I limiti del controllo del tribunale sulla fattibilità del piano risolto dalle Sezioni Unite

30 Gennaio 2013

Il tema dell'oggetto del controllo che il tribunale è chiamato ad esercitare nelle varie fasi in cui si distingue il procedimento di concordato (apertura, approvazione ed omologazione) trova una definizione in termini significativi nella pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, n. 1521/13.

Il tema dell'oggetto del controllo che il tribunale è chiamato ad esercitare nelle varie fasi in cui si distingue il procedimento di concordato (apertura, approvazione ed omologazione) trova una definizione in termini significativi nella pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 1521/13.
I principi espressi tengono peraltro conto delle significative modifiche intervenute con la legge di conversione del decreto legge n. 83/12; in quanto tali sono destinati ad orientare le decisioni dei giudici del merito senza che possa farsi alcuna sostanziale distinzione tra procedimenti iniziati dopo la data dell'11 settembre 2012, regolati dalla nuova disciplina, e quelli introdotti anteriormente, cui le novità normative non si applicano.
La Corte di Cassazione è anzitutto esplicita nel chiarire che l'oggetto di tale controllo sia il medesimo ed abbia la stessa estensione in tutte le tre fasi in cui può essere divisa la procedura concordataria.
Infatti le valutazioni inerenti alla sussistenza o meno delle condizioni di ammissibilità della domanda e della proposta concordataria, cui il tribunale è chiamato secondo le previsioni di cui agli artt. 162 e 163 l. fall., sono le medesime che possono giustificare la revoca del provvedimento di ammissione, al di fuori delle ipotesi in cui vengano accertate condotte di natura fraudolenta, secondo quanto previsto dall'art. 173 l. fall.
Analogo perimetro di estensione ha il giudizio del tribunale nella fase dell'omologazione, anche qualora non siano presentate opposizioni da parte di soggetti a ciò legittimati.
Nel controllo di regolarità della procedura che il tribunale deve sempre effettuare, officiosamente, nel giudizio di omologazione, rientra infatti l'accertamento della esistenza e permanenza dei presupposti, formali e sostanziali, che hanno determinato l'organo giurisdizionale ad ammettere il proponente alla procedura.
Ciò posto, nel delineare i limiti di tale controllo, la Corte introduce una distinzione concettuale, in parte nuova, tra fattibilità giuridica e fattibilità economica.
La prima costituisce il terreno di indagine sul quale si gioca l'intervento del giudice.
La seconda, al contrario, è oggetto di valutazione esclusiva dei creditori, in ciò necessariamente orientati, in prima battuta dalla relazione dell'attestatore, in secondo luogo dagli accertamenti svolti dal commissario giudiziale e da quest'ultimo esplicitati nella relazione prevista dall'art. 172 l. fall.
La concreta delimitazione del concetto di fattibilità giuridica rappresenta certamente il punto centrale della pronuncia.
Nella fattibilità giuridica rientrano anzitutto gli aspetti che condizionano l'ammissibilità della proposta, che non può essere meritevole di essere portata all'attenzione dei creditori ove si risolva nella violazione di norme giuridiche imperative.
Tra queste ultime vanno ricomprese anzitutto quelle intese ad assicurare la completezza e regolarità della documentazione prodotta in allegato alla proposta, con lo scopo di fornire ai creditori concreti elementi di giudizio.
Si allude al piano, che deve indicare in modo analitico le modalità e il termine di adempimento della proposta, a tutti gli altri documenti previsti dall'art. 161, comma 2 l. fall., infine alla relazione attestatrice della veridicità dei dati e della fattibilità del piano, che per poter svolgere la sua funzione informativa deve avere caratteristiche di analiticità ed esaustività.
A questo livello, quello del controllo di legittimità formale, il tribunale deve quindi limitarsi a verificare che nessuna norma imperativa sia disattesa e, quanto alla relazione attestatrice, che essa sia completa ed analitica, sì da poter assolvere alla sua funzione informativa.
Ciò significa che il tribunale debba garantire il rispetto di tutti i principi giuridici, di diritto civile e concorsuale, da cui dipende l'ammissibilità giuridica della proposta.
La Corte di Cassazione fa a tal proposito un esempio concreto: quello di una proposta di cessione di beni di soggetto diverso (ovviamente non consenziente) dal debitore.
Ma altre possono essere le ipotesi di manifesta inammissibilità giuridica: la proposta che non preveda il soddisfacimento in forma e percentuale alcuna di alcuni creditori, lesiva del principio secondo il quale con la proposta di concordato deve essere prospettata la soddisfazione di tutti i creditori; la proposta di pagamento falcidiato dei privilegiati accompagnata da un'offerta di pagamento anche dei chirografari, senza che ricorrano i presupposti previsti dall'art. 160, comma 2, l. fall.
Si pensi, ancora, ad un concordato che preveda la cessione soltanto parziale del patrimonio del debitore, senza che tale cessione sia accompagnata da finanza esterna di valore pari o superiore a quello dei beni che il debitore non cede ai creditori.
