Modifica del voto per sopravvenuta «non fattibilità» del piano concordatario: problemi di coordinamento

Cesare Cavallini
05 Dicembre 2013

L'art. 179, comma 2, l. fall. prevede testualmente che «quando il commissario giudiziale rileva, dopo l'approvazione del concordato, che sono mutate le condizioni di fattibilità del piano, ne dà avviso ai creditori, i quali possono costituirsi nel giudizio di omologazione fino all'udienza di cui all'art. 180 per modificare il voto».

L'art. 179, comma 2, l. fall. prevede testualmente che «quando il commissario giudiziale rileva, dopo l'approvazione del concordato, che sono mutate le condizioni di fattibilità del piano, ne dà avviso ai creditori, i quali possono costituirsi nel giudizio di omologazione fino all'udienza di cui all'art. 180 per modificare il voto».
Tale disposizione, pur se apparentemente «innocua» e, per così dire, di logica portata applicativa, può celare qualche insidia, dal punto di vista del (mancato) coordinamento con la normativa previgente. Vediamone, senza pretesa di completezza, alcuni profili di evidenza al fine di stimolare ulteriori dibattiti e approfondimenti.
Tale recente disposizione si deve raffrontare con diversi «momenti» del procedura di concordato preventivo, in primo luogo con quello della revoca ai sensi dell'art. 173 l. fall., con particolare riferimento alla previsione dell'ultimo comma di questa norma «centrale», ove si prevede che in qualunque momento il Commissario giudiziale riferisce al Tribunale per l'apertura del procedimento di revoca, se risultano mancanti le condizioni prescritte per l'ammissibilità del c.p. Ma non solo. L'art. 186-bis l. fall. prescrive - pur se con precipuo riferimento al concordato con continuità aziendale – che se nel corso di una procedura iniziata ai sensi del presente articolo l'esercizio dell'attività d'impresa cessa o risulta manifestamente dannoso per i creditori, il tribunale provvede ai sensi dell'art. 173 l. fall. , a meno che il debitore modifichi la proposta del concordato.
Ora, è chiaro che, da una lettura complessiva delle surriferite disposizioni, coniate in tempi diversi e in un diverso humus cultural-legislativo ed economico, emerge con difficoltà un fil rouge di collegamento sistematico, se non compiendo un passo ulteriore di «buona fede» nell'interpretazione di sistema e, alla fin fine, funzionale all'effettività della tutela dei creditori (tutti).
Innanzi tutto, va detto che - ai sensi della norma più recente, l'art. 179, comma 2, l. fall. - il «mutamento delle condizioni di fattibilità del piano» è reso rilevante, sembrerebbe, solo se il concordato è stato approvato. E vi è da chiedersi se tale mutamento si fondi su fatti storicamente avveratisi prima del voto, ma «scoperti» e dunque rilevati dal C.G. dopo l'espressione di voto.
Il limite temporale è dunque assai importante: dopo l'approvazione del piano concordatario, se si scoprono fatti che potrebbero incidere negativamente sull'adempimento dello stesso concordato, minando l'effettiva e concreta soddisfazione dei creditori che hanno votato a favore del piano medesimo, la legge regola un micro-procedimento alternativo a quello di revoca - invero non soggetto ad alcun limite temporale – ed eccettuato solo dalla previsione «speciale» dettata per il concordato in continuità aziendale (che invero prevede la revoca in alternativa alla modifica della proposta concordataria). Tale micro-procedimento consente ai creditori ritenuti espressamente o implicitamente assenzienti nella votazione di costituirsi – anche tardivamente rispetto a quelli dissenzienti (all'udienza) - per modificare il voto e contestualmente proporre opposizione all'omologa del concordato, se la prova di resistenza seguita a tale modifica consenta comunque di ritenere approvato il piano.
A tale stregua, diviene possibile delineare un percorso di «controllo» della fattibilità del piano concordatario, per così dire, variegato sì, ma pur sempre ispirato a principi comuni? La risposta all'interrogativo è possibile, e forse anche dovuta, in subiecta materia. Procediamo con ordine.
