Le insidie logiche della finanza esterna in caso di prelazioni incapienti
Filippo Lamanna
20 Gennaio 2014
Com'è noto, avendo il legislatore della riforma previsto la possibilità di proporre un concordato preventivo anche quando il debitore proponente non disponga delle risorse sufficienti a pagare per intero, con il suo patrimonio, tutti i crediti privilegiati, purchè vi sia in tal caso l'apporto di cd. “finanza esterna” in misura tale da poter pagare comunque, ed almeno in parte (purchè per una quota non irrilevante), i creditori chirografari, compresi tra essi i privilegiati per la parte degradata al chirografo, la prassi registra ormai da gran tempo la presentazione di proposte concordatarie caratterizzate, appunto, dall'apporto di tale “finanza esterna”.
Com'è noto, avendo il legislatore della riforma previsto la possibilità di proporre un concordato preventivo anche quando il debitore proponente non disponga delle risorse sufficienti a pagare per intero, con il suo patrimonio, tutti i crediti privilegiati, purchè vi sia in tal caso l'apporto di cd. “finanza esterna” in misura tale da poter pagare comunque, ed almeno in parte (purchè per una quota non irrilevante), i creditori chirografari, compresi tra essi i privilegiati per la parte degradata al chirografo, la prassi registra ormai da gran tempo la presentazione di proposte concordatarie caratterizzate, appunto, dall'apporto di tale “finanza esterna”. Sennonché, come anche la S. Corte non ha mancato di rilevare (Cass. 8 giugno 2012, n. 9373), tale apporto può assumere due diverse modalità e funzioni, a seconda sia del momento in cui venga effettuato, sia del titolo che può causalizzarlo e delle condizioni con cui si attui: 1) o prima della presentazione della domanda o comunque in modo tale che tale apporto possa considerarsi ormai divenuto parte integrante del patrimonio del debitore proponente; 2) o dopo tale momento o comunque in modo tale da conservare la sua caratterizzazione di apporto proveniente dal patrimonio di un terzo (a tal fine occorrendo che non incida sul passivo in senso incrementativo, ovvero, in parole povere, che non ne sia previsto l'obbligo di rimborso). È chiaro che solo in questo secondo caso si avrà vera e propria finanza esterna, giacché nel primo, invece, la vicenda circolatoria si è già consumata prima del procedimento, o comunque in modo tale da privare di rilievo l'esterna provenienza soggettiva dell'apporto, il quale non potrà conseguentemente più essere considerato ai fini della valutazione della proposta e del piano di concordato come apporto di terzi. Per quanto tale puntualizzazione possa apparire di carattere eminentemente teorico, essa, in realtà, ha rilevanti conseguenze pratiche, tenuto conto che anche il concordato preventivo, per quanto caratterizzato da profili privatistici maggiori che in passato, conserva – inevitabilmente – alcuni tratti propri delle procedure esecutivo-satisfattive. Esso infatti costituisce ancora (certamente quando, come accade nella stragrande maggioranza dei casi, abbia finalità ed effetti esdebitatori) una particolare forma di concorso (esecutivo) sui beni del debitore, e quindi i pagamenti (o le altre previste modalità satisfattive) devono di conseguenza effettuarsi nel rispetto delle cause di prelazione e della graduazione. Ebbene, deve rimarcarsi che il rispetto delle cause di prelazione e della graduazione, che per definizione acquistano la propria funzione solo in un concorso esecutivo, ha come referente il solo patrimonio del debitore, non certo il patrimonio di terzi. In altre parole, un credito può dirsi privilegiato o meno solo con riferimento al patrimonio responsabile del debitore. Da qui l'importanza di verificare se un bene con il quale si preveda di pagare i creditori in concorso sia di proprietà del debitore o, invece, di terzi: nel primo caso, infatti, con riferimento a tale bene potrà e dovrà valutarsi il rispetto delle cause di prelazione e della graduazione, mentre, nell'altro, tale valutazione non avrà motivo di rilevare ed operare. Ecco dunque perché diventa imprescindibile