Una proposta di tal fatta sarebbe lesiva del principio generale di cui all'art. 2740 c.c.
Gli esempi potrebbero proseguire, essendo numerose le ipotesi in cui una proposta concordataria abbia necessità di essere interdetta da una valutazione di inammissibilità giuridica conseguente al mancato rispetto di una norma imperativa.
C'è tuttavia un secondo livello sul quale opera il controllo di fattibilità giuridica della proposta.
E' quello inerente all'effettiva idoneità di quest'ultima ad assicurare il soddisfacimento della causa della procedura.
La causa del concordato, intesa come funzione economica del medesimo, viene individuata nel superamento della crisi attraverso il soddisfacimento in una qualsivoglia forma e percentuale dei creditori, in un lasso di tempo ragionevolmente breve.
A questo livello il controllo del tribunale è maggiormente intenso, potendosi spingere oltre la valutazione relativa al rispetto delle norme imperative che governano la fattispecie, e dovendo anzi inerire alla possibilità giuridica di dare esecuzione alla proposta di concordato che in concreto sia stata formulata.
L'esempio che si può fare è quello relativo ad una proposta liquidatoria che fosse imperniata esclusivamente sulla cessione di beni gravati da numerose ipoteche, che in quanto tale non consenta la corresponsione di percentuale di soddisfacimento alcuna al ceto chirografario, nonostante tale corresponsione sia prevista nel piano e considerata fattibile nella relazione attentatrice.
Secondo la Corte, nell'ambito di tale controllo rientra certamente “una delibazione in ordine alla correttezza delle argomentazioni svolte e delle motivazioni addotte dal professionista a sostegno del formulato giudizio di fattibilità del piano”.
Con ciò non si allude ad un mero controllo formale sull'analiticità e coerenza delle motivazioni, ma a qualcosa di ulteriore, che può essere individuato nel controllo relativo alla razionalità delle argomentazioni dell'attestatore.
Evidentemente la valutazione di razionalità dell'argomentare del professionista non può che scaturire da un confronto tra il contenuto della relazione e i dati del piano cui la relazione si riferisce.
Nell'esempio in discorso, il tribunale dovrebbe quindi rilevare l'irrazionalità di una relazione che, se pur analitica e completa sotto il profilo formale, considerasse realizzabile il soddisfacimento dei creditori chirografari previa liquidazione di beni gravati dalle viste ipoteche.
Ogni qualvolta detta razionalità dovesse mancare, o ne dovesse essere accertata la carenza (ad ammissione già avvenuta od anche nel corso del giudizio di omologazione, ad approvazione già intervenuta) il tribunale avrebbe il potere-dovere di arrestare la procedura.
La Corte supporta il suo ragionamento con un esempio molto semplice ma decisamente emblematico: quello di un giudizio di fattibilità ancorato ad un complesso di dati, la cui sommatoria conduca viceversa a conclusioni di segno opposto.
Ne discende che ogni qualvolta il tribunale dovesse individuare, nella relazione attestatrice, un iter argomentativo non compatibile con i contenuti o con i dati del piano, si evidenzierebbe un aspetto di irrazionalità rilevante sotto il profilo della ammissibilità della proposta e della fattibilità del piano.
Un corollario di tale principio è la rilevanza del profilo inerente ai tempi di adempimento della proposta.
Se il tribunale rilevasse l'incompatibilità del termine di adempimento indicato nel piano con i contenuti del piano stesso, dovrebbe farne discendere l'inammissibilità della proposta, o eventualmente la revoca dell'ammissione che fosse già stata disposta.
Così delineato il concetto di fattibilità giuridica, si propone poi l'individuazione della nozione fattibilità economica.
Essa coincide con la realizzabilità concreta, nei termini prospettati, della proposta (che del piano costituisce il portato specifico).
La valutazione prognostica in ordine alla possibilità che i creditori vengano soddisfatti secondo le modalità e le percentuali indicate dal debitore viene quindi considerata di competenza esclusiva dei creditori, esattamente come lo è la convenienza della proposta rispetto all'alternativa della liquidazione dei beni in sede di procedura fallimentare.
Ciò significa, nella sostanza, che nel concordato per cessione dei beni il tribunale non dovrebbe interessarsi dell'eventuale accertamento, da parte del commissario giudiziale, dello scostamento della percentuale di soddisfacimento che il debitore deve indicare nella proposta (senza che peraltro essa possa considerarsi vincolante, fatta salva l'espressa e contraria volontà del proponente) e quella in concreto realizzabile.
Il fatto che il giudice non possa “esercitare un controllo sulla prognosi di realizzabilità dell'attivo nei termini indicati dall'imprenditore” viene ricondotto alla non inerenza di detta prognosi alla causa del concordato, individuata, come detto, nella soluzione della crisi mediante il soddisfacimento, in un lasso di tempo ragionevole, in una qualche forma o percentuale, di tutti i creditori.

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