Il voto concordatario del creditore garantito

27 Febbraio 2014

Un creditore che assume di essere garantito vota espressamente nell'adunanza concordataria.

Un creditore che assume di essere garantito vota espressamente nell'adunanza concordataria.
Conserva la garanzia (pegno, ipoteca o privilegio)? Esprime un voto valido?
Che cosa cambia se il credito non è stato verificato (perché il concordato fallimentare ha preceduto la verifica dei crediti oppure si tratta di concordato preventivo), ma il giudice delegato ritiene ai fini del voto il credito non garantito, ma chirografario?
Un'adeguata impostazione del problema impone di evidenziare il principio sull'incompatibilità tra espressione di un voto valido ai fini del computo delle maggioranze e conservazione della garanzia.
Poiché destinatari della promessa concordataria sono i creditori chirografari (mentre i creditori garantiti possono riporre affidamento oltre che sullo spontaneo adempimento del debitore, anche sulla realizzazione coattiva della garanzia), è stabilito il nesso tra natura chirografaria (e dunque non garantita) del credito e diritto al voto (validamente esercitato).
Questo principio è chiaramente espresso negli artt. 127 e 177 l. fall., i quali stabiliscono la regola secondo cui i creditori garantiti, ancorché la garanzia sia contestata, se è previsto il loro integrale soddisfacimento non hanno diritto al voto se non rinunciano al diritto di prelazione.
Diversi giudici di merito, e numerosi studiosi, ritengono che la relazione di incompatibilità tra voto e garanzia determini l'inefficacia del voto prestato dal creditore garantito che non abbia espressamente rinunciato alla prelazione. Questo modo di vedere è fondato sull'argomento che, mentre nella versione abrogata le citate norme davano rilievo anche alla rinuncia implicita alla garanzia, resa evidente dalla manifestazione del voto, invece di tale rinuncia implicita non vi è più traccia nella versione in vigore: pertanto dovrebbe richiedersi una rinuncia espressa.
Concordo che il principio di incompatibilità sopra descritto debba essere rigorosamente rispettato; dubito tuttavia che la soluzione proposta sia condivisibile.
Il principio, del resto, è rispettato anche affermando, con la tradizione, la rilevanza della rinuncia implicita, implicata nell'espressione del voto.
Per difendere la tesi potrei usare argomenti simmetrici a quello ora esposto, e sostenere che l'espressa manifestazione del diritto di voto, attesa la chiara incompatibilità tra voto e garanzia, non può che risolversi nella rinuncia alla garanzia medesima, non essendo evidentemente necessario che anche la rinuncia sia a sua volta formalizzata. Ma preferisco osservare che il diritto di voto nel concordato costituisce una prerogativa fondamentale del creditore quale destinatario della domanda concordataria. E, inoltre, preferisco porre bene in luce che il limite di esercizio del diritto è la conservazione della garanzia eventualmente sussistente.
Cosicché, sarebbe difficile giustificare l'idea secondo cui il creditore che decide di votare non ha il diritto di farlo quando, se garantito, non abbia prima espressamente rinunciato alla garanzia medesima. In questa ottica, la titolarità della garanzia è ricostruita come un “handicap” giuridico in capo a determinati creditori, ai quali sarebbe addirittura richiesto di emanciparsi dalla garanzia, di dismettere la posizione di vantaggio per poter acquisire il diritto di voto (invece direttamente riconosciuto ai creditori non “handicappati” dalla garanzia, ossia chirografari).
Tuttavia, la questione non è se i creditori garantiti abbiano o meno diritto di votare; la questione invece è se i creditori garantiti che votano possano ancora considerarsi garantiti nel concordato.
Soltanto in questa prospettiva si conserva la fondamentale acquisizione concettuale che vede nella espressione del voto l'essenziale potere del creditore nelle procedure concorsuali deliberative, oltre alla fondamentale acquisizione che vede nella garanzia una qualità positiva del credito, che potenzia la posizione del creditore anziché pregiudicarla.
Ma la conclusione per cui tutti i creditori hanno diritto di voto e tuttavia l'esercizio di tale diritto determina rinuncia alla garanzia può ritenersi valida anche allorché il creditore si afferma titolare di un diritto garantito, ma viene giudicato ai soli fini del voto come creditore chirografario dal giudice delegato? In tale caso, cosa accade se quel creditore partecipa alla votazione?
Credo che anche in questo caso vale la soluzione da ultimo prospettata: il voto deve ritenersi validamente esercitato, ma il credito degrada in posizione chirografaria nell'ambito della procedura.
Come dovrebbe comportarsi il creditore che assume di essere garantito e non vuole partecipare al voto, atteso che la mancata espressione del voto da parte dei creditori chirografari equivale, secondo le regole oggi in vigore, a voto positivo?
Per essere prudente, quel creditore potrebbe depositare una formale dichiarazione in cui afferma la titolarità della garanzia e invita gli organi della procedura a non computare come voto positivo la sua espressa contrarietà di partecipare alla votazione (riservandosi di far valere la propria posizione in sede di opposizione alla omologazione).
Ma se anche quel creditore rimanesse inerte, dovremmo forse concludere che abbia votato positivamente e perciò perduto la propria garanzia? Credo di no, considerata la grave ambiguità derivante dalla omessa manifestazione di una qualsivoglia chiara volontà.
Dunque, il creditore garantito non ritenuto tale dagli organi della procedura non dovrebbe ricevere nessuna considerazione per il suo credito ai fini del computo delle maggioranze concordatarie qualora non abbia in nessun modo manifestato la propria posizione in ordine al voto.
Evidentemente, se quel creditore manifestasse un voto (presumibilmente contrario) dovrebbe ritenersi che abbia deciso di votare, accettando la posizione di creditore chirografario.
Eppure, secondo l'interpretazione che ha stimolato questa breve riflessione critica, il creditore che si assume garantito, ma non è giudicato tale dal giudice delegato, che vota nel concordato (magari essendo a ciò indotto dalla provvisoria decisione del giudice delegato), ma non rinuncia espressamente alla garanzia, non dovrebbe essere considerato tra i votanti. Dovremmo chiederci: perché garantito nonostante l'opposta opinione del giudice? Oppure, e peggio, dovrebbe essere considerato tra i votanti, restando tuttavia impregiudicata la propria pretesa di creditore garantito. E così potendo in tesi ottenere, per essere stato giudicato creditore non garantito, sia il voto che la garanzia: in barba al ricordato principio di incompatibilità.

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