventi (Cass. VI, n. 15994/2020). Il litisconsorzio necessario tra i coeredi trova comunque applicazione finché non sia cessato lo stato di comunione mediante l'attribuzione ai singoli comunisti – ad esempio, per accordo stragiudiziale - delle quote loro spettanti (Cass. II, n. 18218/2013). Nel giudizio di divisione di una comunione ereditaria, ove una quota abbia costituito oggetto di cessione, la qualità di litisconsorte necessario spetta ai cessionari della quota e non agli eredi cedenti (Cass. II, n. 14406/2018; Cass. II, n. 12242/2011). Si è invece precisato che la morte di uno dei soci di una società di persone, determinando lo scioglimento del suo rapporto particolare con la società e l'acquisto, da parte degli eredi, del diritto alla liquidazione della sua quota, secondo i criteri fissati dall'art. 2289 c.c., fa sorgere in capo ad essi un diritto di credito nei confronti della società, che non si divide automaticamente in ragione delle rispettive quote, ma entra a far parte della comunione ereditaria e può essere fatto valere, nella sua interezza, da ciascuno dei partecipanti singolarmente, senza necessità di integrare il contraddittorio nei confronti degli altri (Cass. I, n. 13163/2024). Più in generale, poiché i crediti del de cuius, a differenza dei debiti, non si ripartiscono tra i coeredi in modo automatico in ragione delle rispettive quote, ma entrano a far parte della comunione ereditaria, in conformità al disposto degli artt. 727 e 757 c.c., ciascuno dei partecipanti alla comunione ereditaria può agire singolarmente per far valere l'intero credito comune, o la sola parte proporzionale alla quota ereditaria, senza necessità di integrare il contraddittorio nei confronti di tutti gli altri coeredi, ferma la possibilità che il convenuto debitore chieda l'intervento di questi ultimi in presenza dell'interesse all'accertamento della sussistenza o meno del credito nei confronti di tutti (Cass. III, n. 10585/2024; Cass. S.U. n. 24657/2007). Si è sostenuto che l'effetto dichiarativo-retroattivo della divisione - che poggia in via esclusiva sull'art. 757 c.c. e che l'art. 1116 c.c. estende al rapporto fra comproprietari che non sono coeredi - comporta che ciascun condividente sia considerato titolare ex tunc, e cioè all'apertura della successione, dei beni assegnatigli, saldando l'intervallo di tempo che separa la delazione (e la conseguente accettazione dell'eredità) dalla divisione. Tale natura dichiarativa esclude che la divisione abbia anche efficacia traslativa, poiché l'atto che la dispone (consista in una sentenza o in un contratto) non comporta un effetto di trasferimento fra i condividenti nei rapporti reciproci, né fra la comunione che si scioglie ed i singoli condividenti, dal momento che il titolo di acquisto del singolo condividente è da farsi risalire non all'atto divisionale, ma all'originario titolo che ha costituito la situazione di comproprietà, sciolta poi con la divisione, senza che possa ritenersi che gli effetti dell'atto che ha dato origine alla comunione si incrementino a seguito della divisione, poiché essi si modificano soltanto sotto l'aspetto qualitativo (ovvero passando dalla quota indivisa al bene attribuito con l'"apporzionamento"), essendosi l'acquisto del coerede o del comproprietario di cose comuni già realizzato (Cass. II, n. 26351/2017 ; Cass. III, n. 7231/2006). Il principio della natura dichiarativa della sentenza di divisione opera, però, esclusivamente a condizione che si abbia una distribuzione dei beni comuni tra i condividenti e le porzioni a ciascuno attribuite siano proporzionali alle rispettive quote; esso non opera, invece, e la sentenza produce effetti costitutivi, quando ad un condividente sono assegnati beni in eccedenza rispetto alla sua quota, in quanto rientranti nell'altrui quota (Cass. II, n. 406/2014). Quanto all'eventuale conguaglio posto a carico di uno dei condividenti, esso non costituisce un capo autonomo della sentenza dichiarativa della divisione. Ne consegue che l'importo dello stesso diventa definitivo soltanto con il passaggio in giudicato della sentenza (Cass. III, n. 13009/2006). Più di recente, la giurisprudenza ha però affermato che la divisione dà luogo ad un mutamento della situazione giuridico-patrimoniale del condividente; e tale mutamento vale a determinare la natura costitutivo-traslativa dell'atto divisorio, logicamente precedente ed indipendente rispetto all'effetto retroattivo (Cass. S.U. n. 25021/2019). L'art. 111, per il caso di trasferimento a titolo particolare della res litigiosa nel corso del processo, è applicabile anche in materia di giudizio di divisione (Cass. II, VI-2, n. 8624/2022). Così, qualora nel corso del processo di divisione relativo ad immobile uno dei condividenti trasferisca ad un terzo, in tutto o in parte, la propria quota, realizzandosi la successione a titolo particolare nel diritto controverso