in ogni caso in cui il debitore proponga un concordato preventivo in cui sia previsto l'utilizzo di risorse esterne, verificare in che misura esse concorrano a pagare i creditori secondo il rispettivo rango. Si pensi ad esempio al caso in cui una proposta preveda l'integrale pagamento dei creditori privilegiati e pro quota dei creditori chirografari senza specificare però in che misura i creditori privilegiati saranno soddisfatti con i beni del debitore o invece con l'apporto di terzi. Sebbene in prima battuta si sia portati a pensare che tale precisazione sia irrilevante (in quanto comunque si prevede e si dimostra come probabile che i creditori privilegiati saranno pagati per intero), così non è. Se, infatti, i beni del debitore, tanto per fare una delle possibili ipotesi, fossero idonei a pagare solo in parte i creditori muniti di privilegio generale, questi ultimi, per la parte incapiente, degraderebbero al chirografo; da qui l'immediata evidenza della inammissibilità della proposta nel punto in cui finirebbe per far passare come privilegiati creditori che tali potrebbero considerarsi solo in parte, mentre per la parte residua dovrebbero considerarsi chirografari. Insomma: se l'apporto del terzo è effettivamente tale (non sia cioè già entrato anteriormente a far parte del patrimonio responsabile), esso può certo contribuire a rendere fattibile la proposta, ma non può sovvertire il rapporto tra patrimonio responsabile e rango dei crediti, poiché i crediti privilegiati vanno considerati tali rispetto al patrimonio del debitore, non del terzo. Di conseguenza, nel caso, qui ipotizzato, in cui i beni del debitore siano insufficienti per pagare interamente i privilegiati generali, la proposta dovrà anche prevedere il loro pagamento pro quota per la parte transitata al chirografo, almeno secondo i termini minimali previsti (con o senza formazione di classi) per gli altri creditori chirografari. Non deve del resto trascurarsi che tale specificazione attiene anche al diritto di voto, poiché per la parte chirografaria tali creditori vanno ammessi al voto, laddove, invece, come privilegiati, non potrebbero votare. Né tale situazione - ai fini dell'ammissione al voto – potrebbe cambiare nel caso in cui, invece, il debitore intendesse comunque pagare per intero i creditori che erano privilegiati in origine, e che fossero poi in parte transitati al chirografo per incapienza del patrimonio responsabile. Anche in tal caso, infatti, per la parte incapiente, essi resterebbero comunque chirografari e avrebbero quindi diritto al voto, anche se il proponente in ipotesi li inserisse in un'apposita ed autonoma classe chirografaria prevedendone il pagamento al 100%. Il diritto al voto spetta infatti ai chirografari indipendentemente dal trattamento loro riservato dal proponente, essendo esclusi dal voto, per dettato di legge, solo i privilegiati (per la parte integralmente soddisfatta con i beni del debitore). D'altronde i chirografari, pur pagati al 100% del capitale, comunque non avrebbero diritto – a differenza dei privilegiati - al pagamento degli interessi che maturano durante il procedimento concorsuale. Com'è già stato ben chiarito, tale differenza di trattamento si spiega con il fatto che, mentre nel caso del creditore privilegiato l'integrale soddisfazione che determina disinteresse al concordato ed esclude la legittimazione al voto è nella capienza del bene su cui grava la garanzia, che costituisce un dato oggettivo insensibile alla domanda di concordato; viceversa, nel caso del creditore chirografario, il soddisfacimento integrale dipende non già dall'oggettiva garanzia costituita del bene su cui il privilegio può esercitarsi, ma dall'adempimento, da parte del proponente, della promessa concordataria, ciò che lo rende sempre interessato, e dunque titolato, ad esprimere la sua approvazione attraverso il voto (così esattamente Di Marzio, Se il creditore chirografario destinatario di soddisfacimento integrale abbia o meno diritto al voto, in ilFallimentarista.it).
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