Due spunti sull'argomento, in sé vastissimo: ammissibilità del concordato preventivo di gruppo e ammissibilità di operazioni a tutela del gruppo nelle procedure concorsuali.
In generale va premesso che la difficoltà dell'argomento dipende dall'organizzazione normativa della materia. Il vecchio diritto fallimentare non si occupava della crisi dell'impresa, ma dell'insolvenza dell'imprenditore; il quale soggetto era disciplinato secondo regole riferite in generale alle persone fisiche e soltanto adattate, nel capo dedicato alle società, alle organizzazioni collettive.
Il nuovo diritto della crisi d'impresa può essere così definito perché riscritto all'insegna, piuttosto che dell'insolvenza dell'imprenditore, della crisi della impresa.
Lo spostamento dell'attenzione dallo stato in cui versa il soggetto alla condizione in cui si trova ad essere l'attività ha favorito il perdurare del disinteresse normativo per il primo, e dunque per una efficiente disciplina dell'imprenditore societario.
Si è così creato uno iato tra regole sul soggetto e regole sull'attività: insufficienti ed arretrate le prime, copiose e d'avanguardia le seconde.
Questo fatto produce gravi inconvenienti, riducendo notevolmente il livello di performatività delle discipline sopravvenute.
Un'angolatura da cui questo effetto si mostra particolarmente evidente è quello dell'impresa di gruppo: ossia del caso in cui una stessa organizzazione economica è agita non da una singola società, ma da una pluralità di società, legate da vincoli partecipativi.
Un profilo di evidente problematicità è dato dall'ammissibilità di un ricorso per accordo di ristrutturazione dei debiti o per concordato preventivo che abbia ad oggetto non singole società del gruppo, ma tutte le società che realizzano l'impresa di gruppo.
Sono note le difficoltà, segnalate in dottrina ed in giurisprudenza, sull'ammissibilità di tali ricorsi; difficoltà ingenerate dalla constatazione - enfatizzata in tema di concordato preventivo di gruppo - che le strutture procedimentali previste dalla legge fallimentare sono organizzate secondo il principio della domanda giudiziale presentata da un singolo soggetto titolare di un ben determinato patrimonio.
Eppure, salvaguardata l'autonoma considerazione delle masse attive e passive (come imposto dalle regole civilistiche sulla responsabilità patrimoniale), nessun ostacolo insormontabile dovrebbe effettivamente porsi all'ammissibilità di una domanda presentata da tutte le società del gruppo e articolata su un unico programma di ristrutturazione calibrato sull'impresa di gruppo.
Del resto l'art. 4-bis, comma 2, D.L. n. 347 del 2003 prevede che la proposta di concordato, nelle procedure di amministrazione straordinaria ivi disciplinate, possa essere unica per più società del gruppo, ferma restando ovviamente l'autonomia delle singole masse attive e passive.
Questo stesso decreto prevede nel successivo art. 5 - rubricato alle operazioni necessarie per la salvaguardia del gruppo - che, dopo la dichiarazione dello stato di insolvenza, il Ministero può autorizzare operazioni della più varia natura (cessione e utilizzazione di beni, aziende o rami di aziende) qualora siano finalizzate o alla ristrutturazione o alla salvaguardia del valore economico e produttivo “della impresa o del gruppo”: ossia, non soltanto dell'attività economica riferibile alla singola società, ma anche dell'impresa di gruppo; nel comma successivo è prevista analoga possibilità di autorizzazione circa le operazioni necessarie per la salvaguardia della continuità aziendale dell'impresa di gruppo.
Si tratta di regole stabilite nel c.d. diritto amministrativo della crisi di impresa, sorto proprio per la promozione degli interessi connessi alla tutela dell'attività.
Il transito di questa mentalità nel diritto ordinario è già parzialmente avvenuto: come dimostra l'inedita attenzione alle ragioni della conservazione della impresa nella nuova legge fallimentare.
Va pure segnalato come tale passaggio sia avvenuto attraverso il filtro della salvaguardia dell'interesse dei creditori, così rimediandosi all'ingiustificato sacrificio patito da quell'interesse nella legislazione sulla amministrazione straordinaria (e sulla liquidazione coatta amministrativa).
L'auspicio è che, laddove il legislatore non ha ancora effettuato passi conclusivi, l'interprete si ingegni assumendo un responsabile ruolo di supplenza, e prosegua ricostruttivamente nella realizzazione del travaso di regole sulla salvaguardia dell'impresa dalla legislazione amministrativa a quella ordinaria: sempre prestando la massima attenzione alla tutela dell'interesse dei creditori (e dunque alla ragionevolezza anche economica degli istituti conformati in via di interpretazione).
E' quanto, del resto, sta in parte avvenendo in materia di concordato preventivo: facendosi via via meno rare le decisioni sull'ammissibilità del c.d. “concordato preventivo di gruppo”.
Lo stesso potrebbe verificarsi circa le operazioni a salvaguardia del gruppo, potendosi ricostruire in tale prospettiva tutto il complesso regime autorizzatorio riferibile alla continuità aziendale della singola impresa societaria in concordato preventivo (cfr. tra gli altri, gli artt. 182-quinquies e 186-bis l. fall.).
Il limite applicativo dato dalla tutela dell'interesse dei creditori è questa volta già espresso nella legge fallimentare: che condiziona l'autorizzazione delle operazioni al perseguimento del “miglior soddisfacimento dei creditori”.
Il più evidente vantaggio di un simile atteggiamento ricostruttivo è nell'impiego responsabile delle risorse dedotte nel concordato di gruppo, nell'interesse generale del gruppo: senza soffrire limitazioni pregiudiziali derivanti dalla riferibilità delle risorse a specifiche masse passive, ritornando a tal fine utile la teoria dei c.d. vantaggi compensativi.
Allo sviluppo della questione dovranno essere dedicati contributi appositi; qui la sua enunciazione può però già valere come invito a riflettere.