Debitori, banche e tribunali di fronte ai concordati in continuità aziendale

08 Aprile 2013

Le modifiche alla legge fallimentare in vigore dall'11 settembre 2012 hanno inciso e incidono significativamente sulla gestione dei rapporti fra il debitore in crisi e istituti di credito, soprattutto ove il debitore intenda proseguire, in tutto o in parte, direttamente o indirettamente, la propria attività di impresa. E ciò soprattutto in un contesto, come quello attuale, contraddistinto da una crisi generalizzata, che colpisce, tanto le imprese, quanto gli istituti di credito.

Le modifiche alla legge fallimentare in vigore dall'11 settembre 2012 hanno inciso e incidono significativamente sulla gestione dei rapporti fra il debitore in crisi e istituti di credito, soprattutto ove il debitore intenda proseguire, in tutto o in parte, direttamente o indirettamente, la propria attività di impresa. E ciò soprattutto in un contesto, come quello attuale, contraddistinto da una crisi generalizzata, che colpisce, tanto le imprese, quanto gli istituti di credito.

Il deposito della domanda di concordato in bianco coglie spesso di sorpresa gli istituti di credito coinvolti, creando un clima di incertezza che li induce a sospendere, di fatto, l'esecuzione dei rapporti, ove ciò non si sia già verificato precedentemente. La prassi recente, peraltro, evidenzia, successivamente alla presentazione di una domanda di concordato ex art. 161, comma 6, l. fall., l'invio al debitore di comunicazioni formali con le quali gli istituti di credito comunicano la decisione di sospendere la esecuzione dei rapporti in essere, pur confermando la volontà di avvalersi del cd “patto di compensazione”, anche chiamato “patto di annotazione ed elisione nel conto di partite di segno opposto”, di norma contenuto nei contratti di conto corrente. Patto che opera in presenza di più rapporti bancari (e, quindi, non in caso di un contratto di conto corrente assistito da apertura di credito) e che consente alla banca di compensare crediti e debiti derivanti dai rapporti in essere, in deroga al principio di “cristallizzazione” del patrimonio del debitore ai sensi degli artt. 167 e 168 l. fall., e di quanto previsto dall'art. 56 l. fall. (in tal senso, da ultima, Cass. 1 settembre 2011, n. 17999; si sono però registrate pronunce contrarie nella giurisprudenza di merito: cfr. App. Milano 2 marzo 2001).
L'operatività del patto di compensazione priva il debitore di importanti risorse finanziarie, soprattutto ove voglia proseguire nello svolgimento della propria attività, sia pure a seguito di una ristrutturazione dai contorni definiti o da definire successivamente. E ciò soprattutto in assenza di istituti di credito, soci o terzi disponibili a fornire un adeguato supporto finanziario al debitore medesimo, ovvero, in caso di affitto di azienda, alla affittuaria. Per reagire a tale situazione, la prassi, confermata da un numero sempre più nutrito di provvedimenti editi, evidenzia istanze del debitore al tribunale competente, nel ricorso ex art. 161, comma 6, l. fall. ovvero successivamente al medesimo, di autorizzazione:
- allo scioglimento (si veda, in tal senso, Trib. Como, decreto 5 novembre 2012) ovvero alla sospensione dei rapporti con gli istituti di credito (e, in particolare, di anticipazioni di crediti su fatture), ai sensi dell'art. 169-bis l. fall. (si veda, in tal senso, Trib. Monza 16 gennaio 2013, in Ilfallimentarista.it con nota di Cavallini; Trib. Busto Arsizio, 8 febbraio 2013), volte ad impedire l'operatività del già ricordato “patto di compensazione” e, possibilmente, consentire la negoziazione di nuove linee di credito, di norma per auto-liquidante, ovvero altri contratti bancari;
- alla stipulazione di nuovi contratti bancari ai sensi dell'art. 161, comma 7, l. fall., al fine di consentire agli istituti di credito di ottenere, direttamente ovvero indirettamente, il riconoscimento della prededuzione dei crediti sorti successivamente alla presentazione della domanda di concordato, anche in bianco o con riserva.
Nella dialettica fra debitore ed istituti di credito un ruolo centrale è richiesto ai tribunali aditi. Sul punto il dibattito, anche sulle colonne di questa rivista, è noto, e vede, da un lato, chi richiede, ai fini della sospensione, lo sviluppo di un contraddittorio fra il debitore e il contraente in bonis, sollecitato dal Tribunale, come pure la presentazione di un piano completo; e, dall'altro, chi, invece, autorizza la sospensione dei rapporti in presenza di vari elementi di giudizio, quali la tipologia del concordato che il debitore intende proporre, l'esposizione della situazione economica aggiornata, l'incidenza della prosecuzione dei contratti sul passivo concordatario.
Il grande successo ottenuto finora dal concordato in bianco, ma in assenza di un aumento degli organici delle sezioni fallimentari dei tribunali italiani; la necessità di ponderare attentamente i suoi effetti e di vigilare su eventuali abusi; le ambiguità del testo normativo stanno sicuramente alla base della condivisibile prudenza adottata dai tribunali nei provvedimenti editi .
In assenza, peraltro, di un'auspicabile cultura imprenditoriale che accetti di far emergere tempestivamente la crisi di impresa, il ricorso al c.d. concordato in bianco costituisce una strada necessitata per salvaguardare la continuità, anche parziale, dell'impresa, ma non è sufficiente, ove la situazione debitoria non si cristallizzi e il sistema bancario non confermi la propria fiducia, quantomeno confermando le linee del credito c.d. autoliquidante. Per tale motivo, la presenza di interpretazioni giurisprudenziali contrastanti in merito alla sorte e, comunque, alla gestione dei rapporti bancari pendenti successivamente al deposito della domanda di concordato in bianco rende il rapporto fra debitori e istituti di credito ancora più complesso, e rischia di impedire o rendere ancora più difficoltoso l'accesso a risorse finanziarie e vani i tentativi di salvataggio, anche parziale, delle imprese meritevoli.

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