ex art. 111, il giudizio prosegue tra le parti originarie e l'acquirente non assume le vesti di litisconsorte necessario, potendo intervenirvi o essere chiamato, ma, se abbia acquistato in forza di atto trascritto prima della trascrizione della domanda di divisione giudiziale, la sentenza che lo definisce non potrà essergli opposta (Cass. II, n. 3331/2024). Preclusioni e giudizio di divisioneLa Cass. S.U., n. 14109/2006 aveva affermato che le caratteristiche del procedimento di divisione ereditaria - rappresentate dalla finalità che esso persegue, di porre fine alla comunione con riferimento all'intero patrimonio del de cuius, e dalla possibilità che esso si concluda, in luogo che con sentenza, con ordinanza che, sull'accordo delle parti, dichiari esecutivo il progetto divisionale - non sono di per sé sufficienti a giustificare deroghe alle preclusioni tipiche stabilite dalla legge per il normale giudizio contenzioso. Sicché andrebbero dichiarate inammissibili, ai sensi dell'art. 167, comma 2, le domande di nullità o di simulazione dirette a far rientrare determinati beni nell'asse ereditario proposte, per la prima volta, in sede di discussione del progetto divisionale. Nello stesso senso, Cass. II, n. 29372/2011, per la quale, successivamente alla costituzione dei convenuti in un giudizio di divisione ereditaria, non può più essere chiesta una formazione delle quote diversa da quella cui il giudice debba attenersi in relazione al patrimonio del de cuius individuato dalle parti nei loro scritti difensivi iniziali. Ne consegue che la deduzione del fatto che un condividente sia tenuto alla collazione di un bene donato, costituendo eccezione in senso proprio, in quanto diretta a paralizzare la pretesa di tale condividente a partecipare alla divisione secondo quanto gli spetterebbe ove tale donazione non avesse avuto luogo, è soggetta alle preclusioni di cui all'art. 167, comma 2. Per la novità della domanda volta ad estendere lo scioglimento della comunione rispetto a beni inizialmente non compresi nell'istanza di divisione si veda anche Cass. II, n. 9472/2011. Di diverso avviso era stata, invece, Cass. II. n. 13385/2011, secondo cui, nel giudizio di reintegrazione della quota di riserva, non costituiscono domande nuove e sono conseguentemente ammissibili, anche se formulate per la prima volta in appello, le richieste volte all'esatta ricostruzione sia del relictum, che del donatum, mediante l'inserimento di beni, liberalità o l'indicazione di pesi o debiti del de cuius, trattandosi di operazioni connaturali al giudizio medesimo cui il giudice è tenuto d'ufficio ed alle quali si può dare corso, nei limiti in cui gli elementi acquisiti le consentono, indipendentemente dalla formale proposizione di domande riconvenzionali in tal senso da parte del convenuto. Ancora Cass. II, n. 9367/2013, affermava che il giudizio di scioglimento di comunioni non è del tutto compatibile con le scansioni e le preclusioni che disciplinano il processo in generale, intraprendendo i singoli condividenti le loro strategie difensive anche all'esito delle richieste e dei comportamenti assunti dalle altre parti con riferimento al progetto di divisione ed acquisendo rilievo gli eventuali sopravvenuti atti negoziali traslativi, che modifichino il numero e l'entità delle quote. Dal che deriverebbe il diritto delle parti del giudizio divisorio di mutare, anche in sede di appello, le proprie conclusioni e richiedere per la prima volta l'attribuzione, per intero o congiunta, del compendio immobiliare, integrando tale istanza una mera modalità di attuazione della divisione (nello stesso senso, Cass. II, n. 15926/2019). Così, per Cass. n. 14756/2016, l'istanza di attribuzione ex art. 720 c.c., pur tendenzialmente soggetta alle preclusioni processuali, può essere avanzata per la prima volta in corso di giudizio, e anche in grado di appello, ogni volta che le vicende soggettive dei condividenti o quelle attinenti alla consistenza oggettiva e qualitativa della massa denotino l'insorgere di una situazione di non comoda divisibilità del bene, così da prevenirne la vendita, che rappresenta l'extrema ratio voluta dal legislatore. Il dissidio che emerge dalle menzionate pronunce, deriva, evidentemente, dalle difficoltà di conciliare il principio della necessaria unitarietà del giudizio divisorio (il quale, tendendo all'accertamento del diritto di ciascun condividente ad una quota ideale dei beni comuni ed alla sua trasformazione nella proprietà esclusiva di una corrispondente porzione, dovrebbe inevitabilmente concludersi con una sentenza che sciolga la comunione rispetto a tutti i beni che ne facevano parte) con le esigenze di celerità e concentrazione dei processi civili, di rilevanza giuspubblicistica, sottese al vigente regime delle preclusioni di cui agli artt. 163, 167, 183, 345. 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