1) Il commissario giudiziale rileva fatti incidenti sulla fattibilità del piano dopo l'approvazione del concordato. Credo si possano aprire due strade, concorrenti, a discrezione del commissario: la prima è quella - tracciata fin dal 2005 - della revoca, vale a dire la segnalazione al Tribunale affinché proceda a norma dell'art. 173 l. fall., soprattutto se si tratta di rilievo di fatti intercorsi fin da prima della domanda o tra la domanda (magari «in bianco») e la pronuncia di ammissibilità del c.p.. La seconda strada è quella «nuova» che va ad incidere sul voto espresso - quindi mediante un invito ai creditori di modificarlo, senza alcuna segnalazione diretta al Tribunale, peraltro già investito dell'omologa -, ai sensi della nuova disposizione di cui all'art. 179, comma 2, l. fall., con riferimento anche a fatti storicamente determinatasi prima del voto, ma «rilevati» dal Commissario in un momento successivo.
Conclusione possibile: non si può desumere sic et simpliciter che l'art. 179, comma 2, l. fall. abbia espunto dal procedimento di revoca ex art. 173 l. fall. la valutazione da parte del Commissario (e quindi del giudice) della non fattibilità del piano. Anzi: solo nel caso di concordato approvato, il Commissario giudiziale può dare avviso ai creditori della ritenuta non fattibilità, per ascrivere all'omologa un potere di controllo della fattibilità solo se, nonostante le modifiche di voto, il concordato superi le maggioranze di legge. D'altro canto, una volta votato, il piano concordatario non può essere modificato (art. 175, comma 2, l. fall.). Non posso convenire, quindi, con l'idea per cui, a seguito dell'introduzione dell'art. 179, comma 2, l. fall., i fatti storicamente determinatisi prima del voto e configuranti un chiaro inadempimento prossimo del concordato possano considerarsi «puliti» dal voto approvativo del medesimo. E, per tale via, solo i creditori, avvisati dal Commissario Giudiziale, possano modificare il voto e opporsi all'omologa, legittimando il potere del Tribunale (per ciò solo) di valutare la fattibilità. Dico questo perché, a tutto voler concedere, il Commissario giudiziale ha due strade da percorrere, valutando l'incidenza e la gravità dei fatti rilevanti sul possibile, probabile, certo inadempimento prossimo del concordato. Se i fatti rilevati sono gravi, il Commissario si adopererà con la revoca; diversamente, anche per escludere problemi futuri di responsabilità, può avvisare i creditori per dar loro una seconda chance di voto. Ed è chiaro che, incidendo sul voto dei creditori, l'avviso è comunicato solo a questi e non al Tribunale, il quale entrerà in gioco o in sede di omologa, se il nuovo voto supera comunque la prova di resistenza, o in sede di pronuncia di inammissibilità per mancata approvazione del concordato, a norma dell'art. 162 l. fall., con il medesimo risultato che si sarebbe ottenuto con la revoca.
2) Di species ad genus, ma a conferma delle possibili conclusioni raggiunte, si può argomentare a proposito del «nuovo» art. 186-bis, ultimo comma, l.fall., dettato in punto di «continuità aziendale».
A fronte di una sopravvenuta non fattibilità del piano concordatario «in continuità», il Tribunale provvede a norma dell'art. 173 l. fall.. Nessuna modifica di voto viene prospettata, invero determinandosi da subito l'apertura del procedimento di revoca, anche per l'intrinseca gravità, in ordine al prossimo (in)adempimento del concordato, dei fatti inerenti ai presupposti della continuità. A meno che, in un quadro di spiccato favore per la conservazione dell'impresa in crisi, una rinnovata manifestazione del voto da parte dei creditori venga resa possibile solo a fronte di una modifica unilaterale del piano in continuità, in deroga all'art. 175, comma 2, l. fall., e postulante una rinnovata approvazione da parte dei creditori.

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