La fattispecie di reato-proprio di falso in attestazioni e relazioni introdotta dal d.l. Sviluppo, n. 83/2012 ("misure urgenti per la crescita del Paese") si pone in una linea di discontinuità con le ipotesi di responsabilità penale tipiche del professionista componente degli OCC o facente le funzioni dell'OCC introdotte dalla legge n. 3 del 27 gennaio 2012 e non manca di porre seri problemi di individuazione della condotta delittuosa, specie con riguardo all'ipotesi dell'omessa enunciazione di informazioni rilevanti.
L'art. 236-bis l. fall., introdotto dal "decreto-legge sviluppo" (d.l. n. 83/2012), prevede il delitto di falso in attestazioni e relazioni, in coerenza con l'evoluzione del sistema delle soluzioni concordate della crisi d'impresa, che va sempre più imperniandosi sulla figura del professionista attestatore, le cui funzioni risultano, da ultimo, arricchite dalla necessità, per l'imprenditore in crisi che abbia proposto un piano con prospettive di continuità, di munirsi dell'attestazione di funzionalità al miglior soddisfacimento dei creditori per la contrazione di finanziamenti prededucibili, per l'integrale ed immediato pagamento di crediti concorsuali, per la prosecuzione dell'attività d'impresa.
Il legislatore non ha dato seguito alla scelta operata con la disciplina regolatrice delle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento, in cui la previsione di un apparato sanzionatorio penale specifico per il professionista (avvocato, dottore commercialista, notaio) componente dell'Organismo di Composizione della Crisi pare riconducibile all'investitura giurisdizionale, cioè al fatto che il professionista debba essere nominato dal presidente del tribunale o da un giudice da quest'ultimo delegato.
Il decreto "sviluppo" riafferma infatti che l'investitura dell'attestatore debba promanare dal debitore in crisi, cui il professionista resta legato da un rapporto di natura contrattuale-privatistica.
Ciononostante, la nuova disciplina punisce con la reclusione da due a cinque anni e con la multa da 50.000,00 a 100.000,00 il professionista che nelle relazioni o attestazioni di cui agli artt. 67, comma 3 lett. d), 161, comma 3, 182-bis, 182-quinques e 186-bis espone informazioni false ovvero omette di riferire informazioni rilevanti.
Anche la condotta criminosa, nelle sue linee essenziali, si distanzia da quella prevista per chi svolge le più estese funzioni di OCC (false attestazioni in ordine all'esito della votazione o alla veridicità dei dati contenuti nella proposta di accordo o alla fattibilità del piano; omissione o rifiuto di un atto dell'ufficio che siano stati produttivi di danni per i creditori).
Se infatti la condotta commissiva di esposizione di informazioni false può considerarsi coincidente, nella sostanza, con la falsa attestazione in ordine alla veridicità dei dati, quella omissiva dell'omessa enunciazione di informazioni rilevanti pare del tutto nuova e foriera di problemi applicativi, nella misura in cui àncora l'elemento oggettivo del reato ad un giudizio di rilevanza che porta con sè, inevitabilmente, possibili problemi di legittimità costituzionale sotto il profilo dell'effettivo rispetto del principio di tassatività.
Ma a parte ciò, è evidente che, proprio per delimitare la portata del concetto di informazione rilevante omessa diviene essenziale definire esattamente quali siano le informazioni che il professionista è tenuto a dare quando venga incaricato di attestare la veridicità dei dati e la fattibilità del piano sottostante alla proposta concordataria.
Sotto questo aspetto, in attesa che si delinei una lex artis specifica per il professionista attestatore, pare importante stigmatizzare che l'attestazione di veridicità dei dati inerisce esclusivamente alla situazione economico-patrimoniale-finanziaria depositata contestualmente alla proposta, non ai bilanci di esercizio degli anni antecedenti: l'attestatore non svolge infatti funzioni che sono tipiche del commissario giudiziale, quali quelle finalizzate ad accertare le cause del dissesto o eventuali condotte di natura fraudolenta sussumibili nella previsione di cui all'art. 173, comma 1, l. fall. e che, in quanto tali, possano avere effetto ostativo alla prosecuzione del procedimento di concordato.
Ne consegue che se, ad apertura del concordato già intervenuta, il tribunale dovesse revocare il decreto di ammissione per l'avvenuto accertamento di condotte di natura fraudolenta poste in essere dall'imprenditore in concordato prima del deposito della domanda formulata ex art. 160 l. fall., all'attestatore non potrà essere contestata alcuna omessa enunciazione di informazioni attinenti a quelle condotte, per il semplice motivo che quelle condotte non rientrano nella sfera delle sue indagini, ma in quella diversa, e tipica, del commissario giudiziale.